Immanuel Kant
La filosofia kantiana è la più tipica espressione dell’illuminismo tedesco.
Dal punto di vista filosofico l’illuminismo esalta il ruolo della ragione e nello scritto “Risposta alla
domanda che cos’è l’illuminismo”, Kant utilizza il motto “Sapere aude”, che significa: abbi il coraggio di
sapere, abbi il coraggio di servirti della tua propria ragione senza dipendere da altre autorità esterne.
L’illuminismo difende l’uso libero, critico e spregiudicato (senza pregiudizi) della ragione e questo
significa uscire dallo stato di minorità, come il bambino, che inizialmente dipende dai genitori, quando
diventa adulto, diventa anche autonomo e va alla ricerca del significato delle cose in modo spontaneo.
La ragione secondo gli illuministi è:
- PROGRESSIVA: è in grado di promuovere il progresso dell’umanità.
- UNIVERSALE: rende gli uomini vicini e li accomuna (gli illuministi esaltano infatti i principi di
uguaglianza, di libertà e di fraternità). Gli uomini sono liberi e fratelli in quanto dotati di
ragione.
- PUBBLICA: è politicamente finalizzata al miglioramento della società.
Nel periodo illuminista ebbe un ruolo importante l’Enciclopedia. Questo testo che aveva il compito di
riunire e divulgare il sapere ad una sfera più ampia di individui, facendo leva sulla ragione che accomuna
tutti gli uomini. La ragione umana è riconosciuta come una ragione finita e nella filosofia kantiana
diviene fondamentale individuare i limiti della ragione, perché una volta determinata la linee di confine,
si rinforzano le possibilità della ragione e di conseguenza i risultati che si ottengono.
Bisogna circoscrivere i risultati altrimenti ci si espone più facilmente al fallimento.
La filosofia di Kant è stata definita per questo motivo una filosofia del limite, che garantisce i risultati
senza sconfinare.
LA VITA:
Kant nasce nel 1724 e si dedica agli studi filosofici e alla vita accademica ricevendo un’educazione
rigida all’insegna del pietismo (movimento religioso protestante). È estremamente rigoroso e metodico
nel suo stile di vita. Muore nel 1804.
Le opere più importanti sono le cosiddette Tre Critiche:
- La critica della Ragion Pura (1781)  teoretica e conoscitiva.
- La critica della Ragion Pratica (1788)  ciò che guida all’azione.
- La critica del Giudizio (1790).
Tra gli scritti minori troviamo la “Risposta alla domanda che cos’è l’illuminismo”.
PREMESSE:
Il pensiero di Kant viene definito criticismo, perché, in perfetta sintonia con le tesi illuministiche,
ritiene che la funzione fondamentale della filosofia sia proprio la critica, dunque valutare, distinguere e
soppesare. Anche per Kant è fondamentale individuare i limiti e le condizioni di possibilità della ragione
umana, per poter raggiungere risultati veri e certi.
LA CONOSCENZA:
Il culmine della filosofia moderna è rappresentato dalla filosofia kantiana perché essa porta alle
estreme conseguenze il dualismo gnoseologico (separazione tra pensiero ed essere).
Infatti il criticismo di Kant introduce una rivoluzione copernicana in ambito filosofico: come la
rivoluzione copernicana rovescia il rapporto Sole-Terra nella rappresentazione dell’universo, allo stesso
modo Kant inverte il rapporto tra oggetto e soggetto nella conoscenza.
Nella conoscenza non è il soggetto che si adegua all’oggetto, dunque che si modifica passivamente, ma è
l’oggetto che si struttura secondo le categorie conoscitive del soggetto.
Conoscere, infatti, non significa manifestare la realtà così come è, ma strutturarla secondo tali
categorie. Conoscere implica una trasformazione della realtà, ovvero la fenomenizzazione.
N.B. Il soggetto non rappresenta il singolo individuo, ma tutti gli uomini che possiedono la ragione e le
stesse categorie conoscitive, in quanto soggetti pensanti.
La conseguenza di questo ribaltamento è che l’oggetto della nostra conoscenza diventano i fenomeni,
cioè le cose così come ci appaiono e non come realmente sono.
La filosofia di Kant è infatti basata sulla contrapposizione tra fenomeno e noumeno.
Fenomeno
Il fenomeno è la realtà come ci appare, come è
rappresentata dal soggetto.
Nell’ambito del fenomeno c’è conoscenza certa.
N.B. Ritorna l’esempio delle lenti colorate, che
modificano la realtà, questa volta secondo le
nostre capacità conoscitive.
Noumeno
È la realtà in sé, quella che per definizione sta al
di là del pensiero, perché se per assurdo la
conoscessimo sarebbe fenomeno.
Il noumeno è pensabile, tanto è vero che io ne
parlo, perché se esistono le cose che ci appaiono,
esistono per forza anche le cose in sé (il noumeno
è quindi la condizione della conoscenza).
Esso però non è conoscibile, in quanto
irraggiungibile (il dualismo gnoseologico è portato
alle estreme conseguenze: pensiero e realtà sono
separate).
Scarto tra pensare e conoscere: io posso pensare tutto, senza conoscerlo necessariamente. Pensare mi
dice che qualcosa è, ma non che cosa è.
Kant paragona l’ambito della conoscenza ad un isolotto in mezzo al mare.
L’isola rappresenta il limite delle conoscenze, l’ambito dei fenomeni, mentre il noumeno è il mare aperto,
sappiamo che c’è, ma non possiamo esplorarlo, perché la conoscenza non può andare oltre il fenomeno.
Il problema del limite della conoscenza e quindi della contrapposizione tra fenomeno e noumeno, è
affrontato nella critica della Ragion Pura (pura perché è libera da qualsiasi elemento legato
all’esperienza).
Il problema centrale è stabilire se la ragione umana possa conoscere oltre i limiti dell’esperienza, se sia
possibile stabilire una metafisica come scienza rigorosa.
Kant vuole portare la ragione davanti al suo stesso tribunale, cioè spingerla fino al suo stesso limite, per
esplorare ciò che c’è al di là.
Concluderà dicendo che è impossibile: la metafisica non ha alcuna validità scientifica, anche se
riconoscerà che essa è un’esigenza ineliminabile dello spirito umano.
L’uomo per natura cerca qualcosa al di là dei limiti, ma ciò che raggiunge non è mai scienza rigorosa: lo
stesso Kant si definisce innamorato della metafisica.
LA SCIENZA:
Kant dà un valore alla scienza e non condivide il pensiero di Hume della scienza probabile. Kant ricerca
le condizioni di possibilità della scienza e vuole sottolineare come essa abbia un valore rigoroso.
Nella scienza sono combinati due elementi fondamentali:
- ELEMENTO A PRIORI, cioè l’elemento innato, indipendente dall’esperienza, che corrisponde alle
strutture conoscitive del soggetto.
- ELEMENTO A POSTERIORI, cioè l’elemento dipendente dall’esperienza, a cui corrispondono i dati
dell’esperienza.
La scienza, ovvero i fenomeni, sono una sintesi dei dati dell’esperienza modellati secondo le strutture
conoscitive del soggetto. Senza le strutture conoscitive del soggetto non si ha la conoscenza, si hanno
solo dei dati disordinati, e allo stesso modo senza i dati dell’esperienza si hanno soltanto delle caselle e
degli schemi vuoti. I fenomeni sono quindi i dati dell’esperienza incasellati e modellati nelle strutture
conoscitive del soggetto.
Kant definisce la scienza come una sintesi a priori:
giudizi
giudizi
analitici a priori
sintetici a posteriori
giudizi
sintetici a priori
N.B. Rappresenta la fusione tra razionalismo ed empirismo: gli elementi innati vengono fusi con quelli
derivanti dall’esperienza.
Giudizi analitici a priori
Giudizi sintetici a posteriori
Sono giudizi universali e necessari e negarli
significherebbe contraddirli.
Sono come le verità di ragione di Leibniz.
Esempio: i corpi sono estesi.
Questi giudizi sono tautologici, ovvero ovvi. Non
dicono nulla di nuovo, non accrescono la mia
conoscenza, infatti dire che i corpi sono estesi è
avere esplicitato una qualità che era già implicita
nello stesso concetto di corpo.
La necessità di questi giudizi deriva dal fatto che
gli schemi, le categorie conoscitive sono sempre le
stesse e uguali per tutti.
Corrispondono alle verità di fatto e dipendono
dall’esperienza.
Esempio: i corpi sono pesanti.
La pesantezza è una caratteristica che ricavo
dall’esperienza. Sono giudizi estensivi e fanno
accrescere la conoscenza, ma non sono universali e
necessari.
La scienza, una legge scientifica è fatta di giudizi sintetici a priori, che uniscono le caratteristiche di
universalità e necessità dei giudizi a priori, con quella di estensione, tipica dei giudizi a posteriori.
N.B. I dati possono essere visti come la materia, mentre le strutture conoscitive corrispondono alla
forma. La mente filtra i dati attraverso queste strutture. Noi non conosciamo la realtà, ma la
interpretiamo tramite le categorie dell’essere.
IL PRINCIPIO DI CAUSALITÀ:
Le leggi scientifiche non dicono come deve essere la realtà, ma come necessariamente deve apparirci.
La necessità del legame tra causa-effetto non deriva dagli oggetti, ma da come sono strutturate le
categorie del soggetto.
Esempio: “Il fuoco è causa del fumo”.
La relazione di causalità vale solo nel mondo dei fenomeni ed è un rapporto necessario, che deriva dalle
nostre capacità conoscitive (quindi dalle categorie del soggetto) che non riescono a concepire i
fenomeni, se non legati dal principio di causalità.
IL TERMINE TRASCENDENTALE:
Kant quando si riferisce alle categorie utilizza l’aggettivo trascendentale, ovvero relativo alle strutture
conoscitive del soggetto o ciò che rende possibile l’oggetto (questa seconda affermazione si ricollega
alla prima, in quanto è possibile conoscere l’oggetto solo attraverso le categorie del soggetto).
Nella filosofia classica-medievale, trascendentale era qualcosa che si riferiva all’essere, erano quelle
caratteristiche che si riferivano all’essere in quanto tale. In Kant invece trascendentale si riferisce al
pensiero. Si nota dunque lo slittamento dal piano dell’essere al piano del pensiero.
I TRE LIVELLI DELL’A PRIORI:
Il patrimonio a priori si struttura in tre livelli, che corrispondono alle sezioni della sua opera (critica
della Ragion Pura):
- SENSIBILITÀ  nell’estetica trascendentale si parla di spazio e tempo.
N.B. In greco “estetica” significa sensazione, e indica lo studi della conoscenza sensibile.
- INTELLETTO  nell’analitica trascendentale si parla delle categorie o concetti puri.
- RAGIONE  nella dialettica trascendentale si parla delle idee.
Solo i livelli della sensibilità e dell’intelletto corrispondono a conoscenza.
Sensibilità ed intelletto sono descritti come due tronchi (due realtà distinte) che hanno però una
radice comune.
Attraverso la sensibilità gli oggetti ci vengono dati, mentre attraverso l’intelletto vengono pensati.
Il verbo “dati” indica la capacità di cogliere immediatamente. I dati derivano dall’esperienza e la
conoscenza immediata è solo sensibile.
L’intelletto umano è limitato e solo l’intelletto divino ha un’intuizione intellettuale.
La sensibilità è la facoltà dell’immediato.
Ciò indica però, una margine di passività della sensibilità, infatti se qualcosa ci è dato, vuol dire che lo
riceviamo così com’è.
All’intelletto è affidata la rielaborazione dei dati.
Il processo di riordinazione dei dati avviene a diversi livelli.
Sensibilità:
I dati dell’esperienza, a livello della sensibilità, vengono solo ricevuti e ordinati così come sono, la
sensibilità quindi prepara la rielaborazione dell’intelletto.
Una prima forma di unificazione dei dati deriva dalle forme a priori della sensibilità o intuizioni pure,
che sono lo SPAZIO e il TEMPO.
Lo spazio e il tempo sono modi di percepire la realtà in modo sensibile.
Richiamo alla concezione di Leibniz, secondo cui spazio e tempo non avevano un valore assoluto, come
per Newton, ma dipendevano dai diversi osservatori.
Il tempo ha un’ampiezza superiore allo spazio.
Spazio e tempo non sono oggettivi, ma sono strutture della sensibilità.
Intelletto:
I dati vengono ulteriormente riordinati, elaborati e sintetizzati attraverso le categorie dell’intelletto.
Per Aristotele le categorie (che erano dieci) erano i generi supremi dell’essere.
Per Kant sono invece le strutture del pensiero e ciò sottolinea ancora il passaggio dall’essere al
pensiero.
Kant individua dodici categorie, che corrispondono alle varie forma di giudizio e le suddivide in quattro
gruppi:
- quantità
- qualità
- relazione
- modalità: esistenza, possibilità, necessità.
Le categorie sono forme che unificano i dati dell’esperienza (i fenomeni), ma sono molteplici.
La radice comune che li unifica è chiamata da Kant “io-penso” o “appercezione trascendentale”.
L’Io per Hume era il variare delle sue rappresentazioni, degli stati soggettivi; non aveva un sostrato
stabile. Le rappresentazioni non appartenevano all’io ma lo costituivano.
Secondo Kant il riuscire a percepire le rappresentazioni come proprie significa che esiste un centro
unitario del soggetto, un punto focale, che rende possibile le rappresentazioni, a cui queste si
riferiscono.
Kant lo chiama anche radice unificante di tutte le categorie o condizione di possibilità delle
rappresentazioni.
Per Kant, non esiste dunque l’io variopinto di Hume, tutte le rappresentazioni hanno un punto focale:
l’io-penso. E questo non è l’anima, non è una sostanza invisibile (non ho infatti motivi per affermarne
l’esistenza), è una funzione soggettiva della conoscenza.
Ragione:
Questo livello è studiato dalla dialettica trascendentale, ovvero la logica dell’apparenza. Essa studia le
illusioni, gli errori in cui inevitabilmente la mente umana cade quando pretende di superare i limiti
dell’esperienza. La facoltà che compie ciò è, appunto, la ragione, cioè quella dimensione che tende
all’infinito.
La dialettica trascendentale è una critica verso queste illusioni.
Tanto quanto Kant sottolinea l’illusione, ovvero il fatto di non giungere a nessuna conoscenza certa al di
là del limite dei fenomeni, sottolinea come questi errori siano inevitabili (non casuali) perché il
tentativo della ragione di andare oltre i fenomeni è insito nella natura dell’uomo.
La tendenza è ineliminabile ma non porta a nessun risultato rigoroso.
Le forme della ragione sono le idee:
- idea psicologica  anima
- idea cosmologica  mondo, inteso come totalità, intero
- idea Teologica  Dio
se la ragione non può conoscere, a nessuna di queste idee corrisponde un oggetto dell’esperienza. Sono
solo forme che non possono essere riempite da dati.
Queste idee sono esigenze della ragione e non hanno un uso costitutivo ma regolativo.
Non si combinano con dei dati per dar luogo alla conoscenza, però servono a conoscere i fenomeni “come
se” (che sottolinea l’uso regolativo) dipendessero da queste idee, a meglio unificare e sostenere
l’intelletto nella conoscenza dei fenomeni.
Non posso conoscere l’anima, il mondo e Dio, ma mi servono a meglio unificare i fenomeni.
Es. Io interpreto le leggi scientifiche come se dipendessero dalla totalità del mondo.
Oppure pensare che tutte le facoltà dell’uomo dipendano dall’anima , ci aiuta a capire meglio, a unificare
queste facoltà.
Se noi pensiamo il mondo, come qualcosa che dipende da un essere superiore, Dio, esso ci appare più
bello. (Ideale trascendentale????!!!!)
Nella “Critica alla Ragion Pura”, Kant afferma che non si può raggiungere il noumeno, non si può superare
il limite della conoscenza. Nelle altre due critiche il filosofo spiega come l’uomo possa accedere,
raggiungere, al noumeno attraverso due vie:
- della pratica (o morale)  “Critica della Ragion Pratica”
- dell’estetica  “Critica del Giudizio”
CRITICA DELLA RAGION PRATICA:
La ragion pratica guida l’azione dell’uomo, è la volontà razionale.
Per Kant è innegabile che l’uomo agisce sempre sulla base di determinate passioni e desideri. In alcuni
casi però c’è la possibilità che sia la ragione a guidare la volontà, senza che sia influenzata dai desideri,
e quando ciò accade l’uomo si comporta come un essere puramente razionale. In questi casi agisce in
virtù della legge morale.
La legge morale corrisponde all’imperativo categorico. Imperativo perché è una legge universale, che
vale per ogni uomo; categorico perché incondizionato, non subordinato da condizioni,“Devi perché devi”.
N.B. è in antitesi all’imperativo ipotetico che è condizionato da un fine.
Es. Se vuoi diventare famoso devi…”
Kant rifiuta una morale basata sul sentimento, essa è bastata solo sulla ragione e per questo motivo è
universale. Quello che rende buona un’azione non è solo il contenuto, non basta rispettare una legge, ma
è l’intenzione, è infatti importante compierla o rispettarla per amore della legge morale stessa.
Il bene morale è il rispetto della legge morale per amore della stessa.
Il fatto che l’uomo è in grado di rispettare la legge morale, significa che è libero.
Es. il tiranno obbliga un suddito a fare i nomi di coloro che tramavano contro il tiranno. Intimorito
l’uomo fa i nomi, ma subito dopo viene colpito dal rimorso perché poteva scegliere di non fare i nomi.
Dalla legge morale Kant risale alla libertà dell’uomo.
L’uomo in quanto fenomeno è perfettamente inserito nel determinismo del mondo naturale e dipende dal
rapporto causa-effetto, ma in quanto noumeno è libero, e ciò è attestato dal fatto che può scegliere se
rispettare o meno la legge naturale.
La libertà è quindi un postulato della ragion pratica.
N.b. postulato è qualcosa che non viene dimostrato, è evidente. È il principio su cui si basa la tesi
Postulati della Ragion Pratica:
- libertà
- immortalità dell’anima
- esistenza di Dio (Sommo bene)
Se non valgono questi postulati non ha senso la legge morale. I postulati sono le condizioni di validità
della legge morale.
Siccome la legge morale è qualcosa di cui siamo certi, allora abbiamo una certezza morale di questi
postulati, senza i quali non avrebbe senso rispettare tale legge. Se le azioni morali fossero guidate
dall’istinto, non sarebbero né buone, né cattive, sarebbero naturali. Un’azione morale deve basarsi sulla
libertà di scelta.
La piena realizzazione della legge morale non si può realizzare nella vita mortale, essa esige
un’esistenza infinita.
Nella nostra vita finita non è detto che la virtù implichi la felicità.
Dio diventa colui che garantisce la corrispondenza tra virtù e felicità. Ci garantisce la felicità nella vita
infinita. La sua esistenza ci rende sensato il rispetto della legge morale.