Disturbo di Conversione - Polispecialistica Roma Quattro

Disturbo di Conversione
L'Associazione degli Psichiatri Americani (APA), nel descrivere questo disturbo, ha adottato il termine
"conversione" che tradizionalmente si rifà all'idea che il sintomo somatico rappresenti una risoluzione
simbolica di un conflitto o di un motivo di stress. L'inquadramento diagnostico del disturbo effettuato
dall'APA si emancipa da questa lettura psico-analitica e richiede la sola presenza di qualche fattore
psicologico associato in qualche modo ai sintomi. Il Disturbo di Conversione viene infatti descritto in
questi termini:
1. Uno o più sintomi o deficit riguardanti funzioni motorie volontarie o sensitive, che suggeriscono
una condizione neurologica o medica generale.
2. Si valuta che qualche fattore psicologico sia associato col sintomo o col deficit, in quanto
l'esordio o l´esacerbazione del sintomo o del deficit è preceduto da qualche conflitto o altro tipo
di fattore stressante.
3. Il sintomo o deficit non è intenzionalmente prodotto o simulato.
4. Il sintomo o deficit non può, dopo le appropriate indagini, essere pienamente spiegato con una
condizione medica generale, o con gli effetti diretti di una sostanza, o con una esperienza o
comportamento culturalmente determinati.
5. Il sintomo o deficit causa disagio clinicamente significativo, o menomazione nel funzionamento
sociale, lavorativo, o in altre aree importanti, oppure richiede attenzione medica.
6. Il sintomo o deficit non è limitato a dolore o disfunzioni sessuali, non si manifesta
esclusivamente in corso di Disturbo di Somatizzazione, e non è meglio spiegabile con qualche
altro disturbo mentale.
Può presentarsi:
• Con Sintomi o Deficit Motori
• Con Attacchi Epilettiformi o Convulsioni
• Con Sintomi o Deficit Sensitivi
• Con Sintomatologia Mista
I Disturbi di Conversione rappresentano deficit "funzionali" non spiegabili da una compromissione sul
piano neurologico. Infatti i pazienti che ne sono affetti si trovano spesso in una situazione vaga, in cui né
il neurologo né lo psichiatra riescono a spiegare il problema attraverso la rilevazione di una patologia
concernente i propri ambiti di interesse e intervento. Tuttavia, i problemi neurologici inspiegati risultano
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piuttosto comuni e sono riscontrati nel 30% dei centri di neurologia.
Gli specifici sintomi con cui si presenta il disturbo possono essere di tipo "positivo", quando compaiono e
si aggiungono alla condizione esistente, come i tremori, gli attacchi simil-epilettici e la distonia
(difficoltà motoria dovuta ad atteggiamenti posturali del tutto involontari dell'individuo), o di tipo
"negativo", quando cioè alcune funzioni precedentemente intatte vengono perdute, come avviene nella
paralisi, nell'insensibilità al tatto e al dolore, nella cecità, nella sordità, nell'afonia e nei problemi legati
alla deglutizione e alla minzione. I sintomi possono essere episodici o sostenuti, acuti o cronici. E'
importante sottolineare che l'assenza di una comprovata compromissione neurologica non significa che
questi disturbi siano un atto di simulazione o di finzione deliberata e tanto meno che non creino un reale,
significativo disagio e una vera inabilità nelle persone affette. Come intuì James ben oltre un secolo fa
(1896), il disturbo di conversione, che allora Freud (1985) definiva isteria, è una malattia vera, ma una
malattia mentale. Dopo più di un secolo di interesse clinico e teorico sull'argomento, l'esatta natura di
tali disturbi emotivi responsabili dei sintomi e le loro conseguenze funzionali sui sistemi neurali nel
cervello rimangono ancora ampiamente sconosciute. Tuttavia, diversi studi recenti hanno usato tecniche
che producono immagini delle aree e delle funzioni del cervello (come la elettroencefalografia, la
risonanza magnetica funzionale, la tomografia a emissione di positroni e la tomografia computerizzata a
emissione di singolo fotone) nel tentativo di identificare gli specifici correlati neuronali associati ai
sintomi di conversione. Queste ricerche cominciano a fornire un sostanziale supporto alla tesi dell'origine
psicologica del disturbo, soprattutto riconoscendo l'importanza dei fattori contestuali che producono
stress e tensioni emotive.
Infatti la letteratura, rispetto ad esempio ai deficit motori del disturbo di conversione, suppone che ci sia
un legame tra l'attivazione emotiva e il disturbo di conversione che è in grado di modulare i circuiti motori,
tanto da procurare il blocco degli arti. Soprattutto l'amigdala, deputata al processamento degli stimoli di
tipo emotivo, è nota interferire sui comportamenti motori. Ad esempio, in risposta a stimoli minacciosi
processati dall'amigdala gli animali diventano fortemente attenti e in allerta e, in prossimità della
minaccia, attaccano o fuggono hanno trovato che i pazienti con deficit motori mostrano una maggiore
connessione dell'amigdala all'area motoria supplementare, il che può dar conto dell'influenza
dell'emozione sulla funzione motoria inibita. Questo dato sembrerebbe suggerire che la paralisi negli
uomini possa avvenire in modo simile al blocco che accade negli animali quando sono in pericolo.
Rispetto alla specificità delle aree attivate che impediscono l'esecuzione dell'azione o del movimento,
Marshall et al. (1997) hanno mostrato che quando viene chiesto a una paziente con paralisi della parte
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sinistra del corpo di prepararsi a muovere la gamba bloccata, essa attivava le aree cerebrali (corteccia
premotoria laterale ed emisfero cerebrale bilaterale) che esprimono l'intenzione e la preparazione a
muovere l'arto bloccato. Questo dato smentisce ancora una volta che l'emi-paralisi sia una finzione, in
quanto vengono attivate le aree del cervello che indicano la prontezza all'azione motoria. Inoltre, questo
studio mostra anche quali siano i correlati neurobiologici che impediscono che l'azione sia effettivamente
eseguita. Infatti, quando alla paziente viene chiesto di muovere l'arto bloccato, si registra un incremento
di attività in alcune aree (corteccia cingolata anteriore e corteccia orbito-frontale) implicate nell'azione,
nell'emozione e nell'inibizione motoria. Dunque, non si riesce a muovere la gamba nonostante la volontà
per l'intervento di aree cerebrali deputate a inibire l'azione.
Lo studio di Vuilleumier et al. (2001), in cui pazienti con perdita sensomotoria unilaterale erano
sottoposti a stimoli di tipo vibratorio, ha mostrato una riduzione dell'attività di aree (talamo e gangli della
base) intimamente connesse all'interno di circuiti neuronali inerenti alle funzioni sia cognitive che
motorie.
Dopo la remissione dei sintomi queste aree non avevano più un'attivazione ridotta. Questi risultati
suggeriscono che i deficit di conversione implicano un disturbo funzionale nei circuiti neuronali (striatotalamo-corticali) che controllano la funzione sensomotoria e il comportamento motorio volontario. I gangli
della base (soprattutto il nucleo caudato) potrebbe modulare i processi motori basati su indizi
situazionali ed emozionali. Presi insieme, questi dati supportano le proposte teoriche precedenti che
suggeriscono che i meccanismi attenzionali e motivazionali possano operare (a livello del talamo o dei
gangli della base) per influenzare i processi sensomotori nel disturbo da conversione.
Mailis-Gagnon et al. (2003) hanno riscontrato in pazienti con deficit di tipo somatosensoriale la
mancanza di attivazione nelle aree deputate alle percezione sensoriale del tatto e del dolore (corteccia
somatosensriale primaria e secondaria, corteccia cingolata anteriore) e all'attenzione (corteccia
parietale posteriore) e una inusuale attivazione nelle regioni (della corteccia cingolata anteriore rostrale e
perigenuale) considerate coinvolte più generalmente nei processi cognitivi e nell'emozione.
E' vero che l'isteria è un disturbo mutevole e che non si possono generalizzare i risultati neurobiologici
ottenuti a tutti gli altri sintomi e deficit del disturbo, ma l'insieme degli studi esistenti suggerisce che le
funzioni senso-motorie possano essere soppresse da segnali inibitori basati su particolari situazioni
emozionali.
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Come si delinea il rapporto "tra mente e corpo" nel Disturbo di Conversione
I sintomi di conversione sollevano la questione della relazione mente-corpo e ne mostrano tutta la
complessità. E' proprio per via di questa problematicità di fondo che nel corso del tempo si è verificata
un'oscillazione nella descrizione del disturbo, prima inteso di natura psichica e causato da disturbi
corporei e poi inquadrato come problema a livello corporeo causato da violente emozioni. Qui la relazione
tra mente e corpo sprigiona tutta la sua forza dirompente, in grado di creare un vero e proprio cortocircuito, il cui prodotto ultimo è il sintomo stesso. Non a caso gli studi si concentrano su entrambi questi
fronti, volendo fare chiarezza del "come" dei meccanismi dei sintomi di conversione e del "perché" relativo
alle vulnerabilità dei pazienti che ne sono affetti. E questi lavori hanno rilevato l'importanza dei fattori
psicologici nel contribuire all'origine, all'esacerbazione, alla gravità o al mantenimento delle anomalie
dinamiche della funzione del cervello. L'implicazione di questo dato è che questi episodi sintomatici
possano accadere in concomitanza di una amplia pletora di condizioni e contesti percepiti dai soggetti
come carichi emotivamente, dove l'individuo utilizza specifici meccanismi per evitare eventi spiacevoli
fisici o emotivi. Ovviamente questi meccanismi non sono attivati con lucida consapevolezza, tanto che il
soggetto non riesce a collegare la disfunzione o il sintomo del disturbo al suo vissuto personale relativo
ad aspetti della sua vita. In questo senso, il problema fisico viene vissuto con un senso di estraneità,
come un qualcosa che accade e non si riesce a capire perché, né tanto meno viene intuito questo fitto
intreccio tra aspetti psicologici e implicazioni fisiche su cui solo negli ultimi anni si è cominciato a fare
chiarezza attraverso la ricerca.
Perché è necessario intraprendere un percorso psicoterapeutico per curare il Disturbo di Conversione
Proprio per la natura psicologica e profondamente emotiva di questo disturbo, corroborata anche dalle
ricerche summenzionate, il percorso di cura non può che essere di tipo psicoterapeutico. E' infatti solo
attraverso la psicoterapia che possono essere affrontate propriamente queste problematiche, che
coinvolgono il corpo negli effetti sintomatici. Più in dettaglio, il lavoro con questi pazienti è improntato
alla disamina delle situazioni che nella storia del paziente hanno innescato le manifestazioni
sintomatiche del disturbo. Questo serve a rendere consapevole il paziente della connessione tra i vissuti
emotivi legati ad accadimenti nella propria vita e il correlato sintomatico nel corpo. Attraverso questo
percorso, il paziente riesce ad appropriarsi di diversi aspetti emotivi e significati personali che non aveva
colto precedentemente e che "a sua insaputa" avevano creato il deficit nelle funzioni motorie e sensitive.
Questa riappropriazione permette una efficace remissione dei deficit e dei sintomi attraverso il lavoro
sugli aspetti psicologici implicati nello sviluppo e nel mantenimento degli stessi.
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