Liceo scientifico-tecnologico G. Natta, Bergamo Anno scolastico 2013/2014 La selezione naturale: impatto sociologico e culturale Jessica Barcella Classe 5CLST "Se accettiamo come primo compito dello Stato il giovare al popolo, il mantenimento, la cura e l'evoluzione delle migliori caratteristiche della razza, è evidente che i provvedimenti statali debbono ampliarsi fin dalla nascita del piccolo figlio della nazione, e che lo stato debba educare il fanciullo per farne un altro elemento di una continua propagazione della razza". Mein Kampf, A. Hitler Sommario INTRODUZIONE.................................................................................................................................................. 4 Capitolo 1. LO SVILUPPO DELLA SELEZIONE NATURALE .................................................................................... 6 1.1 Prime teorie scientifiche sulla storia della vita: verso la teoria evolutiva. .............................................. 6 1.2 La nascita dell’evoluzionismo moderno .................................................................................................. 8 1.3 Prove a sostegno dell’evoluzione .......................................................................................................... 10 1.4 La teoria della selezione naturale.......................................................................................................... 12 1.5 Le cinque “sottoteorie” della teoria darwiniana ................................................................................... 13 1.6 La teoria sintetica dell’evoluzione ......................................................................................................... 14 1.7 La legge di Hardy-Weinberg .................................................................................................................. 15 1.8 Fattori che modificano l’equilibrio ........................................................................................................ 17 1.9 La selezione naturale ............................................................................................................................. 19 1.10 L’adattamento: il frutto della selezione .............................................................................................. 22 Capitolo 2. BEAGLE VOYAGE ............................................................................................................................ 23 2.1 The history of H.M.S. Beagle ................................................................................................................. 23 2.2 Darwin was invited to sail aboard H.M.S. Beagle in 1831 ..................................................................... 24 2.3 H.M.S. Beagle departed England in 1831 .............................................................................................. 24 2.4 Darwin visited the Galapagos islands .................................................................................................... 24 2.5 Darwin circumnavigated the globe........................................................................................................ 25 2.6 Darwin wrote about his voyage aboard the Beagle .............................................................................. 25 2.7 Darwin, H.M.S. Beagle, and the theory of evolution ............................................................................. 26 Capitolo 3. VERGA E IL DARWINISMO SOCIALE ............................................................................................... 27 3.1 Il concetto di lotta per l’esistenza nelle opere di Verga ........................................................................ 28 Capitolo 4. L’EUGENETICA NAZISTA E LA SUPERIORITÀ DELLA RAZZA ARIANA. ............................................. 32 BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA ........................................................................................................................... 38 3 INTRODUZIONE Oggi la concezione che abbiamo del mondo e del posto che vi occupiamo è drasticamente cambiata da quella che ha dominato fino alla fine del XVIII secolo. Nel campo della biologia, molte delle idee proposte negli ultimi centocinquanta anni sull’evoluzione degli esseri viventi erano in netto conflitto con ciò che tutti davano per scontato; è per questo che la loro accettazione richiese un ampio intervallo di tempo, nel quale venne raccolta un’enorme quantità di dati che giustificasse e confermasse le nuove teorie proposte. Tali teorie, dunque, non potevano più essere ignorate. L’idea che gli esseri viventi abbiano trovato origine in forme primordiali, dalle quali si sarebbero poi sviluppate per gradi le specie attuali, si ritrova variamente abbozzata nella storia del pensiero dai Greci in poi: ma solo con Charles Darwin questa intuizione divenne qualcosa di definito che si basava su osservazioni oggettive e concrete. Dopo la spedizione esplorativa compiuta con il brigantino H.M.S. Beagle, Darwin dedicò più di venti anni a riordinare ed interpretare i dati raccolti durante il suo viaggio e a confrontarli con quelli provenienti da altre fonti. Giunse così a conclusioni sconvolgenti e rivoluzionarie circa l’origine della vita, che ancora oggi suscitano dibattiti e controversie. Il frutto di questo lavoro è il volume dal titolo “L’origine delle specie” pubblicato nel 1859. In quest’opera rigorosa e straordinaria, Darwin introdusse il concetto di una lenta evoluzione delle specie vegetali e animali (e quindi anche dell’uomo) che nel corso del tempo si sono profondamente diversificate dai loro antenati. La teoria di Darwin fu così importante che influenzò molti autori del panorama della letteratura europea di fine ‘800 e inizio ‘900. Questi si richiamarono ad essa, anche se la interpretarono, o semplicemente la integrarono, in modi che vanno al di là delle tesi originarie del biologo inglese. Nacque, dunque, il cosiddetto Darwinismo sociale, etichetta sotto la quale si racchiuderebbero tutte le teorie che applicano il concetto di selezione naturale alla popolazione umana. Questa corrente di pensiero sfrutta concetti come la lotta per l'esistenza e la selezione naturale (o sopravvivenza del più adatto) per applicarli alla società umana, giustificando l'emarginazione dei più deboli, la gerarchia sociale e sessuale, la concorrenza sfrenata, o anche il dominio dei popoli più progrediti su quelli "inferiori", come fenomeni perfettamente naturali, in quanto non fanno altro che portare ad un progresso evolutivo. In Italia, uno degli autori che fece suo questo “pensiero sociologico”, rimodellandolo sulle sue opere, fu sicuramente Giovanni Verga. Infatti, egli concepì la vita come una continua lotta per la sopravvivenza, nella quale sono i più deboli ad essere sopraffatti dai più forti. Secondo lui, però, 4 anche i vincitori, prima o poi, conosceranno il momento della sconfitta: allora anch’essi verranno sopraffatti e calpestati senza pietà. Inoltre, il Darwinismo sociale trovò, già a partire dal diciannovesimo secolo, un pericoloso tentativo d’applicazione: l’eugenetica, ossia lo studio dei metodi volti al perfezionamento della specie umana attraverso selezioni artificiali operate tramite la promozione dei caratteri fisici e mentali ritenuti positivi (eugenetica positiva) e la rimozione di quelli negativi (eugenetica negativa). Attuata soprattutto nel Terzo Reich, per volere di Hitler, questa pratica abominevole condurrà alle barbarie dell’olocausto, riflettendo e concretizzando i condizionamenti di una selezione naturale su scala umana. La Shoah rappresenta, in questi termini, la tappa ultima di un percorso lungo e complesso. 5 Capitolo 1. Lo sviluppo della selezione naturale Capitolo 1. LO SVILUPPO DELLA SELEZIONE NATURALE 1.1 PRIME TEORIE SCIENTIFICHE SULLA STORIA DELLA VITA: VERSO LA TEORIA EVOLUTIVA. Le ricerche e gli studi di Darwin finirono per cambiare radicalmente la nostra visione della vita e il nostro posto all’interno del mondo vivente. Infatti, è ormai assodato che Darwin sia stato l’ideatore della moderna teoria evolutiva e anche se non è stato il primo ad affermare che gli organismi si evolvono nel tempo, egli è stato il primo a raccogliere una grande quantità di dati a sostegno di questa ipotesi e a proporre un valido meccanismo che potesse spiegare il processo evolutivo. Per capire a pieno il valore della teoria formulata da Darwin è utile considerare il clima culturale nel quale venne formulata. In Europa, fino alla seconda metà del Settecento predominava una concezione fissista secondo la quale specie animali e vegetali erano statiche ed immutabili, e potevano essere disposte in una scala gerarchica (la “scala naturale”) nella quale gli organismi più semplici occupavano lo scalino più basso, l’uomo, organismo più complesso in assoluto, quello più alto e tutti gli altri organismi occupavano una posizione intermedia. Tale concezione può essere riassunta nel termine fissismo e derivava principalmente dal pensiero di Aristotele (384-322 a.C.). Per Aristotele gli organismi viventi esistevano da sempre, mentre a partire dalla seconda metà del Settecento nacque una corrente di pensiero più moderna per la quale tutti gli essere viventi erano stati creati da Dio nel sesto giorno della Genesi e che da allora fossero rimasti tali. Tale teoria prende il nome di creazionismo e tra coloro che ci credevano fortemente ci fu Carl von Linné (1707-1778 – noto in Italia con il nome di Linneo). Tuttavia, già ai tempi di Linneo diventava sempre più chiaro che il modello di creazione era molto più complesso di quanto si fosse ipotizzato precedentemente. Sempre in quegli anni, iniziò a svilupparsi una teoria più dinamica del mondo vivente rispetto alla precedente. Tra i seguaci di questa teoria ricordiamo lo scienziato francese Georges Louis Leclerc de Buffon (1707-1788) il quale fu tra i primi a suggerire che le specie potessero subire dei cambiamenti nel corso del tempo. Egli ipotizzò che oltre alle specie create da Dio ce ne fossero altre, meno numerose, concepite dalla Natura e dal Tempo. Queste famiglie minori, secondo Buffon, erano prodotte a causa di un processo degenerativo. Tra coloro che non credevano alla fissità e immutabilità delle specie vi fu anche Erasmus Darwin (1731-1802), nonno di Charles Darwin. Egli sosteneva l’idea che gli animali potessero cambiare quando cambiava l’ambiente in cui vivevano e che il loro discendenti potessero ereditare tali cambiamenti. 6 Capitolo 1. Lo sviluppo della selezione naturale A gettare le basi della teoria evolutiva fu anche il geologo scozzese James Hutton (1726-1797) secondo il quale la Terra sarebbe stata modellata non da eventi catastrofici e improvvisi, come si pensava, ma da processi lenti e graduali (l’azione dei venti, l’erosione dell’acqua, ecc) che agiscono anche ora (teoria dell’attualismo). Questa teoria era importante per tre ragioni: implicava che la terra avesse una storia più lunga; affermava che il graduale corso degli eventi determina un cambiamento graduale (in contrasto con l’idea del tempo secondo cui capita, a volte, che il mondo “statico” venga interrotto da un improvviso avvenimento casuale); implicava che potessero esistere interpretazioni diverse da quella letterale della Bibbia. Alla fine del Settecento, di fondamentale importanza fu lo studio dei fossili effettuato dall’inglese William Smith (1769-1839) , il quale studiò in modo sistematico la distribuzione dei fossili negli strati rocciosi, stabilendo che ogni strato, in qualunque parte dell’Inghilterra si trovasse, conteneva tipi caratteristici di fossili (“fossili guida”). Strati sovrapposti contenevano fossili diversi e caratteristici. Questi studi suggerirono l’idea che l’attuale superficie terrestre si fosse formata, nel corso del tempo, dall’accumularsi di uno strato sull’altro. Dopo queste osservazioni è giusto sottolineare che all’inizio dell’Ottocento la geologia aveva fatto passi da gigante, ma non si poteva dire altrettanto della biologia. Jean-Baptiste Lamarck (1744-1829) fu il primo scienziato che sviluppò una teoria coerente dell’evoluzione degli organismi, ipotizzando che tutte le specie, uomo compreso, discendessero da altre specie. Egli aveva osservato che generalmente le rocce più antiche contenevano fossili di forme più semplici e interpretò questo fatto nel senso che le forme più complesse sarebbero derivate da quelle più semplici mediante un’evoluzione. Secondo Lamarck che sosteneva l’ereditarietà dei caratteri acquisiti, tale cambiamento segue un disegno insito nella natura stessa che porta a un graduale perfezionamento degli organismi generando forme via via più complesse. Secondo questa idea, le modifiche che un organismo subisce nel corso della sua vita potrebbero in qualche modo diventare ereditarie ed essere trasmesse alla progenie. La teoria dell’evoluzionismo di Lamarck pone anche l’accento sull’importanza dell’adattamento, un concetto centrale per il pensiero evolutivo. Per Lamarck, tuttavia, l’adattamento riguarda il singolo individuo ed è il risultato dell’uso o del disuso di un determinato organo: la funzione, quindi, crea l’organo e ogni essere vivente sviluppa gli organi di cui ha bisogno per la vita in un certo ambiente. 7 Capitolo 1. Lo sviluppo della selezione naturale L’esempio più famoso che illustra il principio dell’“ereditarietà dei caratteri acquisiti” è quello dell’evoluzione della giraffa. La giraffa moderna si è evoluta da antenati che dovettero allungare il collo per raggiungere le foglie poste sui rami più alti. Questi antenati trasmisero ai discendenti il collo lungo, acquisito mediante l’allungamento, i quali, a loro volta, allungarono il collo ancor di più trasmettendo la nuova dimensione del collo ai figli e così via. La figura dominante del panorama scientifico europeo all’inizio dell’Ottocento fu sicuramente Georges Cuvier (1769-1832), il più autorevole sostenitore del catastrofismo. Secondo questa teoria, i fenomeni geologici e biologici sarebbero la conseguenza di eventi catastrofici accaduti nel passato e Cuvier attraverso questa corrente di pensiero spiegava l’estinzione delle specie. Cuvier rivestì un ruolo importante nel campo scientifico perché diede enormi contributi alla biologia del suo tempo: fu, infatti, il fondatore della paleontologia dei vertebrati, lo studio scientifico delle testimonianze fossili dei vertebrati. Esperto di anatomia e zoologia, Cuvier era in grado di dedurre la forma completa di un animale a partire da pochi frammenti ossei e riuscì a dimostrare che gli animali potevano essere divisi in gruppi fondamentali, come per esempio i vertebrati e gli articolati (i moderni artropodi), i quali non potevano affatto discendere gli uni dagli altri perché le loro strutture corporee erano completamente diverse (tra l’altro, questa idea fu il punto di partenza per Darwin, che si rese conto che le specie attuali non possono derivare direttamente le une dalle altre, ma possono avere un antenato comune). La teoria delle catastrofi è oggi del tutto superata perché furono raccolti nuovi dati sulla storia della Terra, che dimostravano come le estinzioni non fossero tutte concentrare in pochi eventi catastrofici, ma sparse su tutta la storia della vita. Ma nonostante l’inadeguatezza del catastrofismo, Cuvier ebbe il merito di sostenere l’importanza dell’estinzione delle specie, che invece Lamarck non accettò mai. L’estinzione, infatti, è oggi considerata una componente fondamentale dell’evoluzione. 1.2 LA NASCITA DELL’EVOLUZIONISMO MODERNO Nel formulare la propria teoria dell’evoluzione Darwin trasse ispirazione dalla lettura, dopo il suo ritorno in Inghilterra, del Saggio sul principio di popolazione dell’economista Thomas Malthus (1766-1834). La tesi sostenuta da Malthus in questa sua opera è la seguente: se la popolazione 8 Capitolo 1. Lo sviluppo della selezione naturale umana avesse continuato ad aumentare così rapidamente, sarebbe stato presto impossibile sfamare tutti gli abitanti della Terra. Bisognava dunque intervenire per controllarne lo sviluppo. Darwin riteneva che le conclusioni di Malthus, ossia che il cibo e altri fattori limitano lo sviluppo delle popolazioni, fossero vere per tutte le specie. Per esempio, Darwin, nella sua opera L’origine della specie, calcolò che una coppia di elefanti, nonostante siano animali le cui femmine hanno un lungo periodo di gravidanza e pochi figli nel corso della vita, produrrebbe 19 milioni di elefanti in 750 anni, se tutti i discendenti vivessero e si riproducessero normalmente; eppure, il numero medio di individui rimane generalmente lo stesso nel tempo. Perciò, sebbene una coppia di elefanti possa produrre in teoria 19 milioni di discendenti, in pratica ne produce in media solo due. Ma perché proprio questi due? Il processo mediante cui questi due animali vengono «scelti» fu chiamato da Darwin selezione naturale. Per Darwin il processo di selezione naturale era analogo al tipo di selezione praticata dagli allevatori di bestiame, di cavalli, di cani e di piccioni; in questa selezione, chiamata artificiale, gli uomini scelgono gli esemplari di piante e di animali da far riprodurre in base alle caratteristiche che sembrano più convenienti (per esempio, le mucche che fanno più latte o i cavalli che corrono più veloci), mentre nel caso della selezione naturale è l’ambiente che li sceglie. Quando individui con determinate caratteristiche ereditarie sopravvivono e si riproducono, mentre altri con caratteri ereditari diversi sono eliminati, la popolazione lentamente si modifica. Per esempio, se un colibrì avesse il becco più lungo rispetto a quello degli altri colibrì, potrebbe con maggior successo raggiungere e succhiare il nettare dei fiori; anche la sua prole potrebbe ereditare tale caratteristica e avere maggiori possibilità di sopravvivenza. Il principale fattore su cui si basano i processi evolutivi è la variabilità esistente nelle popolazioni di individui che appartengono alla stessa specie. Secondo Darwin le variazioni presenti tra questi individui sono dovute solo al caso e non sono dunque prodotte né dall’ambiente né dalla volontà degli organismi stessi. In sé, le variazioni non hanno né scopo né direzione, ma possono essere più o meno utili a un individuo per la sua sopravvivenza e la sua riproduzione. Oggi sappiamo che queste variazioni sono conseguenza di mutazioni, cambiamenti che possono avvenire nel patrimonio genetico di qualsiasi organismo. È l’azione della selezione naturale, cioè l’interazione tra i singoli individui e il loro ambiente, che, nel corso di parecchie generazioni, guida il corso dell’evoluzione. Una variazione dovuta al caso che dia a un organismo un vantaggio, per quanto lieve, lo rende più idoneo a lasciare una progenie in grado di sopravvivere più facilmente. 9 Capitolo 1. Lo sviluppo della selezione naturale 1.3 PROVE A SOSTEGNO DELL’EVOLUZIONE Nel suo libro L’origine della specie Darwin fornì una serie di prove scientifiche a sostegno della selezione naturale e dell’evoluzione. Tali prove avevano origine in molte discipline diverse: la paleontologia, l'anatomia comparata, l'embriologia e la biogeografia. 1. Paleontologia Lo studio dei fossili rivela una graduale successione di forme che variano nel tempo, dalle più semplici alle più complesse: gli strati rocciosi più superficiali e quindi più recenti contengono organismi più simili a quelli attuali mentre quelli più profondi e antichi, contengono forme con maggiori differenze. Questo fatto poteva suggerire una tendenza delle specie a cambiare nel tempo, cioè ad evolvere. 2. Anatomia comparata Se si osserva l’arto anteriore dei pesci, degli anfibi, dei rettili, degli uccelli e dei mammiferi, si può notare come questo sia in tutti i casi costituito dallo stesso numero e dallo stesso tipo di ossa, più o meno sviluppati: omero, radio, ulna, ossa carpali, ossa metacarpali e falangi. Per il diverso utilizzo che le specie ne hanno fatto, l’arto si è notevolmente modificato, ma in queste diverse classi di vertebrati compare sempre la stessa struttura. Questo tipo di somiglianza viene chiamato omologia. In generale, si può affermare che gli arti dei vertebrati mostrino lo stesso piano strutturale di base, sebbene siano adattati a funzioni molto diverse quali il nuoto, il volo, la cattura delle prede; essi sono definiti organi omologhi. Questa comunanza di struttura non trova alcuna spiegazione nell’adattamento, come potrebbe essere per la forma dei delfini (mammiferi) e dei pesci, i quali sono simili perché avere una forma idrodinamica favorisce i movimenti in acqua. Darwin, dunque, la considerò una prova della discendenza di questi organismi da un antenato comune dal quale avrebbero ereditato le suddette strutture. Possiamo dunque dire che l’omologia costituisce una delle più solide prove a sostegno dell’evoluzione. 10 Capitolo 1. Lo sviluppo della selezione naturale 3. Embriologia Se si considerano gli stadi dello sviluppo embrionale dei vertebrati, ci si accorge che essi procedono seguendo un modello unico, a tal punto che se si confrontano tra loro embrioni non molto avanzati di un pesce, di un anfibio, di un rettile e di alcuni mammiferi, compreso l’ uomo, ci si accorge che sono sorprendentemente simili tra loro e un embrione precoce di anfibio è difficilmente distinguibile da un embrione precoce di mammifero. In particolare, in tutti i succitati embrioni sono presenti le fessure branchiali, le quali vengono mantenute allo stato adulto soltanto dai pesci nei quali assumono la funzione di organi respiratori. Questo fatto dimostra che tutti o suddetti vertebrati dovrebbero aver avuto un progenitore comune che doveva avere una respirazione di tipo branchiale. 4. Biogeografia Una serie di prove a supporto dell’evoluzione è fornita anche da una scienza nota come biogeografia, lo studio della distribuzione delle forme viventi nelle varie regioni del globo. Secondo la dottrina creazionista, Dio aveva collocato in ogni regione le specie adatte a vivere in quell’ambiente, per questo motivo, per esempio, non vi sono orsi polari ai tropici. Sulla base di queste premesse, Darwin si sarebbe aspettato che i carnivori di cui analizzava i fossili nell’America del Sud assomigliassero ai carnivori fossili europei, che erano vissuti in ambienti simili ed avevano lo stesso stile di vita. Il fatto sorprendente è che l’analisi dei fossili rivelò che i carnivori sudamericani somigliavano per molti aspetti più agli erbivori 11 Capitolo 1. Lo sviluppo della selezione naturale fossili sudamericani che ai carnivori europei. Questo fatto era difficile da spiegare in modo plausibile per un creazionista. Darwin, inoltre, utilizzò la selezione artificiale come modello per spiegare la selezione naturale. Si accorse che tutti gli individui appartenenti a una data specie hanno moltissimi caratteri comuni ma è altrettanto vero che sono diversi l’uno dall’altro. Possiamo dunque dire che in ogni specie esiste una variabilità individuale che è preesistente all’azione dell’ambiente e non è frutto dell’adattamento. Tale variabilità, inoltre, è del tutto casuale. Se prendiamo come esempio il gatto domestico, è evidente che la specie è formata da individui tutti diversi tra loro ma ci sono altre specie, come quelle batteriche, in cui è difficile vedere questa variabilità. Secondo Darwin, la variabilità all’interno di una specie è fondamentale per l’evoluzione. Partendo dall’osservazione che, nonostante la prole tenda ad assomigliare ai genitori, in molti organismi i figli non sono identici né fra loro né a chi li ha generati, Darwin ipotizzò che la probabilità degli individui di sopravvivere e riprodursi dipendesse proprio da quelle leggere differenze. Per verificare la validità della sua ipotesi, egli chiese agli allevatori informazioni sul loro lavoro e si mise egli stesso ad allevare piccioni. Se i cambiamenti delle specie naturali sono difficili da osservare, perché non studiare i cambiamenti indotti dall’uomo sulle specie domestiche? In altre parole, egli si rivolse allo studio della selezione artificiale operata dagli allevatori sulle specie che l’uomo tiene con sé per adattarle alle proprie esigenze, allo scopo di chiarirsi i meccanismi attraverso i quali cambiamenti simili avvengono in natura, senza che sia l’uomo a guidarli. 1.4 LA TEORIA DELLA SELEZIONE NATURALE C’erano ormai tutte le basi affinché Darwin arrivasse a formulare la sua teoria della selezione naturale, che può essere riassunta nei seguenti punti: gli organismi della stessa specie che vivono nella stessa regione geografica, tendono a riprodursi con grande rapidità; in natura le popolazioni si mantengono sostanzialmente stabili; la stabilità numerica delle popolazioni è dovuta alla scarsità delle risorse che costringe gli individui di una specie a competere tra loro; poiché gli individui sono tutti diversi e unici, alcuni (i più “adatti”) avranno caratteristiche che consentono loro di sopravvivere meglio di altri; i più adatti sopravvivono più a lungo e si riproducono con maggiore successo, trasmettendo alla progenie le proprie caratteristiche. Darwin aveva quindi trovato un meccanismo che spiegava in modo convincente l’evoluzione. 12 Capitolo 1. Lo sviluppo della selezione naturale 1.5 LE CINQUE “SOTTOTEORIE” DELLA TEORIA DARWINIANA Sebbene Darwin si riferisca alla Teoria al singolare, secondo l’attenta analisi del grande evoluzionista Ernst Mayr (1994) e altri, il paradigma darwiniano si compone di 5 sottoteorie strettamente collegate ma in parte indipendenti tra loro: L’evoluzione in quanto tale: gli organismi presenti sulla Terra si trasformano nel tempo. Nel tempo, per spiegare come si è verificata l’evoluzione, sono state proposte varie teorie che differiscono per l’importanza attribuita ai diversi fattori che causano i cambiamenti evolutivi (selezione naturale, caso,ecc..). E anche se molti meccanismi evolutivi sono ancora oggetto di dibattito, l’evoluzione in sé viene considerata da tutti gli scienziati come fatto accertato; La discendenza comune: tutte le forme di vita attualmente presenti sulla Terra possono derivare da un unico antenato comune. Darwin arrivò a formulare questa teoria grazie all’anatomia comparata e all’osservazione di numerosi casi di omologia. Per i biologi di oggi, questo presunto antenato corrisponde a una forma di vita unicellulare procariote dotata di tutte le caratteristiche riconoscibili in ogni forma vivente, quali i meccanismi di duplicazione del DNA, la sintesi proteica e la glicolisi; La moltiplicazione delle specie: una specie tende a produrre o a scindersi in specie figlie. A Darwin dobbiamo la sostituzione della metafora della “scala naturale” con quella dell’“albero della vita”: da una base, costituita dalle specie più antiche, si sviluppa un albero, in cui ogni ramificazione corrisponde a un evento di speciazione, cioè la formazione di una nuova specie; La gradualità dell’evoluzione: Secondo Darwin, i cambiamenti dovevano avvenire con gradualità, attraverso il sommarsi di piccole variazioni, nel corso di lunghi periodi. Sebbene 13 Capitolo 1. Lo sviluppo della selezione naturale il gradualismo di Darwin sia stato rivisto criticamente da alcuni evoluzionisti moderni, non c’è dubbio che la documentazione fossile racconti più una storia di lenti cambiamenti che non di improvvise apparizioni. Quello che alcuni critici oggi rifiutano è l’idea, erroneamente attribuita a Darwin, che il processo evolutivo, per lento che sia, debba per forza procedere con un ritmo costante; La selezione naturale: L’ultima teoria costituisce uno dei concetti più spesso fraintesi dell’intera opera darwiniana. Un filosofo contemporaneo di Darwin, Herbert Spencer (18201903), propose di definire la selezione naturale come «sopravvivenza del più adatto», che spesso viene inteso come il «più forte». La moderna definizione di selezione naturale è assai diversa; tuttavia, la definizione suggerita da Spencer suscitò entusiasmi e polemiche perché veniva riferita alla storia e al futuro dell’umanità, cosa che Darwin si guardò sempre bene dal fare. Egli, infatti, era cosciente che gli esseri umani, grazie alla cultura, non devono per forza seguire le leggi della natura. Inoltre, va sottolineato che il termine corretto per indicare l’«essere adatto» è fitness, parola che i biologi usano ancora oggi non riferendosi alla forza o alla capacità di sopraffazione sugli altri, ma piuttosto alla maggiore probabilità di riprodursi. 1.6 LA TEORIA SINTETICA DELL’EVOLUZIONE Un grosso punto debole della teoria dell’evoluzione di Darwin era l’assenza di una valida spiegazione della trasmissione dei caratteri ereditari. Le ricerche di genetica condotte dal monaco Gregor Mendel all’epoca di Darwin non erano ancora note agli scienziati. Solo con lo sviluppo della genetica, avvenuto solo nel secolo scorso, fu possibile rispondere a tre domande alle quali Darwin non seppe mai rispondere: 1. Come sono trasmesse le caratteristiche ereditarie di generazione in generazione? 2. Perché le diverse caratteristiche genetiche non si mescolano nella progenie, ma possono scomparire per poi riapparire in generazioni successive? 3. In che modo si origina la variabilità su cui agisce la selezione naturale? Gli scienziati moderni hanno cercato di unire gli studi sull’evoluzione con quelli sulla genetica creando una nuova disciplina, la genetica delle popolazioni, che spiega i processi con cui le variazioni si generano e vengono trasmesse all’interno delle popolazioni. L’oggetto principale della genetica delle popolazioni è lo studio del pool genico, cioè dell’insieme dei geni di una popolazione in un determinato momento. Più precisamente, il pool genico è la somma di tutti gli alleli di tutti i geni presenti nei vari individui di una popolazione, ciascuno con la propria frequenza allelica. Il pool genetico può cambiare gradualmente: si parla quindi di variabilità del pool genetico. Gli scienziati che si occupano di questa variabilità genetica studiano, per 14 Capitolo 1. Lo sviluppo della selezione naturale esempio, l’ampiezza di tale variabilità, ossia quante differenti forme alleliche sono presenti all’interno di una popolazione e in che modo esse si originano e si modificano nel corso delle generazioni. Il fatto che ogni individuo procrea la propria prole molto simile a lui, è dovuto all’elevata precisione con cui, a ogni divisione cellulare, il DNA si duplica e viene trasmesso da ogni cellula alle cellule figlie. Per la sopravvivenza dei singoli individui questa precisione è fondamentale, ma non solo, è fondamentale anche la comparsa occasionale di mutazioni nel trasferimento del materiale genetico. Infatti, queste mutazioni consentono alle popolazioni di cambiare nel tempo e gli consentono di adattarsi meglio all’ambiente in cui si trovano a vivere. Darwin fu sicuramente il primo a riconoscere l’importanza delle diffuse variazioni ereditarie che compaiono nel processo evolutivo e gli studi della “genetica delle popolazioni” hanno permesso di definire anche il modo in cui queste variazioni vengono mantenute e favorite nei pool genetici. 1.7 LA LEGGE DI HARDY-WEINBERG Nel 1908, lavorando indipendentemente, il matematico britannico Godfrey Hardy e il medico tedesco Wilhelm Weinberg dedussero le condizioni necessarie perché la struttura genetica di una popolazione si mantenga invariata nel tempo. Definirono "popolazione in equilibrio" una popolazione all'interno della quale le frequenze alleliche rimangono costanti da una generazione all’altra e le frequenze genotipiche sono ricavabili da quelle alleliche. Le condizioni che devono essere soddisfatte affinché una popolazione si trovi all’equilibrio di Hardy-Weinberg sono le seguenti: Gli accoppiamenti devono essere casuali (gli individui non devono preferire partner con particolari genotipi); La popolazione deve essere di grandi dimensioni (teoricamente infinita); Non deve esserci flusso genico (non devono verificarsi fenomeni di immigrazione o di emigrazione); Non ci devono essere mutazioni (gli alleli non si trasformano uno nell’altro né possono comparirne di nuovi); Non si deve verificare selezione naturale (individui con genotipi diversi hanno la stessa possibilità di sopravvivere). Se queste condizioni sono idealmente soddisfatte, le frequenze alleliche caratterizzanti una popolazione rimangono costanti per un periodo indefinito di tempo. Tale equilibrio è espresso dalla Legge di Hardy-Weinberg, ovvero dall' equazione p2+2 pq+q2=1 , dove p indica la frequenza di un 15 Capitolo 1. Lo sviluppo della selezione naturale allele “A” e q la frequenza dell'altro allele “a”. Teoricamente, dopo una generazione di accoppiamenti casuali le frequenze genotipiche manterranno i rapporti seguenti: genotipo AA Aa aa frequenza p2 2pq q2 Supponiamo che nella prima generazione l’allele “A” abbiamo una frequenza pari a 0,55. Siccome abbiamo ipotizzato che gli individui scelgano i propri partner casualmente i gameti portatori dell’allele “A” oppure dell’allele “a” si combinano casualmente, cioè secondo quanto previsto dalle rispettive frequenze p e q. Nel nostro esempio, la probabilità che un particolare gamete porti un allele “A” anziché “a” è di 0,55. In altre parole, su 100 gameti presi a caso, 55 recheranno l’allele “A”. Dato che q = 1 − p, la probabilità che uno spermatozoo o una cellula uovo rechi l’allele “a” sarà: 1 − 0,55 = 0,45. La probabilità che alla fecondazione l’incontro avvenga tra due gameti portatori di “A” è data dal prodotto delle due probabilità relative ai singoli eventi: p x p = p2 = (0,55)2 = 0,3025 Quindi, nella generazione successiva, il 30,25% della prole avrà genotipo “AA”. Allo stesso modo, la probabilità che si incontrino due gameti portatori di “a” sarà: q x q = q2 = (0,45)2 = 0,2025 e il 20,25% della generazione successiva avrà genotipo “aa”. Ci sono due modi per ottenere un eterozigote: 1. l’incontro tra uno spermatozoo “A” e una cellula uovo “a”, con probabilità p x q; 2. l’incontro tra uno spermatozoo “a” con una cellula uovo “A”, con probabilità q x p. Di conseguenza, la probabilità di ottenere un eterozigote in totale è 2pq. La seconda conseguenza è che le frequenze p e q degli alleli di un gene rimangono costanti di generazione in generazione, come ora è facile dimostrare. Infatti nella nuova generazione della nostra popolazione ad accoppiamenti casuali la frequenza dell’allele “A” è p2 + pq, e sostituendo q con 1 − p, l’espressione diventa: p2 + p (1 − p) = p2 + p – p2 = p Le frequenze alleliche di partenza restano immutate, e la popolazione si trova all’equilibrio, espresso dall’equazione di Hardy-Weinberg: p2+ 2pq + q2= 1 16 Capitolo 1. Lo sviluppo della selezione naturale Se le frequenze genotipiche nella generazione parentale dovessero cambiare (per esempio, per l’emigrazione di un gran numero di individui AA), anche le frequenze alleliche nella generazione successiva risulterebbero alterate. Tuttavia, partendo dalle nuove frequenze alleliche, basta una sola generazione prodotta in seguito ad accoppiamenti casuali per riportare le frequenze genotipiche all’equilibrio. Ovviamente le popolazioni in natura non si trovano mai nelle condizioni necessarie a mantenerle all’equilibrio di Hardy-Weinberg. Perché allora questo modello è così importante per lo studio dell’evoluzione? L’equazione di Hardy-Weinberg mostra che le frequenze alleliche rimarranno le stesse di generazione in generazione a meno che qualcosa non le faccia cambiare. Dato che le condizioni del modello non sono mai soddisfatte completamente, in realtà le frequenze alleliche delle popolazioni deviano sempre dall’equilibrio di Hardy-Weinberg. In altre parole, sono in atto dei processi che modificano le frequenze alleliche e che, quindi, inducono all’evoluzione. Il tipo di deviazione dall’equilibrio può aiutarci a individuare i meccanismi che inducono il cambiamento evolutivo. 1.8 FATTORI CHE MODIFICANO L’EQUILIBRIO Oltre alla selezione naturale, esistono quattro fattori che modificano le frequenze alleliche in una popolazione: le mutazioni; il flusso genico; la deriva genetica; l’accoppiamento non casuale. MUTAZIONI Le mutazioni sono dei cambiamenti ereditari del materiale genetico (DNA) e sono eventi rari ed improvvisi. Possono avere cause diverse ma la maggior parte di esse si verifica spontaneamente; solitamente, infatti, si verificano per caso. Inoltre, le singole mutazioni sono indipendenti dall’ambiente e dal potenziale vantaggio o svantaggio che possono conferire all’individuo e ai suoi discendenti. In natura esse si verificano con una frequenza molto bassa generando nuovi alleli che la riproduzione sessuata ricombina. FLUSSO GENICO La migrazione degli individui da una popolazione a un'altra ha come risultato l'introduzione di nuovi alleli in una popolazione, oppure il cambiamento delle frequenze alleliche. Al fondo genico comune possono aggiungersi nuovi alleli per mezzo di gameti diversi forniti da immigrati 17 Capitolo 1. Lo sviluppo della selezione naturale provenienti da altre popolazioni. Questo movimento di alleli, determinato dalla migrazione, viene chiamato flusso genico. Nel caso in cui il fenomeno di migrazione sia ricorrente il flusso genico rappresenta un elemento che diminuisce la variabilità, in quanto gli incroci frequenti portano naturalmente a uniformare le frequenze geniche e quindi la diversità tra le singole popolazioni diminuisce. Nel caso di flusso migratorio episodico che si verifica tra popolazioni normalmente separate, invece, la migrazione viene considerata come sorgente di variabilità genetica. DERIVA GENETICA Un altro agente che influisce sulla variazione delle frequenze alleliche è il fenomeno della deriva genica, che determina cambiamenti dovuti al caso. Esso si verifica in seguito a un evento relativamente frequente nelle popolazioni naturali: un gruppo di individui si separa da una popolazione e, una volta raggiunta una nuova sede, continua a rimanere isolato (nel genere umano i fattori di isolamento, oltre che geografici, sono spesso di tipo culturale). Il gruppo, essendo composto da un numero limitato di individui, può essere geneticamente rappresentativo della popolazione da cui proviene; oppure può presentare alleli che nella popolazione d'origine erano rari; oppure manca di alleli comuni nella popolazione di partenza. Le frequenze di certi alleli saranno dunque diverse tra la nuova popolazione e quella di origine, non per un fenomeno selettivo, ma apparentemente per ragioni casuali. ACCOPPIAMENTO NON CASUALE Le frequenze genotipiche possono subire cambiamenti anche nel caso in cui gli individui di una popolazione scelgano di accoppiarsi con partner dotati di genotipi particolari (un fenomeno chiamato accoppiamento non casuale). Per esempio, se la preferenza va agli individui con la stessa costituzione genetica, la frequenza dei genotipi omozigoti risulterà maggiore di quanto previsto dall’equilibrio di Hardy-Weinberg. In altri casi può invece succedere che gli accoppiamenti avvengano preferibilmente o esclusivamente fra partner con genotipi diversi. Esempi di accoppiamento non casuale si ritrovano anche nei vegetali. È il caso della primula, dove le singole piante producono fiori di uno solo fra due tipi possibili. Un tipo, detto a spillo, ha stilo (l’organo riproduttivo femminile) lungo e stami (gli organi riproduttivi maschili) corti. L’altro tipo, chiamato a tamburello, ha stilo corto e stami lunghi. In molte specie di primula con questa disposizione reciproca di organi, il polline proveniente da un tipo di fiore può fecondare soltanto fiori dell’altro tipo. Questo perché i granuli pollinici prodotti dai due tipi di fiore si depositano su parti anatomiche diverse degli insetti impollinatori e, quando l’insetto si sposta su un secondo fiore, 18 Capitolo 1. Lo sviluppo della selezione naturale i granuli di polline raccolti da fiori a spillo entrano più facilmente in contatto con gli stigmi di fiori a tamburello, e viceversa. In numerosi gruppi di organismi, soprattutto vegetali, è frequente un’altra forma di accoppiamento non casuale: l’autofecondazione. In questo caso la frequenza degli eterozigoti si riduce rispetto a quanto previsto dall’equilibrio di Hardy-Weinberg. È bene notare che questi tipi di accoppiamento non casuale alterano le frequenze genotipiche, ma non le frequenze alleliche, e quindi non producono adattamento. Esiste però anche una forma particolarmente importante di accoppiamento non casuale, capace di cambiare le frequenze alleliche: la selezione sessuale. 1.9 LA SELEZIONE NATURALE Ciò che conta per la selezione naturale è il successo riproduttivo, vale a dire il riuscire a generare il maggior numero possibile di discendenti così da diffondere i propri alleli nelle generazioni successive. Tuttavia, bisogna fare attenzione che a fare i conti con la selezione naturale è il fenotipo (ovvero l’insieme delle caratteristiche fisiche manifestate da un organismo provvisto di un certo genotipo) e non direttamente il genotipo. La selezione naturale favorisce determinati genotipi rispetto ad altri, ma non lo fa agendo direttamente su di loro, bensì sui modi in cui essi determinano diversi fenotipi. Non vengono selezionati geni, ma caratteri. La probabilità con cui uno dei due alleli di uno stesso gene viene trasmesso alle generazioni successive rispetto all’altro è detto fitness. Dunque, l’unico criterio per determinare la fitness di un individuo è determinare il suo successo riproduttivo, ossia il numero di discendenti che sopravvivono, che determina quanti alleli del genotipo di un individuo possono essere presenti nelle generazioni successive. Come abbiamo visto i risultati della selezione naturale dipendono in ogni momento dall’interazione di fattori genetici e ambientali. Esistono cinque modelli differenti di selezione naturale. Dal punto di vista del suo effetto sulla distribuzione delle caratteristiche all’interno di una popolazione, la selezione naturale può essere considerata: 19 Capitolo 1. Lo sviluppo della selezione naturale STABILIZZANTE favorisce gli individui con valori intermedi. La selezione stabilizzante riduce la variabilità di un carattere nella popolazione, ma non ne cambia la media (l’evoluzione tende a procedere lentamente proprio perché di solito la selezione naturale è di tipo stabilizzante!); DIREZIONALE favorisce gli individui che si discostano in una direzione o nell’altra dalla media. In tal caso il valore medio del carattere nella popolazione si sposta in direzione dell’estremo determinando una variazione della media della popolazione; DIVERGENTE favorisce gli individui che si discostano in entrambe le direzioni dalla media della popolazione; come risultato, aumenta la variabilità. Finora, abbiamo visto modelli di selezione naturale in cui vi è sempre l’eliminazione di una parte della popolazione in possesso dei fenotipi meno adatti all’ambiente. In alcuni casi, invece, come nel modello di selezione bilanciata, il risultato finale non è la scomparsa di una parte degli alleli del pool genetico, ma, viceversa, il mantenimento della diversità genetica della popolazione. Questo tipo di selezione non favorisce, quindi, un particolare allele ma crea un situazione detta 20 Capitolo 1. Lo sviluppo della selezione naturale polimorfismo bilanciato in cui due o più alleli dello stesso gene vengono tenuti in uno stato di equilibrio che rimane sostanzialmente costante nel tempo. L’ultimo modello di selezione naturale è quello della selezione sessuale. Molti degli adattamenti degli animali hanno a che fare con questo tipo di selezione, ovvero “la lotta tra membri di un sesso, solitamente quello maschile, per la conquista dell’altro sesso”. I maschi, avendo un numero di gameti maggiore delle femmine, cercano di accoppiarsi con il maggior numero di femmine possibile, entrando in competizione con gli altri membri delle stesso sesso. Le femmine, invece, avendo ad ogni accoppiamento una posta in gioco maggiore, in quanto generalmente sono loro a prendersi cura della prole, scelgono il partner con le caratteristiche genetiche migliori. Si pensa che la selezione sessuale sia la causa principale del dimorfismo sessuale, fenomeno per il quale gli individui dei due sessi presentano un insieme di caratteristiche fisiche (di tipo morfologico e funzionale) diverse. Un esempio è la differenza tra il maschio e la femmina di pavone: i pavoni maschi hanno dimensioni maggiori delle femmine, sono più colorati e possiedono lunghe penne ocellate sulla coda. Queste caratteristiche potrebbero essere ben poco adattive per la sopravvivenza, in quanto il colore accesso e le grosse dimensioni della coda li rende visibili ai predatori. Darwin, quindi, trattò la selezione sessuale separatamente dalla selezione naturale perché capì che si trattava di due meccanismi bene distinti, e talvolta contrastanti: mentre la selezione naturale favorisce i caratteri che aumentano la capacità di sopravvivenza, la selezione sessuale riguarda soltanto il successo riproduttivo. Tuttavia, ridefinendo più correttamente la fitness come il numero di discendenti che sopravvivono, molti biologi ritengono ora che questa distinzione non sia valida e che la selezione sessuale possa essere considerata una delle forme che la selezione naturale può assumere. 21 Capitolo 1. Lo sviluppo della selezione naturale 1.10 L’ADATTAMENTO: IL FRUTTO DELLA SELEZIONE Con il termine adattamento si intende qualsiasi caratteristica di una specie che ne migliori le capacità di sopravvivenza in un determinato ambiente. Esso può avere due aspetti: 1. adattamento fenotipico, quello che interviene in un individuo o in un gruppo di individui e consiste in cambiamenti fisiologici o morfologici che non vengono trasmessi ai discendenti (per esempio, i fenomeni di mimetismo); 2. adattamento genotipico, quello che riguarda intere popolazioni ed è associato a cambiamenti genetici che, attraverso la selezione naturale, diventano patrimonio della specie o determinano fenomeni di speciazione (processo evolutivo grazie al quale si formano nuove specie da quelle preesistenti). 22 Capitolo 2. Beagle voyage Capitolo 2. BEAGLE VOYAGE Charles Darwin’s five-year voyage on H.M.S. beagle has become legendary, as knowledge gained by the brilliant young scientist on his trip to exotic places greatly influenced his masterwork, the book On the origin of species. Darwin didn’t actually formulate his theory of evolution while sailing around the world aboard the royal navy ship, but the exotic plants and animals he encountered called into question his thinking and led him to consider scientific evidence in new ways. 2.1 THE HISTORY OF H.M.S. BEAGLE H.M.S. Beagle is remembered today because of its association with Charles Darwin, but it had sailed on a long scientific mission which lasted for several years before Darwin came into the scene. The beagle, a warship which carried ten cannons, sailed in 1826 to explore the coastline of South America. The ship had an unlucky episode when its captain sank into a depression, perhaps because of the isolation of the voyage, and committed suicide. Lieutenant Robert Fitzroy assumed command of the Beagle, continued the voyage, and returned the ship safely to England in 1830. Fitzroy was promoted its captain and nominated to command the ship on a second voyage, which had the aim to circumnavigate the globe while conducting explorations along the South American coastline and across the South Pacific. Fitzroy had the idea of bringing with him someone with a scientific background who could explore and take note of observations. Part of Fitzroy’s plan was that a “gentleman passenger,” would be good company aboard ship and would help him to prevent the loneliness that seemed to have condemned his predecessor. 23 Capitolo 2. Beagle voyage 2.2 DARWIN WAS INVITED TO SAIL ABOARD H.M.S. BEAGLE IN 1831 Teachers at some British universities were asked to indicate someone suitable for the second Beagle voyage, and Darwin’s ex professor proposed him for the position aboard the ship. After graduation at Cambridge in 1831, Darwin spent a few weeks on a geological expedition to Wales. He was inclined to return to Cambridge for theological training, but a letter from a professor, John Steven Henslow, together with an invitation to join the Beagle voyage, made him change his mind. Darwin was excited to join the ship, but his father was against that idea, but other relatives, instead convinced Darwin’s father to let him go, and during the autumn of 1831 the 22-year-old Darwin made preparations to leave England for five years. 2.3 H.M.S. BEAGLE DEPARTED ENGLAND IN 1831 The Beagle left England on December 27, 1831. The ship reached the Canary Islands in early January, and then continued to South America, which was reached by the end of February 1832. During the explorations of South America, Darwin spent considerable time on land: every time the ship stopped in a place, Darwin went on land and was back on board of the ship only when the ship set sail. He kept record his observations, and during quiet times on board the Beagle he transcribed his notes into a diary. In the summer of 1833 Darwin went inland in Argentina. During his excursions in South America Darwin dug to search for bones and fossils, and was also exposed to the horrors of slavery and other human rights abuses. 2.4 DARWIN VISITED THE GALAPAGOS ISLANDS After a lot of explorations in South America, the Beagle reached the Galapagos Islands in September 1835. Darwin was fascinated by such strange things as volcanic rocks and giant tortoises. He later wrote about the reaction of the tortoises when they approached to observe them: those beautiful creatures retreated into their shells. Moreover, the young scientist has even tried to get on their shells, thus realizing how difficult it was to maintain the balance. While in the Galapagos Darwin collected samples of mockingbirds, and later observed that the birds were a little different on each island. This made him think that the birds had a common ancestor, but had followed different evolutionary paths when they were separated. 24 Capitolo 2. Beagle voyage 2.5 DARWIN CIRCUMNAVIGATED THE GLOBE The Beagle left the Galapagos and arrived at Tahiti in November 1835, and then carried on to reach New Zealand in late December. In January 1836 the Beagle arrived in Australia, where Darwin was strongly impressed by the young city of Sydney. After exploring coral reefs, the Beagle continued on its way, reaching the Cape of Good Hope on the southern tip of Africa at the end of May 1836. In July, the beagle sailed back into the Atlantic Ocean and reached St. Helena, the remote island where Napoleon Bonaparte had died in exile. The Beagle also reached a British outpost on Ascension Island in the South Atlantic, where Darwin received some letters from his sister who was in England. The Beagle then sailed back to the coast of South America before returning to England, arriving at Falmouth on October 2, 1836. The entire voyage had taken nearly five years. 2.6 DARWIN WROTE ABOUT HIS VOYAGE ABOARD THE BEAGLE After landing in England, Darwin took a bus to meet his family, staying at his father’s house for a few weeks. However, he remained active, seeking advice of famous scientists. In the following few years he wrote a lots about his experiences. A lavish five-volume set, The Zoology of the Voyage of H.M.S. Beagle, was published from 1839 to 1843. And in 1839 Darwin published a classic book under its original title, Journal of Researches. The book was later republished as The Voyage of the Beagle, and remains in print to this day. The book is a lively and charming report of Darwin’s travels, written with intelligence and occasional flashes of humor. 25 Capitolo 2. Beagle voyage 2.7 DARWIN, H.M.S. BEAGLE, AND THE THEORY OF EVOLUTION Before embarking aboard H.M.S. Beagle, Darwin had studied and dealt with thinking about evolution.. So a popular conception that Darwin’s voyage gave him the idea of evolution is not accurate. Yet it is true that the years of travel and research focused Darwin's mind and sharpened the powers of observation that would eventually lead to the publication of On the Origin of Species in 1859. 26 Capitolo 3. Verga e il Darwinismo sociale Capitolo 3. VERGA E IL DARWINISMO SOCIALE Il concetto di “lotta per l’esistenza” che Verga fa emergere nella Prefazione ai vinti, deriva dall’applicazione in ambito sociale della teoria della selezione naturale espressa da Charles Darwin nel suo libro “L’origine della specie”. Tale teoria afferma che tra gli individui esiste una lotta continua per la sopravvivenza data dal fatto che il numero degli organismi viventi che nasce è superiore a quello che può vivere con le risorse disponibili. In questa lotta a prevalere sono i più adatti alle condizioni di vita in cui si trovano, coloro che dotati di caratteristiche fisiche o comportamentali particolari hanno la fortuna di avere un vantaggio sugli altri e possono trasmettere i loro caratteri ai loro discendenti. La teoria di Darwin ebbe una grandissima influenza su tutto lo sviluppo scientifico della seconda metà dell’ Ottocento, ed ebbe un notevole peso anche nelle scienze sociali, originando quel pensiero sociologico che si definisce “Darwinismo sociale”. Alla base della visione della vita di Verga stanno posizioni radicalmente pessimistiche: la società umana è dominata da un antagonismo spietato tra individui, gruppi e classi e il meccanismo che lo regola è, appunto, quello della “lotta per la vita”, per cui il più forte schiaccia necessariamente il più debole. Di conseguenza, nella realtà non c’è posto per valori ideali come la generosità disinteressata, l’altruismo, la solidarietà e la pietà perché gli uomini sono mossi dall’interesse economico, dall’egoismo, dalla ricerca dell’utile e dalla volontà di essere superiori agli altri, e non da motivi ideali. È questa una legge di natura, universale, che governa qualsiasi società, in ogni tempo e in ogni luogo, e domina non solo le società umane, ma anche il mondo animale e vegetale. Verga sostiene che questa condizione non potrà mai mutare perché è insita nella natura stessa e, dunque, giunge alla conclusione che non si possono dare alternative alla realtà esistente. Se per Verga la realtà è data una volta per tutte, senza possibilità di modificazioni, si può capire perché egli non ritiene legittimo, per lo scrittore che la rappresenta, proporre giudizi. Se è impossibile modificare l’esistente, ogni intervento giudicante appare inutile e privo di senso, e allo scrittore non resta che riprodurre la realtà così com’è. In altre parole, lo scopo dello scrittore deve essere quello di descrivere oggettivamente la realtà, proprio come uno scienziato descrive ciò che succede in una provetta. Per questo motivo la tecnica impersonale usata da Verga non è frutto di una scelta casuale, ma scaturisce coerentemente dalla sua visione del mondo pessimistica, ed è per lui il modo più adatto per esprimerla. Questa visone conservatrice della vita, pur impedendo di indicare alternative, consente a Verga di cogliere con grande lucidità ciò che vi è di negativo nella realtà e lo porta a non condividere la fiducia positivistica nel progresso, da lui considerato un meccanismo che travolge le classi povere (“gli umili”) con costi umani e sofferenze altissime. Tale pessimismo sfocia in una critica aperta alla società borghese e si traduce in una profonda solidarietà per gli umili e per la dignità del loro mondo. Detto questo possiamo dire che quella che Verga descrive è una 27 Capitolo 3. Verga e il Darwinismo sociale società immobile, dove la comunicazione o il passaggio da uno strato sociale all’altro è impossibile. In questo mondo si muovono i suoi personaggi, uomini condannati al dolore e alla sconfitta ma, nonostante tutto, pieni di dignità umile ed eroica che nasce soprattutto dalla loro forza interiore, dal modo con cui sopportano le avversità quotidiane, senza vane ribellioni e senza viltà. 3.1 IL CONCETTO DI LOTTA PER L’ESISTENZA NELLE OPERE DI VERGA IL CICLO DEI VINTI Verga concepisce il disegno di un ciclo di romanzi in cui il suo obiettivo principale è quello di rappresentare le conseguenze del progresso sui diversi ceti sociali, dai più umili ai più elevati, cercando di coglierne gli aspetti problematici. Criterio unificante dell’opera è il principio della lotta per l’esistenza, di cui abbiamo parlato precedentemente. Verga parte dal presupposto che, in astratto, il progresso non sia una cosa cattiva, anzi, visto nell’insieme sia uno spettacolo grandioso, che fa sperare in una liberazione dell’umanità dalla fame e dalle malattie. Ma se lo si osserva da vicino, si scopre che il suo cammino glorioso è disseminato di “vinti”. Sono questi che Verga sceglie come oggetto della sua narrazione, coloro che aspirando a migliorare la propria condizione di vita o la propria posizione sociale, sono rimasti travolti dalla “fiumana del progresso”, fallendo miseramente. Infatti, per Verga la “ricerca del meglio” resta un traguardo irraggiungibile, perché anche quei pochi, i più forti, che lo raggiungono sono destinati a loro volta a essere vinti un domani. Progetto I primi vinti sui quali Verga concentra la sua attenzione sono i più umili (nel romanzo I Malavoglia), per i quali la ricerca del meglio porta alla rovina e alla dispersione del nucleo famigliare. A mano a mano che si sale nella stratificazione sociale, la ricerca del meglio assume connotazioni più complesse. Nel secondo romanzo del ciclo, Mastro-don Gesualdo il movente del progresso è il desiderio di migliorare economicamente, desiderio che porta il protagonista ad essere escluso dalla famiglia e dalla società. Nel terzo romanzo, La duchessa di Leyra, la figlia di Mastrodon Gesualdo, divenuta duchessa in seguito al matrimonio con un nobile squattrinato, viene esclusa 28 Capitolo 3. Verga e il Darwinismo sociale per le sue origini dall’alta società, nella quale ambirebbe inserirsi. Nel quarto romanzo, L’onorevole Scipioni, il protagonista, pur facendo carriera politica, non riesce a liberarsi del pregiudizio che lo perseguita a causa della sua nascita illegittima. Mentre, nel quinto romanzo, L’uomo di lusso, il protagonista è un artista che vive la propria frustrazione sospeso fra i sogni estetici e le ambizioni di affermazione sociale. ROSSO MALPELO (1878) Il protagonista della novella è un ragazzino dai capelli rossi, i quali secondo un’antica credenza siciliana sono segno di malvagità: Malpelo essendo rosso è diverso e di conseguenza è cattivo, portatore di male per sé e per gli altri. Egli viene deriso e maltrattato dalle persone che lo circondano, persino dalla madre e dalle sorelle. L’unico che si prende cura di lui è il padre Mastro Misciu, detto la Bestia, il quale lavora presso la cava dove perderà la vita, lasciando così Malpelo solo e indifeso. Dopo la morte del padre il ragazzo continua a lavorare nella cava, ereditando il mestiere del padre e accettando la propria condizione sociale con rassegnazione (pensiero tipico del pessimismo verghiano) . Malpelo si sente addirittura orgoglioso del suo lavoro, per il quale crede di essere nato, anche se sa che al di fuori del suo mondo ne esiste uno diverso, fatto di lavori e ambienti più piacevoli. La condizione del vinto Malpelo è vittima di continui pregiudizi e maltrattamenti da parte di una società superstiziosa e malvagia che porterà il ragazzo, in seguito alla morte del padre, a rispondere alla sopraffazione con atteggiamenti si scontrosità e violenza. Si comporta in maniera crudele verso gli altri. Rifacendosi alla teoria di Darwin, Verga descrive un Malpelo che vede nel prossimo un nemico. Verga osserva i feroci meccanismi di una comunità regolata dalla legge del più forte, dove dominano la violenza, il sopruso e il pregiudizio. Cresciuto in un ambiente brutale Malpelo sa esprimere i propri sentimenti, anche quelli di affetto, soltanto con atti violenti. Solo l’idea della propria superiorità rende sopportabile la solitudine cui lo condannano i pregiudizi della comunità: cattiveria è sinonimo di forza, bontà di debolezza. Di conseguenza, quando picchia Ranocchio intende dargli una lezione di vita, perché ha imparato che la società esclude ed elimina chi non si adegua alle sue leggi di sopraffazione. Dai suoi comportamenti, è possibile vedere come, a differenza di altri 29 Capitolo 3. Verga e il Darwinismo sociale vinti verghiani, Malpelo è più umano perché cerca di migliorare almeno la condizione di Ranocchio, provando a rafforzarlo, a cambiarlo e a suo modo ad emanciparlo dal suo destino, anche se non ci riuscirà (perché Ranocchio morirà di tubercolosi). Malpelo, portavoce della concezione verghiana dell’esistenza, scopre ben presto che questa realtà è immutabile e cerca di adattarsi ad essa con disperata rassegnazione. Condannato al lavoro nella cava da un rigido determinismo, che vuole l’individuo legato all’ambiente da cui proviene, Malpelo sviluppa una saggezza crudele, un’amara conoscenza della lotta per la vita. E così, dapprima sfoga sui più deboli la propria condizione di alienato, poi compie l’unico gesto di libertà che gli è concesso: Malpelo, rimasto solo, abbandonato da tutti, accetta un pericoloso compito nella miniera, come aveva fatto suo padre e scompare per sempre nelle viscere della terra. Dunque, dato che non lo rimpiangerà nessuno, Malpelo accetta la sua sorte: morire dentro la cava. Assieme all’accettazione, c’è qualcosa di ammirevole nella partenza di Malpelo. Sereno, prende con sé gli attrezzi, il pane e il vino, e come se stesse andando a trovare suo padre, si dirige sotto terra per l’ultima volta. Diversamente dal padre, lui sparisce senza lasciare traccia, e in un certo senso muore senza morire. Lascia una leggenda, un mito negativo, di cui i ragazzi della miniera avranno sempre paura. In questo senso, Malpelo può essere considerato il personaggio verista probabilmente più vinto di tutti, perché neanche nella morte trova pace e liberazione, ma continua ad essere disprezzato. LA ROBA (1880) In questa novella il protagonista, Mazzarò, è un uomo che si è fatto da sé, che si è arricchito dopo un duro scontro con la società e con le sue leggi economiche, ma al prezzo della sua stessa umanità. La sua unica dimensione di vita è il denaro, che però si rivelerà inutile dinnanzi alla morte. La condizione del vinto Ad una prima lettura della novella sembra che Verga si discosti completamente dalla concezione darwiniana del ciclo dei vinti. Egli sosteneva che colui il quale tentasse invano di cambiare il proprio destino, sarebbe stato indubbiamente schiacciato e sopraffatto dalla società: dunque, vinto. Mazzarò, invece, esce in parte vincitore dalla vicenda, essendo il primo personaggio di tutte le novelle verghiane che riesce a dare una svolta alla propria fortuna. Tutto ciò potrebbe negare la teoria dei vinti, da Verga sostenuta. Però, Mazzarò è solo apparentemente vincitore perché in realtà è anche lui un vinto, in quanto viene sopraffatto dall’egoismo e dall’avidità per la sua “roba”, con la quale stabilisce un legame dipendente e morboso, che lo induce a vedere nel prossimo un nemico e alla conseguente distruzione di gran parte dei beni a cui era tanto legato non potendo accettare 30 Capitolo 3. Verga e il Darwinismo sociale l’idea che, ormai giunto alla vecchiaia, qualcuno potesse impossessarsi delle sue ricchezze. Proprio per questo ne risulta vinto: egli riesce sì a cambiare la sua condizione sociale, ma non potrà mai vincere il destino che lo separerà, una volta morto, dalla sua roba. Dunque, ciò attesta che la natura umana è fondamentalmente egoista. Il protagonista non è vinto né dal pregiudizio, né dalla società, ma da se stesso, un uomo inevitabilmente corrotto dall’avidità. Le sue azioni vanno oltre un semplice istinto di sopravvivenza in quanto esse sono regolate da un desiderio infinito di possesso. Mazzarò è, dunque, il risultato dell’ambiente cui appartiene, di cui condivide la mentalità e i valori. Si è sostituito all’aristocratico barone, ma non è diverso da lui: controlla il lavoro dei braccianti con la frusta in mano, fa lo strozzino con chi ha bisogno, non esita a usare l’inganno se qualcuno tenta di resistergli. 31 Capitolo 4. L’EUGENETICA1 NAZISTA E LA SUPERIORITÀ DELLA RAZZA ARIANA. Il 14 luglio del 1933, in Germania, veniva varata la legge per la “prevenzione di prole con malattie ereditarie” che prevedeva la sterilizzazione dei malati ereditari nei seguenti casi: frenastenia congenita; schizofrenia; psicosi maniaco-depressiva; epilessia ereditaria; corea di Huntington; cecità ereditaria; sordità ereditaria; grave deformità fisica ereditaria. Questa legge imponeva a tutti coloro che presentavano le sopra citate patologie ereditarie una sterilizzazione forzata, che sarebbe stata decisa da speciali “tribunali per la salute ereditaria” o addirittura richiesta direttamente da un medico2 o da un direttore di un istituto. Questo stava a significare una sola cosa: era ormai eliminata per il malato qualsiasi libertà di scelta. << L’altra via per la morte della razza è la procreazione differenziata. Questa è caratterizzata da una parte dalla crescente riproduzione, superiore alla media, degli ereditariamente inabili. Da decenni la Germania era minacciata da questo crescente pericolo. In particolare sono determinati gruppi di idioti e di certi gruppi di nemici della società inabili socialmente, la cui riproduzione di molto superiore alla media è stata favorita da condizioni sociali inadatte e nocive alla razza.>>3 Si stima che nel Terzo Reich fino al 1945 circa 360.000 persone, in maggioranza donne, siano state sottoposte a sterilizzazione forzata, e che durante tale intervento siano morti circa 600 uomini e 5.500 donne! Purtroppo, l’introduzione della legge sulla sterilizzazione in Germania nel luglio del ’33 non rappresentava in alcun modo un fenomeno isolato: gli Stati Uniti, nello Stato dell’Indiana, furono i 32 primi, nel 1907, ad approvare una legge sulla sterilizzazione obbligatoria per i disabili, ma ve ne furono molti altri, in particolare nelle tanto ammirate democrazie settentrionali dell’Europa, ad esempio in Svezia, dove una legge simile rimarrà in vigore, indisturbata, fino al 1976. L’eugenetica era dunque chiamata “nell’impero di Hitler4” a diventare la scienza che più di altre avrebbe dovuto contribuire ad affermare il supremo valore della razza ariana. Inoltre, fin da subito, discriminazione razziale e eugenetica diventarono le due facce di una stessa medaglia e cioè del razzismo nella sua veste scientifica e biologica. La politica eugenetica e la politica di divisione razziale si svilupparono nello stato nazista tendendo ad uno stesso fine, cioè al ristabilimento e alla conservazione della purezza del sangue ariano. Che la politica di sterilizzazione non fosse separata da quella razzista è dimostrato, tra l’altro, dall’azione che nel 1937 fu rivolta contro circa 700 bambini meticci nati da relazioni di donne tedesche con soldati di colore (soprattutto francesi) delle truppe di occupazione della Renania, durante gli anni Venti. Nel 1935 si era deciso di trovare una soluzione definitiva alla questione dei meticci della Renania con la speranza che una parte dei bambini potesse essere sterilizzato, anche se la legge del 1933 non lo prevedeva. Tuttavia, ci si accordò di trovare temporaneamente un’altra soluzione, cercando di incentivare l’espatrio di questi bambini “indesiderati”. Quando però, per ragioni finanziarie, tale via risultò impraticabile, non si pensò due volte a procedere attraverso vie illegali, in quanto la legge del ’33 non prevedeva sterilizzazioni per motivi razziali. Fu così che nella primavera del 1937 fu attuata, sulla base di un “incarico segreto” del Führer e attraverso perizie mediche redatte da Fischer (uno degli eugenisti più conosciuti del tempo) e dai suoi assistenti, la sterilizzazione di circa 385 giovani “meticci della Renania”. La politica razzista ed eugenetica, iniziata, come si è visto fin dagli inizi del regime nazista, trovò la sua massima sanzione legale nel 1935. In quell’anno fu varato nell’ambito della politica antisemita il corpus delle cosiddette “leggi di Norimberga”. Tra queste la “legge della cittadinanza del Reich”, privava gli ebrei dei diritti civili e politici, stabilendo che i cittadini a pieno diritto fossero soltanto i soggetti di sangue tedesco o affine. Inoltre, la “legge per la protezione del sangue e dell’onore tedesco”, appartenente allo stesso corpus, vietava i matrimoni tra cittadini tedeschi ed ebrei, affermando la nullità di quelli già contratti e stabilendo sanzioni penali contro i rapporti extramatrimoniali con ebrei. La “legge per la protezione della salute ereditaria del popolo tedesco”, dunque, si legava intimamente alla legislazione sulla sterilizzazione obbligatoria per i malati ereditari, che veniva in quello stesso anno ampliata con la legalizzazione dell’aborto a scopi eugenetici. A partire dal 1935, dunque, la Germania nazista si era dotata di un articolato disciplinamento legislativo di tipo eugenetico e razziale che individuava, come si è visto, nei malati ereditari e negli ebrei, ma poi anche negli zingari, negli omosessuali e, in generale, nei cosiddetti 33 “asociali”, quelle categorie ritenute socialmente dannose. Per questo motivo il corpo popolare tedesco doveva essere assolutamente protetto. Nell’ottobre del 1939 erano state prese le disposizioni statali per l’attuazione segreta dell’eutanasia. Tale progetto prevedeva l’uccisione pianificata di pazienti disabili con malattie definite inguaribili ricoverati negli ospedali. In quanto tali, queste persone erano ritenute un peso inutile per la spesa sociale e “vite che non meritavano di essere vissute”. La prima volta che Hitler affrontò il passaggio dalla sterilizzazione all’eutanasia fu proprio al raduno del partito5 a Norimberga del 1935, quando ne parlò per la prima volta al dottor Wagner. Per un regime fondato sulla legge del più forte fu naturale iniziare l’eutanasia con “i più deboli tra i deboli”: i bambini disabili. L’occasione per dare inizio all’uccisione fu la falsa richiesta della morte ricevuta per grazia di un bambino di nome Knauer, nato sordo cieco, senza una gamba e un braccio e con gravi difficoltà mentali; tuttavia le testimonianze sulle reali condizioni del bambino sono molto varie e discordanti fra loro, tanto da far pensare ad una manipolazione del caso. Hitler ordinò al suo medico personale, Karl Brandt di recarsi nella clinica di Lipsia dove era ricoverato il bambino e di autorizzarne l’uccisione. Il Terzo Reich non ritenne necessario nemmeno emettere un decreto per l’uccisone dei bambini disabili: il via alle uccisioni generali avvenne con un semplice ordine orale di Hitler a Karl Brandt e al capo della sua Cancelleria Philip Bouhler. Karl Brandt si avvalse della collaborazione di medici accademici; i medici condotti e le levatrici erano obbligati alla registrazione di tutti i bambini nei quali si sospettasse la presenza di idiozia, mongolismo cecità, sordità microcefalia, idrocefalia, malformazioni di ogni sorta, paralisi e condizioni spastiche. Questa direttiva fu poi emanata anche agli istituti privati che si occupavano di bambini con problematiche; successivamente a tre medici veniva richiesto un giudizio sull’opportunità o meno dell’eutanasia, non sulla base delle cartelle cliniche, ma solo sulla base di un questionario. Il segno “+” equivaleva al parere favorevole sulla morte del bambino. Perché l’uccisione avvenisse era necessario il parere favorevole di tutti e tre i medici, ma i bambini sui quali l’opinione non era unanime venivano ugualmente inviati ai centri di uccisione per “ulteriori accertamenti” per poi essere ugualmente freddati. Le uccisioni avvenivano 34 in “dipartimenti speciali” di istituti pediatrici i cui direttori erano noti per la loro fedeltà al regime. Ai genitori e ai famigliari veniva fatto credere che i bimbi sarebbero stati curati nel migliore dei modi, arrivando alla minaccia di revoca della patria potestà se i genitori si dimostravano irremovibili. Successivamente veniva comunicato ai genitori che il bambino era scomparso, in genere per polmonite, o appendicite o altre comuni malattie. Dipartimenti speciali vennero creati un po’ in ogni zona del Reich, per ridurre le spese del trasporto e insospettire meno i famigliari. Gli omicidi avvenivano in genere con la somministrazione di dosi sempre più massicce di un calmante, il “Luminal”, e i bambini passavano così dal sonno al coma ed infine alla morte. Ma ciò non avveniva sempre: i bambini che avevano sviluppato resistenza al calmante per precedenti somministrazioni, erano eliminati con dosi di morfina e scopolamina. Inoltre, nella Germania nazista i pazienti erano trattati al di sotto del loro stato di persone: era normale effettuare ripetutamente crudeltà come percosse, uso di legature e scariche elettriche per chi bagnava il letto. Il direttore dell’Istituto pediatrico di Elfing-Haar, Hermann Pfanmuller, raggiunse l’apice del sadismo facendo letteralmente morire di fame i “suoi pazienti”, risparmiando così i soldi delle medicine che non andavo sprecate per quelle “non vite”. Il direttore ridusse il cibo gradualmente per provocare la morte per fame ed inedia (forma più estrema di malnutrizione). Inoltre, alla crudeltà e al sadismo si aggiungeva anche la componente beffarda: i bambini venivano prelevati con autobus, con la promessa di una gita premio; ciò tranquillizzava i bambini e rendeva più facile il lavoro degli aguzzini. Si calcola che fino al 1945, anche se ufficialmente il progetto di eutanasia fu sospeso nel 1941, le uccisioni non finirono del tutto fino alla fine della guerra. In Germania, sono circa 5.000 le vittime dell’eutanasia infantile, uccise tra 1935 e il 1945. Nell’ottobre 1939, Hitler aveva dato l’autorizzazione al capo della sua Cancelleria, Philipp Bouhler, e al proprio medico di scorta, Karl Brandt, di iniziare l’“Azione T4” di eutanasia, che prese il nome dall’indirizzo berlinese dal quale veniva diretto e coordinato tutto il progetto, in estrema segretezza e con appositi organismi di copertura. Tale azione sanciva il passaggio del progetto dai bambini agli adulti. L’“eutanasia degli adulti”, come si è detto, doveva colpire persone con gravi disabilità fisiche e psichiche ritenute inguaribili e inabili al lavoro, che venivano trasferite per l’eliminazione in centri appositamente destinati all’“Azione T4”. Nel programma di eutanasia nazista furono messi a punto metodi e tecniche di uccisione e di eliminazione dei cadaveri, come le camere a gas con l’utilizzo di monossido di carbonio (voluto personalmente da Hitler perché reputato metodo “più umano”) e i forni crematori, successivamente ampiamente utilizzati nella “soluzione finale” nei campi di sterminio; e nei futuri campi di sterminio fu impiegata, con mansioni anche di 35 coordinamento e direzione, buona parte del personale appositamente istruito per l’attuazione del progetto “T4”. Pubbliche proteste, specialmente di ambienti della Chiese cristiane, portarono il 24 agosto 1941 alla sospensione, almeno formale, delle azioni di eutanasia. Si stima che fino al 1° settembre 1941 le vittime di tali azioni siano state tra le 70.000 e le 80.000. Tuttavia anche dopo l’agosto 1941 continuarono in modo decentralizzato le uccisioni nell’ambito del “trattamento speciale 14F13” attuato, fino a dicembre 1944, dalle SS insieme al personale del progetto “T4” contro deportati malati, anziani e inabili al lavoro dei campi di concentramento, e in primo luogo contro ebrei e zingari. Si pensa che le ulteriori vittime dell’eutanasia del programma 14F13 siano state tra le 15.000 e le 20.000. L’eutanasia era stata dunque il passo decisivo per una precisa pianificazione statale della soppressione di persone ritenute “indegne di vivere” e deve essere quindi considerata come la prima concreta realizzazione del più vasto atteggiamento eliminazionista dei nazionalsocialisti che culminò nella Shoah. Dopo nemmeno un anno dalla fine “ufficiale” del progetto “T4” si sarebbe passati alla soluzione finale della “questione degli ebrei”, che già a partire dal 1940 si era cominciato a deportare sistematicamente nei campi di concentramento (entrati in funzione sin dagli inizi del Terzo Reich in particolare per i nemici politici del regime) e si sarebbe arrivati quindi allo sterminio pianificato di ben sei milioni di ebrei e altri “soggetti pericolosi” per l’integrità della purezza della razza ariana. 36 Note: 1- Disciplina che si propone di favorire e sviluppare le qualità innate di una razza, giovandosi delle leggi dell’ereditarietà genetica. Il termine fu coniato nel 1883 da F. Galton. Sostenuta da correnti di ispirazione darwinista, l’eugenetica si diffuse inizialmente nei paesi anglosassoni e successivamente nella Germania nazista, trasformandosi nella prima metà del XX sec. in un movimento politico-sociale volto a promuovere la riproduzione dei soggetti socialmente desiderabili (eugenetica positiva) e a prevenire la nascita di soggetti indesiderabili (eugenetica negativa) per mezzo di infanticidio e aborto. 2- I medici condotti avevano l’obbligo di riferire alle autorità i nomi di coloro che soffrivano delle patologie menzionate tradendo così il segreto professionale. 3- J. Schottky, Unfruchtbarmachung und Rassenpflege, in “Odal”, IV, 1935/36, pp. 671-678. 4- Adolf Hitler fu al potere in Germania per soli dodici anni, dal 1933 al 1945, ma la portata delle sue azioni fu tale da segnare in maniera sconvolgente la storia mondiale. Aveva lo scopo di costruire un regno millenario avente il suo centro nella Germania e fondato sul dominio della razza eletta, gli ariani. Hitler, che considerava gli ebrei come una razza nemica da cancellare e le 'razze inferiori' come popolazioni da sottomettere, perseguì i propri scopi con la massima determinazione fino alla totale disfatta dei suoi piani. 5- “Partito tedesco dei lavoratori” fondato da A. Dexler nel quale Hitler entrò nel 1919. Tale partito venne poi trasformato nel “Partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori” (NSDAP) e nel luglio 1921 Hitler ne divenne il capo. 37 BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA Capitolo 1. Lo sviluppo della Selezione Naturale H. Curtis, N.S. Barnes, Invito alla biologia, Firenze, Zanichelli, 2006 D. Sadava, H.C. Heller, G.H. Orians, W.K. Purves, D.M. Hillis, Biologia A+B+C, la scienza della vita, Bologna, Zanichelli, 2010 Capitolo 2. Beagle voyage HMS Beagle Voyage in http://www.aboutdarwin.com/voyage/voyage09.html Capitolo 3. Verga e il Darwinismo sociale B. Panebianco, M. Gineprini, S. Seminara, LetterAutori, Bologna, Zanichelli, 2011 G. Baldi, S. Giusso, M. Razetti, G. Zaccaria, la letteratura, Torino, Paravia, 2007 P. Di Stefano, Darwinismo sociale, in “Corriere della Sera”, 04 Settembre 2006 Capitolo 4. L’eugenetica nazista e la superiorità della razza ariana D’Onofrio, Razza, sangue e suolo, Università degli Studi di Napoli Federico II ClioPress Dipartimento di Discipline Storiche “E. Lepore” 38