Foglio per l’animatore/ parabola del Accoglienza 20.30 Preghiera Breve introduzione della serata Fase proiettiva servo spietato “stasera parleremo del perdono, esperienza che non è sempre facile; prima di leggere il testo della parabola proviamo a condividere che cosa pensiamo del perdonare” 20.40 Si invitano i presenti a riflettere da soli su una o Ognuno risponde da solo, magari più di queste domande: appuntando qualcosa sul foglio cosa vuol dire perdonare per me? Perché mi riesce difficile perdonare? Sono stato ancora perdonato da qualcuno? Perché dovremmo perdonare? 20.50 Si condivide nel gruppo più ampio del centro Ognuno condivide quello che crede; d’ascolto quello che si ritiene importante l’animatore invita, poi, ad intervenire con domande e lui stesso problematizza quanto è emerso (cfr. testo a lato) Fase di approfondimento Prima della lettura, richiamare brevemente il contesto della parabola: il discorso ecclesiale e la domanda di Pietro sui limiti del perdono (cfr. commento) Lasciare un po’ di tempo e provare a ricostruire insieme il testo, cioè a riraccontarlo cercando di ricordare più particolari possibili Evidenziare la struttura del testo; consentire ai presenti di intervenire con le loro osservazioni sul testo, sui particolari che ritengono più rilevanti o che li hanno colpiti Lettura individuale del commento 21.10 Lettura della parabola Fase di riappropriazione 21.30 A partire da una delle frasi riportate sul foglietto condividere fatti in cui si è sperimentato il valore rigenerante del perdono (ricevuto o dato) Ogni partecipante è invitato a chiedersi “perché dovrei essere perdonato” o se ha qualcosa di cui essere perdonato. 21.50 Preghiera Si può invitare, prima di recitare il Padre Nostro, ad un attimo di silenzio per riportare alla memoria una situazione in cui facciamo fatica a perdonare Diffidate delle imitazioni! L’oblio. Si può definire con il detto: «Ti perdono perché non ricordo». Non avviene nessun confronto con la verità oggettiva, non c’è alcuna denuncia del male. Può essere un fatto puramente psichico al di là e al di fuori di ogni scelta della persona e di un suo interno mutamento. È sotto la sovranità del tempo (si dice che lenisce le ferite) più che sotto quella della libertà e della coscienza. Insensibilità, rassegnata sottomissione. Si perdona perché non si «sente» il male. In continuità si subisce, quasi per una forma di masochismo. Si «perdona» perché non si è capaci né di comprendere l’accaduto né di reagire. Il perdono è lucidità, intelligenza, fantasia. Chi lo pratica scopre però un’alternativa migliore, più intelligente, più efficace rispetto alla ritorsione. «Il politicamente corretto». Il ragionamento è questo: «Ti conviene offrire il perdono visto che anche tu hai delle colpe». Questo ha portato, a livello sociale, alla rimozione di errori. Le ferite non sono state curate. Si nega la verità in funzione di una strategia e alleanza. È un atteggiamento in cui la grazia è radicalmente sostituita dalla convenienza. La colpa è reciprocamente occultata. Non esiste pentimento, mutamento, evoluzione. La mitezza, la mansuetudine. Possono essere atteggiamenti individuali oppure dati culturali o indotti da una religione (in particolare Induismo e Buddismo). Facilitano sicuramente i rapporti. Fanno sentire meno le ferite, le lacerazioni. Forniscono un quadro più oggettivo e razionale. Restano però dentro la logica del «tanto quanto». Il ragionamento è questo: che cosa puoi realisticamente chiedere agli uomini? Tu stesso hai bisogno di questa comprensione. Il condono. È un intervento del legislatore. Lascia intatta la colpa; non irroga la pena. Non avviene alcun processo di mutazione interiore in chi ha commesso il reato. Si insinua anzi il sospetto che si possono violare le leggi perché, comunque, si procederà ad una cancellazione. In questo senso facilita, nel futuro, il perpetuarsi di un malcostume. È un atto giuridico che «copre» il male senza mai cercare né le cause né le terapie. Il ricorso alla giustizia. Essa, nella nostra cultura occidentale, è gestita non dall’individuo, ma dalla società. Essa si occupa del fatto oggettivo. Interviene dopo. Non elimina le cause del male. Non muta la persona del colpevole. Applica la legge: quella è la sua misura. Tende a ristabilire i diritti violati. Resta quindi dentro la logica del «tanto quanto». È già un passo importante, decisivo rispetto alla vendetta. La vendetta. È tutta centrata sul passato. Non concede nulla all’interlocutore. Avvia anzi una logica di «sovrabbondanza» diametralmente opposta a quella del perdono. Perpetua ed alimenta la catena delle ritorsioni, odi, rappresaglie. Giunge praticamente a «congelare» l’immagine dell’altro. Le impedisce di evolvere, di maturare. L’altro viene visto come «avversario» e «concorrente». Lo si identifica con l’errore che ha compiuto. Lo si inchioda al suo passato. “Evangelizzare”, n. 8 del 2003 Ezio Gazzotti