Prospettive in Pediatria Aprile-Giugno 2016 • Vol. 46 • N. 182 • Pp. 127-134 Oncologia pediatrica La Leucemia Linfoblastica Acuta (LLA): quali sfide per il tumore più frequente? Valentino Conter1 Antonella Colombini1 Francesco Ceppi2 Clinica Pediatrica, Università Milano-Bicocca, Fondazione MBBM-Ospedale San Gerardo, Monza; 2 Pediatric HematoOncology Unit, Department of Paediatrics, University Hospital of Lausanne, Lausanne, Switzerland 1 La Leucemia Linfoblastica Acuta (LLA) è il tumore più frequente in età pediatrica. La prognosi è progressivamente migliorata con l’intensificazione della chemioterapia, raggiungendo una sopravvivenza libera da malattia a 5 anni dalla diagnosi di circa l’80% e una sopravvivenza di circa il 90%. Un’ulteriore intensificazione della terapia non è ritenuta ragionevole per il rischio di tossicità eccessiva. In questo scenario le nuove sfide per la LLA sono concentrate sull’identificazione di trattamenti chemioterapici parimenti efficaci ma a minor rischio di tossicità acuta e/o sequele come le complicanze infettive, l’osteonecrosi e i danni da radioterapia encefalica, e sull’introduzione di terapie innovative e “mirate”. In questo contesto sono di grande interesse i farmaci che agiscono direttamente su proteine o meccanismi specifici delle cellule leucemiche e l’immunoterapia con anticorpi e terapie cellulari. Va infine ricordato che circa l’80% dei bambini con LLA vive in paesi con risorse limitate, in cui l’accesso alle cure è scarso e talora inesistente. La sfida maggiore per la LLA (e non solo) rimane quindi la globalizzazione delle cure convenzionali. Riassunto Acute lymphoblastic leukaemia (ALL) is the most common childhood malignancy. Progressive improvement of results has been obtained thanks to intensification of chemotherapy, reaching a 5-year event-free survival and survival of approximately 80% and 90% respectively. Further intensification of chemotherapy, however, is not considered feasible due to the risk of excess of toxicity. The new challenges for ALL have thus changed markedly. The need is for chemotherapeutic treatments that are equally effective and that are associated with a lower risk for acute or late toxicity such as infectious complications or osteonecrosis, as well as for innovative “targeted” therapies. In this frame drugs targeted for proteins or mechanisms specific for leukaemic cells and immunotherapy with antibodies or cellular therapies are of great interest. Last but not least, about 80% of children live in low income countries where access to healthcare for ALL may be scarce or not available at all. The major challenge for ALL (and not only) remains the globalisation of adequate treatment. Summary Metodologia della ricerca bibliografica effettuata La ricerca degli articoli rilevanti sulla Leucemia Linfoblastica Acuta è stata effettuata sulla banca bibliografica Medline, utilizzando come motore di ricerca PubMed e come parole chiave “ALL, Treatment, Innovative therapies and Global Medicine”. È stato utilizzato il filtro “children”. Introduzione I progressi nel trattamento della Leucemia Linfoblastica Acuta (LLA) sono un grande successo della medicina moderna. Il tasso di sopravvivenza libera da malattia, a 5 anni dalla diagnosi per i pazienti di età inferiore a 18 anni, è passato gradualmente da meno del 10% nei primi anni ’60 all’attuale 80%, con una sopravvivenza a lungo termine del 90%. (Pinkel, 1971; Henze et al., 1981; Conter et al., 2010; Vora et al., 2014; Möricke et al., 2016) Questo successo è 127 V. Conter et al. iniziato negli anni ’40 con l’identificazione di singoli agenti chemioterapici ed è proseguito, a partire dagli anni ’60, con lo sviluppo di strategie basate sulla combinazione di farmaci per il trattamento sistemico e di terapie specifiche per la prevenzione della ricaduta nel Sistema Nervoso Centrale (SNC); nel corso degli ultimi quattro decenni i risultati sono progressivamente migliorati con la graduale intensificazione del trattamento. Purtroppo i risultati rimangono del tutto insoddisfacenti nei paesi con risorse limitate, dove vive l’80% dei bambini. Negli ultimi due decenni tuttavia molte iniziative hanno permesso di migliorare le prospettive anche in questo ambito (Navarrete et al., 2014). Incidenza L’incidenza della LLA in età pediatrica, che rappresenta i 3/4 di tutte le leucemie, è di circa 30 casi/anno/ milione di soggetti di età 0-17 anni. Il numero stimato di nuovi casi/anno è di circa 400 in Italia, 5.000 in Europa e 100.000 nel mondo. Il picco di incidenza è compreso tra i 2 e i 5 anni. L’incidenza è lievemente più alta nel sesso maschile che in quello femminile, e questa differenza è più marcata durante l’adolescenza e per le LLA a cellule T. Nei paesi a risorse limitate l’incidenza della LLA può solo essere stimata. In alcuni paesi del Nord Africa, del Medio Oriente, in India e in Cina, l’incidenza sembra essere inferiore rispetto ai paesi industrializzati ed è particolarmente bassa in alcuni paesi dell’Africa Sub-sahariana, in cui vi è un’incidenza molto alta di casi di linfoma di Burkitt. Aspetti eziopatogenetici I fattori eziopatogenetici nella LLA sono tuttora largamente sconosciuti. Solo una frazione minoritaria può essere associata a fattori genetici, ad agenti fisici e chimici o a infezioni virali. Tra i fattori genetici la più comune anormalità costituzionale associata a LLA è la trisomia 21 (sindrome di Down). I bambini con sindrome di Down hanno infatti un rischio 15 volte superiore di sviluppare la malattia, rispetto alla popolazione generale. Altre alterazioni cromosomiche costituzionali associate alla leucemia sono la sindrome di Klinefelter, la sindrome di Bloom e l’anemia di Fanconi. Anche le radiazioni ionizzanti e alcuni agenti chimici potrebbero giocare un ruolo nello sviluppo della leucemia; ciò è stato dimostrato dall’elevata incidenza in seguito allo scoppio della bomba atomica nella popolazione di Hiroshima e Nagasaki. Assai controverso è il ruolo dell’esposizione a emissioni basali di radiazioni ionizzanti da centrali nucleari o come risultato di dispersione dopo test nucleari atmosferici. Più recentemente è stato anche suggerito che l’esposizione a campi elettromagnetici (CEM) potrebbe essere correlata a sviluppo di LLA in età pediatrica; in letteratu128 ra esistono studi contrastanti e la possibile rilevanza eziologica non trova riscontro nella plausibilità biologica. (Magnani et al., 2014; Pisani et al., 2013) Altri fattori studiati come possibili agenti causali di LLA includono l’abitudine dei genitori al fumo di sigaretta, l’esposizione paterna a erbicidi e pesticidi, l’assunzione materna di alcol, contraccettivi e dietilstilbestrolo, l’esposizione familiare al radon e contaminazione chimica dell’acqua nel sottosuolo. In generale si ritiene tuttavia che, con l’eccezione delle radiazioni ionizzanti, i fattori ambientali siano poco rilevanti. Il possibile ruolo delle infezioni virali nella patogenesi delle leucemie umane è stato estesamente studiato. Alcuni autori hanno evidenziato un aumentato rischio di LLA in bambini nati da madri recentemente infettate da virus dell’influenza, della varicella o da altri virus, ma nessun legame tra l’esposizione virale prenatale e il rischio leucemico è stato confermato eccetto per l’associazione tra il virus di Epstein-Barr (EBV) e casi di leucemia-linfoma di Burkitt endemici (LLA B-matura, sottotipo morfologico L3, secondo la classificazione FAB). Aspetti clinici e laboratoristici all’esordio Nella LLA qualunque organo o tessuto può essere infiltrato dalle cellule tumorali. Il midollo leucemico è generalmente infiltrato da una popolazione omogenea di cellule che nella maggior parte dei casi (85%) è costituita da piccoli linfoblasti rotondeggianti, L1 secondo la classificazione FAB (Fig. 1). Gli altri casi presentano una morfologia differente (cellule più grandi con abbondante citoplasma e/o nucleoli intranucleari), definita come L2 o L3 (Bennet et al., 1981). La durata dei sintomi può essere molto variabile, da alcuni giorni a mesi. La febbre è presente approssimativamente nel 50-60% dei pazienti; l’anemia (Hb < 7gr/100 ml), generalmente normocromica, normocitica con conta reticolocitaria normale o bassa, Figura 1. Striscio midollare di LLA, L1 secondo la classificazione FAB (da Bennet et al., 1981, mod.). La Leucemia Linfoblastica Acuta (LLA): quali sfide per il tumore più frequente? e la piastrinopenia (PTL < 20.000/mmc) si riscontrano rispettivamente nel 40% e 30% dei casi circa. A causa dell’infiltrazione del periostio, delle ossa, delle articolazioni o dell’espansione dello spazio midollare da parte delle cellule leucemiche, oltre 1/3 dei pazienti può presentare dolori ossei e/o artralgie. Segni e sintomi meno comuni includono cefalea, vomito, dispnea, oliguria e anuria. In circa 1/3 dei casi si riscontra splenomegalia o epatomegalia, solitamente asintomatiche, con organi palpabili a più di 2 cm al di sotto dell’arcata costale o linfoadenopatia, solitamente non dolente, localizzata o sistemica. All’esordio di LLA i livelli serici di acido urico e di lattato deidrogenasi frequentemente risultano incrementati e correlati alla massa tumorale leucemica. Talvolta può essere difficoltoso eseguire un aspirato midollare al momento della diagnosi, a causa dell’elevata densità dei blasti nel midollo. In queste situazioni si rendono necessari aspirati midollari multipli o biopsie osteo-midollari. gole cellule leucemiche esprimono simultaneamente sia antigeni di superficie linfoidi B e T che mieloidi, mostrando caratteristiche proprie di più linee emopoietiche. (Bene et al., 1995) Queste leucemie sono state classificate come “bifenotipiche”, “a linea-mista”, o “leucemie ibride”. In rapporto ai criteri applicati, l’incidenza delle LLA bifenotipiche in età pediatrica varia dal 7% al 25%. La terminologia “leucemia bifenotipica” non deve essere confusa con “leucemia biclonale o bilineare”, in cui coesistono due distinte popolazioni cellulari. La distinzione tra LLA con interessamento linfonodale e linfoma Non-Hodgkin (NHL) con invasione del midollo osseo (Stadio IV) è convenzionalmente basata sulla quota di infiltrazione midollare di blasti leucemici. La malattia è classificata come LLA al riscontro di linfoblasti ≥ 25% nel midollo e come NHL allo Stadio IV in presenza di masse associate a una quota midollare di linfoblasti ≥ 5 e < 25%. Classificazione immunologica Citogenetica convenzionale e genetica molecolare La trasformazione leucemica e l’espansione clonale possono avvenire a differenti stadi del processo di differenziazione e maturazione dei linfociti B e T normali. I blasti leucemici, pertanto, rappresentano la controparte neoplastica dei normali linfociti B e T a vari stadi di differenziazione (Fig. 2). In alcuni casi sin- Le alterazioni citogenetiche riportate nella LLA coinvolgono sia il numero dei cromosomi (ploidia) che riarrangiamenti strutturali. La LLA può essere sottoclassificata in 4 categorie, sulla base del numero dei cromosomi: iperdiploide con più di 46 cromosomi Figura 2. Classificazione immunofenotipica delle LLA. Linea B: pro-B CD19 pos; common: CD19 e CD10 pos; pre-B: CD19 e Ig-citoplasmatiche M pos; B-matura: CD19 e Ig di membrana K o λ pos. Linea T: pro-T Cd3 e CD7 pos; pre-T: CD3 o CD5 o CD8 pos; T corticale: CD3 e CD1a pos; T-matura: CD3 e TCR αβ o γδ pos. 129 V. Conter et al. (35-45% dei casi, con DNA index (DI) > 1,0); diploide (46 cromosomi: 10-15% dei casi; DI = 1,0); pseudodiploide (46 cromosomi con anomalie strutturali o numeriche: circa il 40% dei casi; DI = 1,0); ipodiploide (meno di 46 cromosomi: circa l’8% dei casi; DI < 1,0) (Pui et al., 2010). La traslocazione t(9;22)(q34;q11) – denominata anche Cromosoma Philadelphia (Ph), per il suo derivativo der(22)-, giustappone i geni BCR e ABL creando un gene di fusione BCR-ABL, è riscontrabile nel 3-5% dei casi di LLA pediatrica, ed è stata associata a una prognosi sfavorevole prima dell’introduzione di farmaci con attività inibitoria nei confronti della proteina di fusione (inibitori di tirosin-chinasi, TKI). Il gene MLL, mappato sul cromosoma 11 banda q23, che codifica per la proteina nucleare mixed-lineage leukemia (MLL), è frequentemente coinvolto in riarrangiamenti strutturali (traslocazioni, delezioni e duplicazioni parziali) soprattutto nella leucemia infantile (età < 1 anno) o nei casi di leucemie secondarie dopo terapia con epipodofillotossine. La traslocazione t(12;21) è dimostrabile nel 25% circa dei casi di LLA pediatrica di linea B (gene di fusione ETV6-AML1) ed è associata a prognosi favorevole (Pui et al., 2009). mane, consente di ottenere un tasso di remissione completa (RC) > 95%; la RC può non essere ottenuta per mortalità in induzione (1%) o per resistenza al trattamento (~ 2%). La terapia diretta al SNC si basa sulla somministrazione di farmaci per via intratecale e farmaci ad alte dosi per via endovenosa. La radioterapia craniale può essere somministrata nei pazienti con un rischio elevato di ricaduta al SNC. La terapia di consolidamento/reinduzione è costituita da una o più fasi di trattamento intenso dopo l’ottenimento della RC. La durata di queste due fasi può essere estremamente variabile, da uno a diversi mesi. Per i pazienti ad alto rischio (15-25%) possono essere utilizzati schemi di chemioterapia intensiva a blocchi. Il trapianto di cellule staminali emopoietiche (HSCT) viene riservato ai casi con maggior rischio di ricaduta (circa il 5% nei protocolli AIEOP-BFM). Nella maggior parte degli schemi terapeutici di mantenimento vengono somministrati methotrexate settimanalmente e 6-mercaptopurina (6-MP) giornalmente. La durata ottimale della chemioterapia di mantenimento non è ancora stata definitivamente stabilita. Tuttavia la maggior parte dei gruppi tratta i pazienti per un totale di 24-30 mesi (a partire dalla diagnosi). Fattori prognostici Recidiva di LLA La prognosi dei bambini con LLA è drasticamente migliorata nelle ultime quattro decadi grazie alla progressiva intensificazione del trattamento. In questo contesto il valore prognostico di molti fattori convenzionali quali l’età, la conta leucocitaria alla diagnosi, il sesso, l’immunofenotipo e la localizzazione SNC alla diagnosi è progressivamente diminuito o addirittura annullato. Attualmente i fattori prognostici indipendenti che vengono utilizzati anche per la stratificazione per i gruppi di rischio sono la ploidia, le aberrazioni cromosomiche e genetico-molecolari e soprattutto la risposta precoce al trattamento misurata come malattia residua minima (MRM). Globalmente ancora oggi circa il 15-20% dei bambini può presentare una recidiva di malattia che può essere midollare isolata e/o extramidollare (SNC, testicoli, ovaie sono le sedi più comuni) oppure combinata (midollare + extramidollare). La maggior parte delle recidive (80%) si presenta durante la terapia o nei primi due anni successivi alla sospensione della chemioterapia. La prognosi della ricaduta è influenzata sfavorevolmente dalla brevità della durata della prima remissione e dall’immunofenotipo a cellule T. Trapianto di cellule staminali L’HSCT da donatore familiare, o da donatore da banca, viene attualmente eseguito nella maggior parte dei pazienti dopo una o più ricadute della malattia. I risultati sono simili per donatori compatibili familiari o da banca (Fagioli et al., 2013). In passato nella gran maggioranza dei regimi di preparazione al trapianto si è utilizzata la radioterapia total body (TBI) (eccetto per i bambini più piccoli). Sono attualmente in corso studi in cui si cerca di valutare se si possano ottenere risultati altrettanto buoni con regimi di condizionamento che non includono la TBI, o con trapianto da donatore familiare aploidentico per pazienti per i quali non sia disponibile un donatore compatibile. Terapia convenzionale La caratterizzazione immunofenotipica, citogenetica e molecolare e la precoce risposta al trattamento, permettono di stratificare i pazienti in differenti gruppi di rischio che vengono trattati con strategie terapeutiche specifiche (Henze et al., 1981; Conter et al., 2010; Vora et al., 2014; Moericke et al., 2016; Pui et al., 2009; Hunger et al, 2012). Il trattamento della LLA “non B-matura” in età pediatrica nei protocolli di chemioterapia adottati dai maggiori gruppi cooperativi internazionali si articola in 4 fasi: induzione, terapia diretta al SNC, consolidamento/ reinduzione e mantenimento. In genere, gli schemi di terapia sono disegnati allo scopo di minimizzare lo sviluppo di farmaco-resistenza. La chemioterapia iniziale, somministrata in 4-6 setti130 Le nuove sfide Nel contesto dei risultati riportati sopra anche gli obiettivi della ricerca e la metodologia da utilizzare La Leucemia Linfoblastica Acuta (LLA): quali sfide per il tumore più frequente? per migliorare ulteriormente i risultati nella LLA pediatrica sono notevolmente modificati. A partire dagli anni ’80, per circa 30 anni, si è attuata una progressiva intensificazione della terapia, resa possibile dai progressi nella terapia di supporto e una graduale riduzione dell’uso della radioterapia craniale per ridurre i rischi di danni cognitivi e di tumori cerebrali secondari. L’intensità terapeutica attuale è ormai arrivata al limite della tollerabilità, per cui un ulteriore aumento sarebbe associato a una tossicità inaccettabile. Le nuove sfide sono quindi concentrate sulla riduzione delle complicanze da chemioterapia, sulla miglior conoscenza della biologia della LLA in toto o in specifici sottotipi della malattia, sull’identificazione di terapie innovative mirate e/o alternative alla chemioterapia e sulla globalizzazione della terapia. Anche per l’HSCT si stanno cercando trattamenti che riducano la tossicità da terapia di condizionamento e le sequele. Riduzione delle complicanze secondarie al trattamento Una delle sfide per i protocolli attuali è la riduzione delle complicanze secondarie agli episodi infettivi e all’osteonecrosi. Le infezioni possono essere lifethreatening o letali, come lo shock settico e l’ARDS, e/o causare sequele importanti, come danni neurologici o perdita di sostanza nel caso della cellulite e delle infezioni fungine. È quindi di fondamentale importanza associare alla terapia più intensa misure di prevenzione e/o terapeutiche ottimali per il controllo delle infezioni. L’osteonecrosi colpisce soprattutto gli adolescenti e può causare limitazioni funzionali permanenti con necessità di applicazione di protesi per le articolazioni più importanti (Mattano et al., 2012). Nell’eziopatogenesi sono coinvolti il trattamento steroideo, polimorfismi genetici, l’età e l’intensità della terapia. La ricerca clinica in questo campo è mirata a identificare fattori di rischio e schemi terapeutici che comportano un minor rischio di necrosi asettica vascolare e a valutare l’efficacia di procedure medicochirurgiche innovative, incluso l’uso di cellule staminali. Altre complicanze importanti che si cerca di prevenire o ridurre riguardano la cardiotossicità, la pancreatite, i danni cerebrali e/o i deficit neuro-cognitivi. Terapie innovative Per definizione, quando parliamo di terapie innovative, ci riferiamo a trattamenti per i quali ci sono ragionevoli probabilità di migliorare i risultati, ma che possono essere associati a effetti collaterali non ancora sufficientemente documentati. L’introduzione delle terapie innovative avviene quindi per gradi. Esse vengono pertanto sperimentate in clinica solo dopo aver superato i test preclinici, inizialmente in pazienti adulti e a seguire in età pediatrica. Nel corso degli ultimi 15 anni abbiamo assistito alla realizzazione di idee profondamente innovative per la terapia dei tu- mori in generale e della LLA in particolare, che hanno permesso di sperimentare terapie che ora sono già parte della terapia convenzionale per alcuni sottotipi di LLA (terapie mirate o targeted therapies), o che sono in fase di sperimentazione molto avanzata per poterlo diventare. Inibitori di tirosin-chinasi Il trattamento con inibitori di tirosin-chinasi (Imatinib, dasatinib, nilotinib) è ormai consolidato per la LLA BCR-ABL1 (o Philadephia) positiva. Il sequenziamento del DNA ha però permesso negli ultimi anni di identificare nuove lesioni e meccanismi che possono attivare le chinasi in maniera simile alle lesioni BCR-ABL1. Vi sono quindi sottogruppi di LLA (Ph-like) che presentano riarrangiamenti del DNA nei geni ABL, JAK2, ed EPOR, per i quali è già stata dimostrata una risposta a inibitori di TKI in modelli sperimentali e anche in clinica in casi aneddotici che presentavano resistenza alla terapia convenzionale (Waibel et al., 2013). Inibitori di proteasoma Gli inibitori del proteasoma inibiscono l’attività di enzimi che degradano le proteine cellulari, causando un accumulo di proteine all’interno della cellula, e favorendo la morte della stessa cellula (apoptosi), particolarmente quando sono somministrati in associazione alla chemioterapia. Il bortezomib è il primo inibitore di proteasoma approvato per il trattamento di pazienti affetti da mieloma e linfoma, e recentemente è stato somministrato anche in pazienti con LLA refrattaria o recidivata, in associazione con la terapia convenzionale (Messinger et al., 2012). Gli effetti indesiderati più frequenti comprendono astenia, nausea, vomito e diarrea, trombocitopenia, anemia, neutropenia e neuropatia periferica. Sono attualmente in fase di studio altre molecole di seconda generazione, come il carfilzomib. Non è ancora possibile prevedere quale ruolo avranno questi farmaci nell’armamentario terapeutico per la LLA. Anticorpi monoclonali Gli approcci immunoterapici più recenti si sono concentrati soprattutto sulla LLA di linea B, sia perché queste cellule esprimono regolarmente sulla superficie antigeni non espressi dalle cellule normali, per i quali sono già disponibili anticorpi monoclonali sperimentati in clinica, sia perché è dimostrato che i linfociti T sono coinvolti nei meccanismi di controllo immunologico dei tumori. Tra gli anticorpi monoclonali più utilizzati per la LLA in pazienti adulti c’è il rituximab, che si lega all’antigene CD20 determinando una lisi complemento mediata dei linfociti B, con un importante miglioramento della sopravvivenza libera da malattia (Thomas et al., 2010). Il suo uso in età pediatrica è stato finora limitato ai linfomi di linea B ed è ancora in fase di studio per l’efficacia, ma potrebbe essere 131 V. Conter et al. esteso alla LLA B-matura. Il rituximab è generalmente ben tollerato, anche se si possono verificare reazioni infusionali, e raramente mucositi e dermatiti gravi, o riattivazione dell’epatite B o leucoencefalopatia multifocale progressiva. Un altro anticorpo interessante è l’epratuzumab, che si lega all’antigene CD22, viene rapidamente internalizzato, causa una citotossicità diretta e inibisce la proliferazione cellulare. La tossicità di questo anticorpo può essere aumentata mediante la coniugazione con una tossina (Carnahan et al., 2007). Attualmente l’epratuzumab viene usato anche in Italia nei bambini trattati con il protocollo IntReALL SR 2010, per le ricadute di LLA a rischio standard (studio randomizzato). Anticorpi bispecifici Gli anticorpi bispecifici sono denominati BiTE (bispecific T cell engagers) e sono stati introdotti nella clinica recentemente. Tra questi, il più utilizzato nella clinica, è il blinatumomab, che è un anticorpo a catena singola che combina due siti di legame: uno per CD3, parte del recettore della cellula T (TCR) e l’altro per CD19, presente sulle cellule tumorali nella LLA di linea B. Il farmaco, quindi, agisce facendo da “ponte” e favorendo l’attivazione delle cellule T del paziente, che esercitano la propria attività citotossica sulle cellule leucemiche di linea B (target), determinandone la morte cellulare sia negli organi linfatici che nel midollo osseo. Il blinatumomab è stato studiato in pazienti con recidiva di LLA, somministrando il farmaco in infusione continua per 28 giorni ogni 6 settimane e dimostrando che questo trattamento consente di ottenere remissioni complete di lunga durata anche in casi di LLA refrattaria alla chemioterapia o di negativizzare la MRM anche in pazienti con MRM persistentemente elevata, durante trattamenti chemioterapici intensivi (Topp et al., 2011 e 2012). Gli eventi avversi più frequenti associati alla terapia con blinatumomab sono dovuti al rilascio di citochine (cytokine release syndrome – CRS), in particolare di TNFα, IL10, IFN-γ e IL-6, che causano febbre, brividi, cefalea e complicanze neurologiche, e sono ridotti con l’utilizzo di steroidi. In rari casi la CRS può essere una complicanza life-threatening. Nelle forme severe di CRS è stato utilizzato con beneficio l’anticorpo monoclonale anti-IL6 tocilizumab. tale antigene (target). Per la preparazione di queste cellule si devono anzitutto prelevare dal paziente i linfociti T, modificarli geneticamente ex vivo, inserendo nel loro DNA il materiale genetico che codifica per l’espressione del recettore (chimerico) mediante un vettore virale o con una tecnica alternativa, espandere (moltiplicare) ex vivo queste cellule modificate e poi infonderle per via endovenosa allo stesso paziente (Fig. 3). I trial iniziali che hanno utilizzato questo approccio hanno prodotto risultati di estremo interesse, permettendo di ottenere la RC in una percentuale molto elevata di pazienti con LLA CD19 positiva in ricaduta o resistenti alla chemioterapia (Maude et al., 2014). In questo contesto il trattamento con CART è prevalentemente finalizzato a ottenere la RC e consentire al paziente di essere avviato al trapianto di cellule staminali con maggiori probabilità di successo. Teoricamente tuttavia l’immunoterapia con CAR-T potrebbe sostituire trattamenti chemioterapici e/o il trapianto con cellule staminali. Questo deve tuttavia essere dimostrato. Anche il trattamento con cellule CAR-T è associato alla CRS, che è secondaria a una over-expression di citochine legata alla proliferazione di cellule T, e che nella maggior parte dei casi (circa 2/3) è caratterizzata da sintomi lievi simili a quelli dell’influenza, ma che in rari casi può essere estremamente grave e anche mortale. CAR-T Cells L’utilizzo dei linfociti T (T cells), che sono coinvolti nella sorveglianza immunitaria, per eradicare un tumore nel proprio organismo, fino a poco tempo fa poteva essere considerato solo un’ipotesi affascinante, ma ora è un sogno che sta diventando realtà. Ciò è stato reso possibile dalla manipolazione genetica, per cui le cellule T “ingegnerizzate” esprimono recettori chimerici per antigeni (chimeric antigen receptors – CARs) con una elevata specificità e quindi altamente specializzate per legarsi a cellule tumorali che presentano 132 Figura 3. La cellula T ingegnerizzata (cellula più piccola rosata sulla sinistra) esprime sulla propria superficie un recettore (CAR, vedi testo), che crea una sinapsi immunologica (riquadro in alto a snx) con la cellula leucemica CD19 + (cellula più voluminosa scura a destra). Il legame specifico del CAR all’antigene bersaglio (CD19) stimola l’attività citotossica, proliferativa e secretiva (citochine proinfiammatorie) da parte della cellula T geneticamente modificata, che determina la morte della cellula leucemica. La Leucemia Linfoblastica Acuta (LLA): quali sfide per il tumore più frequente? Globalizzaione dell’emato-oncologia pediatrica Come accennato nell’introduzione, ancora oggi, purtroppo la grande maggioranza dei bambini vive in paesi con risorse limitate (Low Income Countries – LIC), in cui non solo le terapie innovative, ma anche le terapie convenzionali riportate sopra non sono disponibili. Nei paesi più poveri, come Haiti o alcuni paesi in Africa, la maggior parte dei bambini affetti da LLA non viene neppure diagnosticata. Negli ultimi 30 anni sono stati attivati numerosi progetti di collaborazione tra Centri di paesi sviluppati e Centri di LIC. Un’esperienza molto interessante in questo contesto è stata quella del Centro America, in cui si è formata una rete di Centri di ematooncologia pediatrica con protocolli comuni per tutti i paesi dell’area, grazie a una iniziativa del Centro di emato-oncologia pediatrica di Monza, supportata da altre istituzioni tra le quali l’Istituto dei Tumori di Milano, AMCA (Bellinzona, Svizzera) e l’International Outreach Program (IOP) del St. Jude Children’s Research Hospital di Memphis (USA) (Masera et al., 1998; Barr et al., 2014). La sfida più grande da vincere nella LLA in età pediatrica rimane quindi la globalizzazione del trattamento di eccellenza. Box di orientamento • Cosa sapevamo prima La Leucemia Linfoblastica Acuta (LLA) è il tumore più frequente in età pediatrica, con un picco di incidenza nella fascia di età 2-5 anni. La somministrazione di chemioterapia intensiva consente di ottenere una sopravvivenza libera da malattia a 5 anni dalla diagnosi del 80% e una sopravvivenza del 90%. • Cosa sappiamo adesso Il fattore prognostico più importante è la risposta precoce alla terapia, misurata come malattia residua minima (MRM), durante o dopo la terapia di induzione della remissione. La MRM viene ampiamente usata per definire il rischio di ricaduta e di conseguenza l’intensità del trattamento. Oltre alla MRM, sono importanti le caratteristiche biologiche e le alterazioni genetiche delle cellule della LLA. • Quali ricadute sulla la pratica clinica Le nuove sfide nella LLA si concentrano sull’identificazione di terapie mirate sulle caratteristiche biologiche della malattia e sull’utilizzo dell’immunoterapia, in associazione o in sostituzione della chemioterapia intensiva. Un altro obiettivo molto importante è l’estensione della terapia efficace per la LLA anche per i bambini che vivono in paesi con risorse limitate. Bibliografia Barr RD, Antillon Klussmann F, Baez F et al. Asociacion de Hemato-Oncologia Pediatrica de Centro America (AHOPCA): a model for sustainable development in pediatric oncology. Pediatr Blood Cancer 2014;61:345-54. Bene MC, Castoldi G, Knapp W, et al. Proposals for the immunological classification of acute leukemias. European Group for the Immunological Characterization of Leukemias (EGIL). Leukemia 1995;9:1783-6. Bennett JM, Catovsky D, Daniel MT, et al. The morphological classification of acute lymphoblastic leukaemia: concordance among observers and clinical correlations. Br J Haematol 1981;47:553-61. Carnahan J, Stein R, Qu Z. Epratuzumab, a CD22 targeting-recombinant humanized antibody with a different mode of action from rituximab. Mol Immunol 2007;44:1331-41. Conter V, Aricò M, Basso G, et al. Long- term results of the Italian Association of Pediatric Hematology and Oncology (AIEOP) Studies 82, 87, 88, 91 and 95 for childhood acute lymphoblastic leukemia. Leukemia 2010;24:255-64. * Viene descritta dettagliatamente l’evoluzione della terapia per la LLA nei protocolli AIEOP dal 1980 al 2000, con i risultati a lungo termine ottenuti. Fagioli F, Zecca M, Quarello P, et al. Hematopietic stem cell transplantation for children with high-risk acute lymphoblastic leukemia in first complete remission: a report from the AIEOP registry. Haematologica 2013;98:1273-81. Henze G, Langermann HJ, Ritter J, et al. Treatment strategy for different risk groups in childhood acute lymphoblastic leukemia: a report from the BFM Study Group. Haematol Blood Transfus 1981;26:87-93. Hunger SP, Lu X, Devidas M, et al. Improved survival for children and adolescents with Acute Lymphoblastic Leukemia between 1990 and 2005: a report from the Children’s Oncology Group. JCO 2015;30:1663-72. 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