Ipertensione essenziale
Definizione
L’ipertensione arteriosa può essere primitiva (detta anche idiopatica o
essenziale), o secondaria; mentre quest'ultima è correlata a molteplici patologie
che possono interessare vari organi, la forma essenziale, invece, non è
riconducibile ad una causa ben precisa.
Fisiopatologia
L'ipertensione può essere considerata come una situazione in cui si crea uno
squilibrio tra i vari meccanismi di regolazione. Emodinamicamente la pressione
è il risultato di una forza che agisce su una data superficie; per l’apparato
circolatorio la pressione di perfusione è uguale al prodotto del flusso ematico
per le resistenze vascolari periferiche. Se per un qualsiasi motivo le resistenze
periferiche aumentano, affinchè il rapporto sia costante, anche la pressione deve
aumentare, altrimenti si assisterebbe ad una riduzione del flusso ematico.
L'organismo umano reagisce appunto in questo modo: il cuore, di fronte ad un
graduale aumento delle resistenze periferiche risponde con una maggiore
energia di contrazione e col tempo si adatta strutturalmente, mediante ipertrofia,
al maggior lavoro che deve eseguire.
Pertanto, da quanto enunciato possiamo senz'altro affermare che il momento
fisiopatologico fondamentale è rappresentato dall'aumento delle resistenze
vascolari periferiche, che non sono affatto uniformi nei vari distretti del nostro
corpo. Esse per esempio sono particolarmente elevate nella cute, nel distretto
epatosplancnico e nel rene, mentre nel cuore e nel cervello l'aumento è
proporzionale a quello della pressione sistemica. Tali differenze, senza entrare
in dettagli troppo tecnici, sono dovute a diversi meccanismi di regolazione
locali, cioè, in ultima analisi, ad una diversa sensibilità dei vasi dei singoli
organi ai vari fattori di regolazione.
Un'evidente alterazione di tali meccanismi è però presente soltanto in circa il 15
percento dei casi di ipertensione ed appartengono alle forme di ipertensione
secondaria. Per quanto riguarda il gruppo ben più numeroso dell'ipertensione
essenziale esiste purtroppo un'ignoranza pressocchè assoluta circa i motivi di
tale aumento.
Clinica
Si definisce ipertensione arteriosa quella pressione che è superiore al limite di
140 mmHg per la Sistolica e/o 90 mmHg per la Diastolica, indipendentemente
dall'età e dal sesso, se al di sopra dei trent'anni. I due valori riportati si
riferiscono alla pressione massima (sistolica) e alla minima (diastolica).
L’ipertensione col tempo dà origine a danni in vari distretti cardiovacolari quali
fenomeni di scompenso ventricolare sx, insufficienza coronaria (dall'angina
all'infarto), lesioni della retina (particolarmente frequenti: vanno dallo spasmo
vascolare, alla sclerosi, alle emorragie), dilatazone dei grossi vasi arteriosi (fino
alla formazione di aneurismi soprattutto nel tratto addominale), TIA o ictus
cerebrale.
Da quanto precedentemente detto appare evidente l'estrema gravità delle
patologie conseguenti all’ipertensione arteriosa, trattandosi di lesioni che
compromettono organi vitali, minacciando seriamente la vita del paziente o
perlomeno riducendo seriamente la sua validità.
Diagnosi
Nella maggior parte dei casi al primo contatto con un paziente iperteso sono da
risolvere due problemi:
1. definire l'entità del danno provocato dall'elevata pressione a livello dei
vari organi;
2. individuare l'eventuale presenza di malattie che hanno causato
l'ipertensione, in quanto non possiamo sapere a priori se trattasi di forma
primitiva o secondaria.
Occorre quindi l'esecuzione di una serie di esami più o meno complessi,
estendendo in un secondo tempo le indagini, qualora dai primi accertamenti
clinici e di laboratorio emergano sospetti fondati circa la presenza di una
qualche malattia responsabile dell'ipertensione.
Tralasciando le indagini atte ad evidenziare forme di ipertensione secondaria,
un iter diagnostico completo circa la definizione dell'entità del danno è il
seguente:
indagini di laboratorio: urine, azotemia, elettroliti, creatinina, emocromo
radiografia del torace
elettrocardiogramma
Ecocardiograma
Doppler TSA ed AAII
esame del fondo dell'occhio.
visita neurologica
Terapia
Al paziente iperteso, a rischio cardiovascolare non elevato (calcolato con le
tabelle del Rischio Cardiovascolare ESC/ESH -Società Europea di
Cardiologia/Società Europea dell’Ipertensione) vanno consigliate per prima
cosa le “modifiche dello stile di vita”:
1. Abolizione del fumo di sigaretta
2. Abolizione dell’alcool
3.
4.
5.
6.
Dieta iposodica (max 3 g di sale/die)
Maggior consumo di frutta e verdura
Attività fisica moderata
Terapia farmacologica se i valori pressori non rientrano nella norma dopo
due mesi, tenendo presente che nei pazienti con elevato rischio
cardiovascolare la terapia farmacologia deve essere iniziata subito.
Molti studi scientifici dimostrano infatti che con la correzione
dell'ipertensione diminuisce notevolmente la morbilità e la mortalità ad essa
correlate, in maniera tanto più evidente quanto più sono elevati i valori della
pressione all'inizio del trattamento. Ciò è vero in modo particolare per le
lesioni cerebrovascolari e renali, un pò meno per quanto riguarda le affezioni
coronariche.
Una spiegazione plausibile della minore efficacia terapeutica in caso di
coronaropatia potrebbe essere che nella malattia coronarica l'ipertensione
non rappresenta il principale fattore causale, essendo l'aterosclerosi quello
patogeneticamente dominante. In altri distretti invece come il cervello e il
rene l'ipertensione come tale ha un ruolo preminente nell'induzione di lesioni
vascolari.