Schemi del Manuale di dermatologia medica e

TipoAppunto: Schema
Argomento: Malattie Cutanee e Veneree
Anno: 2000
nomedocente: manuale di dermatologia medica e chirurgica
commento: riassunto dei relativi capitoli con aggiunte di appunti da lezione
nome: luca bossi
facolta: milano statale
http://www.futurimedici.com/index.php
LA CUTE
Lesioni elementari della cute.…………………………………………………………………………………………..
4
Semeiologia…...……………………………………………………………………………………………………………
7
MALATTIE INFETTIVE
Malattie da artropodi………...…………………………………………………………………………………………..
8
Malattie da miceti………………………………………………………………………………………………………...
9
Malattie da batteri………………………………………………………………………………………………………..
12
Malattie da virus…………………………………………………………………………………………………………...
13
MALATTIE AUTOIMMUNI
Lupus eritematoso…..…………………………………………………………………………………………………….
16
Sclerodermie……………………………………………………………………………………………………………….
17
Dermatopoliomiosite………..……………………………………………………………………………………………
18
Dermatiti bollose…………………………………………………………………………………………………………..
19
IPERPLASIE E NEOPLASIE
Fotomedicina………………………….…………………………………………………………………………………..
22
Precancerosi………………….……………………………………………………………………………………………
23
Neoplasie…………..……………………………………………………………………………………………………….
24
Linfomi cutanei…………………………………………………………………………………………………………….
26
NEVI E MELANOMI
Nevi…………………………………………………………………………………………………………………………..
28
Melanoma cutaneo…………..……….…………………………………………………………………………………
31
MALATTIE INFIAMMATORIE
Da disordine immunologico………………..…………………………………………………………………………...
34
Da difetto di cheratinizzazione..………………………………………………………………………………………..
39
Da altre cause……………………………………………………………………………………………………………..
43
MALATTIE SESSUALI
Sifilide……………...…………………………………………………………………………………………………………
47
Gonorrea…………………………………………………………………………………………………………………...
48
Infezioni da Chlamydia………...………………………………………………………………………………………...
49
TERAPIA TOPICA
Preparati farmacologici……….…………………………………………………………………………………………
50
TOSSICOLOGIA CUTANEA
Reazioni da farmaco per via sistemica…………………………………………..…………………………………..
52
Reazioni da farmaco per via topica..…………………………………………………………………………………
53
USTIONI
Ustioni termiche……………………………………………………………………………………………………………
54
Ustioni chimiche…………..……………………………………………………………………………………………….
54
Ustioni elettriche……...……………………………………………………………………………………………………
54
Estensione e profondità delle ustioni………………………………………………………………………………….
55
Terapia……………………………..………………………………………………………………………………………..
56
CHIRURGIA PLASTICA
Malformazioni congenite.……………………………………………………………………………………………….
58
Ricostruzioni…………………….…………………………………………………………………………………………..
58
La cute è un organo di confine e di relazione con l’ambiente esterno, senza il quale è impossibile la vita.
Le sue caratteristiche generali sono:




colore, dato da:
-
spessore dello strato corneo;
-
pigmenti (emoglobina, carotene, melanina);
particolarità di superficie:
-
solchi superficiali;
-
solchi profondi;
-
pieghe;
-
rughe;
-
depressioni puntiformi / infundibolari (sbocco ghiandole e peli);
trofismo:
-
idratazione cornea;
-
turgore del derma;
-
spessore dell’ipoderma;
elasticità, data da:
-

fibre elastiche;
appendici cornee:
-
unghie;
-
peli.
La cute origina da:

ectoderma: cheratinociti, melanociti, cellule di Merkel, annessi cutanei, fibre nervose;

mesoderma: cellule di Langerhans, derma, ipoderma, strutture vasali.
Lo sviluppo è cranio-caudale con comparsa di gettoni di accrescimento (linea di Blascko).
La cute è costituita da quattro strati:
1.
strato corneo (non vitale, più esterno);
2.
epidermide con cellule vitali;
3.
derma;
4.
ipoderma.
Strato corneo
È costituito da corneociti (circa 15 strati), cellule con forma lamellare, anucleate (per picnosi nucleare), prive
di organuli: rappresentano lo stadio finale di differenziazione dei cheratinociti, e sono costituiti da filamenti di
cheratine insolubili, circondati da un involucro proteico (INVOLUCRINA), che ha un legame covalente con i lipidi
interlamellari presenti tra un corneocita e l’altro.
Lo strato corneo ha una struttura “a mattoni (corneociti) e cemento (lipidi interlamellari)”.
Epidermide
È costituita da epitelio pavimentoso stratificato cheratinizzante, costituito da quattro stipiti cellulari:

cheratinociti;

melanociti;

cellule di Langerhans;

cellule di Merkel.
È formata da quattro strati (più lo strato corneo):
1.
strato basale germinativo (il 5% delle cellule prolifera);
2.
strato spinoso;
3.
strato granuloso;
4.
strato lucido (presente solo nello zone sottoposte a frizione).
I
MELANOCITI
sono di derivazione neuroectodermica e hanno forma dendritica (grazie ad essa possono entrare
in contatto con molte cellule distanti tra loro); producono melanina, che viene accumulata nei melanosomi. I
melanosomi vengono rilasciati e fagocitati dai cheratinociti negli strati basale e spinoso.
Le
CELLULE DI
LANGERHANS sono elementi di origine midollare di forma dendritica, e rappresentano il 2% delle
cellule dell’epidermide. Sono cellule mobili e in grado di presentare gli antigeni ai linfociti T (APC): catturano
gli antigeni e migrano nella regione para-corticale (T-dipendente) dei linfonodi locoregionali.
Le
CELLULE DI
MERKEL sono di derivazione neuroectodermicca, hanno un ruolo nella sensibilità tattile e sono in
contatto sinaptico con le fibre nervose.
Derma
È costituito da:

cellule (fibroblasto, mastocita dermico, dendrocita dermico, cellule non residenti di origine ematica,
soprattutto linfociti T);

fibre (collagene di tipo I e III, fibre elastiche; il collagene rappresenta il 75% del peso secco del derma);

sostanza fondamentale (glucosaminoglicani, soprattutto acido jaluronico, e proteoglicani).
Ipoderma
È lo strato più profondo, posto tra il derma e i piani fasciali, ma non è presente ovunque.
È costituito da raccolte di adipociti separate da tralci connettivali (RETINACULA CUTIS).
FUNZIONI DELLA CUTE
1.
Protezione meccanica
2.
Funzione di barriera (sostanze chimiche, microrganismi, radiazioni, UV, evita la perdita di acqua)
3.
Omeostasi termica
4.
Omeostasi pressoria
5.
Funzione sensoria
6.
Funzione immunologia
7.
Funzione di deposito e sintesi
8.
Funzione escretiva
Funzione di termoregolazione
La pelle ha un ruolo primario nel mantenere la temperatura corporea interna attorno al valore di 37 °C. La
temperatura corporea dipende dall'equilibrio fra la produzione di calore, che avviene principalmente nel
fegato e nei muscoli scheletrici, e la dispersione del calore stesso, che si verifica con la respirazione ma
principalmente proprio attraverso la cute.
Il calore prodotto dall’organismo raggiunge la cute mediante:

circolazione sanguigna (tono arteriolare);

conduzione (contrastato dal tessuto adiposo sottocutaneo, che ha un importante ruolo coibente termico,
essendo cinque volte meno permeabile al calore dei tessuti acquosi).
Ci sono due tipi di regolazione della temperatura, involontaria e volontaria (comportamentale).
La cute disperde calore per:

conduzione (solo se immersa in un liquido freddo);

convezione (solo se la temperatura esterna è bassa e c’è una forte ventilazione);

irraggiamento termico (l'irraggiamento è tanto maggiore quanto più elevata è la temperatura cutanea e
quest'ultima può essere incrementata o ridotta dai centri ipotalamici che regolano l'afflusso del sangue
alla cute mediante la variazione del tono muscolare delle arteriole);

evaporazione (sudorazione eccrina).
In presenza di elevate temperature ambientali interviene principalmente la sudorazione. Le ghiandole
sudoripare eccrine divengono funzionanti su tutta la superficie corporea quando la temperatura supera i 29
°C e Ia loro attività è massima a 45°C. L'efficienza della perdita di calore con questo meccanismo risente
dell'umidità dell'aria e della ventilazione ed è pertanto più elevata nei climi caldi e secchi rispetto a quelli
caldi e umidi. Un ruolo minore, ma non trascurabile in certe situazioni ambientali e in particolare nelle razze di
colore, ha nel bilancio energetico dell'organismo anche il calore assunto dall'esterno che la cute è in grado di
trattenere e di cedere ai tessuti profondi.
Funzione immunologica
La cute è un organo immunologicamente attivo, in grado di iniziare e mantenere le risposte infiammatorie e
immunitarie verso sostanze potenzialmente nocive che provengono dall’esterno (allergeni, irritanti,
microrganismi) o dall’interno (farmaci, tossine).
Numerosi stipiti cellulari (residenti o no, come linfociti e monociti) possono iniziare e regolare reazioni
infiammatorie e immunitarie; le cellule che hanno un ruolo immunologico sono:

linfociti T e B, ricircolanti, ad homing cutaneo preferenziale;

cellule della linea monocito-macrofagica ricircolanti (cellule di Langerhans, dendrociti dermici, cellule
indeterminate del derma);

cheratinociti;

cellule endoteliali.
L’insieme
di queste cellule costituisce il
SISTEMA IMMUNITARIO CUTANEO
(SALT), che ha analogie con IL GALT
(gastrico) e il BALT (polmone), ma non contiene linfociti B IgA-secernenti.
I
CHERATINOCITI
hanno un ruolo immunologico e secernono un ampio numero di citochine (rilasciate soprattutto
in seguito a danno dell’epidermide), modulando i fenomeni infiammatori e proliferativi della cute.
Le principali citochine sono:

pro-infiammatorie (IL-1, IL-6, IL-7, IL-8 e TNF-);

anti-infiammatorie (IL-10, IL-1 e TGF-);

fattori di crescita (TGF  e  GM-CSF, PDGF, bFGF).
Le sostanze chimiche e i fattori ambientali irritanti compromettono la funzione di barriera, favorendo la sintesi
e la liberazione di citochine. L’amplificazione e la persistenza della flogosi cutanea intervengono in un
secondo momento, con coinvolgimento delle APC e dei linfociti T.
Le
CELLULE ENDOTELIALI
hanno un ruolo importante perché esprimono molecole di adesione (ICAM-1, VCAM-1, E-
selectina) importanti per l’adesione e la chemiotassi; inoltre producono fattori di crescita tissutale.
I
LINFOCITI,
nella cute normale, sono pochi, prevalentemente T CD8 +. Gli antigeni possono essere esogeni o
endogeni: i linfociti T li riconoscono solo se sono presentati da APC, grazie all’interazione tra TCR e MHC.
Qualsiasi cellula della cute con MHC può funzionare da APC; le principali sono i macrofagi, le cellule di
Langerhans, i linfociti B e le cellule dendritiche.
Un quadro clinico (le manifestazioni) di una malattia dermatologica è composto da lesioni elementari che
possono avere un aspetto unico (monomorfe) o diverso (polimorfe) sin dall'esordio o durante l'evoluzione. Esse
si dividono in primitive, secondarie e primitivo-secondarie. Le lesioni primitive sono Ia diretta espressione del
processo patologico cutaneo: quelle secondarie rappresentano Ia fase evolutiva o l'esito delle prime; le
lesioni primitivo-secondarie esprimono entrambe queste condizioni.
LESIONI ELEMENTARI PRIMITIVE
Macule
Sono modificazioni circoscritte del colorito cutaneo, visibili e non palpabili.
1.
Le
MACULE ERITEMATOSE
possono essere indotte da un'iperemia attiva dei capillari arteriosi; in tal caso questi
hanno un colore rosso-vivo, che scompare alla vitropressione (diascopia). Se l'eritema è indotto da una
dilatazione dei capillari venosi (iperemia passiva), il colore sarà rosso-bluastro e scomparirà alla diascopia.
2.
Le
MACULE EMORRAGICHE
sono indotte dalla diffusione di globuli rossi nella cute e nelle mucose. Il loro colore
varia dal rosso-viola al verde-giallo al bruno, a seconda delle modificazioni alle quali va incontro
l'emoglobina. Non scompaiono alla diascopia e in base alle dimensioni si passa dalle lesioni piccole come
una lenticchia, le petecchie, a quelle grandi come un palmo, le ecchimosi, alle più grandi, le soffusioni.
3.
Un difetto di vascolarizzazione causa una macula anemica, bianca, di piccole dimensioni, forma
irregolare e a margini mal definiti.
4.
Le
MACULE IPERPIGMENTATE
sono di colorito marrone-bruno di varia intensità, di dimensioni e forma diverse;
possono essere acquisite (cloasma gravidico) o congenite (alcuni nevi). Se Ia melanina è localizzata nel
derma profondo, il colore in superficie appare bluastro per fenomeni di diffrazione (macchie mongoliche)
5.
Le
MACCHIE IPO-ACROMICHE
sono bianche, di varia dimensione e forma; possono essere congenite (per
esempio albinismo) o acquisite (per esempio vitiligine).
Papule
Sono lesioni elementari rilevate, causate da un aumentato spessore dell'epidermide (papula epidermica) o
da un infiltrato dermico (papula dermica) o da entrambe le cause (papula dermo-epidermica). Di dimensioni
inferiori al centimetro, di forma, colorito e numero variabile, le papule rappresentano Ie lesioni elementari di
numerose malattie dermatologiche, come le verruche (papula epidermica), il lichen (papula dermoepidermica), la sifilide secondaria papulosa (papula dermica) ecc. La consistenza è parenchimatosa.
Possono assumere un aspetto digitato o verrucoso, estendersi alla periferia, con regressione centrale e
aspetto ad anello
Le papule guariscono senza esiti nella maggior parte dei casi; durante la fase ìnvolutiva possono
accompagnarsi a una desquamazione, o lasciare postumi pigmentari anche di lunga durata (lichen ruber
planus).
Placche
Si tratta di lesioni cutanee rilevate, che occupano una superficie relativamente ampia rispetto alla loro
altezza, a limiti ben definiti. Spesso derivano dalla confluenza di papule, come accade nella psoriasi.
Pomfi
Sono rilevatezze della cute di colorito bianco-porcellana o rosa o rosso, di forma e dimensioni variabili, spesso
con prolungamenti periferici, chiamati pseudopodi, di consistenza duro-elastica, caratterizzate da estrema
fugacità (da una decina di minuti a qualche ora). Sono causate dalla vasodilatazione capillare o da un
edema del derma papillare e; medio. Sono le lesioni elementari dell’orticaria.
Noduli
Lesioni elementari circoscritte, in sede dermica o dermo-ipodermica, di consistenza duro-elastica, sono
causate da un infiltrato infiammatorio o tumorale o metabolico. Hanno dimensioni nettamente maggiori di
una papula, forma rotondeggiante o ovalare, consistenza e colore vario. Possono confluire a formare una
placca. I noduli infiammatori hanno una evoluzione acuta o cronica, guariscono senza postumi o evolvono
verso una sclerosi cjcatriziale.
Vescicole
Lesioni elementari caratterizzate dalla raccolta di liquido sieroso intraepidermico, hanno grandezza inferiore al
mezzo centimetro, forma rotondeggiante, talora risultano ombelicale al centro o raggruppate in modo
particolare (vescicole erpetiche). Possono evolvere verso l’erosione, con una essudazione e formazione di
croste, oppure possono trasformarsi in pustole per la presenza di, leucociti polimorfonucleati in fase
degenerativa, o riassorbirsi attraverso desquamazione.
Le vescicole sono causate da un essudato di provenienza dermica che induce una rottura dei desmosomi
con formazione delle cosiddette vescicole spongiotiche, tipiche dell’eczema, oppure derivano da un danno
diretto cellulare cheratinocitario, con un afflusso secondario di essudato, tipico delle infezioni erpetiche.
Bolle
Lesioni elementari caratterizzate dalla raccolta di liquido sieroso o siero-ematico, a sede lntraepidermica o
dermoepidermica, hanno dimensioni superiori a quelle delle vescicole da 0,5 a 1 centimetro, Si definiscono
flittene se di dimensioni maggiori. Le bolle intraepidermiche si formano per una particolare alterazione dei
desmosomi causata da una flogosi immunitaria (acantolisi, come nel caso del pemfigo), oppure per un
afflusso primitivo di essudato dal derma, come nella vescicola spongiotica, ma in quantità maggiore rispetto
a quest’ultima (alcuni casi di dermatite allergica da contatto), oppure per un danno diretto cheratinocitario
(alcuni casi di dermatite irritativa da contatto). La bolla dermoepidermica si può formare per alterazioni delle
cellule basali, della lamina lucida e delle strutture subliminali, come nel caso di varie forme di epidermolisi
bollose. Le bolle evolvono verso erosioni e croste; più raramente verso il riassorbimento con desquamazione.
Pustole
Sono lesioni elementari caratterizzate da raccolte circoscritte di essudato purulento intraepidermico, talora a
livello dell’ostio follicolare o del follicolo pilo-sebaceo. Possono essere primitive o secondarie alla evoluzione
delle vescicole, microbiche o amicrobiche. La loro rottura porta alla formazione di una crosta, sotto la quale è
presente una esulcerazione o una erosione. La guarigione avviene senza esiti, talora con postumi iper- o
ipopigmentari.
LESIONI ELEMENTARI SECONDARIE
Croste
Sono lesioni secondarie alla rottura di vescicole, bolle o pustole, e alla evoluzione di lesioni di continuo della
cute (erosioni, escoriazioni, ulcere e ragadi). Si presentano di colore giallastro, bruno, o rosso-bruno,
a
seconda del tipo di essudato da cui derivano (siero, pus, sangue). Sono composte da un conglomerato di
liquido organico e di detriti cellulari presenti sulla superficie cutanea.
Escoriazioni
Sono soluzioni di continuo dell’epidermide e degli strati più superficiali del derma, spesso lineari, di natura
traumatica (spesso grattamento), che non lasciano esiti cicatriziali. Quando sono provocate da un processo
patologico si parla di ESULCERAZIONE.
Erosioni
Sono successive alla rottura di lesioni vescicolari, pustolose o bollose, e interessano solamente l’epidermide,
guarendo senza esiti.
Ragadi
Sono soluzioni di continuo a bordi netti che interessano l’epidermide, e a volte anche il derma. In quest’ultimo
caso sono dolorose. Guariscono con cicatrici e si riscontrano nelle zone di piega (commessure labiali, pieghe
anali, regioni palmoplantari, capezzoli).
Ulcere
Sono perdite di sostanza che interessano epidermide, derma e talvolta ipoderma, con scarsa tendenza alla
cicatrizzazione (se è in fase di guarigione si chiama
PIAGA).
Sono successive a traumi, processi infiammatori o
neoplasie, e lasciano cicatrici.
Cicatrici
Sono neoformazioni di collagene, inizialmente di colorito roseo, rilevate sul piano cutaneo, che tendono ad
appiattirsi e a diventare biancastre e dure. Il
CHELOIDE
è una lesione rilevata ovalare, con ramificazioni , a limiti
netti, di consistenza dura e superficie liscia, spesso dolente e pruriginoso.
LESIONI ELEMENTARI PRIMITIVO-SECONDARIE
Squame
Sono agglomerati di lamelle cornee deposte sulla superficie cutanea, che variano per dimensioni, aderenza e
colore. Possono essere primitive o rappresentare la fase evolutiva di lesioni primitive come papule e vescicole.
Sclerosi
Sono indurimenti circoscritti o diffusi del derma e talora del sottocutaneo, con aspetto della cute
porcellanaceo, secco e alopecico. Sono causate dal deposito di collagene e dalla scomparsa degli annessi
piliferi e riduzione di quelli sudorali. Possono essere apparentemente primitive, o successive a processi
infiammatori.
Atrofie
Sono riduzioni di spessore della cute, circoscritte o diffuse.
Diascopia
Consiste nell’appoggiare con una modica pressione un vetrino porta-oggetti sulla cute, per controllare
alcune caratteristiche delle lesioni come il colore e i bordi. Si rileva utile per distinguere i vari tipi di macule
eritematose.
Luce di Wood (o luce nera)
È una luce ultravioletta, prodotta da lampade fluorescenti, che eccita la fluorescenza di alcuni tessuti
parassitari da dermatofiti o da lieviti.
Dermografismo
Consiste nello strofinare con un oggetto smusso la cute per evidenziare la reazione vascolare. Il
dermografismo rosso particolarmente intenso è presente nella sindrome orticarioide; quello bianco, da
vasocostrizione paradossa, nella dermatite atopica.

Gli artropodi sono organismi invertebrati con esoscheletro duro e articolato; possono causare danni agli ospiti
attraverso:

trauma meccanico (puntura o lacerazione della pelle);

iniezione di sostanze estranee (durante la puntura);

infezione secondaria (trasmessa dall’artropodo o sovrapposizione a seguito del grattamento);

reazione dell’ospite (dermatite da contatto irritante, reazioni granulomatose, shock anafilattico);

trasmissione di malattie infettive (come malaria e leishmaniosi).
SCABBIA
È causata dalla femmina di un acaro (SARCOPTES
SCABIEI),
che scava cunicoli nello strato corneo e nello strato
superficiale dell’epidermide per ospitare il maschio (che è più piccolo) e deporre le uova (e le feci) dopo la
fecondazione (4 - 6 settimane). Dopo 3 - 4 giorni le uova si schiudono, le larve escono dal cunicolo e ne
scavano altri a loro volta (più corti e stretti), nei quali si trasformano in ninfe e maturano fino a raggiungere la
forma adulta.
La scabbia ha un’incidenza maggiore nelle zone belliche e povere, colpisce tutte le età, ma soprattutto
bambini e giovani adulti, e si trasmette per contagio diretto, ma anche indiretto (più raro, tramite vestiti o
lenzuola).
Il paziente lamenta prurito dove c’è l’acaro, che si localizza dove la cute è più tenera (addome, glutei,
capezzoli, genitali) e NON a livello di testa, mani e piedi (tranne nel caso dei bambini che hanno la cute tenera
dappertutto); il prurito viene avvertito soprattutto di notte, quando la cute si riscalda di più e l’acaro scava.
La lesione patognomonica è il cunicolo, che appare lievemente rilevato, di color bruno chiaro, a decorso
tortuoso, largo circa 1 mm e lungo 5-10 mm. Soprattutto all’inizio, i cunicoli possono essere poco evidenti (in
particolare se il soggetto è propenso all’igiene personale), e la diagnosi può essere suggerita solo dal prurito
particolare e dalla storia del paziente (vacanze in paesi come la Thailandia, militare, contatti famigliari,…); a
volte, in seguito al grattamento, sono visibili le feci. Quando la scabbia è presente da molte settimane,
fenomeni di ipersensibilità agli acari e ai loro prodotti portano alla formazione di papule e noduli pruriginosi
(ben visibili sui genitali maschili). La diagnosi viene confermata dal ritrovamento dei cunicoli ed
eventualmente dall’esame microscopico del parassita. Una diagnosi corretta è importante per evitare il
propagarsi di epidemie.
La terapia consiste nell’applicazione di benzil-benzoato in emulsione al 33% per almeno 24 ore, che va
ripetuta dopo 48 ore e dopo una settimana. Può essere causa di dermatite da contatto in quanto è un forte
irritante.
Una forma particolare è la scabbia norvegese, che invade tutto il corpo ed è caratterizzata dalla presenza di
migliaia di femmine contemporaneamente (normalmente sono una decina), che si ha soprattutto negli
immunodepressi e in soggetti con neuropatie sensitive che non avvertono il prurito (il grattamento distrugge la
maggior parte dei cunicoli).
L’uomo può essere colpito anche dalla scabbia animale, in quanto alcuni acari non hanno una specificità
assoluta per l’ospite; in questo caso l’infezione si autorisolve sempre e mancano i cunicoli.
PEDICULOSI
Le pediculosi sono causate da pidocchi: sono insetti ematofagi visibili ad occhio nudo. L’uomo può essere
parassitato da due specie.
Pediculus humanus
Esistono due varianti, CAPITIS e CORPORIS. La seconda variante parassita i vestiti e nelle nostre zone si trova solo in
persone dedite al vagabondaggio che si cambiano molto raramente; può essere vettore del tifo
esantematico. Per eliminarlo basta lavare i vestiti con acqua calda.
La variante
CAPITIS
colonizza il cuoio capelluto, colpisce soprattutto i bambini all’inizio della scuola, e non
sopravvive al di fuori dell’ospite. Non c’è relazione con l’igiene; anzi, il pidocchio preferisce i capelli puliti! La
femmina depone le uova (lendini) cementandole alle radici dei capelli: nel corso della sua vita (40 giorni) ne
può deporre fino a 300, che si schiudono dopo 8 giorni.
Il sintomo caratteristico è il prurito a livello del cuoio capelluto che si può estendere al collo; ci può essere
un’infezione piogenica secondaria al grattamento.
La terapia consiste nell’applicazione di un insetticida (malathion, permetrina), che va lasciato in sede per 15
minuti. Il trattamento si ripete dopo otto giorni.
Phtirus pubis
Il pidocchio del pube, o piattola, è più corto e tozzo del P. humanus, e aderisce ai peli del pube e, negli
uomini pelosi, dell’addome e delle ascelle, e sulle ciglia (soprattutto nei bambini). Non colonizza barba e
capelli.
Anche in questo caso il sintomo caratteristico è il prurito, soprattutto alla sera o di notte, e la terapia consiste
nell’applicazione di permetrina. Raramente possono comparire macchie bluastre sull’addome o sul tronco,
probabilmente a causa dell’azione del secreto salivare del parassita sul sangue.
Le infezioni da parte dei funghi possono colpire la cute glabra, gli annessi, le mucose e, a volte, anche i
visceri. Possono essere divisi in:

dermatofiti: sono parassiti occasionali, vivono su cute, unghie e capelli, dove si nutrono di cheratina
(scleroproteine prodotte dai cheratinociti;
non possono vivere sulle mucose!), e si riproducono
selettivamente con spore e ife ramificate;

lieviti: generalmente saprofiti, possono vivere ovunque, anche su mucose e organi interni, si nutrono di
carboidrati e si riproducono per gemmazione (a volte formano pseudoife);

muffe: sono patogeni occasionali, sia per la cute che per gli organi interni.
La terapia può essere topica o generale. Quest'ultima è d'obbligo nelle forme profonde e sistemiche e nelle
dermatofitosi dei peli e delle unghie, preferibile nelle dermatofitosi in genere e opzionale in quelle da lieviti.
DERMATOFITI
Secondo l’ambiente in cui vivono si distinguono specie geofile, antropofile e zoofile (animali da allevamento o
domestici, soprattutto il gatto, che viene colpito da
MICROSPORUM CANIS
ed è in genere asintomatico). La
trasmissione può avvenire per via interumana, da animale ad uomo e dal terreno all’uomo.
Dermatofitosi della cute glabra
Sulla cute glabra tendono a estendersi a cerchio, formando una chiazza piana, eritematosa (per
infiammazione) e desquamativa (per la disgregazione della cheratina); sugli arti e sul tronco hanno un
margine ben delineato, perfettamente circolare. I dermatofiti si insediano dove la cute è più umida (come gli
spazi interdigitali); in particolare, tinea pedis e cruris sono frequenti nel mondo occidentale per l’eccesso di
lavaggio.
L’immunosoppressione parziale, indotta da corticosteroidi topici somministrati per errore, può, specialmente al
volto, mascherare a lungo una tinea (TINEA
INCOGNITA),
attenuandone la componente infiammatoria e
specialmente quella vescicolosa. È resistente al cortisone e in genere molto estesa.
Si distinguono a seconda della localizzazione.
A) TINEA CORPORIS (Trichophyton rubrum e Microsporum canis)
Tutti i dermatofiti possono causarla: il contagio è interumano, o più spesso, per contatto con animali infetti
(soprattutto gatti randagi). La lesione tipica è una chiazza piana, rotondeggiante, eritematosa e
desquamativa, pruriginosa, con risoluzione centrale e
MARGINI NETTI
vescicolosi. La chiazza tende ad
aumentare di diametro e a confluire con quelle vicine.
B)
TINEA CRURIS (T. rubrum)
È contagiosa (contagio è interumano), ed è forse la forma più comune (quasi esclusiva dei maschi). Può
dare luogo a vere epidemie, specialmente fra gli atleti. La chiazza è analoga a quella di tinea corporis, e
la zona elettiva è l’inguine sinistro e la zona vicino alla coscia (si estende poi all’altro inguine e
progressivamente verso i glutei). Lo scroto è sempre risparmiato.
C) TINEA PEDIS E MANUUM (T. rubrum)
È la forma più comune, ma rara prima della pubertà. È anch’essa molto diffusa tra gli atleti (piede
d’atleta), nei soggetti che usano scarpe di gomma e in quelli con iperidrosi plantare. Spesso sono colpiti
solo una mano (più raro) o un piede, a livello degli spazi intertriginosi (penultimo e ultimo), causando
macerazione del tessuto; ai piedi si ha spesso la sovrapposizione di batteri Gram-negativi, che dà un
quadro più infiammatorio e più grave, spesso maleodorante. Il dorso NON è mai colpito.
Dermatofitizie degli annessi
A) TINEA CAPITIS (M. canis e T. violaceum)
È causata da
MICROSPORUM
canis e colpisce i bambini prepuberi, mai gli adulti (perché i loro capelli hanno
sebo; dato che gli anziani ne hanno meno possono a volte essere colpiti), e guarisce spontaneamente
alla pubertà. Il contagio è interumano o attraverso animali infetti (soprattutto gatti randagi). Si manifesta
con una (o più, se è data da Trichophyton) chiazza di alopecia di discrete dimensioni al cuoio capelluto:
la superficie è lievemente desquamante e i segni infiammatori sono scarsi.
La diagnosi si fa attraverso l’esame diretto o microscopico (ife o spore) o la coltura di un prelievo delle
squame (richiede 10-15 giorni). È utile ai fini epidemiologici, ma non pratici.
Esistono numerosi farmaci: il più usato la
GRISEOFULVINA
(500 mg/die, antibiotico che rende indigeste le
cheratine, ma ha una certa epatotossicità ed è fotosensibile: occorre attenzione d’estate) e gli
IMIDAZOLI
(hanno azione sia fungistatica che fungicida, ma sono frequenti le reazioni allergiche).
B)
TINEA UNGUIUM (T. rubrum)
Colpisce le unghie del piede, soprattutto l’alluce: l’unghia è ispessita, cambia colore e non è compatta
(onicomicosi). L’onicomicosi può aggiungersi a un’onicodistrofia preesistente (unghia non compatta,
malformata, opaca, non per un fungo, ma, ad esempio, per problemi di circolazione o invecchiamento),
che persiste anche dopo aver curato l’onicomicosi.
Sono necessari sei mesi di trattamento antimicotico, con terapie sia locali che sistemiche.
LIEVITI
Pityriasis versicolor
MALASSEZIA FURFUR è un saprofita lipofilo della cute normale; è molto comune nei climi caldo-umidi (è chiamato
fungo di mare), non ha preferenze di sesso e di gruppo etnico, ma colpisce elettivamente dopo la pubertà.
È probabile che la popolazione cutanea del fungo, che in normali condizioni è ridotta e si trova all’interno dei
follicoli, aumenti di numero per effetto di vari fattori tra i quali l'idratazione e l'aumento della temperatura
cutanea, esca e colonizzi la cute.
L'esposizione ai raggi solari distrugge il fungo, che, dotato di endotossine melanocitotossiche, ha nel
frattempo inibito la sintesi di melanina. L’abbronzatura, di conseguenza, non interessa la chiazza che appare
più chiara della cute circostante. Il sole quindi guarisce da questa affezione: per ripigmentare le macchie
occorre prenderlo ancora successivamente.
Si distinguono quattro forme.
1.
FORMA PIGMENTATA. Si tratta di chiazze ovalari di varia grandezza, di color caffelatte, non pruriginose, che al
grattamento desquamano lievemente. Sono di solito ben delimitate, ma confluiscono. Si localizzano al
tronco, al collo e alla radice degli arti. Alla luce di Wood danno una debole fluorescenza giallastra.
2.
FORMA LEUCODERMICA. Le stesse chiazze appaiono più chiare della cute circostante, non desquamano e non
danno prurito. Non sono fluorescenti, in quanto disabitate.
3.
FORMA
ERITEMATOSA.
È la più rara, dovuta probabilmente a ipersensibilità individuale al fungo. Le chiazze
sono eritematose e pruriginose.
4.
FORMA
ATROFICA.
Le chiazzette, del colore della cute, appaiono coperte da un'epidermide atrofica “a
cartina da sigaretta". Sono l'effetto dell'impropria applicazione di corticosteroidi topici.
Malassezia furfur non è un fungo infettivo né contagioso: per la terapia si può utilizzare imidazolo (uso locale).
Guarisce bene, ma può ripresentarsi ricorrentemente.
Candidosi superficiali
CANDIDA
ALBICANS
è un saprofita del canale gastroenterico. La sua permanenza sulla cute e nelle mucose é
effimera, a meno che particolari condizioni di idratazione del corneo o di ricchezza di glucosio nel sebo e nel
sudore non ne facilitino la sopravvivenza. Produce tossine ematogene, che danno un eritema rosso laccato.
Applicata su cute eccessivamente idratata, C. albicans vi prolifera, producendo un'endotossina, capace
entro 24 ore di produrre una dermatite eritemato-pustolosa con pustole subcornee sterili. Entro 24 ore, la zona
viene a sua volta colonizzata da batteri Gram-negativi che soppiantano C. albicans e perpetuano la
dermatite.
Tutte le età sono colpite, ma i bambini e i vecchi sono più suscettibili, fenomeno che probabilmente riflette
l'immaturità o Ia senescenza della risposta immune.
C. albicans dà luogo in soggetti immunocompetenti, ma obesi e spesso diabetici, a intertrigine, un'affezione
pruriginosa delle pieghe che appaiono interessate nella parte centrale da macerazione e ragadi, in quella
immediatamente periferica da eritema e desquamazione e in un'altra più esterna da piccole pustole sparse.
Le pieghe che possono essere interessate sono l'angolo della bocca (più frequente nell’anziano), le pieghe
interdigitali (soprattutto nel terzo spazio, tipico di lavandaie e panettieri), le pieghe ungueali, le pieghe
ascellari, e, nel lattante, Ie convessità glutee (dermatite da pannolino).
La vaginite da C. albicans è un reperto comune nelle donne gravide e in quelle in terapia estro-progestinica.
Il sintomo principale è il prurito, accompagnato da una secrezione bianca "a ricotta". Non si tratta
necessariamente di una malattia a trasmissione sessuale, in quanto l'arrivo del lievito dal retto è un’evenienza
facilissima nel sesso femminile.
Nei soggetti immunodepressi C. albicans invade l'organismo colonizzando le mucose orali (mughetto) e i
visceri (reni, polmoni).
La cute è molto resistente alla colonizzazione da parte di batteri patogeni. L’equilibrio è rotto dall’aumento
del tenore idrico, che porta in soluzione o sospensione nuovo materiale nutritizio, dall’abolizione della flora
residente (tra cui stafilococco, escherichia coli e propionibacterium acnes, che vive nella profondità del
follicolo) da parte di interventi sterilizzanti più o meno selettivi, o da alterazioni metaboliche come il diabete o
ipertrigliceridemia che variano quantitativamente e/o qualitativamente il materiale nutritizio.
Tra le infezioni batteriche cutanee vengono individuate le infezioni da batteri piogeni (streptococco e
stafilococco): sono un gruppo di affezioni cutanee genericamente definite come piodermiti, anche se la
formazione di pus non è comune a tutte. Esse si distinguono tra loro per il livello di profondità della cute in cui si
realizza il processo infettivo.
IMPETIGINE VOLGARE
È una frequente malattia infantile, altamente contagiosa, di cui si distinguono due forme.
La
FORMA NON BOLLOSA,
epidemica, più frequente, a eziologia mista (ma più frequentemente streptococcica,
del gruppo A nefritogeno), è di comune riscontro in estate. La lesione primitiva è una vescicola subcornea
molto fragile con alone eritematoso. Alla sua rottura segue un’essudazione che si rapprende in croste giallobrunastre. La lesione si estende perifericamente, senza risoluzione centrale. Istologicamente, Ia bolla è
costituita da un distacco subcomeo e contiene un tappeto di neutrofili e gruppi di batteri. Si diffonde molto
rapidamente fino a coprire ampie aree, ed è accompagnata da febbricola e malessere. Le sedi più colpite
sono il volto (particolarmente il naso, a volte con rinite) e gli arti, nelle sedi di traumi o di punture di insetto, o
affette da dermatite atopica. Le regioni palmoplantari e le mucose sono risparmiate. Eccezionalmente può
dare come complicanza la glomerulonefrite acuta post-streptococcica.
La
FORMA BOLLOSA,
sporadica, a eziologia stafilococcica, ha un esordio caratterizzato da una bolla subcornea
di qualche centimetro di diametro, relativamente più resistente. Tutto il corpo può essere interessato, inclusi
palmo, piante e mucose.
ERISIPELA
È un processo infettivo acuto che interessa l’epidermide e il derma, causato principalmente dallo
streptococco -emolitico di gruppo A. Generalmente colpisce giovani in buona salute. La stasi linfatica e Ie
procedure chirurgiche (safenectomia) sono fattori favorevoli nelle localizzazioni agli arti inferiori; il diabete in
quelle al volto. Una causa frequente è il piede d’atleta: può essere colonizzato dallo streptococco, che risale
attraverso i linfatici.
Ha esordio improvviso, febbrile, con brividi e malessere generale. Nel bambino possono aversi convulsioni e
nell’anziano stato stuporoso. Compare quindi una chiazza intensamente eritematosa, rilevata (a scalino), a
bordi netti con digitazioni periferiche. La superficie è liscia e lucida, ma, soprattutto agli arti inferiori, può
presentare bolle, petecchie e zone purpuriche o necrotiche. Talvolta il processo guarisce in un punto per
riapparire poco distante (erisipela migrante). Le sedi elettive sono il volto (a mascherina) e la gamba, dove
peraltro il bordo è meno netto che altrove.
L’erisipela va distinta dalia tromboflebite, in cui l’eritema e l’edema sono lineari e chiaramente localizzati
sopra una struttura vascolare facilmente palpabile.
È importante distinguerle, perché, mentre nella
tromboflebite è opportuno dare anticoagulanti, la somministrazione di tali farmaci in corso di erisipela
permette la diffusione del battere per via dei suoi enzimi.
Siccome l’erisipela distrugge i linfatici della zona colpita (la gamba rimane linfoadenomatosa, fino ad una
vera e propria elefantiasi), che non si riformano, è necessaria una diagnosi immediata con inizio di una
terapia sistemica con penicillina, cefalosporine o macrolidi, che risulta rapidamente efficace.
FLEMMONE
Detto anche “cellulite”, è un processo infettivo che interessa il derma profondo, ma soprattutto l’ipoderma.
Gli arti inferiori sono la sede più comune e i soggetti diabetici sono ad alto rischio: può comunque colpire
qualsiasi sede, di solito in seguito a un trauma che ha permesso l’entrata dei batteri. Compare una placca
eritematosa e infiltrata, calda e dolente, a margini meno netti che nell’erisipela, talora ma non
necessariamente febbrile. Bolle e porpora possono essere presenti. Coesiste spesso linfangite e linfadenite
satellite dolorosa. Il decorso è acuto o subacuto e termina in genere nell’ascessualizzazione della placca e
nello svuotamento, spontaneo o chirurgico, della sacca. Staphilococcus aureus è in genere il microrganismo
responsabile. Per fare la diagnosi ci si può aiutare con l’ecografia. La terapia è antibiotica, soprattutto in fase
iniziale. Più avanti è indispensabile l’incisione chirurgica.
IDROSADENITE
Si tratta di un fenomeno infiammatorio cronico, con noduli infiammatori che si ascessualizzano (iI pus è sempre
sterile o presenta germi residenti); la colliquazione e l’ulcerazione esitano in cicatrici retraenti. Colpisce
elettivamente Ie aree ricche di ghiandole apocrine (cavo ascellare, lungo la linea mammaria) in ambo i sessi.
È frequente alle ascelle a causa della depilazione.
HERPESVIRUS
Gli herpesvirus sono virus a DNA, caratterizzati dalla persistenza nella cellula infettata (infezione persistente) e
al cui interno rimangono latenti, per poi riattivarsi dando luogo a manifestazioni cliniche.
Herpes simplex
Esistono due tipi antigenici: HSV1, per lo più responsabile dell'herpes simplex labiale e di lesioni localizzate alla
parte superiore del corpo, e HSV2, agente eziologico dell'herpes simplex genitale e di lesioni cutanee alla
parte inferiore del corpo, oltre che dell'herpes del neonato, che si infetta nel canale del parto. Sono virus
citopatici, che distruggono la cellula (degenerazione balloniforme) e formano vescicole.
L'infezione si trasmette attraverso il contatto diretto interumano. L'infezione primitiva da HSVI avviene di solito in
età infantile, in ambito familiare, ed è di lieve entità o subclinica (gengivostomatite). L'infezione primitiva da
HSV2 avviene di solito dopo la pubertà ed è a trasmissione sessuale. In seguito all’infezione primaria, si ha una
risposta immunitaria; segue remissione delle lesioni cutaneo-mucose, ma l'HSV persiste nei gangli dei nervi
sensitivi (infezione latente). In seguito a una temporanea diminuzione dell'immunità locale o sistemica,
l’infezione virale può riattivarsi.
Circa il 10% della popolazione adulta presenta episodi recidivanti di infezione erpetica. Una sensazione di
bruciore o prurito è seguita dalla comparsa di vescicole di piccole dimensioni, su base eritematosa,
raggruppate a grappolo, eventualmente confluenti in bolla, che infine si erodono dando Iuogo a una crosta
che cade in 7-10 giorni senza esiti cicatriziali. Le localizzazioni più frequenti sono nella cute periorale e
genitale. La stessa sede anatomica tende a essere colpita nelle recidive. La sintomatologia generale è
assente o minima.
Virus varicella-zoster
La varicella e I'herpes zoster sono causati dallo stesso virus: la varicella è l’infezione primaria, mentre lo zoster è
la riattivazione sporadica del virus, per lo più in età adulta, in seguito ad alterazioni dell'immunità cellulare o
del potere patogeno virale. Esso induce sempre lesioni infiammatorie-degenerative dei neuroni, responsabili
della sintomatologia dolorosa, spesso persistente.
VARICELLA
L'incubazione é di 14 giorni. Dopo un paio di giorni di febbre e malessere, si assiste all’eruzione di papule
rapidamente sormontate da vescicole a contenuto sieroso, limpido, descritte come "a goccia di rugiada"; Ie
vescicole assumono quindi aspetto ombelicato e contenuto torbido. Entro qualche giorno si ha l'evoluzione in
croste, che si distaccano senza esiti cicatriziali, se non vi è sovrinfezione batterica. Le lesioni, in numero
variabile, compaiono in gittate successive per qualche giorno e sono localizzate al tronco, quindi al capo e
agli arti; coesistono lesioni in diverso stadio evolutivo (immagine a cielo stellato).
Sono presenti anche lesioni alle mucose. Possono esservi febbre e malessere. Si può associare una
sintomatologia pruriginosa. La terapia è sintomatica: si possono fare bagni con permanganato di potassio.
ZOSTER
Vi è una fase prodromica di pochi giorni, caratterizzata da febbre, malessere, dolore urente e puntorio in
corrispondenza del metamero interessato, e Iinfadenopatie locoregionali. Si ha quindi la rapida comparsa di
papule a evoluzione vescico-pustolosa, raggruppate a grappolo su base eritemato-edematosa e localizzate
nella zona di uno o più metameri. Talora le vescicole confluiscono in ampie bolle policliche. Si assiste a gittate
successive per diversi giorni. L'evoluzione è crostosa, con guarigione dopo 2-4 settimane. La localizzazione più
comune è quella toracica seguita da quella cervicale, trigeminale e lombosacrale. Nei soggetti anziani si può
avere NEVRITE POSTZOSTERIANA, dovuta a demielinizzazione, resistente agli analgesici.
'La terapia con acyclovir riduce (se instaurata precocemente) l’estensione e la gravità dello zoster.
PAPILLOMAVIRUS
Sono virus a DNA di piccole dimensioni, con tropismo per gli epiteli, di cui inducono proliferazione (hanno
capacità oncogenica a livello della cervice uterina). Le lesioni provocate da HPV si chiamano papillomi e
possono essere di diversi tipi.
1.
Verruche volgari: sono la forma più frequente (70%) di verruche (formate da tessuto cheratinizzato). La
loro prevalenza è del 7-10% nella popolazione generale; l'incidenza è massima nei bambini in età scolare
e nei giovani adulti; si localizzano sulla superficie dorsale, e più raramente palmare, delle mani e delle
dita; si presentano come papule rosee esofitiche a superficie verrucosa, di dimensioni variabili da meno di
1 mm a più di 1 cm, fino a formare ampie placche confluenti.
2.
Verruche plantari: le verruche plantari semplici si presentano come lesioni endofitiche tondeggianti a limiti
netti, superficie cheratosica picchiettata di punti nerastri (corrispondenti a capillari trombizzati) con un
collaretto corneo. Coesiste spesso sintomatologia dolorosa. Le verruche plantari a mosaico prendono il
nome dal proprio aspetto: diverse verruche superficiali, di piccole dimensioni, confluiscono in una placca
cheratosica; di solito non sono dolenti. La regressione spontanea è possibile, soprattutto nei bambini,
entro un anno.
3.
Verruche filiformi: sono frequenti nei maschi, localizzate alla zona della barba.
4.
Verruche piane: sono papule Iievemente rilevate, lisce, di colore roseo o giallastro, delle dimensioni di 1-5
mm, localizzate preferenzialmente al volto e al dorso delle mani,
5.
Condilomi acuminati: a livello genitale (nelle mucose), nel collo dell’utero o in bocca (fino alla laringe);
sono una frequente patologia a trasmissione sessuale (possibile anche il contagio indiretto). Ci sono due
forme: a cavolfiore o piatta. Si tratta di lesioni papulose, allungate, molli, biancastre, a superficie
verrucosa, spesso multiple, talora confluenti. La localizzazione perianale si ha soprattutto nei bambini (non
sempre comunque è indicativo di abuso sessuale). Il carcinoma del pene e della cervice uterina può
essere preceduto da condilomi.
Poiché la lesione è solo epidermica (non coinvolge il derma) è sufficiente togliere le verruche o i condilomi,
senza ricorrere a terapie aggressive. Il laser e l’azoto liquido non sono idonei, in quanto sono mezzi troppo
aggressivi. In particolare, l’azoto liquido fa scoppiare le terminazioni della zona, con conseguente dolore.
Mollusco contagioso (poxvirus)
È una comune patologia a trasmissione interumana: il contagio avviene per contatto diretto o attraverso
oggetti contaminati (uso di piscine nei bambini): l’incidenza è alta nei bambini di 2-10 anni; negli adulti vi è un
secondo picco dovuto a trasmissione sessuale (è molto frequente nei soggetti HIV +).
Dopo un periodo di incubazione di 1-6 mesi, si sviluppano le lesioni cutanee sotto forma di papule perlate,
lucide, emisferiche e ombelicate, localizzate alle sedi esposte come volto, collo e arti, oppure in sede genitale
nel caso di trasmissione sessuale.
Non esiste terapia: le papule devono essere tolte una ad una.
In queste malattie, antigeni della cute vengono scambiati per antigeni estranei, con conseguente produzione
di anticorpi (anti-epidermide, anti-giunzione dermo-epidermica, anti-connettivo).
Il nome “lupus” venne dato a malattie in cui le lesioni cutanee sembravano morsi di lupo; l’aggettivo
“eritematoso” si riferisce all’eritema che è il costituente principale della lesione.
Si distinguono due tipi di lupus:
1.
cutaneo (o discoide, o cronico): interessa solo la cute (in modo circoscritto) e tende alla guarigione
spontanea con cicatrizzazione; l’immunità cellulo-mediata è conservata.
2.
sistemico: può interessare altri sistemi oltre alla cute; c’è anergia del braccio cellulare e iperplasia di
quello umorale.
LUPUS CUTANEO
È una malattia piuttosto frequente, ad esordio giovanile (in media 30-35 anni, ma può insorgere anche a 19-20
anni), che colpisce ambo i sessi nelle zone fotoesposte (volto, mani, avambracci).
Clinicamente esordisce con piccole macule o papule, che si ampliano, formando una lesione anulare,
atrofica centralmente e eritematosa (rosso-violacea) in periferia. Le lesioni possono essere multiple, e
confluire. È caratterizzato da
IPERCHERATOSI,
a squame stratificate, secche, bianco-grigiastre e aderenti per la
presenza di fittoni cornei che penetrano negli osti follicolari. La cheratina eccessiva presente nel follicolo viene
in seguito riassorbita, dando luogo a zone di alopecia (anche a livello di barba e capelli). Durante il processo
di guarigione (spontaneo o indotto da farmaci) compaiono macchie color seppia, lisce e non cheratosiche,
anche in zone apparentemente non interessate dall’eritema.
Esistono sia forme fotosensibili (che migliorano d’inverno), sia forme non fotosensibili.
Istologicamente si vede una modesta degenerazione vacuolare dello strato basale, ipercheratosi follicolare,
dilatazione dei vasi del derma e infiltrazione linfocitaria perivasale, che si estende ai follicoli e allo strato basale
dell’epidermide. Nel 50% dei casi l’immunofluorescenza diretta (DIF) mostra una banda lupica (deposito di
IgG e complemento lungo la giunzione dermo-epidermica).
La diagnosi è clinica e istologica, basandosi anche sulla DIF.
La terapia topica si avvale di filtri e schermi solari, ed eventualmente corticosteroidi topici (in genere
sconsigliabili perché possono mascherare l’evoluzione del quadro). Per quanto riguarda la terapia sistemica, si
utilizza la CLOROCHINA, che è efficace in alcune forme, ma è tossica per fegato e occhio.
LUPUS SISTEMICO
L’esordio (spesso subdolo) è in età giovanile (in media 20 anni); colpisce prevalentemente il sesso femminile
(10:1) e peggiora con l’aumento degli estroprogestinici (gravidanza e assunzione della pillola). La risposta
cellulo-mediata è depressa, mentre quella anticorpale è esaltata: i pazienti presentano anticorpi anti-nucleo
e anti-DNA e anticorpi contro antigeni nucleo-estraibili (ENA), come anti-Sm (prognosi sfavorevole) e anti-SSB.
È
SEMPRE
fotosensibile: la fotosensibilità è rivolta al 90% verso gli UV. Gli UVB sono detti “raggi eritematogeni”, in
quanto hanno elevata energia, ma bassa penetranza cutanea; decarburano il DNA delle cellule, favorendo
un’ulteriore produzione di anticorpi.
Clinicamente, a livello cutaneo si ha una forma infiammatoria-eritematosa, con chiazze eritematose piane,
senza ipercheratosi né atrofia, localizzate nella maggior parte dei casi al volto (aspetto a farfalla). Spesso è
associato a fenomeno di Raynaud. Si vedono spesso teleangectasie su tutto il corpo, soprattutto nelle cripte
ungueali. Può esserci vasculite da immunocomplessi (che si manifesta con porpora palpabile agli arti inferiori)
o alopecia improvvisa.
C’è sempre un coinvolgimento sistemico, a carico di diversi organi: cuore (pericardite), albero respiratorio
(sierositi polmonari), rene (glomerulonefrite lupica), SNC (attacchi epilettici, attacchi schizoidi) e articolazioni
(sinoviti).
L’istologia è simile a quella del LED: la degenerazione vacuolare dello strato basale è più marcata, e la
banda lupica (presente nel 100% dei casi) è presente anche nelle zone sane fotoesposte.
Per la diagnosi, ci deve essere un numero di globuli bianchi inferiori a 2000/mm3, dato che gli anticorpi
colpiscono prevalentemente le cellule fagocitarie (si ha quindi un aumento del rischio di infezioni). Gli esami di
laboratorio mostrano anche
perché ci sono tanti anticorpi.
IPERGAMMAGLOBULINEMIA
e diminuzione del complemento (soprattutto C3 e C4),
La terapia è monofarmaco: si usa il cortisone ad alto dosaggio per abbassare la formazione di autoanticorpi:
si diminuisce solo se si presentano problemi. Bisogna stare attenti perché spesso si hanno reazioni contro i
farmaci. Non guarisce, e spesso è mortale per glomerulonefrite, insufficienza renale, danno cardiaco o
nervoso.
LUPUS CUTANEO SUBACUTO
È una via di mezzo tra LES e LED: il coinvolgimento sistemico è minimo o può mancare, mentre quello cutaneo
è molto grave e invalidante. In genere si tratta di lesioni a esordio acuto (a volte acutissimo), dopo
un’esposizione solare, con sede di regola sul tronco, soprattutto sul dorso, ma anche al volto e alle regioni
deltoidee. I pazienti risultano quindi intensamente fotosensibili.
È un gruppo eterogeneo di malattie che hanno in comune la risposta riparativa in senso sclerotico e scleroatrofico della cute e, talora, anche degli organi interni, a un fenomeno infiammatorio cronico, probabilmente
per un fenomeno autoimmune cellulo-mediato. Se ne distinguono due tipi: cutanea e sistemica (con
interessamento viscerale).
SCLERODERMIA CUTANEA (morfea)
La
FORMA CLASSICA
è caratterizzata da una chiazza inizialmente arrossata e asintomatica, che rapidamente
diventa sclerodermica, biancastra e madreperlacea, dura, non sollevabile in pliche, che può essere
localizzata in qualsiasi parte del corpo, ma soprattutto al tronco; continua a espandersi alla periferia con un
anello eritematoso (di colore lilla). Di solito è asintomatica, ma può dare fastidio durante i movimenti (se
interessa zone articolari), o un lieve prurito.
La
FORMA GENERALIZZATA
è caratterizzata da chiazze numerose e confluenti, fino a provocare talora sindromi
compressive toraciche.
La
FORMA A COLPO DI SCIABOLA
colpisce il volto. Si forma una banda sclerotica paramediana di 1-3 cm di
larghezza, di colore bianco avorio, a volte iperpigmentata ai margini, a decorso lineare, spesso depressa.
Inizia al cuoio capelluto, dove provoca un’alopecia cicatriziale, e termina all’arcata sopraccigliare, ma talora
anche alle labbra, coinvolgendo nell’atrofia muscoli e ossa.
Borrelia afelii (trasmessa dalle zecche) potrebbe essere una causa, dato che è stata isolata dalle chiazze.
Non c’è interessamento sistemico, per cui al massimo si hanno cicatrici, e non è mortale. Le lesioni a chiazze
tendono a migliorare nel tempo, lasciando una zona di pigmentazione brunastra che dura a lungo.
Istologicamente si ha edema e appiattimento delle pieghe, ma non c’è nessun reperto particolare. Anche gli
esami del sangue e l’immunofluorescenza non danno risultati particolari.
La terapia consiste in un ciclo di penicilline ritardate ad alto dosaggio, che a volte sono efficaci.
SCLERODERMIA SISTEMICA PROGRESSIVA
Esordisce in genere in soggetti giovani (soprattutto donne, 10:1) con il fenomeno di Raynaud, un fenomeno
vasomotorio scatenato dal freddo, che inizia con una fase ischemica che interessa l’estremità delle dita delle
mani e, meno frequentemente, dei piedi. Talora l’ischemia coinvolge tutte le dita e anche la mano. Dopo
qualche minuto, segue la fase asfittica nella quale le dita diventano cianotiche e dolenti. Dopo un tempo
variabile, le crisi ischemiche ripetute si accompagnano ad alterazioni trofiche dell’estremità delle dita. Le dita
diventano più sottili (sembrano temperate), il pallore della cute diventa stabile e i peli cadono: si formano
ulcerazioni dolorose con scarsissima tendenza alla guarigione, onicodistrofia e teleangectasie. Le dita
tendono aII’anchilosi in semiflessione completando il quadro della
SCLERODATTILIA.
Il processo progredisce in
senso centripeto, investendo l’avambraccio e, più di rado, braccio e tronco.
La pelle si tende, diventa come cuoio, la facies è amimica (per la distensione delle pieghe), le labbra si
ritirano, la rima buccale e gli occhi si restringono, si ha perdita di peli e capelli. Se interessa il torace c’è una
riduzione dell’espansione della gabbia toracica durante l’inspirazione.
Il decorso è variabile, potendo restare limitata solo alla sclerodattilia, o diventare generalizzata.
I visceri più coinvolti sono:
-
esofago (70%): si sclerotizza e diventa rigido, senza peristalsi, con conseguente acalasia, reflusso
gastroesofageo, carcinoma;
-
polmone (50%): fibrosi interstiziale, con difetto dello scambio di O 2, che può essere aggravato dalla
compromissione della parete toracica;
-
rene: nefropatia interstiziale ipertensiva (elemento prognostico decisivo);
-
cuore: a livello delle vie di conduzione, con disturbi del ritmo.
L’istologia non è significativa. Dimostra edema dermico, atrofia epidermica, compattamento sclerotico a
tutto spessore delle fibre collagene, riassorbimento degli annessi e scomparsa delle ghiandole sudoripare.
Anche gli esami del sangue non danno risultati particolari: non esistono anticorpi caratteristici; a volte ci sono
gli ENA, e, nel 10-15% dei casi, anticorpi anti-Scl70.
La terapia è solo sintomatica (per aritmie e problemi di respirazione); il cortisone è sconsigliato perché dà
problemi e anticipa la morte: inizialmente si può avere un’apparente sospensione e miglioramento, ma in
realtà la malattia progredisce. Il paziente deve essere il più attivo possibile per rallentare la progressione della
malattia.
E un’affezione infiammatorio-degenerativa dei muscoli striati relativamente rara nella quale la cute è
frequentemente compromessa. L’alterazione cutanea è diagnostica.
Esistono quattro tipi.
I)
Polimiosite dell’adulto: manca l’interessamento cutaneo.
II)
Dermatomiosite tipica: può essere acuta o cronica.
III)
Dermatomiosite paraneoplastica: rappresenta il 15-20% dei casi; i carcinomi più frequenti sono quelli
della mammella e del polmone, ma spesso la ricerca è infruttuosa e il tumore si sviluppa tardivamente
in sedi impensate.
IV)
Tipo infantile: rappresenta il 15% dei casi, con frequenza massima verso i sette anni. Può essere acuta
(corticoresistente e fatale) o cronica (corticosensibile). Spesso vira verso il LES.
Non ci sono differenze di frequenza tra maschi e femmine. Esordisce tra i 40 e i 60 anni, con edema della
palpebra e della zona periorbitale, che hanno colore violaceo (per eritema). L’eritema può esserci anche sul
dorso delle mani, a striscia (in corrispondenza delle articolazioni metacarpofalangee), con teleangectasie e
eritema periungueali e ippocratismo digitale. Le patognomoniche
PAPULE DI
GOTTRON consistono in papule
eritemato-violacee che a volte si raggruppano in piccole placche e sono localizzate al dorso delle mani e
degli avambracci (zone fotoesposte). Al cuoio capelluto, l’atrofia epidermica è talora così spiccata da
esitare in erosioni e in aree di alopecia cicatriziale (8%).
Col tempo compare la miosite, che si manifesta con stanchezza e esauribilità muscolare (già al secondo
colpo di pettine). All’anamnesi si chiede al paziente se è in grado di pettinarsi, di stendere i panni, ecc.
I muscoli più frequentemente colpiti sono quelli prossimali, specialmente quelli dei cingoli, iniziando di solito da
quello scapolare, e in modo simmetrico.
L’istologia non è particolarmente diagnostica: mostra atrofia dell’epidermide, vasodilatazione, edema del
derma e infiltrato linfocitario perivascolare. La DIF è spesso negativa. A livello muscolare si ha distruzione delle
miocellule con liberazione di enzimi, aumento delle fosfochinasi e della creatina urinaria, e infiltrazione
linfocitaria interstiziale con fibrosi.
La terapia consiste nella somministrazione di cortisone ad alte dosi (non efficace nella forma
paraneoplastica). Il decorso è capriccioso, e può essere fatale.
Si tratta di affezioni caratterizzate clinicamente da bolle o vescicobolle che istologicamente corrispondono a
cavità situate nel contesto dell’epidermide o della giunzione dermoepidermica. Sono malattie gravi, spesso
con compromissione dello stato generale, talora letali.
GRUPPO DEL PEMFIGO
Si tratta di malattie nelle quali la cavità è scavata nel contesto dell’epidermide per effetto della lisi primitiva
del desmosoma (acantolisi) a opera di autoanticorpi in genere della classe IgG, più di rado IgA. Gli
autoantigeni hanno peso molecolare diverso, condizionando la diversa altezza nell’epidermide della cavità.
Esistono quindi pemfighi con bolle superficiali (pemfigo superficiale) e pemfighi con bolle a tutto spessore
(pemfigo volgare e vegetante).
Le IgG si legano a un antigene della superficie dei cheratinociti, attivando il plasminogeno e liberando
plasmina e altre proteasi responsabili dell’acantolisi. Gli antigeni sono membri della famiglia delle caderine,
componenti normali della superficie dei cheratinociti.
La cellula, una volta persi i legami con le altre, diventa
ACANTOLITICA
e va incontro a morte: è un cheratinocita
più grande, con nucleo picnotico e un alone perinucleare più chiaro; sono visibili uno o più nucleoli.
La bolla del pemfigo è una
BOLLA FREDDA,
senza infiammazione (può subentrare in un secondo tempo per
infezione).
Pemfigo volgare
Insorge subdolamente a 40-50 anni, in soggetti in buona salute (lievemente più frequente negli uomini), con
bolle nel cavo orale, che si rompono subito perché non c’è lo strato corneo, e dà stomatite e aftosi. All’inizio
le bolle possono essere confuse per erosioni: è importante distinguerlo, perché se preso subito guarisce bene,
in caso contrario può diventare resistente. Le bolle, flaccide, compaiono poi sulla cute, soprattutto in zona
periombelicale e sull’addome. Le bolle si rompono facilmente, perché lo strato corneo sovrastante è molto
fragile, danno bruciore, dolore e fastidio notevoli. Premendo la bolla con un dito si ha un distacco, che si può
avere stirando forte con un dito anche un’area di cute priva di bolle (segno di Nikolski).
Per la diagnosi sono necessari:
-
esame citologico: il liquido di bolla strisciato e colorato con Giemsa rivela le tipiche cellule acantolitiche;
-
DIF: deposito di IgG e complemento sulla superficie dei cheratinociti (immunofluorescenza a rete).
La terapia è tanto più efficace quanto prima è cominciata: si avvale della somministrazione di cortisone ad
alti dosaggi, per circa cinque anni per evitare le recidive.
Ci sono diverse varianti:
-
vegetante: il fondo della bolla tende a proliferare, dando luogo a vegetazioni maleodoranti;
-
erpetiforme: lesioni orticarioidi pruriginose con vescico-bolle alla periferia (senza acantolisi);
-
paraneoplastico: scompare dopo il trattamento del tumore, ma di regola richiede l’immunosopprressione;
-
indotto da farmaci (D-penicillamina, IFN-, captopril): la sospensione comporta la guarigione nel 30% dei
casi.
Pemfigo superficiale
Le bolle sono molto superficiali e di solito non sono visibili come tali, ma come un'esfoliazione a larghi lembi.
L'istopatologia mostra una cavità subcornea, mentre 1'immunofluorescenza diretta rivela il classico deposito
di IgG nella parte superficiale dello strato spinoso.
Le lesioni, eritemato-desquamative, si localizzano nelle sedi della dermatite seborroica. Le lesioni mucose sono
quasi sempre assenti.
La terapia di questa forma è analoga a quella del pemfigo volgare.
GRUPPO DEI PEMFIGOIDI
Viene interessata la giunzione dermoepidermica (gli autoanticorpi sono diretti contro gli emidesmosomi della
membrana basale): le bolle hanno sopra l’epidermide e sotto il derma, e possono contenere liquido o
sangue; sono ben evidenti e persistenti. Le bolle sono
BOLLE CALDE,
perché sono infiammatorie con infiltrato di
eosinofili e neutrofili; non sono mai singole, ma a grappolo.
La DIF mostra un deposito giunzionale di immunoglobuline e/o complemento alla giunzione dermoepidermica
Pemfigoide bolloso di Lever
È una malattia a bolle sottoepidermiche, legata a un deposito di lgG e complemento nella lamina Iucida. È la
forma più frequente tra tutte le malattie bollose autoimmuni. Anticorpi IgG attivano e degranulano i mastociti,
che producono citochine chemiotattiche per gli eosinofili (IL-5), con successivo rilascio di proteasi capaci di
indurre il danno tissutale. Contemporaneamente si liberano frazioni del complemento capaci anch'esse di
attività chemiotattica.
I soggetti colpiti sono anziani (ultrasessantenni, ma può venire anche dopo i 90 anni). Inizialmente insorgono
grosse bolle, spesso emorragiche, precedute da prurito e talora da un'eruzione orticarioide-eczematosa,
soprattutto alle radici degli arti (inguine, ascelle), per poi diffondersi ovunque (anche sulle mucose); danno
intenso bruciore, ma lo stato generale è poco compromesso. Il segno di Nikolski è assente.
Il decorso è cronico, con morte nel 15% dei casi, ma la terapia è di solito risolutiva.
L'istopatologia rivela una bolla sottoepidermica senza cellule acantolitiche, ricca di eosinofili e neutrofili, con
qualche plasmacellula e mastocita (citologia a cielo stellato); non c’è acantolisi.
La diagnosi clinica è spesso rivelatrice. Nel 70% dei casi l’immunofluorescenza indiretta rivela IgG o IgA antimembrana basale, che si depositano sul tetto della bolla (a volte anche sul pavimento).
La terapia è cortisonica: il pemfigoide risponde meglio del pemfigo, e necessita di un trattamento più breve
(un anno).
Può essere paraneoplastico (probabilità inversamente proporzionale all’età del paziente).
Herpes gestationis
Si tratta di un quadro di pemfigoide bolloso che compare quasi sempre dopo Ia prima gravidanza (21°
settimana in media) o in pazienti con tumori trofoblastici. È dovuto ad anticorpi contro antigeni self per cross
reacting con gli antigeni paterni. È molto fastidioso e doloroso.
La recidiva post-partum e in occasione di altre gravidanze (solo però se il padre è il medesimo) è la regola. Il
parto è di solito prematuro e il neonato è comunque facilmente sottopeso. La terapia è la stessa del
pemfigoide bolloso.
DERMATITE ERPETIFORME DI DURHING
È una malattia a bolle sottoepidermiche, da deposito di IgA all'apice delle papille dermiche; è caratterizzata
da vescicole raggruppate (ecco perché l’aggettivo “erpetiforme”).
Colpisce i giovani (anche i bambini), più spesso maschi (1,5: 1), in buona salute, senza famigliarità.
Il quadro clinico è subdolo, in genere confuso con un eczema. Si tratta di vescico-papule molto pruriginose.
spesso Iocalizzate alla faccia estensoria dei gomiti, agli avambracci, alle ginocchia e alla regione scapolare,
tipicamente in maniera simmetrica. Le bolle sono rare e molto piccole (3-4 mm di diametro) e si raggruppano
spesso alla periferia di chiazze orticarioidi.
L'associazione con la simil-celiachia (quasi sempre asintomatica) è costante (l’atrofia è macchia di leopardo,
mentre nella celiachia è continua).
Il decorso è cronico con riacutizzazioni in corrispondenza di errori alimentari. La comparsa di linfomi in sede
digerente è relativamente frequente.
L'istopatologia è tipica: raccolta di neutrofili all'apice della papilla con piccolo distacco dermo-epidermico.
AlI'immunofluorescenza diretta si osserva un deposito granulare di IgA all'apice della papilla. Nelle forme
croniche, tuttavia, le IgA si distribuiscono lungo la giunzione dermoepidermica. Non ci sono anticorpi contro
gli antigeni epidermici, ma si possono trovare numerosi anticorpi circolanti, tra cui anticorpi antigliadina e
antiendomisio.
La terapia si fonda sulla dieta priva di glutine. Se il paziente non riesce a seguire Ia dieta, o come terapia di
attacco, la somministrazione di dapsone (che diminuisce l’attività neutrofila, che causa il danno cutaneo e il
prurito) dà effetti spettacolari, anche se limitati nel tempo, tanto che il farmaco può essere usato per una
diagnosi ex juvantibus.
IPERPLASIA significa aumento assoluto del numero di cellule normali con disposizione piuttosto regolare,
generalmente conseguente a uno stimolo particolare: di regola regredisce quando Io stimolo induttore cessa.
NEOPLASIA significa formazione di neoplasma, ossia proliferazione cellulare nel contesto di un tessuto normale
generalmente eccessiva, autonoma rispetto alla crescita del soggetto portatore, non sempre coordinata e
finalizzata, che tende a persistere anche quando lo stimolo induttore viene meno.
Le
NEOPLASIE E IPERPLASIE EPITELIALI
sono proliferazioni dell’epidermide, degli annessi dell’epitelio, delle aree di
passaggio cute-mucosa o dell’epitelio delle mucose adiacenti alla cute.
Studia gli effetti cutanei delle radiazioni. Il sole irradia sulla terra radiazioni elettromagnetiche: raggi
ultravioletti, raggi nella banda del visibile e raggi infrarossi.
I raggi ultravioletti sono divisi in UVA (maggior lunghezza d’onda), UVB e UVC (minor lunghezza d’onda).
Minore è la lunghezza d’onda maggiore è l’energia.
Gli UV sono in grado di causare danno a tutte le strutture della cellula (strutture esposte all’esterno,
membrana cellulare, citoplasma, organuli, nucleo e DNA, con formazione di dimeri di timina e perossidazione
dei lipidi). La penetranza cutanea è minore per gli UVC e maggiore per gli UVA.
Gli UVC non arrivano sulla Terra; sono utilizzati come sterilizzanti in medicina, però, avendo bassa penetranza,
non si spingono oltre lo strato corneo. Solo l’occhio può essere fortemente danneggiato dagli UVC, in quanto
non ha lo strato corneo.
Gli UVB hanno penetranza per tutta la cute, e non si spingono oltre la membrana basale. In soggetti a fototipo
chiaro causano eritema (RAGGI
ERITEMATOGENI)
per la liberazione, da parte dei cheratinociti (fotoreazione), di
citochine proinfiammatorie; si può arrivare fino all’ustione solare. La melanina conferisce protezione, in quanto
forma un cappello sopra la cellula, che però non evita del tutto i danni (assorbe notevolmente UVA e UVB, e
in parte anche gli infrarossi). La melanina viene prodotta dai melanociti (cellule dendritiche) e immagazzinata
in granuli, sotto lo stimolo del sole (i cheratinociti dei follicoli piliferi non sono protetti da melanina!). La
melanina è un componente fondamentale del
FOTOTIPO
(determinato geneticamente): a seconda del colore
di pelle, occhi e capelli ci sono individui che si abbronzano di più o di meno. Se ne distinguono sei tipi: il tipo I
è caratteristico di persone che non si abbronzano mai (si scottano sempre), mentre il tipo VI è proprio della
razza nera; comunque anche il fototipo alto, se esagera, può andare incontro a carcinogenesi. In Italia i
fototipi sono quasi tutti di tipo II e III (raro il IV).
Gli UVA hanno una minor carica energetica, ma una maggior penetranza (si spingono fino al derma medio,
dove incontrano vasi, fibroblasti, mastociti. Sono detti
RAGGI NON ERITEMATOGENI
in quanto richiedono un tempo
molto più lungo di esposizione (rispetto agli UVB) per dare eritema: il soggetto non se ne accorge e quindi ne
prende di più perché resta di più al sole. Non esistono ancora filtri per gli UVA. Sono dannosi in quanto:
-
danneggiano il derma, dove distruggono il collagene e soprattutto le fibre elastiche (attività elastolitica),
portando a danno cutaneo precoce e a vasodilatazione (per il danno alle fibre elastiche delle arteriole);
-
sono immunodepressivi: le cellule di Langherans scompaiono dopo irradiazione con UVA, con perdita
temporanea dell’immunosorveglianza. Anche le cellule dendritiche epidermiche vengono danneggiate
dagli UVA.
I raggi infrarossi attivano le cellule, oltre a provocare ustioni.
Ad ogni esposizione al sole, muoiono per apoptosi milioni di cellule (morte cellulare da UV); può però capitare
che alcune di queste cellule, danneggiate, non muoiano, e portino allo sviluppo di neoplasie. Tutte le
radiazioni elettromagnetiche hanno un effetto cumulativo! I danni si stratificano!
A 40-50 anni si hanno i primi carcinomi epiteliali, che si formano sempre nelle zone fotoesposte, e sono rari in
corrispondenza dei nevi. Alle radiazioni si associano gli idrocarburi inquinanti, che reagiscono con la luce,
accelerando e favorendo il processo.
Un altro danno da esposizione agli UV è il
FOTOINVECCHIAMENTO:
non è legato all’invecchiamento cronologico, e
consiste nell’elastosi cutanea. I raggi UV danneggiano l’elastina che dà elasticità alla cute: la cute diventa
secca, fragile, cade secondo la gravità e si formano le rughe. Sono danneggiati anche i vasi sanguigni, con
conseguente diminuzione di flusso sanguigno e nutrimento.
La cosa importante è la prevenzione. La
FOTOPROTEZIONE
consiste innanzitutto nello stare all’ombra (riduce del
40% i raggi; i raggi non sono filtrati da nuvole e acqua), nell’evitare le fasce orarie in cui gli UV sono più forti (11
- 14) e nell’applicazione di creme (che vengono assorbite, soprattutto dai bambini!), che possono essere:
-
filtri solari: sostanze che assorbono i raggi UV;
-
schermi solari: sostanze che riflettono i raggi.
Gli schermi proteggono di più, ma i filtri sono più cosmetici (perché sono più leggeri, ben assorbibili e non si
vedono), ma hanno una durata limitata.
Da alcuni studi è però emerso che i filtri possono essere in realtà induttori di carcinogenesi, e non ritardatori, in
quanto permettono una maggior esposizione al sole, con conseguente maggior assorbimento di UVA. Si
allunga quindi il periodo di immunodepressione a livello cutaneo e si ha liberazione di citochine
immunodepressive in circolo. Attualmente le creme solari non contengono più filtri, ma schermanti. In
pediatria si usano creme con schermi fisici.
Sono lesioni di per sé benigne, che hanno la potenzialità di evolvere col passare del tempo in carcinomi.
CHERATOSI ATTINICA (o solare)
È la più comune delle precancerosi cutanee. È un’alterazione circoscritta della cute fotoesposta (per disordini
maturativi dell’epidermide, che, danneggiata dai raggi, non riesce a riformarsi bene) caratterizzata da
un’ipercheratosi aderente, risultato di alterazioni epidermiche che tardivamente possono progredire verso il
carcinoma spinocellulare.
Le lesioni sono dovute aII’effetto cumulativo delle radiazioni solari sulla cute e sono più comuni in soggetti con
pelle chiara in media o tarda età; inoltre, il colore azzurro degli occhi e la presenza di efelidi sembrano
aumentare il rischio. Si sviluppano soprattutto su volto, dorso delle mani e superficie estensoria degli
avambracci.
Il primo aspetto è un’area teleangectasica di 1-2 mm di diametro; progressivamente la lesione diventa
ipercheratosica e ben apprezzabile alla palpazione (sensazione di “granello di sabbia”). La squama è
caratteristicamente ben adesa e il suo distacco determina un Iieve sanguinamento. Molto frequentemente gli
elementi sono multipli. Il diametro delle lesioni varia da qualche millimetro a qualche centimetro. Talvolta
l’ipercheratosi è tale da realizzare un aspetto simile a un corno (corno cutaneo).
Quando Ia lesione tende a rilevarsi sulla superficie cutanea con comparsa di un alone eritematoso periferico
o un’erosione superficiale, si deve sospettare l’evoluzione verso un carcinoma spinocellulare.
La terapia consiste nell’asportazione di tutti gli elementi possibili (curettage), nella fotoprotezione ed
eventualmente nella somministrazione dell’acido retinoico (vitamina A) che fa ridifferenziare i cheratinociti.
CHEILITE SOLARE
È una forma di cheratosi solare a localizzazione labiale, soprattutto inferiore. Inizialmente compaiono eritema
ed edema, poi secchezza e desquamazione e più tardi papule o placche grigiastre, ragadi, vescicole,
erosioni e croste. È possibile l’evoluzione verso un carcinoma spinocellulare, con rischio di metastasi
relativamente alto.
Quando possibile, si ricorre all’asportazione chirurgica.
CARCINOMA BASOCELLULARE
È una neoplasia epiteliale maligna, composta da cellule simili a quelle dello strato basale dell'epidermide e
delle strutture epiteliali degli annessi, strettamente connessa a uno stroma dermico, raramente
metastatizzante. È la più comune neoplasia cutanea nei soggetti di razza bianca; può comparire dall'infanzia
(raro) in poi, soprattutto dopo i 35 anni. Il rischio è proporzionale all’età (perché è maggiore l’esposizione), ed
è in rapporto con il fototipo (raro nella razza nera, poco frequente in quella gialla) e la latitudine.
Oltre a molti fattori predisponenti (razza bianca, sesso maschile, età senile, familiarità, prolungata e cronica
fotoesposizione, fototipo chiaro, traumi locali, ustioni solari in età infantile, radiazioni ionizzanti), il carcinoma
basocellulare può insorgere in soggetti sottoposti a terapia immunosoppressiva, su ulcere distrofiche croniche
o su cicatrici.
La maggior parte delle lesioni insorge al capo e al collo, ma è comune l'interessamento del tronco, mentre le
regioni palmoplantari sono raramente coinvolte; Ie mucose sono indenni.
La neoplasia può essere solitaria, ma spesso è multifocale. Caratteristicamente è una zona di instabilità
cronica: si ha desquamazione della cute, seguita da distaccamento e sanguinamento, che continua
periodicamente. Ci sono tre tipi.
II tipo nodulare (più frequente) in fase iniziale compare come papula traslucida che in fase avanzata diventa
una placca o un nodulo di colore rosa-rosso o bruno, irregolare, con superficie liscia, squamosa o ulcerata,
con caratteristica presenza di teleangectasie. Sul viso è possibile che la neoplasia sia rapidamente ulcerativa
e infiltrante sin dai primi stadi (ulcus rodens): è una forma molto aggressiva che non risponde alle terapie.
Il tipo superficiale è prevalente sul tronco ed è piuttosto comune. Si presenta come una placca eritematosa,
limitata da un bordo irregolare leggermente rilevato, non sempre su tutto il perimetro, con parte centrale
spesso desquamante e atrofica.
II tipo morfeiforme compare quasi esclusivamente sul viso come placca lievemente rilevata o depressa, di
colorito giallo avorio, con margini indefiniti, molto raramente ulcerata. È insidiosa perché la diagnosi è tardiva.
Il carcinoma basocellulare ha un decorso lento e progressivo e il tipo clinico superficiale ha un decorso
praticamente benigno, mentre i tipi ulcerativi e invasivi possono dare gravi problemi con distruzione di altri
organi o apparati oltre Ia cute (occhio, ossa, cervello ecc.). Eccezionalmente la neoplasia dà metastasi
(0,1%), prima ai linfonodi, poi agli organi.
Istologicamente, le cellule sono indifferenziate, e originano da quelle del follicolo pilifero (iI carcinoma
basocellulare insorge da cellule immature pluripotenziali delle strutture epiteliali degli annessi, che non sono
protette dalla melanina). Ogni nodulo è circondato da una membrana, e quasi mai da cellule infiammatorie.
L'accertamento istologico è necessario prima di ogni decisione terapeutica.
L'escissione chirurgica è il tipo di terapia più corretta, indicata anche in età avanzata. Eventualmente si può
ricorrere alla crioterapia o alla dermocoagulazione. Si può utilizzare anche la
FOTOTERAPIA DINAMICA:
si
somministra una sostanza (captata dalle cellule tumorali) che, una volta irradiata, causa la morte della
cellula.
CARCINOMA SPINOCELLULARE
È una neoplasia maligna derivante dai cheratinociti dell’epidermide (generalmente danneggiati da vecchie
ustioni), variamente cheratinizzante e in grado di metastatizzare. È circa 4 volte meno frequente del
carcinoma basocellulare. Si presenta come un nodulo, rapidamente ulcerativo. Ci possono essere forme
vegetanti, verrucose e erosive (soprattutto a carico delle mucose).
Esistono fattori predisponenti ambientali (sole, petrolio, fuliggine, raggi UV artificiali, radiazioni ionizzanti), e
fattori individuali (albinismo, età, sesso, fototipo, uso di tabacco, terapie immunodepressive). Inoltre, cicatrici
pregresse, malattie ulcerative croniche e esposizioni tossiche possono entrare in gioco nella genesi del
carcinoma.
Le sedi più frequentemente colpite sono la testa (nei soggetti calvi), il labbro inferiore, il padiglione auricolare,
il naso e le mani.
Sulla cute il carcinoma spinocellulare è più comune nelle aree di fotoesposizione, è preceduto spesso da una
cheratosi attinica, ma può insorgere anche de novo e frequentemente è multiplo. In fase iniziale si presenta
come lesione papulosa o nodulare di colore rosa-rosso, irregolare, a margini sfumati con superficie
cheratosica, anche ulcerata; in fase avanzata è una placca o un grosso nodulo di diametro vario, sempre
irregolare con superficie cheratosica o crostosa o ulcerata.
Sulle mucose e nelle regioni di passaggio cute-mucosa (bocca, ano, pene, vulva) la neoplasia è unica,
rapidamente invasiva e metastatizzante. In fase iniziale è una lesione papulosa o nodulare di colore
biancastro, ma anche rosa-rosso, con margini sfumati e superficie rapidamente ulcerata e tardivamente
diventa placca o nodulo che, alla palpazione, presenta una consistenza duro-cartilaginea.
Il carcinoma spinocellulare delle labbra e della mucosa orale è più comune nei fumatori e nei bevitori di alcol:
nell’esordio può avere l’aspetto di una leucoplasia (papula o placca persistente biancastra delle mucose) o
di una eritroplasia (papula o placca persistente rossastra delle mucose), più tardi assume aspetto vegetante.
L’incidenza delle metastasi varia a seconda della sede della neoplasia: se insorge sulla cute, infatti,
raramente dà metastasi, mentre se si sviluppa sulle mucose e nelle aree di passaggio cute-mucosa
metastatizza con alta frequenza (soprattutto quella delle labbra e dei genitali).
Istologicamente, la neoplasia, quasi sempre endofitica, spesso ulcerata, appare costituita da masse irregolari
(corone e nidi) di cheratinociti che proliferano nel derma e talvolta nell’ipoderma con tendenza più o meno
evidente alla cheratinizzazione (“perle cornee”; tanto più è cheratinizzato, tanto più è differenziato, tanto
meno metastatizza). Se supera il livello della porzione secretoria delle ghiandole eccrine, la neoplasia è
considerata aggressiva.
La terapia è chirurgica, con asportazione ampia, perché i limiti non sono mai definiti; si usa la “moss surgery”: il
chirurgo prosegue l’operazione basandosi sul referto anatomo-patologico. La radioterapia è indicata solo per
gli anziani (perché possono esserci recidive).
CHERATOACANTOMA
È un tumore benigno, spesso confuso con l’epitelioma e il carcinoma spinocellulare, a rapida crescita, in zone
fotoesposte. Si ha la proliferazione dei cheratinociti che formano un ammasso cellulare, il cui centro è
costituito dalla cheratina, che involve rapidamente. È considerata una malattia infettiva da causa virale.
Lo si asporta comunque (anche se autorisolve).
MORBO DI BOWEN
È un carcinoma in situ di difficile riconoscimento. Si presenta come una chiazza eritematosa e desquamanti, a
limiti netti, ed è strettamente legato allo stato di immunosorveglianza (è frequente in pazienti sotto cortisone).
Probabilmente è a eziologia virale, ma può essere dovuto anche a cicatrici, ustioni e tatuaggi.
L’istologia mostra un disordine maturativo con paracheratosi e infiammazione sottostante.
La terapia è chirurgica.
LEUCOPLACHIA O LEUCOPLASIA
È un carcinoma in situ delle mucose (soprattutto bocca, a volte genitali): il paziente presenta chiazze
biancastre in bocca, che si ritrovano anche nel lichen planus, nel mughetto e nella leucoplachia villosa in
corso di AIDS; per questo la diagnosi è spesso tardiva. Le chiazze si trovano soprattutto a livello delle gengive,
e non vengono rimosse dal grattamento, al contrario di quello che avviene nel mughetto.
La mucosa non cheratinizzata è lucida; se a causa del tumore cheratinizza, diventa biancastra (la
cheratinizzazione può essere dovuta anche a traumi). La terapia è chirurgica quando possibile.
ERITROPLACHIA O ERITROPLASIA
È la controparte della leucoplachia a livello dei genitali (sia maschili che femminili), ma si trova anche nel
cavo orale. È un carcinoma in situ in soggetti medio-anziani, con precedenti problemi ai genitali, o scarsa
igiene.
La lesione inizia con una macula o papula rossastra, persistente, a margini non netti, per lo più asintomatica,
che in tempi variabili diventa placca irregolare, anche ulcerata e
sanguinante. L’evoluzione verso il
carcinoma spinocellulare invasivo è praticamente sicura e piuttosto rapida per le localizzazioni al cavo orale.
Ci sono ance forme eritreo-leucoplasiche (sia al cavo orale che ai genitali).
Il
RETINOIDE
è un farmaco molto importante per il trattamento del carcinoma in situ: è un derivato dell’acido
retinoico, che agisce direttamente sui nuclei delle cellule, ridando la capacità differenziativa alle cellule che
l’hanno persa (uso topico).
CHERATOSI SEBORROICA
Esordisce con una papula o un nodulo, in un soggetto non più giovane. Ha andamento benigno (si autolimita
e non è invasivo), è molto frequente nella razza bianca, e si localizza soprattutto a volto, testa, dorso e
tronco. Se sulla cute cresce qualcosa di anomalo, vuol dire che l’omeostasi cellulare è andata persa e c’è
permissività tumorale, non solo a livello cutaneo, ma anche sistemico (SEGNO
DI
LESER: quando crescono in
eccesso c’è un tumore in un’altra sede, per esempio l’intestino).
Istologicamente si ha acantosi e proliferazione epidermica (non dermica).
I linfomi costituiscono un gruppo di neoplasie che origina dalle cellule linfoidi durante le varie fasi di
maturazione e differenziazione negli organi linfatici e nei tessuti che sono ricchi di tessuto linfatico (canale
gastroenterico: MALT), oppure che sono sede frequente (“cronica”) di infiltrati linfocitari (cute: SALT).
Si riconoscono due gruppi principali di linfomi.
1.
Linfoma di Hodgkin: è caratterizzato dalla presenza delle cellule di Reed-Sternberg (binucleate con
nucleoli prominenti e speculari). È eccezionale la primitività cutanea, si osservano papule o noduli di
colorito rosso-cupo e l’infiltrato è localizzato in sede dermica o ipodermica. Le lesioni tendono alla
risoluzione spontanea, anche se è possibile una evoluzione linfonodale. La prognosi è buona nelle forme
localizzate esclusivamente alla cute. La terapia è radiante nelle forme cutanee, mentre la
polichemioterapia viene utilizzata nelle forme sistemiche. Le localizzazioni cutanee sono più spesso
secondarie.
2.
Linfomi non Hodgkin: sono i più frequenti e stanno aumentando (probabilmente perché la cute è sempre
più esposta alle perturbazioni ambientali). Possono essere primitivi cutanei (polimorfismo clinico,
morfologico e istologico) e secondari cutanei.
I linfomi si presentano come placche o noduli infiammatori, in qualsiasi area del corpo.
I linfomi primitivi cutanei si classificano in base alla malignità (basso grado, grado intermedio, alto grado),
all’immunofenotipo (a cellule B, a cellule T, a cellule né B né T), o alla presenza dell’antigene CD30
(ulteriormente divisi in alto e basso grado di malignità).
MICOSI FUNGOIDE
È un linfoma T (CD4+) primitivo della cute, a decorso poco aggressivo. È la forma più frequente (0,3/100.000
abitanti per anno). A seconda dell’età può avere manifestazioni diverse:
-
chiazze pruriginose nel paziente giovane (12-14 anni);
-
placche nel paziente quarantenne;
-
noduli nel paziente sessantenne.
Probabilmente è causata da uno stimolo antigenico cutaneo di tipo continuo, che stimola i linfociti T CD4+,
fino ad arrivare allo sviluppo maligno di un clone. Presenta una Ienta evoluzione con iniziale estensione
cutanea e successivo coinvolgimento specifico dei linfonodi superficiali, del sangue periferico e degli organi
interni; può anche evolvere in linfomi meno differenziati (ma comunque ha una lenta malignità). La
sopravvivenza media a 5 anni dall’esordio è delI’87%.
Si distinguono tre fasi evolutive:
1.
fase in chiazza: esordisce in modo insidioso con chiazze eritematose, pruriginose o no, rotondeggianti, a
bordi netti, tendenti alla confluenza, con aspetto desquamativo o cheratosico, prevalentemente
localizzate al tronco, alla radice degli arti e al collo. In questa fase il linfoma può regredire;
2.
fase in placca: caratterizzata da placche e intenso prurito, con aree di risparmio, e da multiple
adenopatie superficiali;
3.
fase nodulare-tumorale: è una fase distruttiva, in cui i linfociti crescono in modo disordinato, distruggendo
tutto. Si possono sviluppare adenopatie reattive o infiltrative, con successivo coinvolgimento viscerale.
Istologicamente, già negli stadi iniziali, è visibile un infiltrato linfocitario nell’epidermide e nella giunzione
dermo-epidermica, con formazione di microascessi.
Non c’è una cura per la micosi fungoide, soprattutto perché negli stadi iniziali le cellule sono molto ben
differenziate, e non rispondono alla terapia ad alte dosi (e risentono poco della radioterapia). Risponde
abbastanza bene ai retinoidi, che possono essere associati agli interferoni  e .
Per anni è stata usata la PUVA terapia (raggi UVA in associazione a psoraleni per os), che causa la regressione
della chiazza, che però compare nuovamente dopo qualche tempo. Oggi è usata molto meno.
Siccome non c’è certezza che esista la progressione chiazza  placca  nodulo, è inutile accanirsi
terapeuticamente, dato che i risultati non sono comunque certi.
Esistono due varianti:
1.
variante eritrodermica: la chiazza è sostituita da un’eritrodermia desquamativa;
2.
sindrome di Baquarel-Cesarie: è la variante leucemica della micosi fungoide, che può evolvere verso la
leucemia. Il paziente ha 20.000 leucociti, di cui il 20% sono linfociti T CD4 +. È una forma più grave perché si
ha un precoce interessamento sistemico. A livello cutaneo si manifesta con eritrodermia infiltrativa e
pruriginosa.

I nevi sono considerati dalla maggior parte dei medici come neoplasie benigne, in cui sono coinvolti i
melanociti (cellule di derivazione neuroectodermica).
Un nevo può essere definito segmentario se ha una distribuzione dermatomerica, e sistematizzato se si
sviluppa su un'area cutanea correlata a uno o più nervi cranici, spinali o periferici.
Possono essere suddivisi in:
1.
nevi melanocitici;
2.
nevi epidermici;
3.
nevi dermici e sottocutanei.
Le cause dei nevi possono essere genetiche o ambientali (infezioni intrauterine, radiazioni ionizzanti, farmaci
assunti in gravidanza, alcol in eccesso durante la gravidanza, deficienze o eccessi di oligominerali durante la
gravidanza, malattie materne) o combinazioni delle due.
NEVI MELANOCITICI
Derivano dalla proliferazione dei melanociti (come il melanoma).
Nascono nella prima infanzia (tranne quelli congeniti, già presenti alla nascita) e, dopo una fase di crescita
(prime tre decadi di vita), hanno una fase di stabilità e infine una fase di parziale o totale regressione (dopo i
60-70 anni).
Lentiggine
È una piccola macula pigmentata piana (visibile, ma non palpabile), bruna, rotondeggiante, acquisita o
congenita, caratterizzata istologicamente da un aumentato numero di melanociti nello strato basale
dell'epidermide in singole unità. Può comparire come elemento isolato in numero variabile, oppure far parte
di un quadro di
LENTIGGINOSI
(sindromi complesse a trasmissione prevalentemente autosomica dominante,
caratterizzate da lentiggini diffuse, anomalie multiple e anche neoplasie).
Possono comparire in ogni area cutanea, essere presenti alla nascita, comparire nel primo anno di vita o più
frequentemente nell'infanzia o neII'adolescenza, e aumentare di numero nell'età adulta.
Va distinta dalle
EFELIDI
(accumuli di pigmento diffusi al viso, al dorso e in altre sedi fotoesposte, che si
scuriscono e aumentano di numero con l'esposizione al sole), e dalle
LENTIGGINI SOLARI
(hanno solitamente
dimensioni maggiori, forma irregolare, colore più chiaro, superficie spesso lievemente desquamante e sono
presenti prevalentemente sulle sedi fotoesposte di soggetti anziani).
Nevo melanocitico acquisito piano
È la lesione pigmentata più comune nei soggetti di razza caucasica, frequente sul tronco e sulla radice degli
arti, caratterizzata generalmente da un profilo piano.
Quando il diametro è piccolo, ossia inferiore ai 6 mm, la lesione è più spesso simmetrica (nevo melanocitico
acquisito piano comune); quando invece il diametro è maggiore, la lesione frequentemente è rilevata, ha
forma asimmetrica, bordi irregolari e pigmentazione disomogenea (nevo melanocitico acquisito piano atipico
di Clark). Istologicamente è caratterizzato da una proliferazione di melanociti di forma varia in nidi, a livello
epidermico e dermico, e talvolta anche solo dermico.
La maggioranza dei caucasici in età adulta ne ha da 15 a 30 elementi. II diametro varia da pochi mm a 1cm,
il colore è bruno nelle varie tonalità, spesso più scuro al centro e sfumato alla periferia. La forma è
rotondeggiante, ovalare o angolata, prevalentemente simmetrica, con bordi definiti. È una lesione benigna.
Nevo di Miescher
È una lesione cutanea acquisita, cupoliforme, di colore variabile dal bruno chiaro fino a quello della cute
normale, isolata o in poche unità, situata quasi esclusivamente sul viso. Può albergare follicoli (nevo peloso) o
ghiandole: sono piuttosto frequenti gli episodi di follicolite batterica nel contesto del nevo, con conseguente
aumento di volume e arrossamento della lesione, dolore ed eventuale fuoriuscita di materiale purulento.
L’uomo può tagliarlo facendo la barba, ma non è preoccupante.
Istologicamente è caratterizzato da melanociti disposti in nidi o cordoni nel derma.
Nevo di Unna
È una lesione cutanea acquisita, peduncolata o sessile, spesso papillomatosa, di consistenza molle (carnosa),
di colorito variabile dal bruno a quello della cute normale, presente in poche unità isolate sul tronco e sul
collo; è più comune in soggetti di sesso femminile. È benigno.
Nevo melanocitico congenito
È una lesione pigmentata molto polimorfa, di colorito quasi sempre bruno, presente alla nascita: a volte può
comparire dopo settimane o mesi dalla nascita (nevo melanocitico congenito tardivo).
Possono essere suddivisi in base al loro diametro:
1.
piccoli: diametro <1,5 cm, presenti ne11'1-2% dei neonati;
2.
medi: diametro tra 1,5 e 20 cm, presenti in circa lo 0,6% dei neonati;
3.
grandi: diametro superiore ai 20 cm, a disposizione disegnata, presenti in circa lo 0,02% dei soggetti alla
nascita senza differenze tra i due sessi.
Il colore è preferibilmente bruno nelle sue varie tonalità, ma ci possono essere sfumature bluastre o nerastre.
Istologicamente, i nevi melanocitici congeniti sono caratterizzati da proliferazioni di melanociti di forma
variabile, soprattutto in nidi, entro l’epidermide, il derma e l’ipoderma (in quelli profondi), interessamento di
parte dei vasi e delle strutture annessiali epiteliali e non (soprattutto in quelli superficiali), melanociti disposti a
banda nella parte superiore del derma (in quelli superficiali), aumento dei peli terminali. Le forme classificabili
istologicamente superficiali corrispondono per Io più al tipo clinico piccolo, e quelle istologicamente profonde
al tipo clinico medio e grande.
Nel contesto dei nevi melanocitici congeniti, con maggiore frequenza che in altri nevi, si può sviluppare un
melanoma: il rischio di tale evento è più alto nelle forme grandi. Tutti i nevi congeniti sono instabili e possono
degenerare o diventare verrucoidi e pelosi, e vanno tolti entro la pubertà.
I nevi grandi vanno asportati entro quindici giorni dalla nascita, in quanto in tale periodo sono solo
intraepidermici (mentre in seguito passano la giunzione dermo-epidermica): in questo modo è possibile
toglierlo tutto (solo in questo caso la prevenzione è efficace) mediante escoriazione, senza lasciare cicatrici.
Nevo di Spitz e nevo di Reed
Sono lesioni melanocitarie quasi sempre acquisite, a rapida crescita, caratterizzate sul piano istologico dalla
proliferazione di melanociti di forma epitelioidea e fusata disposti in nidi.

Nevo di Spitz: insorge tipicamente nell'infanzia, ma può comparire anche nell'età adulta, ha colore rosarosso e prevale sul volto (nevo a cellule epitelioidi e fusate).

Nevo di Reed: insorge più frequentemente in soggetti di sesso femminile, nella seconda o terza decade di
vita, ha colore bruno scuro o nero e prevale sugli arti inferiori (nevo pigmentato a cellule fusate).
Macchia mongolica
È una lesione pigmentata di colorito grigio-bluastro, presente alla nascita o entro il primo anno di vita in più
del 90% del soggetti di razza asiatica e nei nativi d'America, meno frequentemente nei neri e in circa 1'1-2%
dei soggetti di razza bianca; è localizzata soprattutto nella regione lombosacrale. I melanociti sono localizzati
nel derma profondo, a volte nell’ipoderma. Regredisce spontaneamente entro la pubertà.
Nevo blu
È una lesione pigmentata di colore blu-nero, acquisita o talvolta congenita, caratterizzata istologicamente da
melanociti dendritici, fusati o ovali, localizzati nel derma profondo (ecco perché il colore è blu). È spesso
piano, ma può essere anche cupuliforme.
La metà circa dei nevi blu si trova sul dorso delle mani e dei piedi, le altre sedi comprendono labbra, volto e
superficie estensoria degli arti.
Il nevo blu maligno rappresenta un melanoma insorto nel contesto di un nevo blu. Un cambiamento di forma
del nevo necessita di verifica istologica.
Nevo di Sutton (o nevo con alone)
Rappresenta un nevo melanocitico acquisito o congenito, circondato da un'area ipocromica o acromica,
concentrica e uniforme. È molto frequente nei soggetti giovani (13-18 anni). È dovuto allo sviluppo di
autoaggressione nei confronti del nevo, che viene attaccato dai linfociti B. Il nevo scompare, e dopo
qualche anno sparisce anche la macchia bianca.
Si può associare ad altre patologie, in particolare alla vitiligine, all’anemia perniciosa e al melanoma. La
lesione è assolutamente benigna, tuttavia vanno escluse le possibili patologie associate.
Nevo di Meyerson
È un nevo melanocitico acquisito o congenito, circondato da un'area di dermatite vescicolosa, concentrica.
L’alone di dermatite risolve spontaneamente in tempi variabili. Nell’infiltrato sono presenti eosinofili.
Nevo melanocitico in regressione
È un qualsiasi nevo melanocitico acquisito o congenito con evidenza di aree ipocromiche o acromiche e/o
aree di atrofizzazione, non secondarie a traumi locali e senza storia di alone periferico ipocromico.
NEVI EPIDERMICI
Sono lesioni complesse derivanti dalle cellule ectodermiche embrionali (non interessano più i melanociti).
Talvolta, soprattutto in casi di lesioni multiple, i nevi epidermici sono associati ad altri difetti di sviluppo,
specialmente a carico dell’apparato scheletrico, del sistema nervoso centrale e degli occhi.
Il nevo di Becker è una lesione pigmentata, quasi sempre acquisita, costituita da una chiazza bruna a
contorni irregolari con numerosi peli, generalmente monolaterale.
Il melanoma cutaneo è un tumore maligno, poco curabile, che origina dai melanociti della cute e delle
mucose, dai melanociti che costituiscono i nevi e, molto più raramente, da melanociti posti in sedi
extracutanee (occhio, orecchio interno, meningi).
Colpisce prevalentemente soggetti di razza bianca, con uguale distribuzione nei due sessi. Rarissimo prima
della pubertà, colpisce prevalentemente intorno ai 40-50 anni.
Fattori di rischio sono:
a) predisposizione famigliare (10% dei casi);
b) elevato numero di nevi (più di cinquanta);
c) fototipo chiaro;
d) fattori ambientali (esposizione al sole, lavoro, latitudine);
e) fotoustioni (in genere il melanoma insorge nelle aree ustionate in età giovanile).
Il melanoma può svilupparsi sulla cute sana de novo, oppure insorgere in associazione con un nevo
melanocitico preesistente congenito o acquisito (20% dei casi). In questo caso i possibili segni di allarme sono:

modificazioni del colore;

improvvisa comparsa di una lesione rilevata (papula o nodulo);

rapido aumento della dimensione o dello spessore;

erosione, sanguinamento (con conseguente formazione di croste);

segni di flogosi;

prurito, senso di trafittura.
Si distinguono due forme di melanoma: piano (palpabile e non) e cupuliforme.
MELANOMA PIANO
La crescita avviene su piani orizzontali, si estende poco in profondità e si ha quindi una minor incidenza
metastatica. È la variante più frequente (80% dei casi) e può insorgere in qualsiasi sede cutanea o mucosa. Si
presenta come una macula pigmentata (che in seguito diventerà una placca) che cresce in modo
frastagliato, diventando asimmetrica. All’inizio può essere scambiata per un nevo di Clark.
Le caratteristiche semeiologiche che ne indicano la malignità sono riassunte nella forma ABCDE:
Asimmetria
tracciando una linea immaginaria che sezioni la lesione nel centro, le metà non sono
sovrapponibili; una lesione benigna è sempre simmetrica.
Bordi
irregolari, frastagliati; una lesione benigna ha bordi regolari.
Colore
nerastro, disomogeneo, può cambiare.
Dimensioni
maggiori di 6 mm.
Evoluzione
la lesione progredisce, cambiando la sua morfologia.
Età
di regola superiore ai 15 anni.
Elevazione
comparsa di una papula o di un nodulo nel contesto della lesione pigmentata.
MELANOMA CUPULIFORME
È meno frequente (18% dei casi), e si sviluppa su piani verticali, soprattutto verso l’esterno. Si presenta come
una papula o un nodulo, di forma regolare emisferica, a superficie liscia, di colorito bruno-nerastro o nerobluastro, di consistenza carnosa, spesso eroso e sanguinante, ricoperto da squamo-croste ematiche. I confini
con la cute sana circostante sono sempre netti. Il pigmento può essere distribuito in modo irregolare fino a
mancare del tutto (melanoma acromico o amelanotico): in questo caso, a un esame clinico attento, è
talvolta individuabile alla base della lesione una sfumatura nerastra (fuga del pigmento) di grande
importanza diagnostica. È frequente a livello sottoungheale e periungheale, ed è molto grave, perché è
indifferenziato.
La formula ABCDE è, in questa forma, di scarsa utilità.
L’insorgenza di un elemento papuloso o nodulare nel contesto di un melanoma piano, palpabile o no,
costituisce un evento molto frequente, che si realizza spesso anche dopo anni dalla comparsa della lesione
primitiva; rappresenta quindi un aspetto evolutivo della neoplasia.
EVOLUZIONE NATURALE
Un melanoma lasciato alla sua evoluzione naturale tende a crescere irregolarmente, a ulcerarsi, a regredire
spontaneamente e, soprattutto, a metastatizzare.
L’ulcerazione è legata a uno squilibrio tra la massa neoplastica e la sua vascolarizzazione con conseguente
carente irrorazione e nutrizione cellulare.
La regressione può essere parziale o totale, e quando quest’ultimo evento accade, la neoplasia spesso è già
metastatizzata. Clinicamente la regressione è evidenziata dalla comparsa nel contesto della Iesione di aree
ipocromiche o del colore della cute sana oppure bluastre, talvolta con segni di atrofia superficiale.
Le metastasi, che si producono per via ematica o linfatica, possono essere suddivise in:
1.
SATELLITI,
entro 5 cm di distanza dalla lesione primitiva.
Sono generalmente papule cupuliformi quasi
sempre pigmentate, più raramente rosa o del colore della cute sana;
2.
IN TRANSIT,
lungo una linea immaginaria che unisce la lesione primitiva alla prima stazione linfonodale. Si
presentano generalmente come noduli piuttosto duri, di varia dimensione, a volte visibili, a volte solo
palpabili;
3.
REGIONALI,
nella stazione linfonodale di drenaggio. Si evidenziano per l’ingrossamento dei linfonodi, che
diventano a volte visibili, duri, indolenti e mobili (almeno nelle fasi iniziali);
4.
A DISTANZA,
negli altri organi. Sulla cute sono solitamente nodulari; gli organi più colpiti dopo la cute sono:
polmoni (30%), fegato (25%), cervello (16%) e ossa (14%). Le cellule del melanoma sono pericolose, in
quanto possono vivere ovunque e hanno caratteristiche mimetiche (non vengono riconosciute dal
sistema immunitario). Per combatterle si sta cercando un vaccino per stimolare la risposta immune nei
confronti degli epitopi del melanoma.
MELANOMA IN SITU
Non ha passato la giunzione dermo-epidermica. L’asportazione chirurgica permette la guarigione nel 100%
dei casi.
Se però viene lasciato per troppo tempo tende ad invadere.
MELANOMA INVASIVO
Se ne distinguono quattro tipi.
1.
Melanoma a diffusione superficiale: comprende il 70% dei casi. È possibile trovarlo ovunque, ma predilige
il tronco e la radice degli arti.
2.
Lentigo maligna: più frequente negli anziani, si sviluppa al volto in forma piana, evolvendosi con grande
lentezza, estendendosi per lungo tempo solo superficialmente fino ad assumere notevoli dimensioni. Solo
tardivamente diventa invasivo, assumendo l’aspetto clinico del melanoma piano-cupuliforme.
3.
Melanoma acrale lentigginoso: non si associa a nevo preesistente e insorge su cute non fotoesposta (sedi
palmari, plantari, sottoungueali e mucose). È un melanoma piano, di colore bruno chiaro, con limiti
sfumati. Dopo molto tempo può iniziare la crescita verticale con noduli.
4.
Melanoma nodulare: evolve fin dall’inizio con modalità di crescita verticale e insorge de novo su cute
sana o su un nevo preesistente senza una fase preinvasiva.
DIAGNOSI
Si può ricorrere alla dermoscopia: si mette il microscopio a contatto con la cute (dopo aver reso trasparente
lo strato corneo mediante applicazione di olio sulla superficie cutanea) e si estraggono delle immagini
(ciascuna ha un punteggio; se la somma di tutte è maggiore di un certo valore si ha melanoma): le più
importanti sono velo blu, globuli pigmentari e strie alla periferia. Dà l’idea della profondità e dell’estensione, e
indica quanto deve essere ampia l’escissione e se è necessario rimuovere il linfonodo sentinella (lo si fa
quando è più profondo di 1 mm).
Non si fa mai la biopsia! L’unica eccezione è quando è in sede acrale o sottoungueale. Generalmente si fa
l’escissione (a 1 cm dal margine visibile con la dermoscopia, fino alla fascia muscolare, che viene
generalmente risparmiata) e poi si esegue l’esame anatomopatologico, per vedere l’entità dello spessore, il
numero di mitosi per campo, e il grado di infiltrazione linfocitaria (se c’è è un segno positivo, perché indica il
controllo da parte del sistema immunitario).
PROGNOSI
Tre fattori sono fondamentali per la prognosi.
1.
Spessore del tumore secondo Breslow: misura in millimetri lo spessore massimo della lesione. Se è maggiore
di un millimetro si asporta il linfonodo sentinella. La sopravvivenza di un melanoma di 3-4 mm a 5 anni è
minore del 25%.
2.
Livello di invasione secondo Clark: definisce cinque livelli di invasione anatomica della cute (da
intraepiteliale a infiltrante il sottocute). È importante, perché in alcune zone un melanoma di 1 mm può
aver già raggiunto l’ipoderma, mentre in altre può essere ancora intraepiteliale.
3.
Presenza di ulcerazione: correla con una cattiva prognosi, perché è espressione di un rapido sviluppo
della massa tumorale.
TERAPIA
Negli stadi iniziali la terapia chirurgica è il trattamento di scelta. La terapia medica è deludente perché è un
tumore non radiosensibile.
Nei casi di melanoma con metastasi a distanza il trattamento è sistemico, con significato palliativo. Si usa la
chemioterapia (dacarbazina) e/o l’immunoterapia (con interferone, è promettente, ma ha elevata tossicità
sistemica). Può valer la pena sottoporre le metastasi a terapia chirurgica, in quanto si è visto che
l’eliminazione di una fa regredire le altre, o perlomeno impedisce l’insorgenza di altre, probabilmente per un
fenomeno di autoimmunizzazione.
Sembra promettente la vaccinazione.
SINDROME ORTICARIA-ANGIOEDEMA
L'orticaria è una delle dermatosi più comuni ed è caratterizzata dalla comparsa di pomfi cutanei di colore
variabile dal rosso al bianco, circondati da un alone iperemico di forma, sede ed estensione variabili. I pomfi
scompaiono senza lasciare traccia e si accompagnano a prurito. Possono essere fugaci o migranti
(compaiono in sedi diverse), e quando regrediscono la cute resta integra. Essi insorgono per una risposta
vascolare a stimoli diversi con aumento della permeabilità dovuto alla liberazione di mediatori chimici
vasoattivi (istamina e simili) dai mastociti e dai basofili. Quando l'effetto edemigeno interessa lo strato
profondo del derma e del sottocute, si realizza il quadro deII'angioedema che è scarsamente o per nulla
pruriginoso poiché negli strati cutanei profondi sono scarsamente rappresentati i mastociti e le terminazioni
nervose sensitive. L'orticaria e l'angioedema, a causa della loro frequente associazione, vengono accomunati
in un'unica entità clinica: Ia sindrome orticaria-angioedema (SOA). La SOA può essere classificata in:
1.
acuta: durata inferiore a 4-6 settimane;
2.
cronica: durata superiore a 6 settimane, ulteriormente divisa in:
a) continua (pomfi quotidiani);
b) ricorrente (intervalli di uno o più giorni);
c) intermittente (intervalli di settimane o mesi).
Il 15-20% della popolazione nel corso della vita può presentare almeno un episodio di orticaria.
II pomfo è la lesione elementare primitiva che caratterizza l'orticaria. I pomfi si sviluppano in breve tempo, da
alcuni secondi a pochi minuti, e scompaiono di regola in poche ore. L'eruzione orticariosa è quasi sempre
pruriginosa, accompagnata da altre sensazioni come bruciore, dolore, formicolio. Nella SOA cronica
l'eruzione pomfoide è sovente notturna e il prurito è in questo caso molto avvertito; questo fenomeno sembra
dovuto ai bassi livelli notturni di cortisolo. Alla sintomatologia cutanea si associano talvolta sintomi e segni di
carattere sistemico a carico delle prime vie aeree e digestive o delle articolazioni.
Le cause principali (in ordine di frequenza) sono farmaci, alimenti e infezioni.
I meccanismi patogenetici vengono classificati in immunologici e extraimmunologici.
SOA da meccanismi immunologici
La SOA IgE-mediata è la classica orticaria allergica e il pomfo rappresenta l’espressione della reazione
immunologica che avviene sulla superficie del mastocita o del basofilo tra due molecole contigue di IgE
fissate sulla membrana cellulare e l'allergene specifico. II contatto con l'antigene stimola i mastociti
sensibilizzati che riversano all'esterno i propri mediatori. Gli allergeni possono essere: pollini, inalanti, alimenti,
lieviti e farmaci quali la penicillina, alcuni ormoni (insulina), enzimi, sieri eterologhi e il veleno di alcuni insetti
(imenotteri).
La SOA da immunocomplessi circolanti si manifesta quando questi, superato il vallo endoteliale, si depositano
nel derma o nella sottomucosa vasale e attivano la cascata complementare oppure interagiscono con le
membrane dei fagociti mononucleati o delle piastrine. Possono indurre una SOA da IC alcuni virus
(mononucleosi infettiva, epatite B e C, coxackievirus), batteri (stafilococchi e streptococchi, micobatteri),
miceti e clamidie, antigeni nucleari in corso di LES o altre connettivopatie, antigeni di derivazione neoplastica
o da altre malattie linfoproliferative (anche se di difficile documentazione), immunoglobuline modificate tipo
le crioglobuline.
SOA da meccanismi extraimmunologici
La maggior parte dei casi è sostenuta dall'attivazione diretta dei mastociti cutanei; esistono infatti numerose
sostanze in grado di svolgere attività mastocitolitica diretta.
L'attivazione non immunologica della cascata del complemento è un ulteriore meccanismo, promosso da
alcuni farmaci, mezzi di contrasto, alcuni antigeni di origine batterica, endotossine e il veleno di alcuni
serpenti. La SOA da attivazione del "sistema delle chinine" è sostenuta dall’attività vasodilatante,
permeabilizzante e stimolante delle terminazioni nervose esercitata dalle chinine.
Un’altra causa è l’alterato metabolismo dell’acido arachidonico, dovuto a FANS e acido acetilsalicilico. È
spesso accompagnato da asma, e sembra dovuta all’eccessiva produzione di leucotrieni.
Orticaria cronica idiopatica
È Ia forma più frequente tra tutte le orticarie e ha una incidenza del 70-80%
È un’eruzione pomfoide accompagnata o meno da angioedema, a comparsa giornaliera, che persiste oltre
le 6 settimane e nella quale l'agente eziologico fondamentale resta sconosciuto.
Si può osservare in entrambi i sessi, con una leggera prevalenza nelle donne adulte. Il decorso della malattia è
imprevedibile. Dal punto di vista clinico le lesioni pomfoidi hanno forma e grandezza variabili. Durante gli
episodi acuti è frequente osservare l'angioedema localizzato in particolar modo alle palpebre e alle labbra.
Concause e/o aggravanti sono:
1.
farmaci (penicillina, aspirina);
2.
alimenti (attraverso meccanismo allergico o liberando istamina) e additivi;
3.
infezioni;
4.
punture di imenotteri (possono dare anche shock anafilattico);
5.
anticorpi IgG rivolti contro i recettori delle IgE;
6.
fattori psichici (per azione dei neuropeptidi liberati dalle fibre nervose sensitive).
Orticarie fisiche
Sono indotte, in maniera riproducibile, da fattori ambientali. Rappresentano il 20% di tutte le orticarie
croniche; prevalgono nei giovani adulti e sono più frequenti nelle donne.

ORTICARIA
DERMOGRAFICA:
consiste
in
una
risposta
eritemato-edematosa
della
cute,
pruriginosa
(dermografismo sintomatico) oppure no (dermografismo semplice), che si evidenzia dopo pochi minuti in
sede di sfregamento (seguita poi dai pomfi). È la forma più frequente.

ORTICARIA-ANGIOEDEMA
DA PRESSIONE:
si caratterizza per il fatto che i sintomi si verificano 4-8 ore dopo lo
stimolo. Interessa prevalentemente gli uomini (80%). Le manifestazioni si manifestano tipicamente nelle
zone di maggiore compressione degli indumenti (elastici, cinture).

ORTICARIA
A FRIGORE:
si manifesta con la comparsa di pomfi e/o angioedema dopo esposizione al freddo
(aria, acqua, oggetti o cibi freddi).

ORTICARIA
DA CALORE LOCALIZZATO:
è rara, caratterizzata dalla comparsa di pomfi nelle sedi di contatto con
fonti di calore. Insorgono dopo 5-10 minuti e durano per un’ora.

ORTICARIA
COLINERGICA:
si caratterizza per I’insorgenza di piccoli pomfi circondati da un’area eritematosa
dovuta al riscaldamento della superficie corporea dopo un esercizio fisico e conseguente sudorazione,
dopo una doccia calda, al passaggio brusco da un ambiente freddo a uno caldo, oppure a una
situazione di stress psichico. L’eruzione cutanea interessa in particolare Ia metà superiore del tronco, il
collo, e la parte prossimale degli arti; sono in genere risparmiate Ie ascelle, le regioni palmo-plantari e il
volto. Il prurito è di solito presente e i pomfi hanno per lo più una localizzazione perifollicolare. L’eruzione
cutanea fa la sua comparsa 5-30 minuti dopo lo stimolo, e può persistere anche per tre ore. La maggior
parte dei pazienti tende a migliorare spontaneamente durante l’estate; colpisce con più frequenza i
maschi in età giovanile.

ORTICARIA SOLARE: è una rara malattia nella quale una breve esposizione al sole, oppure a sorgenti artificiali
di radiazioni elettromagnetiche, determina lo sviluppo di pomfi in 1-3 minuti.
Orticaria vasculitica
È una sindrome caratterizzata da pomfi che, all’esame istologico, rivelano una vasculite leucocitoclasica (o
necrotizzante). Prevale nel sesso femminile ed è riscontrabile nel 5% dei pazienti con orticaria cronica. I pomfi
sono prevalentemente di piccole-medie dimensioni, durano 2-3 giorni, possono essere dolorosi e regrediscono
lasciando talvolta esiti purpurici; il prurito è assente o di modesta entità. La lesione cutanea può essere
accompagnata talvolta da sintomi di carattere generale come febbre, artralgie, dolori addominali o toracici,
glomerulonefrite e uveite.
Orticaria da contatto
Rappresenta una risposta della cute sana al semplice contatto con alcune sostanze rapidamente assorbibili
(come ortica, lattice, sostanze chimiche, farmaci). La reazione cutanea è immediata (20-30 minuti) e persiste
per 12-24 ore; è possibile tuttavia osservare anche una insorgenza ritardata (3-5 ore), dovuta probabilmente a
un riassorbimento cutaneo più lento. Si verifica senza un precedente stato di sensibilizzazione, ed è più
frequentemente dovuta a meccanismi extraimmunologici. Dal punto vista clinico si possono osservare quadri
sia localizzati sia generalizzati.
Angioedema ereditario
È una malattia autosomica dominante dovuta a deficit dell’inibitore della prima frazione del complemento
(C1-INH), caratterizzata dalla comparsa di crisi edematose che possono interessare ogni parte del corpo, con
una durata da 36 ore a 5 giorni. Generalmente non è associato a orticaria.
Angioedema acquisito
Compare dopo i 40 anni di vita, in pazienti con malattie linfoproliferative e neoplastiche, senza storia familiare
di angioedema. Esiste anche una forma autoimmune. Clinicamente è uguale alla forma ereditaria.
C’è una massiva attivazione della via classica del complemento, che spiega i bassi livelli plasmatici di C1
(elemento caratteristico che manca nella forma ereditaria); inoltre il profilo del complemento è caratterizzato
da deficit di C1-INH, di C4 e di C2.
Terapia
Nella SOA la terapia ideale è l’eliminazione e l’allontanamento della causa e/o la prevenzione; la terapia
farmacologia, infatti, è soltanto un intervento sintomatico. I pazienti con orticaria cronica devono, per quanto
possibile, eliminare tutti i fattori e Ie sostanze che notoriamente sono in grado di scatenare o aggravare
un’eruzione orticariana, quali acido acetilsalicilico e altri farmaci antinfiammatori non steroidei, codeina, ACEinibitori, alcune bevande colorate, alcol, crostacei, e stress fisici ed emozionali.
La terapia sintomatica è basata essenzialmente sull’uso di farmaci in grado di contrastare l’istamina e gli altri
mediatori coinvolti, in particolare gli
ANTISTAMINICI
(per via sistemica), di prima e seconda generazione, che
bloccano i recettori H1 e H2. Si possono utilizzare anche farmaci stabilizzanti la membrana (come l’ OXATOMIDE)
che agiscono sia sui recettori che sui mastociti, impedendone la degranulazione. Tra di essi c’è la
NIFEDIPINA,
che inibisce la pompa per il calcio.
Il cortisone non va mai dato! Infatti, blocca tutti i meccanismi che entrano in gioco nella SOA, compresi quelli
che la limitano. Sembra addirittura che le orticarie divengano croniche per effetto del cortisone. In ogni caso,
l’orticaria o si risolve da sola, o diventa cronica: è quindi sconsigliabile instaurare una terapia cortisonica
cronica, in quanto ha sì un effetto immediato, ma la sintomatologia riprende dopo la sua metabolizzazione.
DERMATITE ATOPICA
È la forma cutanea dell’ATOPIA: l’individuo risponde in modo esagerato a stimoli comuni. È una sindrome
multifattoriale, familiare, con trasmissione autosomica recessiva, caratterizzata sul piano clinico da una
dermatite pruriginosa a evoluzione cronico-recidivante, e sul piano biologico da un’iperreattività cutanea. Il
sintomo fondamentale è il prurito, che risulta insopportabile.
Essa si associa in un’elevata percentuale di casi a malattie atopiche extra-cutanee (soprattutto asma e rinite
allergica) e si caratterizza in oltre il 60% dei casi per Ia presenza anticorpi IgE diretti contro allergeni ubiquitari
(che però non possono essere la causa, altrimenti ci sarebbero in tutti i pazienti), per la presenza di un
infiltrato linfocitario di tipo helper, prevalentemente Th2, e per il fenotipo particolare delle cellule di
Langerhans che esprimono recettori ad alta e bassa affinità per le IgE.
Il meccanismo patogenetico è cellulo-mediato e anticorpo-mediato (IgE). La dermatite atopica è
caratterizzata da una diminuzione delle funzioni di barriera cutanee, sostanzialmente per una diminuzione dei
ceramidi epidermici, comprovata da un aumento della perdita d’acqua transepidermica. Il danno di barriera
facilita la penetrazione di molecole irritanti e/o sensibilizzanti (allergeni e apteni), capaci di attivare i
cheratinociti (e le cellule di Langerhans), con secrezione di citochine e con conseguente facilitazione del
reclutamento delle cellule circolanti e della loro infiltrazione cutanea.
È una patologia tipica dell’età pediatrica; la maggior parte dei casi insorgono entro il primo anno. Nel 5% dei
casi le prime manifestazioni della malattia si possono osservare nell’adolescenza e nella giovinezza.
1.
Lattante e primi due anni: le lesioni, localizzate prevalentemente al viso (crosta lattea in testa e
arrossamento intorno alla bocca), ma anche nell’area del pannolino, hanno un aspetto eczematoso:
macule eritematose, secche, con desquamazione pitiriasica, meno frequentemente essudanti, ricoperte
da squamo-croste.
L’eruzione ha durata variabile, da alcuni giorni a settimane, e sono facilmente
presenti sovrinfezioni piogeniche da St. aureus. Tende a diminuire verso il terzo anno di vita.
2.
Infanzia e adolescenza: l’eruzione, sempre pruriginosa, tende a circoscriversi a sedi elettive, come le
regioni di piega dei gomiti e delle ginocchia, il collo e il dorso delle mani, dove la cute assume un aspetto
lichenificato (colore grigiastro, ispessimento), a margini sufficientemente ben definiti con marcate lesioni
da grattamento. Se non trattate durano molti mesi.
3.
Giovinezza e maturità: le lesioni si presentano come placche Iichenificate, talora con papule-prurigo (di
pochi mm di diametro, eritematose, con margini ben definiti, escoriate alla sommità) e con lesioni
nummulari. L’eruzione è ancora più focalizzata (nuca, scroto e caviglie), e con maggiore tendenza alla
persistenza.
La xerosi o secchezza cutanea si riscontra in oltre l’80% dei casi.
La
CHEILITE ATOPICA
si manifesta con lesioni eritematose, in genere secche e desquamanti che colpiscono le
labbra e regione periorale. Il risparmio del triangolo naso-mentoniero si associa spesso al pallore facciale,
come segno di una vasocostrizione che è alla base del dermografismo bianco.
La
DERMATITE CRONICA DELLE MANI
si presenta ora con macule eritematose, desquamanti, con tendenza alla
formazione di ragadi, ora con vescicole e squame “disidrosiche” della superficie laterale delle dita e del
palmo, ora con eritema, edema, desquamazione persistente e ragadi dei polpastrelli. È più frequente nelle
donne con sensibilizzazione da contatto, in genere aI nichel.
La dermatite atopica può essere complicata da infezioni batteriche (St. aureus), virali (herpesvirus) e fungine
(Trichophyton rubrum).
La diagnosi è clinica. Gli esami bioumorali più significativi sono rappresentati dal dosaggio delle IgE sieriche (in
genere elevato) e dalla determinazione degli anticorpi lgE verso i più comuni allergeni inalanti e alimentari. Gli
allergeni possono essere ricercati con test in vivo sulla cute o in vitro sul siero. Il test in vivo utilizzato oggi si
chiama PRICK
TEST
e consiste in una puntura nella cute con un ago imbevuto della soluzione allergenica. La
lettura del test è immediata dopo 5-30 minuti: il test è positivo se compare un pomfo orticarioide con
pseudopodi; è indotto dalla degranulazione dei mastociti sensibilizzati al contatto con l’allergene. II grado di
positività si esprime secondo una scala da 1+ a 3+++ a seconda deII’ampiezza del pomfo (non è comunque
molto importante, e anzi, l’esposizione a certe sostanze può essere peggiorativa). I test in vitro più usati sono
radioimmunologici (RAST) o immunoenzimatici (ELISA).
È importante la prevenzione, consistente nell’evitare quei fattori che la peggiorano.

Acqua: a causa della carenza di lipidi nella cute, la cheratina raccoglie e trattiene l’acqua, che,
evaporando, lascia sali e sostanze irritanti. È quindi opportuno asciugare bene la pelle, soprattutto a livello
retroauricolare, palpebrale e del cavo popliteo.

Esposizione ai detergenti: in quanto eliminano il film lipidico. È preferibile utilizzare un disinfettante
(permanganato di potassio in soluzione) per il bagno (immersione più strofinamento). È astringente e
abbassa la carica batterica, che ha azione irritante. Si usa una compressa in due di litri di acqua.

Uso di lana e sintetici: la prima ha un’azione irritante meccanica, i secondi non fanno traspirare la pelle. È
meglio utilizzare cotone, lino e seta,

Esposizione alle polveri ambientali: danno irritazione. Sono particolarmente frequenti in biblioteca (la
polvere di carta è molto irritante), in ambienti comunitari, nei giardini, e in cuscini, divani, materassi.

Uso di cosmetici: in particolare le creme idratanti, che contengono acqua emulsionante.

Umidità.

Forfora di animali domestici.

Farmaci: in particolare FANS e cortisone; quest’ultimo non deve essere dato ne per via topica ne per via
sistemica, in quanto dà una dermatite acuta che può cronicizzate. Si può eventualmente somministrare
negli episodi acuti.

Stress psichico: nei bambini si riscontrano eventi stressogeni precedenti gli episodi (discordie con genitori e
fratelli, problemi a scuola,…).

Alimenti: non hanno implicazioni nella determinazione della malattia. Alcuni alimenti possono però
peggiorarla. È quindi meglio indagare, soprattutto per quanto riguarda uova, latte e formaggio.
Per quanto riguarda la terapia, si può trattare con catrame minerale, che ha potere riducente (il catrame dà
carcinoma nel topo, ma non nell’uomo!). D’estate è utile andare in vacanza al mare (elioterapia), perché il
sole deprime la risposta immunitaria.
DERMATITE ALLERGICA DA CONTATTO
È molto frequente sia nell’ambiente lavorativo che extraprofessionale. La dermatite da contatto professionale
rappresenta la seconda malattia professionale, e il 50% di queste dermatiti è di natura allergica. Gli apteni
che inducono più DAC sono il nichel (30%), il cromo (7%), il cobalto (7%), i profumi (6%) e il mercurio (4%).
Gli agenti eziologici sono allergeni incompleti o apteni, che penetrano nell’epidermide e interagiscono con
molecole proteiche diventando antigeni completi, immunogeni. L’antigene viene presentato dalle cellule di
Langerhans e delle cellule dendritiche dermiche ai linfociti T vergini nella zona paracorticale dei linfonodi
regionali, che proliferano, diventano cellule con memoria immunologica specifica ed esprimono un recettore
specifico (CLA) che ne condiziona la ricircolazione preferenziale nella cute, completando così la fase di
sensibilizzazione che si svolge in circa 5-7 giorni. La reintroduzione dell’antigene nell’organismo sensibilizzato
induce la fase di elicitazione, che si manifesta in 24-72 ore, e che impegna i linfociti T antigene-specifici Th1 a
spingersi nella zona di riapplicazione dell’antigene, a liberare citochine capaci di indurre il danno tissutale
congiuntamente alle citochine liberate dai polimorfonucleati e monociti richiamati nella cute.
Nella polisensibilizzazione si tratta di allergie da contatto a due o più apteni; nel caso della sensibilizzazione
crociata l’allergia si manifesta verso sostanze con stretta affinità di composizione chimica, o che diviene tale
per processi metabolici. Se sono fondamentali i fattori esogeni di rischio legati all’esposizione all’aptene, una
notevole importanza rivestono anche i fattori di predisposizione come l’atopia.
Le lesioni obiettive si manifestano sempre nella sede, o sedi, di contatto (lesioni primitive); nella maggior parte
dei casi esse si estendono oltre l’area di applicazione diretta della sostanza allergizzante; in alcuni casi si
osservano manifestazioni a distanza apparentemente senza legame con il contatto con l’aptene (lesioni
secondarie].
Le lesioni di più frequente riscontro sono macule eritematose, edematose, seguite da vescicole
SPONGIOTICHE
di
piccola taglia (a “capocchia di spillo”), raggruppate, che evolvono in una fase essudativa sierosa, con
successiva formazione di croste e squame. Quasi sempre accompagnate da prurito, le lesioni possono
rimanere localizzate nella sede iniziale per mesi, oppure regredire in giorni o settimane, oppure ancora
estendersi a zone vicine o diffondersi a distanza. La DAC tende a recidivare in seguito a nuovi contatti con
l’allergene originale o altri allergeni per reazioni crociate.
La DAC complica spesso Ie ulcere vascolari degli arti inferiori, particolarmente quelle da insufficienza venosa
cronica, conferendo un aspetto vescico-essudativo; Ia causa prevalente è costituita dai medicamenti topici,
che rappresentano la causa più frequente della sensibilizzazione da contatto negli anziani.
La diagnosi si basa sull’anamnesi, sulla clinica e sulla positività dei test epicutanei o
PATCH TEST.
I test epicutanei
consistono neII’applicazione, su una zona di cute indenne, degli apteni sospetti, in genere veicolati in
sostanze a diversa solubilità, in concentrazioni predeterminate, inferiori alla soglia media di irritazione. II
materiale viene deposto su opportuni supporti e applicato sulla cute per mezzo di dispositivi capaci di
garantire una perfetta adesione alla cute; viene poi rimosso dopo 48-72 ore. La positività del test si basa sulla
comparsa di una reattività cutanea che può esprimersi con la presenza di un eritema (+) oppure di eritema e
vescicole (++) oppure di eritema molto intenso, con numerose vescico-bolle (+++). Se si sospetta una
fotoallergia, si esegue il
FOTOPATCH TEST,
che consiste nell’applicazione di una doppia serie di apteni,
nell’irradiazione di una sola serie dopo 24 ore, e nella lettura del test dopo altre 48 ore; in caso di positività solo
la zona irradiata mostrerà la reattività cutanea.
La terapia consiste, oltre all’evitare gli allergeni se possibile, nell’applicazione di corticosteroidi topici, e, nelle
fasi avanzate, di emollienti e idratanti, per proteggere in modo sufficiente la barriera cutanea alterata.
15/11/00
Psoriasi
È un disordine maturativo, non degenerativo né infettivo, che si presenta come una dermatite eritematosquamosa a decorso cronico, che prevede fasi di miglioramento, di remissione spontanea e di
esacerbazione. Si associa spesso a una artropatia. Ha una genesi multifattoriale, a cui concorrono fattori
genetici e ambientali. È caratterizzata da una iperproliferazione dei cheratinociti e dall'infiltrazione di Iinfociti
T attivati, prevalentemente Th1.
Non c'è differenza tra i sessi, anche se le donne tendono ad ammalarsi più precocemente; la maggior paste
dei casi si sviluppa entro la terza decade di vita. Nei bambini la psoriasi compare tra i 5 e i 12 anni di vita,
spesso in modo eruttivo dopo una tonsillite streptococcica o una vaccinazione. La familiarità è dimostrata in
più di un terzo dei casi (autosomica dominante a ridotta penetranza). La spondilite psoriasica si associa a HLAB27: è una poliartrite molto invalidante, che non permette l’assunzione di FANS e retinoidi.
II passaggio tra la forma latente, genomica, e la forma clinicamente evidente, fenotipica, della psoriasi si
realizza per l'intervento di una sene fattori scatenanti endogeni ed esogeni.

Traumi: sono noti per indurre il fenomeno dell'isomorfismo reattivo (fenomeno di Koebner), cioè Ia
comparsa di una lesione psoriasica nella sede del trauma, a distanza di 1-2 settimane. Responsabili di tale
fenomeno si ritiene possano essere Ie citochine liberate dai cheratinociti o dai dendrociti dermici che
indurrebbero un'attivazione delle cellule endoteliali, con espressione di molecole di adesione con
richiamo e attivazione dei linfociti e conseguente reazione infiammatoria della malattia.

Fattori endocrini: si ha peggioramento nel periodo premestruale, e i picchi di incidenza sono in
corrispondenza di pubertà e menopausa.

Fattori ambientali: l'esposizione al sole e i bagni di mare (eliobalneoterapia) rappresentano un fattore di
miglioramento, anche se alcuni soggetti fotosensibili possono peggiorare per una sorta di fenomeno di
Koebner indotto dagli UV.

Stress: in oltre il 75% dei casi le recidive e le esacerbazioni sono precedute da stress.

Farmaci: esacerbazioni possono essere indotte da -bloccanti, litio, antimalarici, FANS, progesterone e
cortisone, soprattutto per via sistemica.

Fumo: sembra giocare un ruolo importante, anche in funzione della dose.
Ha un andamento cronico, con numerose riacutizzazioni, miglioramenti e talora persistenti remissioni (nel 1755% dei casi, con durata da 1 a 50 anni).
In genere l'esordio precoce è predittivo di una maggiore gravita della psoriasi. Inoltre i farmaci impiegati per
la terapia condizionano la prognosi, anche per gli effetti collaterali che possono provocare trattamenti
prolungati. È importante evitare un eccesso terapeutico e introdurre pause tra i cicli di cura, modulando la
terapia non sulla cura della singola lesione, ma sull'espressività clinica complessiva della malattia.
Le alterazioni più evidenti nella cute psoriasica sono l’iperplasia epidermica ( ACANTOSI) e la flogosi
dermoepidermica con ispessimento (PAPILLOMATOSI); responsabili sono le citochine sintetizzate da cheratinociti,
linfociti T, fibroblasti, endoteliociti, cellule di Langerhans e dendrociti.
L'iperplasia epidermica si accompagna a un aumento del ritmo mitotico di circa 8 volte, per cui un
cheratinocita basale raggiunge lo strato corneo in 4 giorni circa invece dei 28 soliti. Si ha quindi un difetto di
maturazione (il cheratinocita cresce troppo in fretta e non matura completamente), con formazione di uno
STRATO PARACHERATOSICO,
in cui i cheratinociti hanno ancora il nucleo (nelle zone vicine alla lesione le cellule
crescono normalmente). Il secondo evento biologico rilevante nella psoriasi è la presenza di linfociti T attivati
infiltrati nelle giunzioni, con formazione di microascessi.
La lesione elementare è una maculo-papula eritemato-squamosa, generalmente arrotondata, dai bordi netti.
Le squame sono biancastre, secche, in genere piuttosto grandi e spesse. L'asportazione avviene facilmente; il
grattamento metodico delle squame le "sfarina", come gocce di cera (segno della goccia), lasciando una
ultima pellicola piuttosto aderente (pellicola di Duncan) che, asportata, fa intravedere un fine stillicidio
ematico (segno della rugiada).
L’eritema è ben evidente alla periferia della lesione, scompare alla vitropressione e può essere circondato da
un alone chiaro. Nella maggior parte dei casi la lesione è asintomatica. Le dimensioni variano da pochi mm
(forma guttata), a qualche cm (forma nummulare), a una decina di cm e oltre (forma in placche).
Psoriasi volgare
È localizzata alle superfici estensorie dei gomiti e delle ginocchia, alla regione lombosacrale, al cuoio
capelluto e alle mani. Le lesioni sono costituite da placche di forma rotondeggiante o ovalare, a bordi netti,
infiltrate, spesso simmetriche. II decorso è cronico. Al cuoio capelluto le placche possono essere isolate o
confluire fino a coprire larga parte del cuoio capelluto, con una linea precisa di demarcazione
all’attaccatura dei capelli, il cui aspetto e la cui crescita non vengono compromessi. Alla superficie
palmoplantare la psoriasi può assumere un aspetto ipercheratosico, con fissurazioni ragadiformi, o può
presentarsi con lesioni ipercheratosiche circoscritte, a forma di cono (chiodi psoriasici).
Psoriasi eruttiva
La psoriasi guttata e Ia psoriasi nummulare rappresentano le forme più frequenti di psoriasi eruttiva.
Nella forma guttata gli elementi papulosi sono di piccola taglia (1 cm) con localizzazione preferenziale.al
tronco; in quella nummulare la taglia è Iievemente più grande (4 cm), l'aspetto anulare, il colore rosso intenso
e le lesioni interessano il tronco e gli arti.
Psoriasi intertriginosa
Nelle zone delle grandi pieghe soprattutto nei soggetti obesi e/o diabetici, le lesioni psoriasiche si manifestano
come macule eritematose, lisce, lucenti, spesso macerate, prive di squame.
Psoriasi universale
Può estendersi a quasi tutto l'ambito cutaneo; la desquamazione é particolarmente abbondante, mentre
1'eritema è modesto.
Eritrodermia
In genere questa grave condizione morbosa si osserva per errori terapeutici (più frequentemente per la
sospensione improvvisa della terapia steroidea sistemica), molto raramente rappresenta la modalità di
esordio. La cute è intensamente eritematosa, subedematosa, finemente desquamante: è presente una
linfoadenite superficiale generalizzata; spesso si riscontrano febbre con brividi, astenia, malessere generale. Se
l'eritrodermia permane per alcuni giorni, può subentrare uno scompenso cardiocircolatorio.
Psoriasi ungueale
Le alterazioni più frequenti sono: le depressioni cupoliformi, le chiazze a macchia d'olio, l’onicolisi (distacco
della lamina dal letto ungueali), l’ipercheratosi subungueale, anomalie di superficie della lamina ungueale,
emorragie "a scheggia". Sono dovute al fatto che l’unghia cresce tropo velocemente e non riesce a saldarsi
(diventa opaca e si stacca dal letto ungueale).
Psoriasi pustolosa
È una forma violenta, caratterizzata dalla presenza di molte micropustole amicrobiche.
Terapia
La psoriasi volgare si avvale soprattutto di emollienti (per esempio vaselina alba) e cheratolitici (come acido
salicilico al 5%), in genere associati, per ottenere l'allontanamento delle squame, necessario per il successo di
ogni terapia locale. Allontanate le squame, si usano topici a base di
DITRANOLO (O METOTREXATE),
applicati per 30
minuti per cicli di 30 giorni circa. L’effetto collaterale, in questo caso, può essere un'irritazione cutanea. Allo
stesso modo si possono utilizzare anche prodotti topici a base di analoghi della vitamina D 3 (CALCITRIOLO) o di
derivati degli acidi retinoidi. Questi ultimi sono derivati della vitamina A (i cheratinociti non hanno recettori per
questa vitamina, ma per l’acido retinoico sì), che, una volta entrati nella cellula, si legano al nucleo e
stimolano la proliferazione e la differenziazione delle cellule normali (mentre nelle cellule tumorali rallentano la
replicazione). Possono essere dati per via topica (TAZAROTENE) o per via orale (ACITRETIN) Effetti collaterali possibili
di un loro uso corretto sono le irritazioni. È ottimo anche il catrame.
I topici cortisonici vengono impiegati per localizzazioni particolari, come il viso, i genitali, le regioni di piega,
specialmente se le lesioni sono particolarmente infiammate; sono utili, uniti all'acido salicilico, nelle
localizzazioni al cuoio capelluto; è comunque sempre meglio evitarli.
Di fronte a psoriasi in placca estese a oltre il 50% della superficie cutanea, o resistenti alle terapie topiche, si
impiegano (spesso si associano) terapie fisiche con UVA o UVB.
Molto efficace si è rivelata la
FOTOCHEMIOTERAPIA,
che prevede l'associazione di sostanze fotoattive, psoraleni e
UVA (PUVA). Gli psoraleni, attivati dagli UVA, si legano essenzialmente a due catene del DNA, formando un
legame crociato intercatenario, e provocando un effetto antimitotico sui cheratinociti, impedendo così
l'iperplasia epidermica. La PUVA terapia può essere effettuata anche localmente. Gli effetti collaterali
principali sono i potenziali rischi cancerogeni cutanei nei soggetti trattati per lunghi periodi.
Casi resistenti alla PUVA-TERAPIA possono essere trattati con retinoidi aromatici (isotretinoina) da soli o associati
alla PUVA-terapia. Effetti collaterali importanti sono la teratogenicità oltre che alterazioni metaboliche a
carico dei trigliceridi, del colesterolo e della funzione epatica, riscontrabili in oltre il 20% dei casi.
Di grande efficacia si è rilevata la
CICLOSPORINA
A, probabilmente per la sua capacità di agire sull'attivazione
dei linfociti T helper, impedendone l'espansione, e quindi controllando l'immunoflogosi. I maggiori effetti
collaterali sono l'ipertensione e la glomerulonefropatia. Viene usata nella psoriasi grave e incontrollabile.
Di grande utilità è la eliobalneoterapia, capace di indurre notevoli miglioramenti e la regressione in oltre l'80%
dei casi.
DERMATITE SEBORROICA
La dermatite seborroica è un’affezione eczematiforme delle regioni ad alta secrezione sebacea. È una delle
più frequenti affezioni cutanee. Rara prima della pubertà, la dermatite seborroica raggiunge la sua massima
incidenza verso il quarto e quinto decennio, con una decisa preferenza per il sesso maschile e per taluni
gruppi dì soggetti che hanno in comune la vita alla luce artificiale (allettati, carcerati, lavoratori ai
videoterminali ecc.).
Si manifesta con una chiazza eritematosa a sfumatura giallastra, ricoperta da squame larghe, untuose e
facilmente distaccabili. Nelle fasi più acute, sotto la squama si evidenzia una superficie lievemente essudante.
Il prurito è di solito limitato (ma socialmente imbarazzante) alle lesioni del cuoio capelluto e a quelle auricolari,
dove il grattamento può portare a superinfezioni batteriche.
Le lesioni si localizzano soprattutto alle zone seborroiche: cuoio capelluto (95%), volto (in particolare alle
pieghe nasali), glabella e zone retroauricolari (72%) e alle aree mediotoraciche e interscapolari (30%) . Più di
rado sono colpite le pieghe interglutee e i genitali esterni. Al volto la lesione può estendersi “a farfalla” ,
oppure, nei soggetti con baffi e barba, alle zone coperte da peli. Blefarite e congiuntivite possono associarsi o
essere anche isolate. La conca auricolare e il condotto acustico esterno sono facilmente interessati.
Il decorso è cronico, con episodi acuti e tipiche remissioni estive. La dermatite seborroica può comportarsi da
stimolo di Koebner e trapassare insensibilmente in psoriasi nel soggetto geneticamente predisposto.
Nel bambino inizia tra la seconda settimana e il terzo mese, con lesioni desquamative del cuoio capelluto che
ricoprono come un casco (crosta lattea) e della parte centrale del volto. Molti casi guariscono
spontaneamente dopo il terzo mese, per riprendere in età adulta, talora, generalmente nelle forme estese,
con caratteri francamente psoriasici. Certe forme si riveleranno essere in seguito dermatiti atopiche.
Il 31% dei soggetti HIV-positivi asintomatici e l’83% di quelli affetti da AIDS sviluppano una dermatite seborroica
grave ed estesa con lesioni papulose e infiammatorie che possono risparmiare il cuoio capelluto, talora
assumendo aspetti psoriasiformi.
È dovuta a un disturbo metabolico della crescita (forse dovuto a miceti come
MALASEZZIA FURFUR),
che risulta
accelerata, con formazione di paracheratosi (non è maligna né contagiosa). Lo stress è un fattore
scatenante gli episodi acuti, seguito da abusi alimentari e eccesso di alcool.
Si cura con riducenti seborroici e antimicotici. È meglio non utilizzare i corticosteroidi, in quanto possono
indurre gonfiore e eritrosi persistente.
Lichen planus
È una dermatite papulosa cronica con possibili episodi acuti, talvolta a carattere eruttivo. Insorge tra i 30 e i 70
anni, in entrambi i sessi.
È una malattia autoimmune, nella quale un processo citotossico, mediato da linfociti T, attacca e distrugge i
cheratinociti in replicazione nell'epidermide e/o del pelo e delle unghie. I cheratinociti aggrediti possono
esprimere sulla loro superficie un antigene sicuramente eterogeneo o condividere epitopi comuni con altri
epiteliociti danneggiati. Gli antigeni eterogenei possono essere di natura tossica (farmaci), virale (HBV e HCV)
o aptenica (da contatto). Gli epiteliociti aggrediti primitivamente possono essere quelli epatocitari, dei duttuli
biliari, della mucosa intestinale, della vescica. Istologicamente è visibile un infiltrato linfocitario alla giunzione
dermoepidermica, con ipergranulosi e acantosi. Talora il danno è tale che si osserva un distacco
dermoepidermico.
La lesione elementare è una papula poligonale di piccole dimensioni, violacea, molto pruriginosa, capace di
confluire con papule vicine a formare placche più estese. Nella forma classica, che si può osservare sulla
faccia volare del polso, le papule sono di colore rosso violaceo con diametro di 1-2 mm, percorse da esili strie
biancastre (strie di Wickham), meglio visibili quando viene unta la superficie della papula con olio di vaselina.
Le papule possono interessare altre aree e perfino tutto l'ambito corporeo. Di regola, il prurito è intenso, ma
può anche essere modesto o mancare del tutto.
II lichen assume aspetti diversi a seconda della sede. Alla zona pretibiale il lichen assume caratteri ipertrofici
verrucosi ed è particolarmente pruriginoso (lichen verrucosus), mentre nei genitali maschili le papule si
raggruppano in forma anulare. Forme meno comuni sono:

lichen ulcerativo, tipico dell'anziano, caratterizzato da ulcere plantari, perdita permanente delle unghie
dei piedi e alopecia cicatriziale;

lichen follicolare, in cui alcune o tutte le papule sono follicolari, spinose, acuminate e portano spesso ad
alopecia cicatriziale permanente al cuoio capelluto;

lichen bolloso: al posto delle papule sono presenti bolle, e può risultare mortale. In genere è dovuto a
farmaci.
Le mucose sono frequentemente colpite. Nella forma classica la faccia interna e posteriore delle guance
presenta striature biancastre, lucide, talvolta reticolate, talaltra confluenti in placche. Anche le labbra e la
lingua, quest'ultima nella sua porzione centrale, possono presentare lesioni analoghe. Nella forma erosiva
(lichen erosivo), invece, labbra e lingua sono colpite preferenzialmente con erosioni superficiali.
Il lichen orale è considerato una lesione precancerosa, anche se il rischio relativo è solo doppio rispetto a
quello della popolazione generale. È probabile che altri fattori, come il fumo di sigaretta, debbano coagire.
Le unghie, colpite nel 10% dei casi, appaiono ruvide, solcate longitudinalmente, assottigliate e talora distrutte.
II Iichen può associarsi a malattie viscerali della stessa natura, come colite ulcerosa, epatite cronica attiva
postvirale da HBV o HCV, cirrosi biliare primitiva.
Le lesioni cutanee non meritano di solito terapia generale (sparisce da solo entro sei mesi, ma può tornare),
ma solo medicazioni con un corticosteroide topico. Quando è necessario (lichen erosivo e forme acute), la
terapia è generale e immunosoppressiva.
Vitiligine
È una comune malattia acquisita, caratterizzata da macule o chiazze ben circoscritte, ameIanotiche o
ipomelanotiche, nelle quali istologicamente i melanociti sono assenti o ridotti di numero.
È probabilmente dovuta ad alterazioni intrinseche o neurogeniche dei melanociti, che inducono la
formazione di neoantigeni, con conseguente risposta autoimmune, che causa a sua volta un danno
citotossico, responsabile di alterazioni metaboliche, in primis la formazione di radicali liberi dell'ossigeno, non
eliminati efficacemente per un difetto dei sistemi scavengers. Si ha un movimento anticorpale poco specifico.
La vitiligine può comparire a qualsiasi età, ma più spesso prima dei 20 anni, e lentamente progredisce (la
forma famigliare inizia intorno ai 40 anni). Le macule ipomelanotiche o amelanotiche frequentemente
esordiscono in maniera simmetrica su aree fotoesposte (viso e dorso delle mani): sono rotonde od ovali,
tendono ad allargarsi e a confluire in chiazze dal contorno irregolarmente frastagliato, che sono abbastanza
spesso ipermelanocitiche alla periferia.
Talvolta si possono osservare contemporaneamente gradualità di pigmentazione melanica (vitiligine
tricromica) ossia aree normalmente melanotiche di cute apparentemente sana, aree di colore più chiaro e
aree amelanotiche. Si distinguono tre forme.
1.
La forma focale è costituita da una o poche macule o chiazze circoscritte in una determinata regione .
2.
La forma segmentaria è caratterizzata da lesioni unilaterali a distribuzione metamerica o quasi.
3.
Nella vitiligine generalizzata (la più comune) le macule sono simmetriche, disposte preferibilmente nelle
aree fotoesposte in sede estensoria e periorifiziale. La forma universale, associata spesso a disordini
endocrini multipli, è estesa a quasi tutto l'ambito cutaneo con poche aree di cute sana residua.
I peli, presenti nelle macule o nelle chiazze, restano frequentemente pigmentati, ma nelle lesioni di lunga
durata diventano grigi o bianchi. Le mucose sono raramente interessate.
Le anomalie cutanee più frequentemente associate sono i nevi di Sutton, che generalmente precedono Ia
vitiligine. Può associarsi a malattie autoimmuni, come la tiroidite autoimmune.
II decorso è cronico con lenta progressione, anche se talvolta ci può essere un rapido peggioramento in
qualche mese, seguito poi da quiescenza per anni: la repigmentazione spontanea avviene nel 10-20% dei
soggetti affetti, soprattutto giovani, e in aree fotoesposte.
Terapia
Nella stagione estiva è necessario l'uso topico di sostanze fotoprotettrici. La terapia elettiva è ritenuta la
fototerapia con UVB.
Nelle forme circoscritte croniche si utilizzano con successo gli autoinnesti di cute sana o di lamine di
cheratinociti e melanociti autologhi espansi in laboratorio.
Nell'eventualità di una vitiligine universale si può attuare la depigmentazione delle aree di cute normale.
ACNE
Per acne si intende un processo infiammatorio delle unità follicolo-sebacee caratterizzato da papule, pustole
e talvolta noduli ed esiti cicatriziali, la cui lesione elementare è il comedone. Il comedone è una dilatazione
dell'infundibolo del pelo contenente soprattutto cheratina, ma anche lipidi, pigmenti melanici, batteri
microaerobi (specialmente Propionibacteriun acnes) e peli. Si distinguono comedoni aperti, con orifizio
dilatato, di colore scuro per l’ossidazione (punti neri), oppure bianchi (contenenti solo cheratina), e comedoni
chiusi, con orifizio molto piccolo (punti sottopelle), vere microcisti follicolari.
Acni endogene
ACNE VOLGARE O GIOVANILE
Esordisce alla pubertà; è rara l'insorgenza in età più precoce e la durata oltre i 30 anni.
L'elemento patogenetico fondamentale sono le alterazioni della cheratinizzazione della parte inferiore
deII'infundibolo, struttura che, a differenza della parte superiore o esterna, di norma non cheratinizza. Questo
fenomeno, probabilmente indotto dagli ormoni, accompagnato da un'aumentata adesività dei cheratinociti,
è responsabile dell'ostruzione dell'infundibolo e quindi della formazione del comedone.
La secrezione sebacea è aumentata, quale effetto ulteriore dagli androgeni, ma la ghiandola sebacea
annessa al comedone è atrofica.
AII'interno del comedone, la quota lipidica viene idrolizzata dalle lipasi di P. acnes, con conseguente
liberazione di acidi grassi liberi. Attraverso la parete del comedone, in parte lisata dalle proteasi batteriche, gli
acidi grassi filtrano nel derma richiamando neutrofili. Questi aggravano il danno epiteliale e producono un
focolaio infiammatorio il cui essudato, ricco di neutrofili, forma la pustola follicolare. La rottura traumatica (da
schiacciamento) del comedone chiuso aggrava il fenomeno, facendo passare quantità massicce dì acidi
grassi nel derma circostante
La dieta non è importante. È comune che l'acne si aggravi nell'immediato periodo che precede le
mestruazioni, forse come conseguenza della ritenzione idrica e deII'aumento dell'idratazione dell'unità
follicolo-sebacea. È anche comune osservare un miglioramento in estate, probabilmente come effetto
dell’azione immunosoppressiva dei raggi ultravioletti e del mascheramento esercitato dall'abbronzatura.
Nella donna, l'acne costituisce, insieme aII'ipertricosi e aII'alopecia, uno dei sintomi dell’ovaio policistico.
Le sedi elettive sono il viso, il dorso, le spalle e la regione pettorale; le lesioni, in genere polimorfe, si presentano
in successione cronologica: prima di tipo non infiammatorio poi francamente infiammatorie, con fasi di
remissione e fasi di peggioramento variabili per anni, spesso con attenuazione dopo i 20 anni di età.
Dal punto di vista morfologico, si distinguono acni comedoniche dominate dai comedoni aperti e chiusi.
Dopo tempi variabili, compaiono papule eritematose sparse e papulo-pustole, che configurano lo stadio
dell'acne papulo-pustolosa molto comune prima dei 20 anni. In casi più gravi possono insorgere lesioni
nodulari e cistiche con tendenza all'ascessualizzazione (acne nodulo-cistica). Gli esiti sono variabili, e possono
consistere in discromie transitorie oppure in cicatrici, spesso depresse, raramente ipertrofiche o addirittura
cheloidi (acne cheloidea).
Nelle forme lievi è preferibile usare soltanto prodotti
locali in grado di normalizzare il processo di
cheratinizzazione a livello dell’ostio follicolare come l'acido retinoico (l’uso topico non ha controindicazioni,
nemmeno in gravidanza), oppure sostanze ad azione antibiotica-antisettica.
Nelle forme più impegnative si ricorre all'uso sistemico, combinato spesso alla terapia locale, di antibiotici (no
tetracicline!), antiandrogeni e estrogeni.
L'isotretinoina o acido 13-cis-retinoico per via sistemica va riservata alle forme gravi di acne (acne nodulocistica), resistenti alle altre terapie, in quanto è sicuramente teratogena e può comportare numerosi effetti
collaterali: elevazione dei livelli di colesterolo e trigliceridi, metaplasia calcificante dei tendini, ipertensione
endocranica e depressione.
Gii antiandrogeni, usati in associazione con un estrogeno e impiegati soltanto in pazienti di sesso femmine,
hanno un'azione inibente Ia produzione del sebo.
ACNE CONGLOBATA
Si tratta di una forma cronica grave di acne, caratterizzata da lesioni nodulari e cistiche, isolate e confluenti,
con frequente pseudo ascessualizzazione (il pus è sterile o contiene di norma batteri residenti). Colpisce
prevalentemente i maschi.
Non rara, inizia aIla pubertà e dura anche dopo i 40 anni. Il viso è classicamente risparmiato, mentre il dorso e
la regione prestemale sono le sedi tipiche.
Il decorso è estremamente cronico e l'amiloidosi renale è una possibile e temibile conseguenza. È probabile
che sia in gioco una particolare reattività immunitaria.
La terapia si fonda sull'isotretinoina.
Acni esogene
Possono avere diverse cause.

IATROGENA: può essere causata da ioduri e bromuri, rifampicina, isoniazide, barbiturici, vitamina B 12, ma
soprattutto da androgeni, corticosteroidi e alcuni antidepressivi.

MECCANICA: dovuta a traumi ripetuti in alcune zone particolari da parte di indumenti o attrezzature sportive
o militari tipo elmetti, fibbie, ecc.

COSMETICA: conseguente aII'uso di sostanze comedogeniche (lanolina, oli minerali) contenute in alcuni
cosmetici; si manifesta prevalentemente in sede periorale.
In Italia, le malattie a trasmissione sessuale più frequenti sono i condilomi acuminati, le uretriti e le
cervicovaginiti non gonococciche, l’herpes genitale, le uretriti gonococciche, la lue latente e la lue primitivasecondaria.
È un’infezione cronica causata da
TREPONEMA PALLIDUM ,
abitualmente caratterizzata da manifestazioni cliniche
della cute e delle mucose, occasionalmente di altri organi e apparati. T REPONEMA PALLIDUM è una spirocheta a
cavatappi, in grado di penetrare attraverso minuscole abrasioni delle mucose, molto mobile e delicato, che
muore rapidamente al di fuori dell’organismo e si colora poco. La trasmissione della malattia avviene
abitualmente per contagio diretto per via sessuale o per via transplacentare (madre-bambino);
eccezionalmente per contatti non sessuali o tramite oggetti.
In Italia l’incidenza è diminuita enormemente negli ultimi anni; è più frequente tra giovani militari,
tossicodipendenti e prostitute.
SIFILIDE PRIMARIA
Dopo un periodo di incubazione di circa 3 settimane si manifestano i due segni del periodo primario: il SIFILOMA
e l’ADENITE
SATELLITE.
Il
SIFILOMA
compare nella sede di contatto con il Treponema; di solito è unico. Si presenta
come un nodulo rosso-scuro, eroso, rotondeggiante, con fondo di colorito rosso vivo, sieroso, a margini netti,
delle dimensioni di qualche mm, con bordi duri, indolente. Si possono osservare sifilomi atipici per dimensioni,
aspetto (ulcerosi, gangrenosi, difteroidi) e per numero (sifilomi multipli). La sede è normalmente genitale; ci
possono comunque essere localizzazioni extra-genitali (ano, labbro inferiore, tonsille, capezzolo, pube, collo
dell’utero). Il sifiloma guarisce senza esiti, raramente con una atrofia, entro 4-6 settimane circa. Quasi
contemporaneamente al sifiloma compare una
LINFADENITE SATELLITE:
i linfonodi sono duri, mobili, indolenti,
multipli, grandi da una nocciola a una noce. La diagnosi clinica viene confermata dalla positività della
ricerca di Treponema dal materiale sieroso del fondo del sifiloma con l’esame diretto al microscopio in
campo oscuro (paraboloide). Gli esami sierologici si positivizzano a distanza di pochi giorni dal sifiloma.
SIFILIDE SECONDARIA
Due mesi dopo il contagio, e quindi dopo circa 30 giorni dalla comparsa del sifiloma, in un quarto dei casi non
trattati, in seguito alla diffusione ematica di Treponema, compaiono le lesioni polimorfe del periodo
secondario, che si può prolungare per 2-3 anni.
La
ROSEOLA
rappresenta la prima manifestazione esantematica a distanza di 60-70 giorni dal contagio.
L’eruzione è composta da un gran numero di macule di colorito roseo, di alcuni millimetri, piane,
rotondeggianti o ovali, a limiti sfumati, non desquamanti; esse sono localizzate soprattutto al tronco e alle
superfici flessorie degli arti superiori; persistono per pochi giorni e scompaiono senza esiti. L’eruzione è
asintomatica, ma il paziente lamenta spesso cefalea, dolori ossei notturni, artromialgie, gastralgie e
deperimento generale come segno della compromissione generale dell’organismo.
II SIFILODERMA PAPULOSO LENTICOLARE si manifesta dopo 3-4 mesi dal contagio. Si presenta con eruzioni subentranti di
papule lenticolari di colore rosso rameico, con bordi netti, indolenti, che possono presentare alla periferia un
orletto di desquamazione (orletto di Biett), e si risolvono con una macula pigmentaria. Sono disseminate sulla
superficie cutanea o si raggruppano soprattutto a livello palmoplantare e in regione genitale e perianale,
dove confluiscono in placche grigiastre, erosive, maleodoranti (CONDILOMI PIANI).
Le manifestazioni della lue secondaria regrediscono in 1-2 mesi, ma in un quarto dei casi non trattati
recidivano una o più volte, con lesioni più grandi e a più lenta risoluzione.
SIFILIDE TERZIARIA
Dopo il periodo secondario inizia una fase asintomatica, chiamata di latenza tardiva, destinata a rimanere
tale nella maggior parte del casi. Le lesioni del periodo terziario, oggi rarissime, presentano un decorso
cronico e degenerativo, sono poco numerose e in genere monomorfe. Possono interessare solo la cute e/o le
mucose oppure compromettere altri tessuti.
A livello cutaneo Ie manifestazioni sono rappresentate da noduli, di colore rossastro, di piccole dimensioni,
raggruppati in figurazioni anulari, con tendenza necrotico-ulcerativa, evoluzione cicatriziale al centro ed
estensione periferica, localizzate prevalentemente al viso e agli arti inferiori. Le manifestazioni più caratteristiche del periodo terziario sono Ie gomme cutaneo-mucose. Inizialmente si presentano come noduli duri,
tondeggianti, a limiti netti, di colorito rosso cupo, che aumentano di volume, aderiscono ai piani profondi e si
fistolizzano con fuoriuscita di materiale vischioso, gommoso. La gromma si ulcera ed esita lentamente in una
cicatrice biancastra, liscia, retratta e deturpante. I noduli possono essere presenti anche a livello osseo.
Il treponema può passare la barriera ematoencefalica, e si può manifestare come demenza precoce o tabe
dorsale (colpendo i vasi o i nervi). Possono crearsi anche reazioni autoimmuni che proseguono
indipendentemente dall’eliminazione del microrganismo.
DIAGNOSI
La ricerca diretta, a fresco, del treponema si effettua nelle lesioni primitivo-secondarie abitate, usando un
microscopio a campo oscuro.
La diagnosi seriologica è fondamentale. Si utilizzano due metodiche, in genere associate:
1.
VDRL: svela la presenza di anticorpi diretti contro l’antigene lipoideo ubiquitario, positivizzandosi sette
giorni dopo dalla comparsa del sifiloma; ha una buona sensibilità, ma è aspecifica;
2.
TPHA: è una reazione di emoagglutinazione che testa anticorpi specifici. È molto sensibile e specifica, e
resta positiva per tutta la vita.
L’istologia non è specifica: si può rilevare la presenza di plasmacellule.
TERAPIA
È molto sensibile alla penicillina; se ne somministrano 7-10 milioni di unità per intramuscolo (meglio le
preparazioni ritardo). In caso di neurosifilide si dà penicillina per infusione continua (ev) per quindici giorni.
Causata da Neisseria gonorrhoeae, I'Infezione determina a livello della mucosa urogenitale (e congiuntivale)
una flogosi acuta purulenta.
È un diplococco Gram-negativo con sede prevalentemente intracellulare, che aggredisce i polimorfonucleati
e gli epiteliociti. Una volta fagocitato dai fagociti, attrae migliaia di neutrofili, con produzione di pus.
In condizioni favorevoli di temperatura (37°C) e di umidità, vive e si moltiplica anche al di fuori dell'organismo
umano, permettendo la trasmissione anche attraverso biancheria infetta. L'incubazione dura da 2 a 10 giorni.
L’uretrite anteriore acuta è tipica del maschio eterosessuale; la malattia si caratterizza per la essudazione
uretrale di materiale, inizialmente sieroso e scarso, che, nel giro di 1-2 giorni, diviene abbondante, gialloverdastro. Si accompagna senso di bruciore, dolore, disuria e nicturia. Può essere presente un’infiammazione
acuta del glande e del prepuzio (balanopostite), con erosioni ed edema più o meno rilevante, sino ad una
condizione di fimosi prepuziale. L'infezione può estendersi per via canalicolare ascendente alla prostata, alle
vescicole seminali e all'epididimo, causando processi infiammatori.
Nel maschio omosessuale l'infezione gonococcica può interessare anche la regione ano-rettale (proctite) e Ia
faringe (faringite).
Nel sesso femminile, la manifestazione più frequente è l’endocervicite, raramente acuta, quasi sempre di
modesta entità (bruciore e lievi perdite), con scarso essudato sieroso. Può risalire dando endometrite,
salpingite e peritonite, causando infertilità. Può manifestarsi anche con proctite, faringite e uretrite (rara). Nei
Paesi in via di sviluppo si osserva ancora la congiuntivite gonococcica per contagio del neonato durante il
passaggio nel canale del parto (da noi si fa profilassi con un collirio alla nascita). È una flogosi acuta,
purulenta, che può complicarsi con una panoftalmite e conseguente cecità.
Gli accertamenti diagnostici si basano sul reperimento del gonococco nelle secrezioni: nell’uomo si ricerca
nella secrezione uretrale, mentre nella donna è più difficile, e bisogna ricorrere all’esame microbiologico
colturale del sangue.
Si cura con
TETRACICLINA CLORIDRATO,
o, in caso di resistenza, con
DOXICICLINA
(dato che molti ceppi sono resistenti
alla penicillina). È opportuno controllare il paziente a distanza, nel tempi opportuni. per escludere un'infezione
luetica o da HIV.
Le clamidie sono batteri di piccolissime dimensioni, parassiti intracellulari obbligati (formano prima corpi
reticolari, e poi corpi elementari), Gram-negativi, che si riproducono solo in colture cellulari. Diversi sierotipi
possono dare manifestazioni diverse. È un’infezione frequente in Italia, soprattutto nei giovani di 20-25 anni.
LINFOGRANULOMA VENEREO
È causato dal ceppo L, ed è raro dalle nostre parti.
La lesione iniziale, quasi sempre presente, è un'erosione di circa 5 mm, rosso-rosea, non infiltrata, indolente,
che scompare in pochi giorni senza esiti (ulcera adenogena). La sede è quella dell'inoculo. A distanza di
pochi giorni o alcune settimane insorge la linfadenopatia inguinale, inizialmente monolaterale, spesso
associata a linfangite. Possono essere presenti febbre, cefalea, artralgie, e può comparire un eritema
polimorfo o nodoso. Si cura con TETRACICLINE o ERITROMICINA nei casi resistenti.
INFEZIONI GENITALI
È causato dai ceppi D e K, ed è frequente nel nostro paese.
Vengono soprattutto nei giovani adulti intorno ai 20 anni, celibi. La metà dei bambini nati da madri con
infezioni da Chlamydia sviluppa la congiuntivite. Il periodo di incubazione varia da 7 a 14 giorni.
II 40-80% dei soggetti infetti va incontro soltanto a una sintomatologia assai lieve e transitoria e neII'arco di
pochi mesi sembra verificarsi una guarigione spontanea.
NeII'uomo si manifesta con uretrite di modesta entità, siero-mucosa, purulenta, mentre nelle donne la
manifestazione più frequente è l’endocervicite che decorre asintomatica nell'80% dei casi.
Le complicanze possono essere gravi, rappresentate da infezioni delle vie genitali superiori, con possibili esiti di
sterilità. La diagnosi si fa con l’immunofluorescenza.
Si cura con MACROLIDI e TETRACICLINE, somministrate per una settimana a dose piena.
La terapia topica (o locale) è in grado di risolvere una patologia cutanea spesso da sola, oppure può essere
impiegata come integrazione di una terapia sistemica.
La penetrazione nella cute del farmaco scelto è condizionata dal veicolo in cui è posto (crema, unguento,
soluzione ecc.), dal tipo di medicazione che si intende effettuare (aperta, occlusiva, con bendaggio), dalla
sede di applicazione, dalla patologia cutanea e daII'estensione dell'area trattata. La concentrazione di un
farmaco usato topicamente diminuisce generalmente dalla superficie cutanea al tessuto sottocutaneo.
II farmaco scelto può avere talvolta effetti irritanti primari: la maggior parte delle sostanze ha potenziale
sensibilizzante, ma alcune sono indubbiamente più a rischio, e altre possono avere capacità di
fotosensibilizzazione. Certe dermatosi sono caratterizzate da scarsa tolleranza generale alla terapia topica
(come alcune forme d’eczema e la psoriasi in fase d’attivazione); in tali casi bisogna iniziare la terapia con
prodotti semplici a bassa attività per procedere poi con farmaci più potenti .
A seconda della penetrazione che si vuole ottenere, si sceglie il tipo più opportuno di preparazlone
dermatologica, caratterizzata dal veicolo o eccipiente. Il veicolo, semplice o composto, costituisce la
struttura fondamentale
delle
preparazioni dermatologiche esterne, e, sebbene
generalmente
sia
farmacologicamente inerte, talvolta può compartecipare come medicamento vero e proprio.
La scelta del preparato dermatologico deriva anche dal tipo di lesione cutanea, dalla sua estensione e dalla
sede corporea interessata. Le dermatosi essudanti, per esempio, richiedono impacchi o toccature o bagni
con soluzioni, e solo in fase successiva possono essere trattate con paste magre.
Per patologie molto estese si può ricorrere all'uso di bagni generali: in tali casi Ia concentrazione del farmaco
attivo deve essere molto bassa per ridurre il rischio dell'assorbimento. Nelle zone pilifere è opportuno
prescrivere prevalentemente soluzioni. In caso di patologie caratterizzate da superficie molto secca è
preferibile l'uso di paste grasse o di unguenti.
1.
Emollienti: sono oli e sostanze grasse in generale, che, applicate sulla cute, sono in grado di renderla più
morbida, provocando un aumento del contenuto lipidico nello strato corneo e diminuendo la perdita
d'acqua transepidermica. Le creme, che sono costituite da grasso o olio in gocce disperse in acqua,
determinano un effetto emolliente più naturale, in quanto compenetrano lo strato corneo creando una
miscela con i lipidi interlamellari.
2.
Lenitivi: Un preparato a uso topico ha un'azione lenitiva quando allevia un'irritazione cutanea di qualsiasi
causa. Può essere definita lenitiva anche l'azione di un prodotto che rende soffice una cute ruvida e
screpolata. D'altra parte è lenitivo anche l'effetto antinfiammatorio procurato da parecchi farmaci veri e
propri, come i cortisonici. Nella pratica dermatologica la sostanza più usata con finalità lenitiva è la
glicerina o glicerolo, un prodotto sintetico privo di tossicità, ben tollerato che, applicato sulla cute in varie
concentrazioni, svolge azione idratante, emolliente, quindi lenitiva.
3.
Riducenti: riducono Ia crescita epiteliale (ittiolo, alcuni catrami vegetali, antralina, resorcina e zolfo).
Alcune di queste sostanze hanno contemporaneo effetto cheratolitico.
4.
Cheratolici-desquamanti: sono cheratolitiche le sostanze che lisano la cheratina e quelle che aumentano
la desquamazione con meccanismo irritativo. L'acido salicilico, il benzoil-perossido, l'urea, l'acido
azelaico, Io zolfo e la resorcina sono le sostanze più usate in concentrazioni variabili; molte di esse hanno
anche attività antimicotica e antibatterica.
5.
Irritanti-rubefacenti: sono sostanze come l'ittiolo, Ia cantaridina, il capsico e il balsamo deI Perù, che,
applicate sulla cute, liberano mediatori dell'infiammazione e danno iperemia con conseguente senso di
caldo e talvolta di iperestesia.
6.
Caustici-escarotici e esfolianti: una sostanza è caustica quando, applicata, causa distruzione di tessuto
ed è escarotica quando produce escara attraverso la precipitazione delle proteine cellulari o
dell'essudato (fenolo, initrato d'argento). Le sostanze caustiche vengono usate per produrre peeling
superficiale (o epidermico), di media profondità (interessante anche il derma papillare) e profondo
(interessante anche parte del derma reticolare).
7.
Antisettici o germicidi: gli antisettici sono farmaci che inibiscono lo sviluppo dei germi con cui vengono in
contatto (azione batteriostatica) o che li distruggono (azione battericida). I disinfettanti sono agenti
capaci di uccidere i germi patogeni se posti a contatto con essi in concentrazione adeguata (sono
utilizzati su oggetti inanimati).
8.
Antibiotici: sono sostanze naturali (sintetizzate da microrganismi), sintetiche o semisintetiche, attive
prevalentemente contro i batteri ma anche contro altri microrganismi: possono avere attività
batteriostatica e battericida con spettro variabile verso Gram-positivi e Gram-negativi. Il loro uso topico è
limitato per il rischio di sensibilizzazione. L'eritromicina, agisce per inibizione della sintesi proteica
ribosomiale ed è batteriostatica.
9.
Steroidi: gli effetti prodotti dagli steroidi sono: antinfiammatorio, vasocostrittore e antimitotico. L'attività
antinfiammatoria si realizza attraverso una diminuita produzione di prostaglandine e di citochine,
stabilizzazione lisosomiale con blocco del rilascio di mediatori mastocitari, inibizione dei fibrociti, ecc. La
vasocostrizione è dovuta alla stabilizzazione della parete vasale con restituzione della sensibilità all'azione
catecolaminica. L'effetto antimitotico si esercita sull'epidermide con rallentamento del suo turnover
cheratinocitario. L'assorbimento dipende da fattori intrinseci allo steroide e al veicolo, dal tipo di
medicazione effettuata e da fattori intrinseci all'area cutanea trattata. La funzione deposito esercitata
dallo strato corneo (per cui lo steroide viene rilasciato all'epidermide in tempi variabili) e la tachifilassi
(tolleranza alIo steroide dopo ripetute applicazioni) sono altri fattori condizionanti l’attività dei vari
preparati. Gli effetti collaterali locali possibili (atrofia cutanea, strie distese, discromie, ipertricosi, effetto
proinfettivo, granuloma gluteale, scatenamento di alcune patologie come la dermatite periorale e la
dermatite allergica da contatto) sono in relazione spesso con molecole potenti e con applicazioni
protratte. A queste stesse molecole è da imputare l’“effetto rimbalzo” o "recidiva in estensione": Ia
sospensione del farmaco comporta talvolta una ripresa della malattia con caratteristiche cliniche più
gravi e più estese di quelle di partenza. Gli effetti negativi sistemici (molto rari) dipendono dalla quota di
steroide assorbito con conseguente azione soppressiva dell'asse ipotalamo-ipofisi-surrene: ciò può
avvenire più facilmente nella prima infanzia.
I farmaci possono dare reazioni tossiche sia quando sono applicati sulla cute, sia quando sono somministrati
per os. Nel primo caso, si può avere una reazione sia topica che sistemica. In entrambi i casi si può avere
fotoreazione: circa il 50% dei farmaci è fotoreattivo (tra cui antibiotici e pillola).
ESANTEMA TOSSICO-ALLERGICO
È difficile distinguerlo da quello infettivo, ma è importante farlo perché se il farmaco non viene sospeso, la
situazione continua a peggiorare. Purtroppo non ci sono criteri precisi per la diagnosi differenziale; in genere
non sono presenti esantema (esantema delle mucose) e linfoadenopatie. Non è comunque facile, perché i
bambini che prendono antibiotici non stavano già bene prima, e quindi possono avere i linfonodi ingrossati
per altre cause.
Può essere di diversi tipi (maculoso, maculo-papuloso, morbilliforme), e in genere insorge entro due settimane
dalla somministrazione (dopo pochi giorni se c’è già stata sensibilizzazione). Può interessare le regioni
palmoplantari, e svanisce prima nelle regioni interessate inizialmente. Tutti i farmaci possono causarlo, in
particolare l’ampicillina, i FANS e sulfamidici.
ERITEMA FISSO DA MEDICAMENTO
Compare nella sede della medicazione; sono presenti chiazze, anche bollose. A una seconda applicazione
compare la stessa manifestazione.
Nel 60% dei casi viene sul corpo, nel restante 40% sui genitali, e può far pensare a malattie veneree.
SINDROME DI STEVEN-JOHNSON
Si manifesta intorno alle zone di passaggio cute-mucosa (labbra, genitali, occhi), ossia le strutture periorifiziali.
Si ha comparsa di bolle, eruzioni, bruciori e disepitelizzazione. La localizzazione al cavo orale può impedire
l’alimentazione.
I maggiori responsabili sono FANS e psicofarmaci (carbamazepina e barbiturici). È una reazione tossicoallergica, legata all’individuo e dose-indipendente. Può succedere già alla prima assunzione, ed è un
fenomeno molto grave.
SINDROME DI LYELL (o necrolisi epidermica tossica)
È rara, ma gravissima, insorge entro ventiquattro ore e colpisce le mucose e tutta la cute. È mortale nella
maggior parte dei casi, perché non esiste ancora una terapia.
Queste sono le reazioni più gravi, che hanno assunto importanza dopo la nascita delle terapie antiretrovirali e
oncosoppressive: ultimamente stanno aumentando.
La reazione da farmaco deve essere diagnosticata subito! Bisogna avvalersi dell’anamnesi e osservare
attentamente. Importante è la sequenza temporale: per essere imputabili a farmaci, i sintomi devono
insorgere entro ventiquattro ore.
I corticosteroidi alogenati, se usati a lungo nella stessa sede, possono causare atrofia della cute con
comparsa di angectasie, di ecchimosi e di striae distensae per frammentazione del tessuto elastico. Ciò si
verifica con maggior frequenza al volto e alle grandi pieghe, dove la cute è più sottile e l'assorbimento
maggiore. Nel neonato possono comparire a livello deII'area del pannolino anche lesioni nodulari rossastre
denominate “granuloma gluteale infantum”. I corticosteroidi topici facilitano inoltre infezioni secondarie
batteriche e micotiche e peggiorano quelle virali.
Infezioni piogeniche sono pure frequenti per applicazione di preparati a base di catrami e in particolare del
catrame minerale o coaltar.
Effetti indesiderati sistemici sono invece possibili con preparazioni contenenti acido salicilico, acido borico,
crisarobina o pirogallolo quando utilizzate su aree molto estese e particolarmente nei bambini in cui lo strato
corneo è più sottile e il rapporto fra superficie cutanea e massa corporea è circa tre volte maggiore che
nell'adulto. Si possono verificare danni neurologici, epatici e renali.
Un assorbimento con effetti sistemici è infine frequente per uso protratto su ampie superfici di cortisonici topici
a elevata attività, specie se questi prodotti vengono applicati con tecnica occlusiva, ossia ricoprendo la zona
trattata con un foglio di guttaperca o di plastica allo scopo di potenziarne Ia penetrazione.
FOTODERMATITE
Molti farmaci sono in grado di causarla (tra cui tiazidici, tetracicline, FANS, sulfamidici). La dermatite ha le
caratteristiche dell’eritema solare (ustione di primo grado; nei casi gravi sono presenti bolle e compromissione
dello stato generale), e la sua gravità dipende dalla dose del farmaco e dall’intensità dell’esposizione solare.
Compare rapidamente e può diventare vescico-bollosa entro ventiquattro ore.
L'ustione è una lesione causata dall'azione del calore sulla cute, ed è provocata dal fuoco o dal contatto con
liquidi o solidi surriscaldati. Ustioni particolari sono quelle provocate dal passaggio di corrente elettrica o dal
contatto con caustici.
L'entità del danno cutaneo è influenzata da quattro principali fattori:
1.
temperatura;
2.
durata dell'esposizione;
3.
natura dell’agente ustionante;
4.
spessore della cute nell’area ustionata (Ie ustioni al dorso e in sedi ricche di peli riparano meglio di quelle
che interessano cute sottile e glabra). I bambini e gli anziani hanno una prognosi peggiore.
II calore provoca una coagulazione delle proteine con inattivazione degli enzimi cellulari e necrosi tissutale. Ai
bordi dell'area necrotica si realizza un processo di reattività vascolare, che può progredire dalla stasi alla
trombosi e alla necrosi ulteriore, oppure evolvere favorevolmente verso un'iperemia attiva seguita da
riassorbimento dell'edema e guarigione.
L'azione dell'agente ustionante sui tessuti provoca inizialmente liberazione d'istamina e quindi vasodilatazione
venosa e liberazione di bradichinina, cui consegue vasocostrizione arteriolare. Seguono poi aumento della
permeabilità vasale con edema distrettuale e ulteriore liberazione di chinine, che attivano Ia diapedesi e
l'adesione dei polimorfonucleati alle pareti dei piccoli vasi con facili eventi trombotici. Tale processo si
completa nel giro di 2-3 giorni, il tempo di solito necessario per valutare adeguatamente la profondità del
danno da ustione.
Successivamente, con la lisi dei leucociti accumulati nei focolai di ustione, si liberano radicali dell'ossigeno,
che aggrediscono le pareti cellulari, provocando Ia liberazione di lipoperossidi e di prostanoidi edemigeni.
Alfine, le proteasi liberate dai leucociti e dai cheratinociti e la presenza di batteri contaminanti ritardano la
guarigione delle ustioni e ne condizionano un andamento sfavorevole rispetto a quello delle altre ferite.
il danno è prodotto non dal calore, ma dall'azione caustica di acidi o alcali che, a contatto con la cute,
provocano una denaturazione proteica cellulare e una necrosi coagulativa tissutale, che inizia sulla cute, ma
che si approfondisce nei giorni successivi per estensione verso i tessuti sottostanti.
Natura, concentrazione e durata dell'esposizione all'agente chimico causale sono i fattori che determinano
profondità ed estensione del danno.
Il calore che si sprigiona per effetto Joule è proporzionale alla resistenza dei tessuti organici al passaggio della
corrente. Il danno può cosi essere limitato sulla cute (poco resistente), e più esteso a livello di ossa e adipe.
Il punto d'ingresso della corrente è spesso riconoscibile come un'area depressa di necrosi circoscritta
profonda, mentre il punto d'uscita è di solito situato nelle superfici distali del corpo ed è più ampio e irregolare.
Tutti gli organi che si trovano lungo il tragitto della corrente possono riportare gravi danni con rischio per la vita
del paziente.
L’estensione e la profondità delle ustioni condizionano la gravità.
Le ustioni superficiali, che comprendono Ie ustioni di 1° grado e quelle di 2° grado superficiali, guariscono
spontaneamente con buon esito; le ustioni profonde, che comprendono le ustioni di 2° grado profondo e
quelle di 3° grado, non tendono alla guarigione o riparano con gravi sequele cicatriziali, per cui si impone il
loro trattamento chirurgico, tendenzialmente precoce, con escarectomia e con innesti cutanei.
USTIONI DI 1° GRADO
Sono caratterizzate istologicamente da un danno epidermico superficiale senza alterazione della giunzione
dermoepidermica e con congestione e dilatazione del plesso vasale superficiale e edema del derma.
Clinicamente sono presenti eritema, edema e bruciore che si attenuano in 2-3 giorni fino alla regressione
completa nel giro di una settimana, spesso con ampie esfoliazioni squamose superficiali. Nella maggioranza
dei casi, sono provocate da una eccessiva esposizione al sole o dal contatto con liquidi caldi.
USTIONI DI 2° GRADO
Nelle ustioni di 2° grado
SUPERFICIALI,
il quadro istologico è caratterizzato da un danno epidermico quasi
completo, con coinvolgimento della giunzione dennoepidermica e del derma papillare, e da un'alterazione
della funzione di barriera e del plesso vasale dermico con fuoriuscita di siero, che si accumula nelle flittene o
che esce dalle superfici dermiche disepitelizzate.
Clinicamente, si osservano eritema, edema e flittene a contenuto sieroso spesso ampie e lacerate. II dolore è
intenso e prolungato. La guarigione è spontanea, ma avviene nell'arco di due-tre settimane, con
riepitelizzazione a partenza dai residui epidermici presenti ai bordi delle lesioni o sul fondo delle stesse, in
conrisponza degli annessi ancora vitali.
Anche nelle ustioni di 2° grado
PROFONDE
si osservano eritema molto intenso, edema e flittene, ma il danno
epidermico è totale con estensione al derma papillare e medio e coinvolgimento delle strutture nervose
superficiali. Dolore e bruciore possono così risultare meno intensi che nelle ustioni superficiali. I tempi di
guarigione superano spesso le quattro settimane e, se non vengono anticipati dal ricorso a innesti
dermoepidermici, sono seguiti da esiti cicatriziali.
USTIONI DI 3° GRADO
Le ustioni di 3° grado, o ustioni a tutto spessore, sono rappresentate da escare di colorito pallido, grigiastro o
bruno. Il danno dermoepidermico è completo e talora si estende a sottocute, fasce e strutture muscolari e
scheletriche. Nel contesto dei focolai di ustione sono diffusamente presenti trombosi vasali e necrosi delle
strutture nervose, per cui la superficie ustionata risulta fredda e insensibile.
Le aree di cute necrotica corrispondenti alle escare da ustione, per l'assenza di residui cutanei vitali superstiti,
non mostrano alcuna tendenza alla riparazione. Il distacco spontaneo delle escare si realizza molto
lentamente per lisi colliquativa lungo il piano sottocutaneo o fasciale, favorita dall'inquinamento batterico e
dagli enzimi leucocitari.
L'unica riparazione possibile è chirurgica, con escarectomia tendenzialmente precoce e con autoinnesti
dermoepidermici.
ESTENSIONE
Un altro fattore che concorre a determinare la gravità di un'ustione è la sua estensione percentuale sull'intera
superficie corporea, calcolabile attraverso la “regola del nove" (testa 9%, arti superiori 18%, tronco e addome
36%, arti inferiori 36%).
Ogni ustione estesa a oltre il 30% della superficie corporea, non adeguatamente trattata, va inevitabilmente
incontro a
SHOCK DA USTIONE
(ipovolemico), che si caratterizza per la perdita selettiva di acqua, sali e proteine,
con concentrazione nel sangue degli elementi corpuscolati.
Fino al 75% dei grandi ustionati che supera la fase di shock decede poi per
SEPSI,
nonostante assistenza
intensiva e terapie antibiotiche. Questo perché, per difetto della protezione cutanea, le aree ustionate sono
facilmente invase da batteri esogeni e endogeni, che, sviluppandosi negli essudati fibrinosi e nei tessuti
necrotici, aggravano la profondità delle ustioni e promuovono la sepsi. L’inquinamento batterico (con
approfondimento dell’ustione) si verifica anche nelle piccole ustioni, con comparsa di uno stato settico
febbrile.
A seguito dello shock e della sepsi possono verificarsi complicanze a carico dei vari organi (broncopolmoniti,
insufficienza renale, emorragie, encefalopatie ischemiche o infettive, DIC).
In caso di ustioni estese, si deve innanzitutto provvedere alla ventilazione polmonare (maschera o
intubazione) e al controllo del sistema cardiocircolatorio, avviando la somministrazione di fluidi per via
parenterale (nelle prime otto ore si dà la metà del liquido previsto per la giornata; la restante parte viene
suddivisa nelle sei ore successive). Vanno inseriti un catetere uretrale a permanenza e un sondino
nasogastrico (per evitare polmoniti ab ingestis). Si procede poi alla sedazione del dolore e alla prima
medicazione, con soluzioni antisettiche blande, vuotando le flittene più ampie.
Per prevenire e trattare lo shock, ci sono due scuole di pensiero: infondere solo acqua e sali, e non proteine,
che verrebbero perse negli spazi extracellulari (come avviene a Niguarda), oppure infondere anche proteine.
Per evitare l’inquinamento batterico, l’ustionato deve essere alloggiato in una struttura specializzata, ed
essere sottoposto a regolare prelievo di tamponi batteriologici sui focalai di ustione; in caso di infezione
vengono usati antibiotici o immunoglobuline.
Ogni focolaio, indipendentemente dall’estensione, necessita di una terapia topica, effettuata mediante
farmaci antisettici: la soluzione più usata è la
SULFADIAZINA D’ARGENTO
in crema all’1%, che agisce sia aderendo
alla superficie della parete batterica, sia legandosi al DNA dei germi sensibili (compresi streptococchi e
stafilococchi).
In caso di ustioni circoscritte e non essudanti si possono usare pomate antibiotiche a base di gentamicina o
eritromicina; bisogna però tener presente che possono ritardare la riepitelizzazione (che viene frenata anche
dai corticosteroidi topici). Si usano anche garze grasse, medicate con acido jaluronico e sulfadiazina
d’argento, che mantengono la superficie umida, e possono essere rinnovate con sanguinamento e dolore
minimo.
Le ustioni profonde, che non tendono alla guarigione, necessitano di trattamento chirurgico, che consiste fondamentalmente nell’escarectomia e negli innesti dermoepidermici.
L’escarectomia può essere tangenziale (con un dermatomo a mano si allontanano strati successivi di tessuto
necrotico fino al raggiungimento di una superficie sanguinante) o alla fascia (più rara, per ustioni molto
profonde; con bisturi e forbici si sezionano i tessuti fino alla fascia muscolare). Deve essere compiuta il prima
possibile, in genere in terza o quarta giornata, quando lo shock è già superato e la profondità è definita. In
questo modo si riduce anche il rischio di sepsi e si migliora la possibilità di attecchimento di innesti
dermoepidermici, prelevati da aree di cute sana del paziente (più sono sottili migliore è l’attecchimento, ma il
risultato estetico è proporzionale allo spessore). I lembi vengono tagliati in reti per espanderli e permettere un
miglior drenaggio del sangue, e poi vengono fissati con punti metallici.
Segue una medicazione con tulle grasso già medicato o ricoperto da impacco di soluzioni debolmente
antisettiche, che favoriscano il processo di riepitelizzazione.
Se l’area è molto estesa, e la cute del paziente non basta, si può ricorrere a innesti allo genici (cute di
cadavere), xenogenici (cute di maiale) o compositi: questa metodica prevede una escarectomia precoce e
l’applicazione di cute di cadavere, che viene lasciata in sede per due settimane. Trascorso tale periodo, utile
per allestire colture di cheratinociti del paziente, si procede all’allontanamento con dermatomo
dell’epidermide dagli innesti di cute di cadavere e all’applicazione, sull’alloderma residuo ormai stabilmente
attecchito, dei cheratinociti coltivati autologhi.
La chirurgia plastica si occupa di:
1.
alterazioni congenite;
2.
alterazioni morfofunzionali;
3.
ustioni;
4.
ricostruzioni;
5.
estetica.
1.
Spina bifida: il chirurgo plastico deve ricostruire il mantello cutaneo, in collaborazione con il neurochirurgo.
È una malformazione (anomalia dei piani di fusione della colonna) caratterizzata da paralisi degli arti
inferiori e incontinenza.
2.
Nevo congenito (gigante o peloso): oltre a essere invalidante esteticamente, espone al rischio di
insorgenza di melanoma. Bisogna asportarlo e fare una ricostruzione immediata perché è considerato
una precancerosi. Si toglie fino al sottocute, e poi si impiantano innesti cutanei.
3.
Ipospadia: è dovuta alla mancata o incompleta fusione degli abbozzi del pene, con sbocco anomalo
prossimale dell’uretra, con foro nello scroto (più grave) o nel prepuzio. Dà difficoltà a urinare, impotenza e
sterilità.
4.
Pollice bifido: ci sono vari gradi di interessamento delle falangi distali / prossimali, fino ad arrivare alla
polidattilia.
5.
Sindattilia: è la fusione di più dita, a volte rientra in un quadro di malformazione sistemica (sindrome di
Huppert: craniostenosi, sindattilia).
6.
Labbro leporino: è dovuto a una mancata crescita del mesoderma. Il trattamento chirurgico dà un buon
risultato.
7.
Palatoschisi: a volte si associa con il labbro leporino in un’unica fessura, ma è una lesione diversa, dovuta
alla mancata fusione dei processi palatini.
La chirurgia maxillofacciale costituisce una parte della chirurgia plastica.
1.
Frattura mandibolare: si tratta con accesso interno o esterno; se è interessato l’angolo si fa un osteosintesi.
Le fratture del condilo non
richiedono intervento chirurgico perché è una zona troppo pericolosa;
guariscono con formazione del callo osseo. La mandibola lavora sul condilo controlaterale.
2.
Innesti cutanei: se è necessario coprire una zona in urgenza (perché sono scoperte ossa, cartilagini, nervi)
si può prendere tessuto in una zona e impiantarlo in un’altra purché sia dotato di vascolarizzazione e
innervazione.
Se necessita parecchia pelle, si può ricorrere all’ingegneria tissutale (coltivazione della cute) o
all’espansione, mediante un palloncino posto nel sottocute che viene gonfiato, producendo in questo
modo un incremento di mitosi e un aumento della deposizione di fibre collagene (non è solo distensione!
È neogenesi tissutale in seguito a uno stress positivo, che induce anche genesi dei vasi). L’espansore è in
silicone: può essere un sacchettino o un tubo vuoto (il migliore è curvilineo), in cui si inserisce soluzione
fisiologica in maniera progressiva, fino ad ottenere volume e forma desiderata. Gli espansori vanno
distribuiti intorno alla lesione, in modo che, una volta tolti, si possa cucire la cute espansa. È una tecnica
adatta per patologie malformative dei tegumenti, come angiomi (veri, fistole A-V, fibroangiomi e
angiolipomi), esiti cicatriziali (traumatici o da ustione), nei. È eseguita in un arco di tre mesi (un’espansione
alla settimana), e va fatta non prima di un anno.
Le cicatrici più belle sono quelle dell’anziano; quelle dei bambini sono in genere ipertrofiche, perché hanno
un metabolismo tumultuoso
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