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CONTESTO STORICO E SOCIALE DEL DOPOGUERRA
Per gli Stati Uniti, il conflitto in Europa e poi l’effettivo ingresso in guerra avevano segnato
il decisivo superamento della crisi iniziata nel ’29; nel 1939 infatti l’economia americana
stava recuperando i livelli di produzione precedenti all’anno della caduta.
Gli anni immediatamente successivi alla fine del conflitto conobbero un notevole aumento
dei redditi privati con conseguente espansione dei consumi dei beni durevoli (automobili,
frigoriferi, televisioni) favorendo così la crescita industriale del decennio successivo. Ma gli
anni della guerra produssero anche altri importanti effetti: grandi masse di persone
cominciarono a spostarsi da ovest a est e una tale ridistribuzione della popolazione
determinò la nascita di grandi sobborghi adibiti esclusivamente all’abitazione prima di ceti
medio-alti e poi degli strati popolari. Inoltre al deflusso di gente bianca dalle zone centrali
corrispondeva un aumento di persone di colore che dal sud del paese si dirigevano verso
le aree urbane a cui si aggiungeva un flusso di immigranti provenienti dagli stati caraibici e
dal Messico. Le tensioni tra le razze all’interno delle forze armate durante il conflitto
mondiale rappresentarono le prime avvisaglie della tendenza allo scontro razziale del
dopoguerra: Ku Klux Klan e, in risposta, Black Power.
Gli anni Cinquanta furono caratterizzati sul piano economico da una fase di crescita
pressoché ininterrotta fino al 1958 e sostanzialmente in politica interna il clima si
mantenne poco conflittuale. Sul piano sociale i contrasti razziali si andarono accentuando
man mano che le razze si trovavano sempre più vicine e a contatto nelle grandi città; i neri
cercavano dove vivere mentre i bianchi fuggivano rifugiandosi nei sobborghi. Negli ultimi
anni del decennio si andò spezzando quell’equilibrio cominciato nel ’47 basato
fondamentalmente sulla rigida separazione dei contrasti e delle contraddizioni sociali e
politiche.
Inoltre il periodo fu dominato da un forte patriottismo, originato dalla guerra fredda, che
evidentemente non lasciava spazio a un conflitto interno. Infatti alla fine della Seconda
Guerra Mondiale, nel 1945, la potenza americana si stendeva incontrastata su gran parte
del globo. Non solo il suo esercito era accampato nel cuore dell’Europa e non solo la sua
flotta e aviazione erano superiori per numero, potenza, tattica e tecnica, ma , in un
panorama generale segnato dalle rovine della guerra, gli Stati Uniti con solo il 7% della
popolazione mondiale detenevano circa un terzo del prodotto lordo mondiale e più della
metà delle riserve ufficiali d’oro.
La distruzione politica dell’Europa e l’enorme influenza esercitata in essa dall’URSS furono
i primi elementi del quadro postbellico che richiesero alla nazione americana la presa di
coscienza dei suoi compiti di controllo del centro del potere mondiale: il crollo
contemporaneo di tutti gli stati europei contribuì decisamente a indirizzare in modo
definitivo la predisposizione dello spirito nazionale americano finendo per determinare la
creazione di un impero.
Un impero liberale dunque governato dal libero scambio e in grado di superare ogni
particolarismo nazionale in nome della prosperità complessiva del sistema basato quindi
su uno sfondo ideologico riassumibile in Democrazia, Internazionalismo e Cooperazione.
Come già l’impero britannico nell’Ottocento, gli Stati Uniti esistevano per adempiere a un
compito etico, per portare la happiness (=felicità) e la libertà ai popoli della Terra. Tutto ciò
fu evidentemente accompagnato da una profonda fede nel progresso e nell’umanità, dal
culto del self made man e dal mito di una presunta missione americana.
Pertanto l’America non combatteva una guerra qualsiasi, ma lottava per il trionfo del bene
sul male dove il male era rappresentato dal totalitarismo, nemico mortale del mondo
occidentale democratico.
“Luglio 1945 […] Dai Curie a Fermi, mezzo secolo di ricerche nel mondo infinitamente
piccolo hanno messo davanti agli occhi dell’umanità, che guarda con speranza l’avvento
1
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della pace, le sconvolgenti applicazioni del nuovo simbolo della scienza - e della storia -:
l’atomo”1. ”Per molti l’aver sganciato la bomba atomica su Nagasaki non rappresentò
l’ultimo atto della seconda guerra mondiale quanto piuttosto la prima azione della guerra
fredda”2. Infatti ogni prospettiva internazionale di utilizzazione dell’atomo come fonte di
energia tramontò rapidamente col deteriorarsi della situazione politica: dopo la guerra
combattuta con le armi convenzionali, aveva inizio la guerra fredda.
A pochi anni di distanza dal 1945, il mondo presentava un volto radicalmente nuovo; due
paesi, USA e URSS, erano a capo di sistemi di alleanze nettamente contrapposti per
proporsi entrambe come possibili leader del mondo intero. Gli Stati Uniti si proponevano di
egemonizzare il globo per via economica mentre l’Unione Sovietica per via politica e
militare. Tuttavia le due potenze erano accomunate dalla capacità distruttiva globale,
disponendo entrambe di armi nucleari, e dalla politica interna dei due imperi, basata
fondamentalmente sulla minaccia rappresentata dall’avversario. Il decennio quindi
successivo alla fine del conflitto fu attraversato da una serie di situazioni critiche che
tennero l’umanità intera col fiato sospeso.
Anche se fredda, poiché le armi non potevano essere usate, quella fu una guerra a tutti gli
effetti sul piano dell’asprezza dei rapporti internazionali. Si partì con la teoria del
“contenimento” del presidente Truman, secondo cui gli Stati Uniti avrebbero contrastato in
ogni modo l’avanzata del comunismo, per poi arrivare alla strategia della rappresaglia
massiccia, che mirava a combattere il nemico dissuadendolo in partenza dall’iniziare le
ostilità, e all’effettivo «equilibrio del terrore», assicurato dalla certezza della mutua
distruzione. L’esistenza della bomba atomica aveva portato il cittadino a vedersi
enormemente diminuito il suo potere contrattuale di fronte allo stato e, dato il
rovesciamento della tendenza storica della progressiva umanizzazione della guerra volta
alla tutela dei civili e dei prigionieri, a sentirsi ridotto in una condizione di continua
precarietà. Guerra giusta e guerra ingiusta? Per decine di milioni di morti, non è più
possibile parlare di aggressore e di aggredito, di vincitore e di vinto o di territorio; lo scopo
della guerra ora è la distruzione dell’avversario: ”una guerra nucleare sarebbe la fine
dell’umanità”3.
Allora risulta chiaro e appropriato parlare di “»equilibrio del terrore»” e pensando al futuro
non si può che farlo con incertezza e timore. La crisi di Cuba del ‘62, il braccio di ferro tra
Kennedy e Krusciov, rappresentò un momento di grande ansia in cui si temette una prova
di forza tra USA e URSS.
Ecco allora, la guerra fredda; il ricordo persistente e incancellabile di Hiroshima e
Nagasaki, il pericolo costante della bomba; la “caccia alle streghe” maccartista e i
procedimenti da inquisizione utilizzati (arresti, interrogatori, condanne, libri bruciati o
censurati e intellettuali indicati come sovversivi); la violenza postbellica individuale e di
gruppo; la progressiva stabilità economica che tentava di mascherare il vuoto divenendo
l’unico obiettivo della classe medio-alta, l’estendersi di quelle enormi “sacche” di povertà,
l’esistenza di un diffuso malumore operaio, la mancanza di un vero mondo giovanile che la
guerra aveva drasticamente ridotto; la sfida nascente crescente e vincente della
tecnologia e dei mass media; l’isolamento e la frammentazione degli individui nella grande
crescita demografica, il trapasso da una generazione a un’altra; e infine, il delinearsi del
ghetto come punto nevralgico della società USA con tutti i suoi elementi culturali: Jazz, bebop, esplosioni di rabbia e primi tentativi di organizzazione.
Per ultimo, l’aumento della popolazione e delle sue necessità, l’espansione urbana e delle
infrastrutture, la moltiplicazione degli insediamenti industriali-inquinanti, produssero una
nuova consapevolezza nel modo di guardare l’environment (=natura-ambiente). Così si
1
2
3
L’era atomica, R. Maiocchi, Giunti, firenze1993, p. 9.
Ivi, p. 36.
Ivi, p. 71.
2
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segnò un’altra rottura storica di ampiezza e profondità enormi che contribuì ulteriormente a
determinare la crisi epocale del periodo. Nascono i cosiddetti movimenti controculturali,
antiscientisti, antindustrialisti e ambientalisti. L’altissimo grado di interconnessione e
interdipendenza dei nuovi modelli urbano-industriali si è manifestato in fenomeni come:
motorizzazioni, lavorazioni industriali, pesticidi, inquinamento atmosferico e acustico, il
problema dei rifiuti, la crescente sottrazione di terreni alle aree agricole per le
infrastrutture, la scomparsa di centinaia di specie animali e vegetali e il disboscamento
massiccio dei grandi “polmoni” della Terra. Ormai quindi, la fisica, la chimica, la genetica,
l’elettronica e la biologia hanno assunto una nuova immagine non più di disinteresse e di
innocenza; la ricerca oggi solleva spesso questioni etiche. Il nucleare è utilizzato per la
produzione di energia, in vista dell’esaurimento delle riserve di idrocarburi, consentendo in
tal modo l’acquisto sempre maggiore di beni durevoli grandi consumatori di corrente
elettrica. I computers cominciano a invadere gli uffici pubblici e privati contribuendo
anch’essi alla crisi dell’individuo.
Decisivo è stato il ruolo della psicanalisi, diffusa in neppure tre decenni da una sorta di
religione laica ampiamente condivisa. Nulla forse come la divulgazione e diffusione
dell’opera di Freud attesta il vuoto lasciato dalla scomparsa di ogni forma di costruzione
autonoma dell’“io”.
“Ero convinto che ci fosse ancora tempo, e parecchio. La società totalmente organizzata, il
sistema scientifico delle caste, l’abolizione del libero arbitrio mediante il condizionamento
metodico, la soggezione resa accettabile grazie alla felicità indotta chimicamente
[soma=droga perfetta] , a dosi regolari, l’ortodossia martellata in capo alla gente coi corsi
notturni di insegnamento ipnodico: tutte cose a venire, certo, ma non nei tempi miei [e
inoltre] al nostro sistema etico tradizionale (in esso l’individuo ha importanza primaria) si
va sostituendo un’Etica Sociale: adattamento, condotta socialmente orientata,
appartenenza, acquisizione di capacità sociali, lavoro di squadra, vita di gruppo, pensiero
di gruppo”4.
Questo il panorama americano, europeo e mondiale degli anni Cinquanta.
La Beat Generation ha sicuramente più diritto di altre generazioni di credere di aver
ricevuto in eredità uno dei peggiori mondi possibili. La Beat Generation, che è
specificamente il prodotto di tale mondo, nella storia americana è stata la prima a crescere
in un’epoca in cui l’addestramento militare in tempo di pace rappresenti un dato di fatto
della vita nazionale. E’ stata la prima a conoscere le formule “magiche” della psicanalisi
come “pane” quotidiano dell’intelletto. E’ stata la prima alla quale il genocidio, il lavaggio
del cervello, brain-wash, e la cibernetica risultino così familiari. Ed infine è la prima
generazione che sia cresciuta in un mondo nel quale la soluzione finale di tutti i problemi
sembri essere una sola: la distruzione nucleare.
La reazione fu rivoluzione. Un misto di amarezza e volontà di lottare per sé, di scoprire le
verità interiori, di combattere l’ovvietà e la falsità delle generazioni adulte con armi che
vanno dalla provocazione alla negazione, dall’attacco all’autodistruzione; creare un nuovo
mondo chiuso grazie cui entrare in contrasto, piuttosto che in contatto, con gli altri.
“Le utopie sono realizzabili. La vita marcia verso le utopie.
E forse un secolo nuovo comincia; un secolo nel quale
gli intellettuali e la classe colta penseranno
ai mezzi di evitare le utopie e di ritornare a una società
non utopistica, meno ‘perfetta’ e più libera”
Nicola Berdiaeff
MEDIA E PUBBLICO TRA IL ’50 E IL ’755:
4
5
Il mondo nuovo, A. Huxley, Mondadori; Trento 1998, p. 256.
Storia dell’età contemporanea, P. Ortoleva e M. Revelli, Mondadori, Milano 1992, p. 620.
3
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MEDIA
(copie vendute)+77%
(apparecchi)+417%
(apparecchi)+3235%
(titoli pubblicati)+11%
STAMPA
RADIO
TV
LIBRI
PUBBLICO(ogni 1000 ab.)
+5%
+95%
+185%
+30%
pop. Mondiale: +33%
RIPARTIZIONE PERCENTUALE DELLA FORZA LAVORO6:
AGRICULTURA
INDUSTRIA
USA 1929
21.2%
38%
USA 1965
5.7%
38%
SERVIZI
40.8%
56.3%
CONSUMO DI ENERGIA TRA IL’60 E IL ’747:
INDUSTRIA
TRASPORTI
USA
GIAPPONE
EUROPA
4.2%
19.3%
8.2%
7.6%
22.4%
16.5%
POPOLAZIONE (in milioni di ab.):
1900
1950
AFRICA
120
219
AMERICA
63
164
LATINA
AMERICA
81
166
SETTENTR.
ASIA
937
1368
EUROPA
272
392
URSS
129
180
MONDO
1608
2501
RIPARTIZIONE PERCENTUALE8:
1900
1975
705
10.1
3.9
8.2
1975
401
324
237
5.0
6.0
2256
473
255
3968
58.3
16.9
8.0
100.0
56.9
11.9
6.4
100.0
PERCENTUALE DELLA POPOLAZIONE URBANA9:
‘20
‘40
REG.SVILUPPA 38.5%
46.9%
TE
REG.
8.4%
12.5%
SOTTOSVILUP
PATE
MONDO
19.3%
25.5%
NUMERO DI GRANDI CITTA’10:
‘20
‘40
REG.SVIL. 62
85
REG.
21
41
SOTTOSV.
MONDO
83
126
SETTORE
DOMESTICO
3.6%
12.2%
8%
‘50
53.6%
‘75
69.8%
15.8%
27.2%
28.8%
39.3%
‘50
109
64
‘60
126
108
‘75
201
199
2000
299
507
173
234
400
806
6
Fonte: statistiche delle Nazioni Unite.
Idem.
8
Idem.
9
Idem.
10
Idem.
7
4
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RIPARTIZIONE PERCENTUALE DELLA SPESA PUBBLICA PER SETTORI11:
DIFESA/SPAZIO ECONOMIA/AG SALUTE/AMBIE INSEGNAMENT
/ NUCLEARE
R./ TECNICA
NTE
O E ALTRO
INDUSTR.
ANNO
1961
1961
1961
1961
STATI UNITI
88.5%
3.2%
7.3%
1.1%
GIAPPONE
13.2%
32.5%
2.6%
50.8%
REGNO UNITO 79.7%
11.2%
1.7%
7.5%
ANNO
1968
1968
1968
1968
STATI UNITI
79.3%
6.0%
12.7%
1.9%
GIAPPONE
8.7%
25.0%
4.0%
62.2%
REGNO UNITO 59.4%
22.1%
3.7%
14.8%
11
Idem.
5