Immanuel KANT Scritti precritici (1746 – 1770): idea della nebulosa originaria + forze attrattive e repulsive (newtoniane). I metafisici come visionari e “fabbricanti di castelli in aria”. Dissertazione del ’70: spazio e tempo come forme della nostra sensibilità (per Newton assoluti, per Leibniz relativi); tre facoltà conoscitive, la sensibilità, l’intelletto e la ragione; conoscenza del dato come materia e forma. Tributi alle filosofie precedenti: Locke (tabula rasa), Hume (scetticismo) – Empirismo Leibniz, Spinoza, Wolff – Razionalismo Illuminismo (“Che cos’è l’Illuminismo?” = uscita dallo stato di minorità che l’uomo deve imputare a sé stesso) Crisi della metafisica (“Regina delle scienze”), che sfocia nel dogmatismo: è necessario sottoporla al “Tribunale della Ragione”. Critica (def. vedi p.78): analisi della possibilità e dei limiti delle facoltà umane sui tre versanti della funzione conoscitiva (gnoseologia, Critica della Ragion Pura), della moralità (filosofia morale, Critica della Ragion Pratica) e dei sentimenti (estetica e teleologia, Critica del Giudizio). Rivoluzione copernicana: non più il soggetto che ruota attorno all’oggetto, ma viceversa; ovvero, gli oggetti del conoscere dipendono dal nostro modo di pensarli, mediante funzioni a priori (spazio, tempo, categorie..) Scienza è conoscenza del fenomeno; il noumeno (essenza ultima delle cose) è inconoscibile (“sogni da visionari”). La metafisica rimane come esigenza dell’uomo (idee della ragione dialettica, con funzione regolativa), non più come scienza. Giudizi sintetici a posteriori (“alcuni corpi sono pesanti”), analitici a priori (“tutti i corpi sono estesi”), sintetici a priori (“5+7=12”, “ogni fenomeno rimanda a una causa”). Come sono possibili giudizi sintetici a priori? E’ possibile la metafisica come scienza? L’oggetto della conoscenza è un prodotto dell’attività del soggetto: si deve dunque indagare la realtà mediante la filosofia trascendentale, che pone le condizioni di possibilità della stessa esperienza, ordinandola. I giudizi d’esperienza devono avere validità oggettiva e sono il giudizio percettivo che diventa valido universalmente a priori grazie alle categorie. Deduzione trascendentale dalla tavola dei giudizi (già nota in grammatica). Chi ci garantisce che la natura sia effettivamente organizzata secondo i modi in cui la conosciamo? Il fatto che ogni cosa conosciuta da me debba conformarsi al mio modo di conoscere le cose (rivoluzione copernicana). L’attività conoscitiva è sintetica: sintesi di sensazioni e intuizioni a priori, sintesi di concetti puri e categorie; queste sintesi hanno fondamento nell’unità della coscienza (io penso, appercezione trascendentale, autocoscienza), unità del soggetto conoscente. L’ io penso deve accompagnare tutte le rappresentazioni, affinché siano mie rappresentazioni. Schematismo trascendentale: l’immaginazione trascendentale, a metà tra la facoltà della sensibilità e quella dell’intelletto, predispone i dati sensibili (attraverso gli schemi) all’applicazione delle categorie. L’uomo sente il bisogno di andare oltre ogni esperienza possibile, e lo fa attraverso le idee trascendentali, che vedono il reale come “compiuta e perfetta totalità”. Paralogismo nel sillogismo; antinomie della ragione (3^ antinomia: l’impossibilità di dimostrarla sul piano teoretico non esclude la sua possibilità nel piano pratico, laddove si configura come capacità di esercitare una scelta.; prova ontologica (scarto essenza/esistenza), cosmologica (uso indebito della categoria di causa), fisico-teleologica (uso tacito della prova ontologica). Ragion Pratica: scienza delle regole secondo cui l’uomo deve agire, secondo libertà. Se non potessimo attribuire le nostre azioni alla nostra libera volontà, come diremmo che un atto è buono o malvagio? L’uomo non è né santo né animale, pertanto la sua ragione deve subordinare alla ragione gli impulsi sensibili, il cieco istinto. Pertanto le leggi morali hanno il carattere di una necessità incondizionata, presentandosi sotto la forma di un comando (imperativo). L’imperativo categorico è il dovere per il dovere, senza altri fini: non interessa tanto il risultato dell’azione, quanto l’intenzione che sta dietro, cioè la forma della stessa, l’intenzione disinteressata. La virtù deve accompagnarsi alla felicità (è giusto che sia così), e la spiegazione sta nei postulati, indimostrabili teoreticamente, ma necessari. La vita morale ha dunque come luogo di svolgimento quella realtà soprasensibile che non si coglie sul piano teoretico, pertanto Kant parla di “primato della ragion pratica”. Come si fa a conciliare il determinismo della scienza con il postulato della libertà? Attraverso “il sentimento del piacere e del dispiacere”: l’uomo non solo conosce e agisce, ma sente. Fa parte della facoltà del Giudizio, che spazia liberamente tra natura e libertà (dominio specifico delle altre due facoltà). In che modo? Attraverso il giudizio riflettente (spiegare l’universale): riflette sulle realtà empiriche, guardandole dal punto di vista del fine (regno dei mezzi e regno dei fini, con valore però solo orientativo, a differenza dei Romantici). Problemi aperti: Per i Romantici la facoltà del giudizio, puramente soggettiva per Kant, deve lasciare il posto all’arte e alla religione, che sole colgono l’Assoluto mediante l’intuizione e il sentimento dell’infinito in modo oggettivo. Contraddizione: senza la realtà della cosa in sé non c’è Criticismo, ma: 1) il Criticismo si basa sul soggetto e perciò nega la cosa in sé; 2) se è falso, allora ammetto la possibilità di conoscere la cosa in sé in senso realista (Jacobi). Come si fa a porre a fondamento dell’esperienza ciò che non è esperienza (le forme a priori)? (Schulze). E’ impossibile andare oltre l’esperienza, in una ipotetica cosa in sé: le forme a priori dell’esperienza allora non sono altro che ciò che non varia nella conoscenza stessa (Maimon). Riguardo alle due realtà dobbiamo concludere con lo scetticismo di Hume, non risolto da Kant. Kant non avuto il coraggio di far diventare l’io penso principio sostanziale (Fiche).