CERBERO: era il cane dalle tre teste che

CERBERO: era il cane dalle tre teste che custodiva l'Ade. Esiodo lo descrive con cinquanta teste, ma altri
autori gliene attribuiscono da due a tre; Apollodoro lo descrive con tre teste di cane, una coda di drago e teste
di serpente di ogni tipo che gli spuntavano lungo la schiena. Era uno dei mostruosi figli di Echidna e Tifone.
E' fratello di Ortro, il cane mostruoso di Gerione, che si giacque con la propria madre e generò in lei la
Sfinge e il Leone Nemeo; dell'Idra, serpente acquatico dalle molte teste che viveva a Lerna; della Chimera,
capra che sputava fiamme, con la testa di leone e la coda di serpente. Cerbero monta la guardia sulla sponda
opposta dello Stige, pronto a divorare i viventi che tentino di introdursi nel Tartaro, o le ombre che tentino di
fuggire.
Solo
esseri
straordinari
riuscirono
ad
affrontarlo
per
entrare
nell'Ade.
Eracle ebbe a che fare con lui, perché una delle fatiche imposte da Euristeo fu quella di portare Cerbero dal
Tartaro sulla terra. Quando Eracle chiese di Cerbero, Ade, ritto al fianco della moglie, replicò sogghignando:
"Il cane è tuo se saprai domarlo senza usare la clava o le frecce". Eracle trovò il cane presso le porte
dell'Acheronte e risolutamente lo afferrò per la gola, dalla quale sorgevano tre teste ricoperte di serpenti. La
coda irta di aculei scattò per colpire, ma Eracle protetto dalla pelle di leone, non allentò la stretta finché
Cerbero, mezzo soffocato, si arrese. Con l'aiuto di Atena, Eracle attraversò il fiume Stige sano e salvo, e poi
trascinò Cerbero su per l'orrido che si trova presso Trezene, dove Dioniso aveva guidato sua madre Semele.
Secondo in'altra versione, Eracle trascinò Cerbero, legato con catene, lungo un sentiero sotterraneo che
conduce alla cupa grotta di Acona, presso Mariandine sul Mar Nero. Poiché Cerbero opponeva resistenza,
abbagliato dalla luce solare, e abbaiava furiosamente con tutte e tre le bocche, la sua saliva volò sopra i verdi
campi circostanti e fece nascere la velenosa pianta dell'aconito, detta anche ecatea, perché Ecate fu la prima a
usarla. Non appena Eracle ebbe condotto Cerbero a Micene, Euristeo, il quale stava celebrando un sacrificio,
gli porse la porzione destinata agli schiavi; Eracle allora manifestò il suo giusto sdegno uccidendo tre dei
figli di Euristeo: Perimede, Euribio ed Euripilo. Poi riportò Cerbero nel Tartaro.
Più tardi, Cerbero fu incantato da Orfeo, che discese nel Tartaro con la speranza di ricondurre Euridice sulla
terra. Si servì del passaggio che si apre ad Aorno in Tesprozia e, al suo arrivo nell'Oltretomba, non soltanto
incantò Caronte il traghettatore, il cane Cerbero e i tre giudici dei morti con la sua musica dolce e lamentosa,
ma fece cessare temporaneamente le torture dei dannati e placò il duro cuore di Ade tanto da indurlo a
restituire Euridice al mondo dei vivi. Ade pose una sola condizione: che Orfeo non si guardasse alle spalle
finché Euridice non fosse giunta alla luce del sole. Euridice seguì Orfeo su per l'oscura voragine, guidata dal
suono della sua lira; ma appena sorse la luce del sole, Orfeo si volse per vedere se Euridice era con lui e così
la
perdette
per
sempre.
La Sibilla Cumana dovette prendere il mostro per la gola: gli gettò una offa (dolce imbevuto di vino drogato)
per poter passare, da qui l'espressione "un'offa per Cerbero".
Personaggio della mitologia classica, figlio di Tifeo ed Echidna, già presente nell'Ade pagano con l'aspetto di
cane a tre teste quale custode dell'ingresso degli Inferi (Ercole, in una delle sue fatiche, lo trascinò fuori
dall'Ade tirandolo per una catena). Il mostro è descritto da Virgilio nel libro VI dell'Eneide, mentre si oppone
alla discesa agli Inferi di Enea ed è ammansito dalla Sibilla che gli getta un'offa (focaccia) di miele intrisa di
erbe soporifere. Cerbero, che in Virgilio ha dei serpenti attorcigliati al collo, la afferra con fame rabbiosa ed
è forse il motivo per cui nella tradizione medievale era talvolta interpretato come immagine del peccato di
gola.
Dante, infatti, lo pone a custodia del III Cerchio (golosi), dove è strumento di punizione in quanto graffia e
scuoia gli spiriti con i suoi artigli (Inf., Canto VI). Il mostro è descritto con occhi rossi, i peli del muso
sporchi e neri, il ventre largo e le zampe artigliate; emette latrati che assordano i dannati e ciò acuisce il loro
tormento. Appena vede i due poeti si avventa contro di loro, ma Virgilio gli getta in gola una manciata di
terra che placa la sua fame (in modo quindi analogo all'episodio dell'Eneide, salvo che qui la
rappresentazione del mostro è chiaramente demoniaca). Cerbero è definito da Dante fiera crudele e diversa e
gran
vermo,
attributo
anche
di
Lucifero.
Nel Canto IX, quando il messo celeste rimprovera i demoni della città di Dite che si sono opposti al
passaggio di Dante e Virgilio, ricorda loro che è inutile opporsi al volere divino e cita l'esempio di Cerbero,
che per aver fatto lo stesso ne porta ancor pelato il mento e 'l gozzo (si riferisce ad Ercole quando lo trascinò
fuori dagli Inferi, dopo che esso aveva tentato di fermarlo).