Il profilo facebook di Zygmunt Bauman

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Il profilo facebook di Zygmunt Bauman
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Quando sabato pomeriggio Zygmunt Bauman sale sul palco della Sala
Sinopoli allAuditorium di Roma, il corteo contro la precarietà che si svolge a una manciata di
chilometri da qui ha iniziato ad “occupare” la spazio antistante il Colosseo. Di quelliniziativa non
arriva nessuna eco nella sala ovattata dove lo studioso polacco sta per prendere la parola. Eppure
alla precarietà Bauman ha dedicato molta attenzione, ritenendola una dei frutti avvelenati di quella
modernità liquida che sta analizzando da molti anni. Ma questa volta il tema che vuole affrontare è
Facebook, cioè di quella ultima rappresentazione della “cultura del confessionale” che Bauman
ritiene la forma assunta della pubblicizzazione del privato che caratterizza la comunicazione sociale
nella contemporaneità. Forse sarebbe stupito apprendere che quella manifestazione è stata
organizzata usando anche Facebook, attraverso la socializzazione e la condivisione di una condizione
che non prefigura nessun futuro, ma solo la stanca ripetizione di un grigio presente. Facebook è cioè
usato come medium per una prassi comunicativa e sociale che prende congedo dallo stigma della
modernità liquida, in base al quale non è prevista nessuna condivisione e socializzazione che tenda a
una critica dellesistente. Nella società liquida lunico elemento condiviso è, secondo Bauman, il
consumo. Questo non significa che la Rete possa essere usata per condividere sentimenti, punti di
vista su argomenti che hanno rilevanza nella discussione pubblica. In fondo, parlare della metafisica
del corpo può far contenti le imprese che vendono cosmetici, ma è pur sempre vero che il corpo non
coincide solo con creme o il bisturi di un chirurgo, ma vuol dire anche fare i conti con una
concenzione dei rapporti con gli umani che non prefigura nessuna smagliatura o imperfezioni. Ma
ciò che interessa lo studioso polacco è la messa in piazza della propria intimità, attraverso racconti e
una modlità espressiva che ricordano quella del confessionale.
Non è la prima volta che Bauman affronta la “cultura del confessionale”. Per anni ha letto
attentamente le lettere che molti lettori inviavano ai quotidiani inglesi per raccontare fatti privati,
chiedendo consigli su come affrontarte piccoli o grandi affanni quotidiani. Dal fitness alleducazione
dei figli, dalla sessualità più o meno convenzionale allostentazione del proprio corpo manipolato da
un bisturi, Bauman ha infatti guardato alla esternazione di sentimenti intimi come esemplificazioni
di unerosione del confine tra pubblico e privato che non lascia dubbi sulla crisi di unintera
concenzione e di norme che regolavano la vita associata. E quando la cultura del confessionale era
dilagata nella televisione, Bauman è diventato un attento spettatore di reality show e trasmissioni
dove la messa in pazza dei “fatti propri” erano conseguenza e, al tempo stesso motore della fluidità
che caratterizza ormai le norme dominanti nella modernità.
Adesso è la volta della Rete a finire sotto il suo microscopio, perché è nei social network che
lintimità viene sempre più messa in piazza.
Nellintervento allAuditorium, Bauman ammette che ha un suo profilo, aggiungendo così il suo nome
a quei cinquecento milioni di uomini e donne che passano su Facebook quasi quaranta minuti al
giorno. E spende parole ironiche verso linventore di Facebook, Mark Zuckerbeg, un giovane
letteralmente inciampato su un filone aureo – la comunicazione on line – che è riuscito a sfruttare
usando pochi accorgimenti informatici, portando la sua società ad avere un valore potenziale di 50
miliardi di dollari. Bauman non è interessato a stabilire se Zuckerberg abbia davvero “inventato” il
software alla base di Facebook o se abbia rubato lidea al suo iniziale socio per poi cacciarlo, come
suggerisce implicitamente il recente film Social Network o molte biografie non autorizzate sul
giovane americano. Lobiettivo di Bauman è la comprensione delle ragioni che hanno consentito a
facebook di diventare unimpresa globale di successo. Alla base di tutto cè il fatto che Mark
Zuckerger ha semplicemente soddisfatto una richiesta latente, dormiente: chi rende pubblico il suo
profilo vuol uscire dallanonimato, dal buio in cui la modernità liquida condanna a vivere la
maggioranza della popolazione. Con Facebook, invece, si diventa visibili, udibili, accessibili a tutti,
perché aiuta a sconfiggere la solitudine e a cancellare quel sentimento di emarginazione che
colpisce indipendentemente dal conto in banca degli utenti del social network. In altri termini,
Facebook soddisfa un bisogno di comunicazione per chi si sente un outsider.
Con lo stile piano che lo contraddistingue, Bauman si dilunga a molto sulla solitudine, una delle
piaghe della modernità liquida. Ma avverte subito: Internet non cattura la nostra umanità, ma
rispecchia lumanità, cioè le relazioni sociali. Zuckerberg fa certo affari con i nostri sentimenti, ma
laspetto più interessante che emerge da Facebook è il “mercato del riconoscimento”: chi ha un
profilo sul social network ha un pubblico – gli amici – che può dilatarsi allinverosimile, fino a
coinvolgere potenzialmente il mezzo miliardo di persone che si connettono al social network.
In questo “mercato del riconoscimento” accadono però cose strane. In primo luogo, molti utenti
affermano che Facebook fa sentire vicini persone che magari sono lontani; e che fanno sentire
lontano chi è già vicino. E questo non ha un mero risvolto geografico. Con Facebook uno dei fattori
rilevanti non è se i tuoi amici vivono o meno vicino a te, ma che è uno dispositivo comunicativo che
rispecchia la perdita di attrattiva della prossimità, cioè di quella presenza fisica ravvicinata, fattore
propedeutico alla possibilità di approfondire relazioni amicali o sentimentali. Da qui alla
constatazione della crisi del concetto i comunità il passo è breve. Non è un caso che una delle parole
più usate e abusate sia rete. La società è in rete, i singoli sono in rete, la politica è in rete. Le
relazioni sociali diventano reti sociali, bandendo dal lessico proprio la comunità, che diventa
sinonimo di nostalgia per un mondo che non cè più, un mondo dove la vita poteva essere
programmata, mantenendo così un carattere di prevedibilità. Facebook è, secondo Bauman, un
tappabuchi, un succedaneo della comunità, cioè una forma del vivere collettivo che poteva
penalizzare chi di distaccava o violava le norme che definivano lidentità della comunità. La Rete è
cioè la dimensione propria della modernità liquida, che non prevede norme, istituzioni o relazioni
stabili. La rete si tesse e si disfa; è come la tela di Penelope che si costruisce il giorno per disfarla la
notte o viceversa perché non è concesso nessun progetto, ma appunto un eterno presente.
I fili, gli elementi costitutivi di questa nuova modalità della vita sociale sono gli amici. Bauman
ricorda che nella vita di un uomo o di una donna il numero massimo di amici non ha mai superato le
150 unità. Su Facebook, invece, cè la gara ad avere il massimo numero di amici. Più amici si hanno,
più il mercato del riconoscimento funziona a pieno regime. E questo non solo per il singolo, ma
anche per gli affari di Mark Zuckerberg, che può quindi presentarsi agli inserzionisti di pubblicità o
chi si fa pagare applicazioni particolari o giochi on line e presentare il conto. Ma, avverte Bauman,
con Facebook anche il singolo vende se stesso,cioè vede i rapporti sociali come un mercato dove ci
sono venditori e acquirenti, dove i social network sono i veri mediatori della vita sociale, come
testimoniano i paesi dellAsia, dove la partecipazione ai social network è un fattore chiavo della
integrazione del singolo nella società.
Una lettura disincantata, questa di Bauman. segnata da un certo pessimismo della ragione che non
va però scambiata per una nostalgia per il tempo passato. Lo studioso polacco invita a stare in rete
con occhio vigile – a un certo punto usa lespressione: state accorti – di chi sa quale è il meccanismo
operante e cercare di non far diventare i propri sentimenti una merce da vendere al mercato.
Detto questo, però, lanalisi di Bauman è sempre un work in progress. E cè da aspettarsi che
ritornerà sullargomento. Risulta però spiazzante il tono poco simpatizzante che ha per Facebook. E
certo vero che la messa in piazza dei sentimenti intimi è indice di una solitudine che non trova le
altre parole per manifestarsi che non le frasi banali della chat o dei messaggi messi nella propria
bacheca. Così come è abbastanza evidente che alcune coppie analitiche della modernità – profondità
e superficialità; qualità e quantità – vedono primeggiare il loro polo negativo. Ma è altrettanto vero
che il potere straniante di Facebook può essere sovvertito, facendo diventare il social network il
contesto in cui lo “stare in rete” si apre alla trasformazione dellesistente. E dove lo stare in società si
apre alla critica dei dispositivo di potere e controllo della società stessa. In altri termini, occorre
compiere quel movimento che Bauman conosce bene: non pessimismo della ragione e ottimismo
della volontà, bensì ottimismo della ragione per un pieno ottimismo della volontà.
© 2017 IL NUOVO MANIFESTO SOCIETÀ COOP. EDITRICE
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