BREVE STORIA DELLA PSICOLOGIA RELAZIONALE La psicologia relazionale trae origine dalla cultura americana degli anni ’50, contraddistinta dallo sviluppo di nuovi ambiti conosciti quali l’antropologia e la sociologia, che ne favoriscono una visione più olistica alla comprensione dell’uomo. Con la psicologia relazionale si assiste ad uno spostamento dagli studi intrapsichici più prettamente di tipo psicoanalitico alla comprensione dei comportamenti interpersonali e ai contesti relazionali, in cui essi si rivelano. La struttura teorica che sosterrà questa nuova visione della realtà sarà la teoria dei sistemi fondata nel 1971 da Von Bertalanffy. L’approccio sistemico utilizza un approccio globale; osserva il mondo in funzione dell’interdipendenza e dell’interrelazione di tutti i fenomeni, il cui risultato, non è più la semplice somma di tutte le sue parti ma l’integrazione di queste, che ne formano un sistema. Ogni sistema avrà proprie caratteristiche e modalità. Nell’ambito della psicologia relazionale, il comportamento umano viene compreso alla luce dell’organizzazione e del funzionamento del sistema di relazioni in cui esso è inserito. L’individuo sintomatico diventa portavoce di un malessere familiare che nasce da un conflitto tra il mantenere una continuità familiare o apportarne un cambiamento, tra il mantenere legami di appartenenza o difendere i bisogni di individuazione dei singoli componenti della famiglia. Il contesto familiare quindi, diventa la cornice che delimita e dà significato a quanto avviene ai singoli appartenenti. Il sistema familiare forma la nostra esperienza e diventa luogo di apprendimento di comportamenti. Il modello sistemico, che fa da cornice teorica di riferimento al movimento familiare verrà coniugato, attorno agli anni 60, secondo due prospettive. Il gruppo di Palo Alto, Watslawick, Beavin, Jackson, Haley, Hoffmain e in Italia Selvini Palazzoli, vengono chiamati i “puristi dei sistemi”. Questi pionieri porranno attenzione soprattutto alle interazioni e alle comunicazioni osservabili nel momento presente, il qui ed ora, dei sistemi famigliari, considerati come unità sopraindividuali e caratterizzate da un loro equilibrio e da un proprio funzionamento. Uno dei più importanti concetti teorici espressi da questi autori fu la teoria del doppio legame, che analizza gli aspetti pragmatici della comunicazione, nei suoi aspetti verbali e non verbali. I limiti di questo movimento sistemico furono di aver trascurato la soggettività dell’individuo, con i suoi pensieri, emozioni, immaginazione ecc. e di essersi, loro studiosi, considerati come osservatori esterni e neutrali alla famiglia osservata. A questo gruppo di teorici relazionali si distinse quello composto da Boszormenyi-Nagy, Framo, Bowen, Stierlin, Cigoli, Ackerman, Whitaker, Minuchin, più vicini alla cultura psicoanalitica. Questi pionieri posero il loro interesse sugli aspetti soggettivi e storici della famiglia e studiarono l’individuo nei sui processi di crescita all’interno del contesto familiare. Il genogramma della famiglia costituirà la mappa trigenerazionale su cui fondare la diagnosi relazionale e impostare il percorso di cura. Questi autori daranno quindi enfasi alla relazione e non solo alla interazione, come fu per i puristi dei sistemi. La relazione rappresenta l’aspetto profondo dell’interazione, non sempre osservabile, che caratterizza l’individuo con la sua soggettività. Insieme alle famiglie verrà ricercato il valore relazionale dei sintomi del singolo individuo, la ricostruzione storica dei comportamenti, la riappropriazione del senso di responsabilità sia a livello generazione che individuale. Ogni famiglia verrà contestualizzata nella fase del proprio ciclo vitale. Il familiare sarà aiutato a ricucire antichi tagli emotivi o a differenziarsi in modo più autentico dalle proprie dipendenze trigenerazionali liberandosi da mandati e invischiamenti intergenerazionali, verranno esplorati i “miti” e i fantasmi familiari. L’osservatore non è più separato da ciò che osserva, ma co-costruisce insieme alla famiglia, il colloquio relazionale. Questi pionieri della terapia familiare enfatizzeranno quindi sia la soggettività del sistema familiare che dell’osservatore, che entrerà a far parte della realtà osservata con tutta la sua personalità. Come afferma un terapeuta famigliare contemporaneo M. Andolfi, allo psicologo sarà richiesto di avere una struttura mentale e una visione del mondo che permetta di stabilire nessi relazionali tra gli eventi e di ricercare la complessità della realtà attraverso continui confronti tra l’esperienza propria e quella degli altri. In quest’ottica lo psicologo relazionale può decidere di operare anche soltanto con il singolo individuo, e ciò non gli impedirà di cogliere i processi di crescita di una persona all’interno dei suoi contesti relazionali.