Ci salverà un enzima, anzi migliaia

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DOMENICA 29 LUGLIO 2007
LA REPUBBLICA IX
Nell’Istituto di biochimica
delle proteine guidato dal
professor Mosè Rossi, tra i
primi a livello internazionale
Dodici laboratori con
altrettanti gruppi di ricerca
inseriti nei progetti europei
più importanti
Ci salverà un enzima, anzi migliaia
All’Ibp il segreto della vita lo insegnano gli archeobatteri
GOFFREDO LOCATELLI
MOSÈ Rossi è un cilentano schietto
impastato in altri tempi. Ha 69 anni, è
originario di Castellabate e vive solo ad
Arco Felice. Il padre aveva un bar nel
paese d’origine. Lui non ne seguì l’esempio. Voleva studiare. Fu uno zio,
emigrato in Brasile in cerca di fortuna
nelle concerie del nord est, a incoraggiarlo: «Se diventerai chimico – gli
scrisse – potrai venirtene in Brasile». E
così accadde. Mosè sgobbò sui libri e a
24 anni si laureò in chimica. «Ma invece di partire per il Sudamerica – racconta – trovai lavoro in una casa farmaceutica, la Cutolo Calosi, famosa allora per la pillola dell’antireumina.
Una quarantina d’anni fa aveva la sede
proprio qui, in via Pietro Castellino. Poi
vendette lo stabilimento alla Merrell.
Ho cominciato facendo la gavetta a 150
mila lire al mese».
Oggi è direttore dell’Istituto di biochimica delle proteine (Ibp), il più
grande del Cnr per lo studio delle proteine e degli enzimi. Ma soprattutto è
uno scienziato di fama internazionale.
Nel campo dell’enzimologia, che è una
branca della chimica biologica, Rossi è
un’autorità e gli inviti dall’estero fioccano in tutte le stagioni. «Da giovane
laureato, un giorno fui contattato da
Eduardo Scarano, primo docente di
biologia molecolare in Italia: voleva
creare un gruppo di ricercatori da portare negli Usa. Io rinunciai alle 150 mila lire al mese per andare in America,
ma poi accadde un fatto nuovo: a Napoli arrivò Adriano Buzzati Traverso.
Era il 1962, entrai nell’Igb e divenni responsabile dell’enzimologia». Irrequieto per carattere, Rossi fece e disfece la valigia a più riprese. Ed eccolo ricercatore a Cambridge, a Montreal e,
tra il 1970-72 a Palo Alto, in California,
alla Stanford University. «Quando tornai dagli Usa passai all’Istituto di embriologia molecolare del Cnr, fondato
da Alberto Monroy ad Arco Felice. Ebbi anche il mio primo incarico all’università come docente di enzimologia.
Nel 1983 Monroy andò via e l’istituto di
embriologia collassò. Due anni dopo il
Cnr decise il riordino degli istituti.
Nacque così, distaccato dall’Igb, l’Istituto di biochimica delle proteine, e io
ne fui nominato direttore». All’inizio si
trovarono insieme ricercatori con interessi e progetti molto diversi. Per
giunta l’Istituto era localizzato in due
sedi, una a Fuorigrotta e l’altra ad Arco
Felice. Fu proprio la vicinanza con la
solfatara di Pozzuoli a facilitare gli stu-
il direttore
Mosè Rossi,
direttore dell’Ibp
Nella foto grande
Rossi con il
presidente
Napolitano
di che portarono all’isolamento di microrganismi che vivevano in questo
ambiente, a 100 gradi di temperatura.
Da allora si attivò una delle ricerche di
maggior successo dell’Istituto.
Oggi all’Ibp lavorano una sessantina
di persone, di cui 30 ricercatori, oltre a
una cinquantina di tesisti, borsisti e
dottorandi. L’attività scientifica di Mosè Rossi e dei suoi colleghi è tutta
proiettata verso il futuro perché la decodificazione dei genomi, la comprensione della funzione delle proteine, e la
possibilità di manipolare geni e proteine, rappresentano le sfide scientifiche
del nuovo millennio. Ma che ne sarà
dell’Ibp incorporato ormai nel nuovo
grande polo della biomedicina? Rossi
ha la risposta pronta: «Il polo è un fatto
importante e non sono affatto preoccupato di perdere l’autonomia. Lavoreremo in collaborazione con gli altri.
Ne ho parlato già con Andrea Ballabio:
ci saranno progetti ben focalizzati verso comuni obiettivi. Del resto Ballabio
al Tigem, da solo, non potrebbe fare
molto. Servono competenze complementari per andare avanti». I ricercatori dell’Ibp spaziano in vari campi:
circa la metà dei progetti riguarda lo
studio dell’adattamento di microrganismi alle alte temperature, e il 35 per
cento l’adattamento degli organismi
alle basse temperature e biodiversità.
Quanto pesa oggi l’Ibp? «Credo che
sia tra i primi a livello internazionale»,
replica Rossi. «Lo scorso anno abbiamo ottenuto 4 brevetti per invenzioni
industriali (uno riguarda un nuovo
metodo immunologico per la rilevazione di glutine negli alimenti). Abbiamo fatto 58 pubblicazioni su riviste internazionali e abbiamo in corso progetti italiani e internazionali già finanziati». Gli sviluppi delle biotecnologie
prevedono, nel futuro, un utilizzo sempre più intensivo di proteine nelle produzioni industriali in settori quali l’alimentare, il chimico-farmaceutico, l’energetico, l’elettronico, il cosmetico,
con una peculiarità molto importante:
ridurre notevolmente l’inquinamento
ambientale. L’Ibp ha sviluppato competenze per identificare e purificare
proteine ed enzimi da diverse fonti.
Ma l’attività è anche legata al territorio: «Nei soffioni della solfatara di Pozzuoli – spiega Rossi – ci sono microrganismi tra i più antichi della terra: gli archeobatteri, scoperti alla metà degli
il fondatore
Alberto Monroy
fondatore
dell’Istituto di
embriologia
molecolare Cnr
ad Arco Felice
anni Settanta. Fanno parte di una terza
linea evolutiva della vita. Sì, sembra
proprio che la vita si sia evoluta alle alte temperature. Per vivere, gli archeobatteri trasformano lo zolfo in acido
solforico e così traggono la loro energia». A poco a poco il professor Rossi ci
conduce per mano nell’intricato labirinto della sua materia: «Gli enzimi sono macroproteine prodotte dai geni, e
sono i responsabili del metabolismo
cellulare. L’enzimologia è la base per
combattere il cancro o l’Ihv, cioè la base dei trattamenti chemioterapici».
Negli anni, l’Ibp è diventato uno dei
due-tre centri più importanti a livello
internazionale su questa materia che
ha risvolti applicativi molto importanti. I risultati ottenuti negli ultimi anni
dallo studio degli enzimi da estremofili hanno portato al convincimento che
la loro utilizzazione in processi industriali (dai detersivi all’idrolisi dell’amido, dalla panificazione alla carta)
apre una nuova era nel campo delle
biotecnologie. Queste attività sono
state condotte dall’Ibp anche in collaborazione con gruppi di vari paesi e, risultato importante, molti ricercatori
dell’Istituto sono venuti in contatto
con colleghi provenienti da almeno 40
laboratori europei ed extraeuropei, acquisendo una visione internazionale
della ricerca. L’Ibp è stato individuato
anche come centro di eccellenza della
rete scientifica “Polarnet”, nata allo
scopo di coordinare ricerche interdisciplinari del Cnr per lo studio del “Global Change”, riconoscendo un ruolo
prioritario delle regioni polari nel monitoraggio e nella comprensione di fenomeni che determinano l’evoluzione
degli equilibri ambientali dell’intero
pianeta.
All’Ibp ci sono 12 laboratori con altrettanti gruppi di ricerca che si sono
conquistati un ruolo di primo piano
partecipando a numerosi progetti
europei, al progetto nazionale di ricerche in Antartide e a vari altri finalizzati alle biotecnologie. «Ora siamo
inseriti in un progetto europeo – conclude Rossi – riguarda la produzione
di enzimi che trasformano le cellulose delle piante in zuccheri solubili, da
utilizzare poi, con la fermentazione,
per produrre bioetanolo». Gli enzimi
trasformano la cellulosa delle piante
in etanolo, oppure l’amido della patata e del mais in glucosio, cioè zucchero. In una cellula di un batterio, grande uno o due millesimi di millimetro,
ci sono circa tremila enzimi.
6. Continua
Repubblica Napoli
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