Innocenzo III papa (1198-1216) Federico II di Svevia

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Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in
parte da Wikipedia, da Treccani.it e da altre fonti - sono a cura del Prof. Sergio Bergami. XIII Lezione: Federico II di
Svevia
Innocenzo III papa (1198-1216)
Lotario (Anagni 1160 - Perugia 1216), figlio di Transmondo conte di Segni, studiò a Parigi e a
Bologna; coltissimo e di vita austera, cardinale nel 1190, fu eletto (1198) a successore di Celestino
III. Il suo programma si articolò nella riforma morale e disciplinare della Chiesa, nella lotta alle
eresie, nella riconquista dei Luoghi Santi. Se pure si rivelò politico consumato, i suoi moventi
furono sempre essenzialmente religiosi. Autore di varî trattati teologico-ascetici, tra cui il De
miseria humane conditionis, più noto sotto il titolo posteriore De contemptu mundi. Riprese e
sistemò le concezioni teocratiche di Gregorio VII. Il papa per I. è vicario di Cristo, che è re dei re; il
potere spirituale è superiore al temporale, come l'anima al corpo, il Sole alla Luna; entrambe le
spade spettano al pontefice, ma egli concede l'uso d'una di esse all'imperatore, che è l'advocatus
Ecclesiae. Dovendo sorvegliare, ratione peccati, tutti gli uomini, il papa ha il supremo controllo su
tutte le azioni e può intervenire in ogni campo. A tali dottrine informò la sua politica. Dopo la morte
di Enrico VI restava aperta la successione all'Impero, alla quale era connessa quella al trono di
Sicilia. Innocenzo s'impegnò dapprima con Ottone di Brunswick, che promise di abbandonargli i
diritti dell'Impero in Italia. Parve poi volgersi al vittorioso Filippo di Svevia; ma, all'uccisione di
costui (1208), acconsentì a incoronare Ottone, eletto re di Germania. L'anno dopo però proclamava i
diritti del piccolo Federico figlio di Enrico VI, in quel momento legato a lui in quanto Innocenzo ne
era il tutore: riconquistò perciò il regno di Sicilia conteso dai feudatari tedeschi. Anche nell'Italia
centrale riaffermò l'autorità della Chiesa; a Roma abbatté, arbitro della nomina dei senatori, ogni
autonomia cittadina. Intervenne in Francia lanciando l'interdetto per obbligare il re Filippo
Augusto a riprendere la moglie ripudiata; ma con scarso successo. Obbligò invece il re inglese
Giovanni Senzaterra, con la minaccia d'una invasione francese, a riconoscere il suo regno feudo
della Chiesa; lo stesso fece con Pietro d'Aragona. Per l'attuazione della Crociata, altra mèta della
sua attività, tentò di ristabilire una buona intesa con l'Oriente, coltivando l'amicizia dei Bulgari e
cercando di pacificare i principi cristiani in Siria. Ma fu amareggiato dalla deviazione della IV
Crociata, che si concluse nella conquista di Costantinopoli. Promosse anche la crociata contro gli
Albigesi. Per attuare la riforma della Chiesa, ribadì il primato assoluto del pontefice, stringendo con
Roma i legami dei metropoliti, limitando la libertà delle elezioni vescovili, favorendo il clero
regolare e facendo assegnare per lo più a chierici romani i benefici vacanti delle varie chiese. Nel
1215 coronò la sua opera con il grande concilio del Laterano, nel quale dichiarò decaduto Ottone
di Brunswick (da poco sconfitto a Bouvines 1214) ed eletto Federico II, emanò vari canoni
disciplinari e proibì la costituzione di nuove regole religiose. L'anno dopo morì di malaria. Se le sue
dottrine politiche poterono essere sommerse dai successivi avvenimenti, la sua opera fu decisiva per
la Chiesa, in quanto instaurò un pieno accentramento monarchico e burocratico, e ne rinsaldò la
compagine morale e spirituale con la lotta contro l'eresia e l'impegno per la riforma dei costumi.
Federico II di Svevia
Federico II Hohenstaufen (Jesi, 1194 – Fiorentino di Puglia, 1250) fu re di Sicilia (come Federico I,
dal 1198 al 1250), Duca di Svevia (come Federico VII, dal 1212 al 1216), re di Germania (dal 1212
al 1220) e Imperatore del Sacro Romano Impero, e quindi precedentemente Re dei Romani, (come
Federico II, eletto nel 1211, incoronato dapprima ad Aquisgrana nel 1215 e, successivamente, a
Roma dal papa come Imperatore nel 1220), infine re di Gerusalemme (dal 1225 per matrimonio,
autoincoronatosi nella stessa Gerusalemme nel 1229).
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Svevia
Il suo regno fu principalmente caratterizzato da una forte attività legislativa e di innovazione
artistica e culturale, volta a unificare le terre e i popoli, ma fortemente contrastata dalla Chiesa, di
cui il sovrano mise in discussione il potere temporale. Federico stesso fu un apprezzabile letterato,
convinto protettore di artisti e studiosi: la sua corte fu luogo di incontro fra le culture greca, latina,
araba ed ebraica.
Uomo colto ed energico, stabilì in Sicilia e nell'Italia meridionale una struttura politica molto
somigliante a un moderno regno, governato centralmente e con una amministrazione efficiente.
Federico II parlava sei lingue (latino, siciliano, tedesco, francese, greco e arabo) e giocò un ruolo
importante nel promuovere le lettere attraverso la poesia della Scuola siciliana. Federico nacque il
26 dicembre 1194 da Enrico VI (a sua volta figlio di Federico Barbarossa) e da Costanza
d'Altavilla, figlia di Ruggero II, detto Il Normanno, e zia di Guglielmo II
Per via materna Federico aveva dunque ereditato la corona di Sicilia, dove esisteva un apparato
amministrativo ben strutturato a garantire che la volontà del sovrano venisse applicata, secondo la
tradizione di un governo centralistico. L'unione dei regni di Germania e di Sicilia non veniva
tuttavia vista di buon occhio né dai normanni, né tantomeno dal papa, che, con i territori che a vario
titolo componevano lo Stato della Chiesa che si sarebbe trovato proprio in mezzo a questo nuovo
grande regno e ciò avrebbe fatto sentire il pontefice accerchiato.
La corona imperiale
Il 26 dicembre 1208 Federico compì il quattordicesimo anno di età e uscì dalla tutela papale
assumendo il potere nelle sue mani. Su consiglio del pontefice nell'agosto del 1209 sposò la
venticinquenne Costanza d'Aragona, vedova del re d'Ungheria Emerico e più vecchia di lui di 10
anni: Federico non aveva ancora compiuto quindici anni.
In Germania, nel frattempo, dopo la morte di Enrico VI nessuno era più riuscito a farsi incoronare
imperatore. Due erano i rivali che puntavano al titolo imperiale vacante: il primo era Filippo di
Svevia, fratello minore di Enrico VI, che fu eletto re dai principi tedeschi nel 1198 e incoronato a
Magonza; il secondo era Ottone di Brunswick, figlio minore del duca di Baviera e Sassonia Enrico
il Leone, che fu eletto anch’egli re da alcuni principi tedeschi che si opponevano all’elezione dello
Staufer e incoronato ad Aquisgrana. Ottone poteva contare sull’appoggio del re d'Inghilterra
Giovanni I, che era suo zio, e di Innocenzo III, che voleva evitare di vedere uno svevo imperatore
per scongiurare una rivendicazione di quest’ultimo del regno di Sicilia; Filippo, a sua volta, poteva
contare sull’appoggio del re di Francia Filippo II Augusto. La situazione si risolse solo nel 1208
quando Filippo di Svevia fu assassinato per motivi personali e Ottone ebbe campo libero. Egli fece
numerose concessioni al papato, in particolare la corona doveva rinunciare all’ingerenza nelle
elezioni dei prelati e accettare senza limiti il diritto d’appello del pontefice negli affari ecclesiastici;
inoltre si sarebbe posto fine ad abusi quali l’appropriazione delle rendite delle diocesi vacanti. Il 4
ottobre del 1209, a Roma, Innocenzo III incoronò imperatore Ottone IV.
A causa dell’ostilità di Filippo Augusto di Francia, che incoraggiò la resistenza in Germania, la
nobiltà, che aveva inizialmente appoggiato Filippo di Svevia e ora vedeva Ottone IV combattere
proprio contro un Hohenstaufen, si ribellò all'imperatore, che fu costretto a tornare in Germania. I
feudatari ribelli cercarono allora l’aiuto di Federico, proponendolo come candidato da contrapporre
a Ottone IV; nel frattempo, in Sicilia, dove lo svevo era appena divenuto padre del suo primogenito
Enrico (VII), che neonato venne incoronato re di Sicilia come coreggente, si organizzò subito una
spedizione Oltralpe: partito a marzo del 1212 da Palermo, Federico giunse a Roma e prestò
giuramento vassallatico al papa; a settembre entrò trionfalmente a Costanza, a ottobre indisse la sua
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prima dieta da re di Germania e a novembre stipulò gli accordi col futuro re di Francia Luigi VIII
per combattere il rivale Ottone IV. Finalmente il 9 dicembre 1212 Federico veniva incoronato
imperatore nel duomo di Magonza. Il 12 luglio 1213, con la cosiddetta "Bolla d'Oro" (o "promessa
di Eger"), Federico promise di mantenere la separazione fra Impero e Regno di Sicilia (dominio del
Pontefice) e di rinunciare ai diritti germanici in Italia (promessa già fatta da Ottone IV e mai
mantenuta). Si impegnò inoltre a intraprendere presto una crociata in Terrasanta, nonostante non ci
fosse stata un'esplicita richiesta in tal senso da parte del papa.
Federico II poté essere riconosciuto unico pretendente alla corona imperiale solo dopo il 27 luglio
1214 quando, nella battaglia di Bouvines, Filippo Augusto re di Francia, alleato di Federico,
sbaragliò Ottone IV alleato degli inglesi. In Germania resistevano al dominio di Federico soltanto
Colonia e Aquisgrana. Aquisgrana cadde nel 1215 e Federico vi ricevette una seconda
incoronazione (25 luglio 1215) che completò quella di Magonza.
Morto Innocenzo III e salito al soglio Onorio III (1216), Federico fu incalzato dal nuovo pontefice a
dare corso alla promessa di indire la crociata. Il sovrano tergiversò a lungo e nel 1220 fece
nominare dalla Dieta di Francoforte, tenutasi nel medesimo anno, il figlio Enrico "re di Germania".
Onorio III per impegnare Federico lo nominò imperatore: nel 1220 lo Svevo, tornato in Italia dopo
8 anni di soggiorno in Germania, fu incoronato imperatore in San Pietro a Roma dallo stesso papa
Onorio III.
Federico non diede peraltro alcun segnale di voler abdicare al Regno di Sicilia, pur mantenendo la
ferma intenzione di tenere separate le due corone. Aveva anzi deciso di lasciare il Regno di
Germania al figlio Enrico (VII), conservando tuttavia, quale imperatore, la suprema autorità di
controllo. Essendo stato educato in Sicilia è probabile che si sentisse più siciliano che tedesco, ma,
soprattutto, egli conosceva bene le potenzialità del suo regno, con una fiorente agricoltura, città
grandi e buoni porti, oltre alla straordinaria posizione strategica al centro del Mediterraneo.
L'attività nel regno di Sicilia
Tornato nel 1220 in Sicilia, che aveva lasciato otto anni prima, Federico poté dedicarsi a
consolidare le istituzioni nel Regno, indicendo due grandi assise a Capua e a Messina (1220-1221).
In quelle occasioni stabilì, rivendicando quanto accaduto in passato, che ogni diritto regio
confiscato precedentemente a vario titolo dai feudatari venisse immediatamente reintegrato al
sovrano. Introdusse inoltre il diritto romano, nell'accezione giustinianea rielaborata dall'Università
di Bologna su impulso di suo nonno il Barbarossa. A Napoli fondò l'Università laica nel 1224,
dalla quale sarebbe uscito il ceto di funzionari in grado di servirlo. Il tentativo di Federico di
accentrare l'amministrazione del Regno e ridurre il potere dei feudatari locali incontrò molte
resistenze nella parte continentale del regno, tra queste principalmente quella del conte di Bojano,
Tommaso da Celano, la cui contea, unita con i possedimenti originali in Marsica, rappresentava il
feudo di maggiore estensione del regno. Il conte Tommaso si rifiutò di smantellare i castelli come
ordinato dallo svevo e organizzò la resistenza presso le fortificazioni di Ovindoli e Celano in
Marsica, Civita di Bojano e Roccamandolfi in Molise, dove affrontò a partire dal 1220 la forza
d'urto dell'esercito imperiale. Le prime tre città caddero nel giro del primo anno di guerra, mentre il
castello di Roccamandolfi, dove il conte da Celano aveva lasciato alla guida della resistenza la
moglie Giuditta, si arrese all'assedio nel 1223. Tommaso da Celano, non avendo in seguito
rispettato i termini della resa, fu espropriato della contea che cessò di essere la spina nel fianco nei
possedimenti normanni di Federico.
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Nel castello di Melfi Federico II, con l'ausilio del suo fidato notaio Pier delle Vigne, emanò nel
1231 le Constitutiones Augustales (note anche come Costituzioni di Melfi o Liber Augustalis),
codice legislativo del Regno di Sicilia. Queste norme miravano a limitare i poteri e i privilegi delle
locali famiglie nobiliari e dei prelati, facendo tornare il potere nelle mani dell'imperatore e a rendere
partecipi anche le donne per quanto riguardava la successione dei feudi.
La crociata e la scomunica da parte di Gregorio IX
Negli anni seguenti Federico si dedicò a riordinare il Regno di Sicilia, eludendo le continue
richieste del papa Onorio III di intraprendere la crociata. Per dilazionare ulteriormente il suo
impegno, Federico stipulò col papa un trattato (Dieta di San Germano, nel luglio 1225), con il quale
si impegnava a organizzare la crociata entro l'estate del 1227, pena la scomunica. In realtà il vero
obiettivo di Federico era l'unione fra Regno di Sicilia e Impero, nonché l'estensione del potere
imperiale all'Italia. In questo disegno rientrò il suo tentativo di recuperare all'impero la marca di
Ancona e il ducato di Spoleto, rientranti nella sovranità papale. Inoltre in Sicilia procedette
all'occupazione di cinque vescovadi con sede vacante, alla confisca dei beni ecclesiali e alla
cacciata dei legati pontifici che si erano colà recati per la nomina dei vescovi, pretendendo di
provvedere direttamente alle nomine.
Nel frattempo, a causa delle mire di controllo sull'Italia da parte di Federico, era risorta nel nord
Italia la Lega Lombarda: nell'aprile 1226 Federico convocò la Dieta di Cremona con il pretesto di
preparare la crociata ed estirpare le dilaganti eresie, ma questa non poté avere luogo per
l'opposizione della Lega Lombarda, che impedì l'accesso ai delegati, mentre Federico non aveva al
nord forze sufficienti per contrastare i Comuni ribelli.
Il 9 settembre 1227, pressato dal successore di Onorio, papa Gregorio IX (papa dal 1227 al 1241), e
sotto la minaccia di scomunica, Federico tentò di onorare la promessa fatta al predecessore partendo
per la sesta Crociata, ma una pestilenza scoppiata durante il viaggio in mare che falcidiò i crociati lo
costrinse a rientrare a Otranto: lui stesso si ammalò e dovette ritirarsi a Pozzuoli. Gregorio IX
interpretò questo comportamento come un pretesto e, conformemente al trattato di San Germano del
1225, lo scomunicò il 29 dello stesso mese. A nulla valse una lettera di giustificazioni inviata al
papa da Federico nel novembre.
Nella primavera 1228, Federico partì finalmente per la Terrasanta. Quindi seppur scomunicato, partì
da Brindisi il 28 giugno 1228 per la sesta Crociata. Federico ottenne un successo di un certo rilievo
senza combattere una sola battaglia, ma grazie a un accordo diplomatico con il sultano ayyubide alMalik al-Kamil, nipote di Saladino: Gerusalemme venne ceduta, peraltro ridotta senza mura e
indifendibile, e con l'esclusione dell'area della moschea di Umar (ritenuta dai cristiani il Tempio di
Salomone), che era un luogo santo musulmano. Questa soluzione aveva evitato i combattimenti e
consegnava alla cristianità una vittoria effimera e in balia dei musulmani, anche se, formalmente,
con importanti risultati territoriali e, soprattutto, con la riconquista di Gerusalemme. Il 18 marzo
1229, nella basilica del Santo Sepolcro, Federico si incoronò re di Gerusalemme (in quanto erede
del trono per aver sposato nel 1225 Jolanda di Brienne, regina di Gerusalemme, nonostante
l'opposizione del clero locale e di quasi tutti i feudatari).
Quando Federico ritornò in Italia dopo la crociata, trovò molte città che appoggiavano il Papa:
riuscì ad avere ragione delle forze papali ma ritenne opportuno, per quel momento, riconciliarsi col
pontefice e con la Pace di San Germano del 23 luglio 1230, promise di rinunciare alle violazioni che
avevano determinato la scomunica, di restituire i beni sottratti ai monasteri e alle chiese e di
riconoscere il vassallaggio della Sicilia al papa. D'altro canto il papa non poteva non tener conto
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dell'obiettivo ottenuto da Federico in Terra santa e il 28 agosto successivo ritirò la scomunica: il 1º
settembre papa e imperatore si incontrarono ad Anagni.
Nella diatriba fra papa e imperatore intanto si erano inserite le città della Lega Lombarda ed era
ripresa la secolare divisione fra guelfi e ghibellini. Nel 1231 Federico convocò una Dieta a Ravenna
nella quale fece riaffermare l'autorità imperiale sui Comuni, ma ciò ebbe poca influenza sugli eventi
successivi.
In lotta col papato
Nel periodo di pace e distensione che seguì gli eventi precedenti, Federico volle sistemare alcune
questioni giuridiche nei suoi regni, con particolare riguardo a quello siciliano. Il rinnovato accordo
fra il papa e Federico venne utile a quest'ultimo allorché nel 1234 suo figlio Enrico (VII) si ribellò
al padre stringendo un’alleanza con i Comuni italiani: rivoltosi al papa, Federico ottenne la
scomunica contro il figlio, lo fece arrestare e lo tenne prigioniero nel Sud Italia fino alla morte,
avvenuta nel 1242: durante un trasferimento da un castello ad un altro Enrico con il suo cavallo si
gettò da un precipizio. Alla corona tedesca venne allora associato l'altro figlio Corrado IV (che non
riuscì neppure lui a governare per l'opposizione dei nobili che gli contrapposero bellicosamente
alcuni anti-re).
Il sovrano svevo non era mai venuto meno ai suoi propositi di sottomettere l'Italia del Nord
all'impero germanico, favorendo l'instaurarsi di signorie ghibelline a lui amiche (la più potente fu
quella dei Da Romano che governava su Padova, Vicenza, Verona e Treviso). Nel novembre 1237
Federico colse una notevole vittoria sulla Lega Lombarda a Cortenuova, conquistando il Carroccio
che inviò in omaggio al papa. L'anno successivo il figlio Enzo (o Enzio) sposò Adelasia di Torres,
vedova di Ubaldo Visconti, giudice di Torres e Gallura e Federico lo nominò Re di Sardegna. Ciò
non poteva essere accettato dal papa, visto che la Sardegna era stata promessa in successione al
papa dalla stessa Adelasia. Alle rimostranze del pontefice, Federico rispose nel marzo 1239
tentando di sollevargli contro la curia, ma il papa scagliò subito contro di lui una nuova scomunica
indicendo successivamente un concilio a Roma per la Pasqua del 1241. Federico, per impedire lo
svolgimento del Concilio bloccò le vie di terra per Roma e fece catturare due cardinali e molti
prelati, in viaggio per mare con navi della flotta genovese, da navi della flotta pisana guidate dal
figlio Enzo, con una battaglia navale avvenuta presso l'isola del Giglio (3 maggio 1241). Le truppe
imperiali giunsero alle porte di Roma, ma il 22 agosto 1241 l'anziano papa Gregorio IX morì e
Federico, dichiarando diplomaticamente che lui combatteva il papa ma non la Chiesa (egli era
sempre sotto scomunica), si ritirò in Sicilia.
Dopo la morte di Gregorio IX, venne eletto papa Goffredo Castiglioni, che prese il nome di
Celestino IV, ma che morì dopo soli diciassette giorni di pontificato. I molti ecclesiastici ancora
prigionieri di Federico e l'incombente minaccia delle sue truppe alle porte di Roma provocarono
una vacanza al soglio pontificio di un anno e mezzo, periodo durante il quale si svolsero
frenetiche trattative. Infine l'elezione papale si tenne ad Anagni e fu eletto, il 25 giugno 1243, il
genovese Sinibaldo Fieschi che prese il nome pontificale di Innocenzo IV. Innocenzo tentò
inizialmente di trovare un accordo con Federico, ma la rivolta scoppiata in quei mesi contro
l'imperatore in Viterbo, preparata e portata avanti dal cardinale Capocci e che si concluse con una
clamorosa sconfitta dell'esercito imperiale.
Tra il 1243 e il 1246 Federico II trascorse le stagioni invernali a Grosseto, approfittando del clima
mite e delle aree umide attorno alla città per praticare la caccia, suo passatempo preferito.
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In quegli stessi decenni, circolarono in Italia diverse opere di impronta apocalittica, che attribuivano
a Federico un ruolo di protagonista nella riforma della Chiesa. In particolare, il commento al profeta
Geremia Super Hieremiam (attribuito pseudoepigraficamente a Gioacchino da Fiore ma prodotto
forse entro ambigui ambienti cistercensi o florensi e rielaborato e aggiornato entro ambienti,
egualmente poco affidabili, di francescani rigoristi) riconosceva a Federico II un ruolo
incredibilmente e paradossalmente provvidenziale, proprio in quanto atteso persecutore apocalittico
della Chiesa corrotta e in special modo dei cardinali.
Il declino e la fine
Papa Innocenzo IV, fuggito a Lione nel 1244, decise di indire un Concilio per confermare la
scomunica a Federico e far nominare un altro imperatore, rivolgendosi ai suoi nemici che in
Germania erano numerosi. Giunto a Lione svolse un'intensa attività diplomatica presso i nobili
tedeschi e indisse un Concilio che si aprì il 28 giugno 1245. Il concilio non solo confermò la
scomunica a Federico, ma addirittura lo depose, sciogliendo sudditi e vassalli dall'obbligo di
fedeltà, e invitò i nobili elettori tedeschi a proclamare un altro imperatore, bandendo contro
Federico una nuova crociata. Non tutta la Cristianità però accettò quanto deliberato nel concilio, che
si era tenuto in condizioni non troppo chiare. Il papa aveva finto fino all'ultimo di voler patteggiare
con Federico e molti si domandarono se fosse giusto un provvedimento così grave contro
l'imperatore in un momento in cui nuove minacce si affacciavano all'orizzonte (l'offensiva
mongola).
Nel 1239 Gerusalemme veniva rioccupata dagli Egiziani.
L'imperatore subì un altro gravissimo colpo che ne appannò il prestigio e dal 1245 gli eventi
iniziarono a precipitare. Gli Elettori tedeschi trovarono il nuovo imperatore (in realtà "re dei
Romani", titolo che preludeva alla nomina di imperatore) in Enrico Raspe, margravio di Turingia,
che il 5 agosto 1246 sconfisse nella battaglia di Nidda il figlio di Federico, Corrado. Tuttavia, l'anno
successivo, Enrico Raspe morì.
Nel febbraio del 1248 Federico subì una grave sconfitta nella battaglia di Parma ad opera di
Gregorio da Montelongo. L'imperatore riuscì a stento a rifugiarsi a San Donnino, da dove raggiunse
poi la fedele alleata Cremona. L'anno seguente il figlio Enzo, battuto nella battaglia di Fossalta, fu
catturato dai bolognesi che lo tennero prigioniero fino alla morte (1272). Poco dopo Federico subì
(o credette di subire) il tradimento di uno dei suoi più fidati consiglieri, Pier delle Vigne (rievocato
da Dante Alighieri nel tredicesimo canto dell'Inferno).
La vittoria militare del figlio Corrado sul successore di Raspe, Guglielmo II d'Olanda avvenuta nel
1250, non portò alcun vantaggio per Federico, il quale nel dicembre dello stesso anno morì a causa
di un attacco di dissenteria. Nel suo testamento nominava suo successore il figlio Corrado, ma il
papa non solo non riconobbe il testamento ma scomunicò pure Corrado (che morì quattro anni dopo
di malaria, nel vano tentativo di ricuperare a sé il Regno di Sicilia).
L'eredità culturale
Federico fu chiamato dai suoi contemporanei Stupor Mundi (Stupore del Mondo), appellativo che
deriva dalla sua inestinguibile curiosità intellettuale, un eclettismo che lo portò ad approfondire la
filosofia, l'astrologia (consigliere molto ascoltato fu l'astrologo Guido Bonatti), la matematica (ebbe
corrispondenza e fu in amicizia con il matematico pisano Leonardo Fibonacci, che gli dedicò il suo
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Liber quadratorum), l'algebra, la medicina e le scienze naturali (impiantò a Palermo persino uno
zoo, famoso ai suoi tempi, per il numero di animali esotici che conteneva); scrisse anche un libro,
un manuale sulla falconeria, il De arte venandi cum avibus che fu uno dei primi manoscritti con
disegni in tema naturalistico. Si dice che Federico conoscesse molte lingue e che fosse un
governante molto moderno per i suoi tempi, visto che favorì la scienza e professò punti di vista
piuttosto avanzati in economia.
Alla sua corte soggiornarono uomini di gran cultura di quei tempi quali Michele Scoto, che tradusse
alcune opere di Aristotele, Teodoro da Antiochia, un arabo cristiano, e Juda ben Salomon Cohen,
grande enciclopedista ebreo.
La poesia siciliana
Contribuì a far nascere la letteratura italiana e in questo senso ebbe importanza fondamentale la
Scuola siciliana o anche Scuola poetica siciliana che nacque tra il 1230 e il 1250, che ingentilì il
volgare siculo con il provenzale, e i cui moduli espressivi e tematiche dominanti furono
successivamente ripresi dalla lirica della Scuola toscana. Gli sono inoltre attribuite quattro canzoni.
Appassionato della cultura araba, fece tradurre molte opere da quella lingua e fu quasi sempre in
ottimi rapporti con gli esponenti di quella cultura al punto da guadagnarsi il soprannome (fra i tanti)
di "sultano battezzato".
Nella corte era presente un gruppo di poeti, per lo più funzionari, che scrivevano in volgare
meridionale. Nella corte di Federico si costituì una scuola poetica siciliana al quale si deve
l'invenzione di una nuova metrica, il sonetto.
Ezzelino III da Romano (il Tiranno)
Ezzelino III da Romano o Ecelino da Romano, (Romano d'Ezzelino, 1194 –1259) è stato un
condottiero e politico italiano, signore della Marca Trevigiana. Appartenente alla famiglia degli
Ezzelini, era il figlio primogenito di Ezzelino II il Monaco e fratello di Alberico da Romano e di
Cunizza da Romano.
Fu politico e condottiero ghibellino, alleato di Federico II di Svevia. La famiglia degli Ezzelini o dei
Da Romano giunse in Italia dalla Germania tra il X e XI secolo. Si stabilì prima a Onara, attuale
frazione di Tombolo dove fece costruire un castello e, dal 1199, a Romano, un borgo nelle
vicinanze di Bassano del Grappa. I Da Romano vengono comunemente identificati come "Ezzelini",
in quanto tutti i capostipiti hanno portato questo nome, da Ezzelino I il Balbo a Ezzelino II il
Monaco ed Ezzelino III il Tiranno.
La gioventù
Segnalatosi in giovane età nelle guerre per il controllo del vicentino, a seguito del ritiro in convento
del padre Ezzelino II il Monaco, nel 1223 ottenne da una divisione dei beni paterni col fratello
Alberico i territori di Bassano, di Marostica e di tutti i castelli situati sui colli Euganei.
Aveva già manifestato le sue speciali inclinazioni per la guerra, unite ad uno spirito di
dissimulazione e di pazienza, straordinari per la sua età. Era inoltre resistentissimo ad ogni fatica,
capace di affrontare impavido qualsiasi pericolo, freddo ed insensibile ad ogni spettacolo di pietà,
intollerante di ogni freno e di ogni consiglio. Si comportò con una crudeltà forse maggiore rispetto
ai livelli (peraltro assai elevati) dei suoi tempi, anche se non particolarmente credibili sembrano le
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fonti storiche di parte a lui avversa che non mancarono di descrivere Ezzelino III come un fosco
tiranno che traeva personale diletto nell'escogitare torture raffinate quanto crudeli. Fu certamente
uomo di parte e delle fazioni si servì principalmente per ingrandire i suoi feudi e rendersi sempre
più potente.
Le conquiste
Grazie alle sue abilità politico militari, Ezzelino III estese il suo dominio su Trento, Belluno,
Vicenza, Verona, Bassano, Padova e Brescia, creando una sorta di signoria. Dal 1225 al 1230 fu
podestà e capitano del popolo di Verona. A quest'epoca risale l'infruttuosa visita di Sant'Antonio di
Padova per implorare clemenza per Rizzardo di Sambonifacio. Inizialmente simpatizzante per la
Lega Lombarda, Ezzelino si schierò poi con l'imperatore Federico II di Svevia che lo nominò
Vicario Imperiale in Lombardia e segnò con questo suo ufficio la fine di ogni libertà comunale,
sottomettendo i Comuni alla sua volontà.
Nel 1233 Ezzelino da Romano distrusse il castello di Caldiero, in provincia di Verona, esistente sul
Monte Rocca. L'imperatore nel 1236 gli concesse una guarnigione per metterlo al sicuro dai moti e
dalle minacce popolari che serpeggiavano nei domini soggetti agli Ezzelini. Lo stesso anno
Federico saccheggiò Vicenza e ne dette il governo a Ezzelino, il quale, nel 1237, si fece consegnare
anche Padova, città molto più forte, più ricca e potente delle due che già controllava. Per domare
questa città, che era avvezza a tutte le libertà dei regimi popolari, fece arrestare tutti coloro che per
cultura, per casato e per benemerenze avevano acquistato la stima della cittadinanza. Ordinò che le
case dei carcerati e dei fuoriusciti fossero rase al suolo e che i giovani rimasti in città dovessero
entrare in corpi di leva, per non sfuggire al suo controllo e alla terribile disciplina del "mestiere
delle armi".
Dopo la vittoria di Cortenuova (BG), contro i comuni lombardi guidati dal podestà milanese Pietro
Tiepolo, il 27 novembre 1237, Federico gli dette in sposa una sua figlia naturale, Selvaggia, che
morì giovanissima. Ezzelino III in seguito si risposò altre due volte.
Il 22 maggio 1238, giorno di Pentecoste, nella Basilica di San Zeno (Verona), Ezzelino III sposò
dunque Selvaggia, figlia naturale dell'imperatore Federico II. Divenne così, con l'appoggio
dell'imperatore e dei suoi consiglieri (fra cui l'astrologo Guido Bonatti), vicario imperiale per tutti i
paesi tra le Alpi di Trento e il fiume Oglio. Tutta quest'area, del resto, era già di fatto sotto la
giurisdizione di Ezzelino. Fece una volta murare le porte delle prigioni, rigurgitanti di tanti suoi
avversari, e le grida degli affamati - che generavano terrore in tutta la città - sembra che
procurassero al tiranno uno speciale piacere, mentre in un sol giorno, nel 1239, assistette come ad
uno spettacolo al supplizio di diciotto padovani nel Pra’ della Valle.
Nel 1242 Ezzelino III diede alle fiamme e si impadronì della città di Montagnana, al tempo
controllata dagli Este. Questo evento viene rievocato ogni anno nel comune padovano agli inizi di
settembre con l'incendio della Rocca degli Alberi.
La scomunica e la "crociata" contro di lui
La morte nel 1250 di Federico II non comportò la fine di Ezzelino III. Accusato di efferatezze e di
eresia, nel 1254 fu scomunicato da papa Alessandro IV, al secolo Rinaldo Segni, grande avversario
della fazione ghibellina, che sperava di sbarazzarsi in tal modo di un formidabile ostacolo alla sua
politica anti-imperiale. Nel mese di marzo 1256 Azzo VII d'Este, podestà a vita di Ferrara, ricevette
da Filippo, arcivescovo di Ravenna, l'incarico di condurre una "crociata" contro Ezzelino, che
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Questo materiale è riservato agli studenti regolarmente iscritti al corso di storia dell’Italia dal Medioevo al
Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in
parte da Wikipedia, da Treccani.it e da altre fonti - sono a cura del Prof. Sergio Bergami. XIII Lezione: Federico II di
Svevia
controllava ancora Verona, Vicenza, Padova, Feltre e Belluno, mentre Treviso era sotto il dominio
di suo fratello Alberico. Solo Trento, conquistata da Ezzelino III nel 1241, era nel frattempo riuscita
stabilmente a liberarsi nel 1255, mentre l'anno seguente la rivolta del piccolo centro di Cologna
Veneta, presso Verona, guidata da Jacopo Bonfado, fu soffocata rapidamente da Ezzelino nel
sangue. Alla "crociata" contro Ezzelino III parteciparono, partendo dalla Torre delle Bebbe, il
presidio veneziano, i soldati di Venezia, Bologna, Mantova, il conte di San Bonifacio e molti altri
signori. Mentre Ezzelino era occupato nella conquista di Brescia, i "crociati" di Azzo VII si
impadronirono il 20 giugno 1256 di Padova, anche perché Ezzelino, diffidando dei 10.000 padovani
coscritti nelle sue milizie, li aveva fatti chiudere dapprima nell'anfiteatro di Verona, poi a piccoli
gruppi nelle prigioni dei suoi vari domini e in pochi giorni se ne era disfatto, lasciandone uno solo
in vita. I "crociati" dal canto loro non seppero profittare del loro vantaggio nel corso della prima
fase della guerra contro Ezzelino III, perché le loro forze erano sparse e i loro signori divisi. Per ben
due anni si trascinò pertanto una guerra di agguati e di mischie sanguinose, durante i quali Ezzelino
III riuscì a impadronirsi di Brescia nel 1258.
Le amicizie e le alleanze sulle quali Ezzelino III da Romano contava, gradatamente gli vennero
comunque meno e se il fratello (con cui era entrato in litigio nel 1239) si riaccostò a lui, vecchi
alleati e amici - come Oberto II Pallavicino - finirono col raggiungere le file dei "crociati",
promettendo danaro e uomini per abbattere il tiranno. Ghibellini e guelfi si trovarono così uniti e
una peculiare alleanza fu dunque stretta tra le due fazioni l'11 giugno 1259. Che le ragioni dello
scontro fossero però essenzialmente politiche ce lo dimostra il fatto che Ezzelino fosse invocato dai
ghibellini di Milano per contrastare i guelfi. Passò pertanto l'Oglio e l'Adda con un forte esercito,
per tentare di impadronirsi di Monza e di Trezzo. Il popolo milanese a sua volta rispose armandosi e
andandogli incontro. Oberto II Pallavicino a capo dei cremonesi, il marchese d'Este a capo dei
ferraresi e dei mantovani, si impadronirono di Cassano d'Adda e tagliarono ogni possibilità di
ritirata a Ezzelino. Ezzelino III fu quindi sconfitto dopo una strenua battaglia il 16 settembre
1259 a Cassano d'Adda dalla lega guelfa di Azzo VII d'Este e, in seguito alle gravi ferite riportate,
venne catturato e portato a Soncino, nell'attuale provincia di Cremona, dove spirò il 27 settembre, a
65 anni di età, così come era vissuto: rifiutando sacramenti e medicine. Infatti strappatesi le
fasciature, morì dissanguato, senza alcuna pietà neppure per se stesso.
Suo fratello Alberico, catturato nel suo castello di San Zenone dai vincitori, fu trucidato insieme
alla sua famiglia, a dimostrazione che la "barbarie" non era caratteristica solo di Ezzelino.
Corrado IV di Svevia
Corrado IV di Hohenstaufen (1228 –1254) era il figlio secondogenito dell'imperatore Federico II di
Svevia e di Jolanda di Brienne. Dopo la deposizione di suo fratello, Enrico (VII), fu designato alla
successione da suo padre Federico, e assunse i titoli di Duca di Svevia (Corrado III; 1235-1254), Re
di Germania (Corrado IV; 1237-1254), re di Sicilia (Corrado I; 1250-1254) e re di Gerusalemme
(Corrado II; 1250-1254).
L'intervento in Italia
Corrado decise di venire in Italia con la vana speranza di prendere possesso del Regno di Sicilia,
che il fratellastro Manfredi teneva come reggente, ma che aspirava a far proprio. Nell'ottobre 1251
si mosse verso l'Italia, attraversò il Brennero, sostò a Verona e a Goito, dove incontrò i vicari
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Svevia
imperiali; si imbarcò a Latisana sulle navi inviate dal fratellastro e nel gennaio 1252 sbarcò a
Siponto, proseguendo poi insieme a Manfredi nella pacificazione del Regno.
Nella dieta di Foggia (febbraio 1252) Corrado stabilì nuove condizioni per procurarsi la
benevolenza della popolazione e di una più ampia schiera di baroni: l'abolizione della colletta
generale; lo spostamento dell'università dalla ribelle Napoli a Salerno; l'annullamento di concessioni
demaniali a favore dei Lancia (parenti di Manfredi) e persino la mancata ratifica del riconoscimento
a Manfredi di feudi e della completa autorità nel Principato di Taranto che pure aveva ottenuto dal
testamento paterno. Nel frattempo, anche per garantire la continuità nella politica di Federico II, si
circondò di consiglieri che avevano già servito l'imperatore, quali Pietro Ruffo, luogotenente in
Calabria e in Sicilia, Bertoldo di Hohenburg, Federico d'Antiochia, il cancelliere Gualtieri d'Ocre, il
vicario Oberto Pelavicino.
Nella primavera del 1252 fallì un ultimo tentativo di riavvicinamento al papa, il quale era sempre
più convinto di poter disporre dell'investitura del Regno, e così Corrado ritornò all'attacco: nel 1253
riportò sotto il suo controllo le riottose contee di Caserta e Acerra, conquistò Capua e nell'ottobre
infine anche Napoli.
Le cose però precipitarono nei primi mesi del 1254: il papa inviava legati col compito di investire
Edmondo, figlio del re d'Inghilterra, del Regno di Sicilia; inoltre scomunicava (9 aprile 1254) in
maniera definitiva e solenne Corrado, il quale nel frattempo diveniva sospettoso e ostile nei
confronti di Manfredi, restio ad accettare la diminuzione della sua autorità sui feudi assegnatigli dal
padre. Corrado, contemporaneamente rafforzava il suo controllo nei confini settentrionale del
Regno, procedendo alla fondazione della nuova città denominata Aquila. Infine riuniva tutte le
truppe - sue, del fratello Manfredi e dei baroni - in un accampamento presso Lavello per sferrare
l'attacco decisivo.
Ma il 21 maggio Corrado moriva di malaria, malattia contratta già da un paio di mesi: corse voce
che Manfredi avesse fatto avvelenare il fratello, ma al riguardo non ci sono prove. Il cuore e le
viscere di Corrado vennero seppellite a Melfi. Il suo corpo venne portato nella cattedrale di
Messina, dove si svolsero i funerali, in attesa della sepoltura definitiva a Palermo. In occasione di
dette esequie, forse a causa del numero eccessivo di ceri e candele accese accanto al catafalco, si
sviluppò un furioso incendio che distrusse il Duomo. Dopo la sua morte, Alfonso X di Castiglia
reclamò il Ducato di Svevia per diritto materno, in quanto figlio di Elisabetta Hohenstaufen, a sua
volta figlia del duca di Svevia e re di Germania, Filippo di Svevia; la pretesa non ebbe seguito,
benché Alfonso avesse ottenuto l'appoggio di papa Alessandro IV, che il 3 febbraio 1255, aveva
scritto una lettera alla nobiltà sveva.
Il giovane imperatore lasciava il figlio Corradino, ancora bambino e rimasto in Germania, sotto la
tutela del papa, mentre fu nominato governatore del Regno di Sicilia il marchese Bertoldo di
Hohenburg; in realtà Manfredi proseguì la reggenza senza contrarietà.
Manfredi di Sicilia
Manfredi di Hohenstaufen, o Manfredi di Svevia o Manfredi di Sicilia (Venosa, 1232 – Benevento,
26 febbraio 1266), è stato l'ultimo sovrano svevo del regno di Sicilia. Figlio illegittimo
dell'imperatore Federico II di Svevia e di Bianca Lancia, fu reggente per il nipote Corradino dal
1254, poi re di Sicilia dal 1258. Morì durante la battaglia di Benevento, sconfitto dalle truppe di
Carlo I d'Angiò.
Manfredi nacque e visse la sua fanciullezza a Venosa. Era figlio naturale di Federico II di Svevia e
di Bianca dei conti Lancia e Signori di Longi dei Duchi di Baviera, sposata dall'imperatore solo
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Svevia
poco prima della sua morte e, quindi, pienamente legittimato, malgrado la Curia romana
disconoscesse quel vincolo matrimoniale, mossa com'era dal suo profondo odio per la casa di
Hohenstaufen.
Studiò a Parigi e a Bologna; dal padre apprese l'amore per la poesia e per la scienza, amore che
mantenne da re. Si narra che l'imperatore avesse avuto una particolare predilezione fra tutti i suoi
figli verso Manfredi ed Enzo, entrambi nati da relazioni extra-coniugali.
Alla fine del 1248 o all'inizio del 1249, la data è incerta, sposò Beatrice di Savoia, figlia del conte
Amedeo IV di Savoia e di Margherita di Borgogna.
La reggenza in Sicilia
Federico II morì il 13 dicembre 1250 e lasciò a Manfredi il Principato di Taranto con altri feudi
minori; gli affidò inoltre la luogotenenza in Italia, in particolare quella del regno di Sicilia, finché
non fosse giunto l'erede legittimo, il fratellastro di Manfredi, Corrado IV, che in quel momento era
impegnato in Germania. Anche se Palermo era la capitale del suo regno, Manfredi privilegiò come
dimora il castello di Lagopesole, la cui costruzione, iniziata dai suoi avi normanni, fu terminata da
suo padre. Il giovane sovrano si trovò in una situazione assai difficile per le molte ribellioni
scoppiate nel Regno e fomentate da papa Innocenzo IV, il quale secondo gli accordi di Melfi del
1059, era alto sovrano del Regno di Sicilia quindi sotto il vassallaggio dalla Santa Sede. Manfredi
agì con energia per ristabilire il dominio svevo e riuscì a ricondurre all'obbedienza varie città ribelli,
ma non Napoli; in questa impresa fu aiutato dallo zio, Galvano Lancia. Tentò anche di giungere a
un accordo con Innocenzo IV, ma non arrivò a nulla.
Nell'ottobre 1251 Corrado scese in Italia e nel gennaio 1252 sbarcò a Siponto, proseguendo insieme
al fratello nella pacificazione del regno. Nell'ottobre 1253 Napoli, infine, cadde nelle mani di
Corrado. Questi ben presto era divenuto sospettoso e ostile verso Manfredi, il quale dovette
rinunciare a tutti i feudi minori e accettare anche la diminuzione della sua autorità nel principato di
Taranto. Il 21 maggio 1254 Corrado morì di malaria, lasciando il figlio Corradino (ancora bambino
e rimasto in Germania) sotto la tutela del papa e nominando governatore del regno il marchese
Bertoldo di Hohenburg. Il reggente inviò un'ambasciata di cui faceva parte anche Manfredi a
trattare con il pontefice ad Anagni. Il tentativo di abboccamento fallì e Bertoldo rinunciò alla carica
lasciando campo libero a Manfredi, che riprese il controllo del Regno di Sicilia. Dichiarato dal Papa
l'usurpatore di Napoli, Manfredi fu scomunicato nel luglio del 1254.
Lo scontro con il papato
Il Papato, che continuava a non vedere di buon occhio l'insediamento della casa imperiale di Svevia
nel regno di Sicilia, si accinse a occupare il regno con un esercito, essendo quel territorio proprio
vassallo in quanto la casa di Svevia era erede degli Altavilla primi beneficiari della concessione del
Regno. In questo contesto Manfredi si trovò subito in chiaro dissidio con il Pontefice; grazie però
alla fine abilità diplomatica ereditata dal padre, concluse con il pontefice un accordo accettando
l'occupazione pontificia con una semplice riserva dei diritti di Corradino e propri: fu assolto dalla
scomunica, investito dal pontefice del principato di Taranto (27 settembre 1254) e degli altri suoi
feudi e nominato vicario della Chiesa nella maggior parte del Regno. La Campania venne però
occupata dalle truppe pontificie.
L'11 ottobre 1254, presso il ponte del fiume Verde (l'attuale Liri), a Ceprano, Manfredi consuma la
sua umiliazione per volontà di papa Innocenzo IV.
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Svevia
La scabrosa posizione di Manfredi divenne ancor più difficile in seguito all'uccisione, da parte dei
suoi uomini, di un barone protetto dalla Curia pontificia. Manfredi, non ritenendosi sicuro di fronte
al papa, si recò in Puglia, a Lucera, ove si trovava la truppa della colonia saracena ivi stanziata da
Federico II. Una volta assicuratasi la loro fedeltà, poté arruolare un ingente esercito e muovere
guerra all'esercito pontificio, che sconfisse presso Foggia.
Nel dicembre 1254 morì papa Innocenzo IV e il conflitto proseguì sotto il suo successore
Alessandro IV, papa assai meno energico del suo predecessore, che pronunciò una nuova
scomunica nei confronti dello svevo. Al papa non riuscì l'intento di arruolare i re d'Inghilterra e di
Norvegia in una Crociata contro gli Hohenstaufen, anzi la guerra procedette vantaggiosamente per
Manfredi, che nel corso del 1257 sbaragliò l'esercito pontificio e domò le ribellioni interne,
rimanendo in saldo possesso del regno, mentre dalla Germania il giovanissimo nipote Corradino gli
conferiva ripetutamente i poteri vicariali. Roma stessa divenne ghibellina sotto il controllo del
senatore bolognese Brancaleone degli Andalò e il Papa fu costretto (1257) a trasferire la sede
pontificia a Viterbo, dove morì quattro anni dopo.
Nel 1256 Manfredi fondò Manfredonia, nei pressi dell'antica Siponto: nei progetti del regnante,
Manfredonia era stata designata a fungere da capitale di Puglia ("Apuliae Caput", dove per Apuliae
si intendeva in quel tempo tutto il meridione continentale) e importante centro per i traffici
commerciali del Mediterraneo.
Diffusasi nel 1258, probabilmente per opera stessa di Manfredi, la voce della morte di Corradino, i
prelati e i baroni del regno invitarono Manfredi a salire sul trono ed egli fu incoronato il 10 agosto
nella cattedrale di Palermo. Tale elezione non venne riconosciuta dal papa Alessandro IV che
ritenne pertanto Manfredi un usurpatore.
Il 2 giugno 1259 Manfredi, da poco vedovo di Beatrice di Savoia, sposò nel castello di Trani, in
virtù di una serie di accordi diplomatici, Elena Ducas, figlia del despota d'Epiro Michele II.
Fra il 1258 e il 1260 la potenza di Manfredi, diventato ovunque capo della fazione ghibellina, si
estese in tutta Italia. Il comune romano strinse un'alleanza con lui. In Toscana il partito ghibellino,
capitanato dalla città di Siena, guidata da Farinata degli Uberti, ottenne una netta vittoria nella
battaglia di Montaperti (4 settembre 1260) e divenne così, con l'ausilio delle sue truppe, padrone
assoluto di Firenze. Anche in Italia settentrionale, dopo la catastrofe di Ezzelino III da Romano
(1259), i ghibellini, rimasti assai forti, fecero capo a lui. Poté nominare vicari imperiali in Toscana,
nel ducato di Spoleto, nella Marca anconitana, in Romagna e in Lombardia. Il suo dominio si estese
anche in Epiro (Grecia), sulle terre portategli in dote dalla seconda moglie Elena Ducas; la sua
potenza fu aumentata anche dal matrimonio della figlia Costanza con Pietro III d'Aragona (1262).
L'avvento degli angioini e la fine
Eletto al soglio pontificio nella sede di Viterbo papa Urbano IV (di origine francese) nel 1261,
questi scomunicò nuovamente Manfredi e cercò di assegnare il Regno di Sicilia a un sovrano più
influenzabile dal papato. Quindi, in un primo tempo, Urbano IV tentò di vendere il regno a
Riccardo di Cornovaglia, che vantava anche una discendenza normanna, e poi a suo nipote
Edmondo di Lancaster, ma senza successo. Nel 1263 riuscì, invece, a convincere Carlo I d'Angiò,
fratello del Re Luigi IX di Francia e "senza terra" a prendere Sicilia e Piemonte. Lo stesso Papa
avrebbe incoronato Carlo come Re di Sicilia l'anno successivo: i Francesi d'Angiò venivano
ufficialmente chiamati in Italia per una sorta di Crociata nei confronti degli Svevi. Nello stesso anno
1264 moriva Urbano IV e a questi succedeva papa Clemente IV che proseguì la politica anti-sveva e
favorì ulteriormente lo scontro con gli Angioini.
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Svevia
Carlo giunse a Roma per mare, nel giugno 1265, sfuggendo alla flotta siciliana. Vano riuscì
l'appello rivolto da Manfredi ai Romani con un manifesto (24 maggio) in cui chiedeva di essere
nominato Imperatore da loro, quali detentori dell'autorità imperiale. L'esercito di Carlo nel dicembre
1265 penetrò per la Savoia e il Piemonte in Lombardia, ove la parte ghibellina non riuscì ad opporre
sufficiente resistenza, e di là per la Romagna giunse nell'Italia centrale e a Roma, ove Carlo fu
incoronato re di Sicilia il 6 gennaio 1266. Mosse, quindi, verso il Mezzogiorno e poté entrare nel
regno con poca difficoltà dopo che le truppe di Manfredi cedettero sul ponte sul Garigliano nei
pressi di Ceprano.
La decisiva battaglia di Benevento, avvenne il 26 febbraio 1266; le milizie siciliane e saracene
insieme alle tedesche difesero strenuamente il loro re, mentre quelle italiane abbandonarono
Manfredi, che morì combattendo con disperato valore. Riconosciutone il corpo, fu seppellito sul
campo di battaglia sotto un mucchio di pietre da parte degli stessi cavalieri francesi, che ne vollero
così onorare il valore.
Sette mesi dopo la morte di Manfredi, la tomba fu violata da Bartolomeo Pignatelli, vescovo di
Cosenza, con il consenso di papa Clemente IV. Gli storici sono concordi nel ritenere il fatto
derivante da un'iniziativa autonoma dell'arcivescovo che nutriva per Manfredi un profondo odio
personale; Clemente IV diede in realtà soltanto il proprio consenso, da Viterbo, a questa iniziativa e
il corpo riesumato fu deposto o disperso, quale scomunicato, fuori dai confini dello Stato della
Chiesa, in un luogo che resta tuttora sconosciuto.
Corradino di Svevia.
Figlio (Wolfstein presso Landshut 1252 - Napoli 1268) di Corrado IV e di Elisabetta di Baviera;
ultimo degli Hohenstaufen. Cresciuto alla corte bavarese, fu chiamato in Italia dai partigiani
dell'Impero, dopo la morte di Manfredi (1266). La sua discesa (sett. 1267) ridestò la fazione
imperiale, e C., passando per Verona e Pavia e di lì con audace marcia in Toscana, entrava in Roma,
trionfalmente accolto. Ma il 23 ag. 1268 presso Scurcola Marsicana, nella conca del Fucino, era
sconfitto da Carlo d'Angiò. Riuscì a fuggire, ma veniva catturato presso Torre Astura e consegnato
al re di Sicilia, che lo faceva condannare formalmente a morte in Napoli da un tribunale e lo
giustiziava (29 ott.).
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