Tentativo di risposta a una stimolante domanda di Niles Eldredge Niles Eldredge ha formulato una domanda stimolante nel libro Le trame dell’evoluzione 1 : « Mi chiedo perché, nonostante i limpidi successi di Hutton, la geologia sia stata in ritardo di cento anni rispetto alla biologia nello sviluppo di una teoria evolutiva coerente della Terra. » (p. 8) E ancora (p. 58): « Perché un intero secolo separa lo sviluppo e l’ammissione di una teoria dinamica della storia della Terra da un lato e della vita dall’altro ?» E poco sotto: « Eppure abbiamo avuto una teoria coerente dell’evoluzione biologica ben un secolo prima di avere un’analoga teoria dinamica della Terra. (Quantomeno una teoria che ha aggregato tutti gli elementi disparati e la maggior parte de gli enigmi inspiegati che i geologi stavano dissotterrando a partire dal tardo diciottesimo secolo.) Perché ? Come è potuto accedere?» Eldredge si riferisce, evidentemente, da un lato alla teoria di Darwin (1859) e, d’altro lato, a quella della tettonica delle placche, suggerita da Wegener a partire dal 1912 con la deriva dei continenti, ma accettata soltanto nel 1960 con i lavori di H. Hess. Non ci interessa qui la complessa risposta di Eldredge, che vede nella “non plausibilità delle nozioni di Wegener” la lunga gestazione della sua teoria. In sostanza mancò a Wegener, che attribuiva alla forza delle maree e a quella centrifuga le cause della migrazione dei continenti, l’individuazione di forze plausibili. La teoria della tettonica delle placche considera la convezione alla superficie del mantello come elemento essenziale: la generazione di nuova crosta nelle dorsali medio-oceaniche produce la separazione delle placche che trascinano i continenti. Accostiamo la domanda di Eldredge a quanto ha scritto F.H. Rhodes 2 a proposito del Saggio letto da Darwin alla Geological Society nel 1838, sulla connessione tra vulcanesimo, orogenesi e sollevamento dei continenti 3 : Rhodes definisce lo schema teorico della tettonica del globo tracciata da Darwin in quel testo come “an almost prophetic statement of the mechanism that was to be descovered well over a century later”. Che Rhodes alluda al meccanismo della tettonica delle placche risulta chiaro anche da quest’altra frase: “We now know that his intuition was correct: these major features of the earth are all related to one glorious but simple process of plate subduction”. Può essere quindi interessante esaminare se Darwin si sia avvicinato alla intuizione precoce di una tale “teoria evolutiva coerente” e perché abbia invece sostanzialmente fallito. E’ indubbio che Darwin abbia mancato il bersaglio, nonostante abbia raccolto e sistemato scientificamente, secondo Rhodes, diverse osservazioni compatibili con quella teoria: perché ? Quale strumento scientifico o schema concettuale gli è mancato ? Vediamo in sintesi quelle parti della sua geologia che avrebbero potuto indurlo (e secondo Rhodes lo hanno indotto) a riflessioni compatibili con la tettonica delle placche. 1 PORZIONI DELLA SUPERFICIE DEL GLOBO GALLEGGIANO SU ROCCIA FLUIDA . Nel Saggio intitolato “On the Connection of certain Volcanic Phenomena in South America; and on the Formation of Mountain Chains and Volcanos, as the Effect of the same Power by which Continents are elevated”, cui si riferisce Rhodes, che Darwin presentò alla Geological Society il 7 marzo 1838 (pubblicato nel 1849), egli configura una frammentazione della crosta terrestre e un suo sollevamento per blocchi per l’azione di forze che spingono verso l’alto la roccia fluida sottostante. Le Ande sarebbero il risultato di questa spinta laddove agisce su blocchi con vincoli laterali (teoria derivata da Hopkins, vedi oltre). Quando trovano sfogo nelle fessure della crosta queste spinte danno luogo alle fuoriuscite di lave vulcaniche. In generale esiste: • one motive power, which, causing the elevation of the continent, has produced, as secondary effects, mountain-chains and volcanos. E ancora : • • when we think of the increasing temperature of the strata, as we penetrate downwards in all parts of the world, and of the certainty that every portion of the surface rests on rocks which have once been liquefied; when we reflect how many and wide areas in all parts of the world are certainly known, some to have been rising and others sinking during the recent æra, even to the present day, and do not forget the intimate connexion which has been shown to exist between these movements and the propulsion of liquefied rock to the surface in the volcano ; -we are urged to include the entire globe in the foregoing hypothesis. Infine: • the configuration of the fluid surface of the earth's nucleus is subject to some change,- its cause completely unknown, - its action slow, intermittent, but irresistible. Dunque la superficie del nucleo, per quella parte che oggi noi chiamiamo mantello, è sede di una dinamica di cui non conosciamo la causa, i cui effetti visibili sono il sollevamento di grandi parti della crosta (portion of the surface), zolle che vi galleggiano sopra, e i cui effetti “complementari” (secondary) sono il vulcanesimo e i terremoti. Nelle ultime righe Darwin prende in considerazione alcune teorie esplicative dei fenomeni in argomento, ma le respinge: The secular shrinking of the earth's crust has been considered by many geologists a sufficient cause to account for the primary motive power of these subterranean disturbances ; but how it can explain the slow elevation, not only of linear spaces, but of great continents, I cannot understand. With the same view, some highly important speculations have recently been advanced, - such as changes of pressure on the internal fluid mass, from the deposition of fresh sedimentary beds, and even the attraction of the planetary bodies on a sphere not solid throughout ; but we can see that there must be many agents, modifying all such primary powers. E’ necessario osservare che il suo rifiuto della teoria del raffreddamento della crosta ha comportato la negligenza di forze i cui vettori (orizzontali) avrebbero potuto avvicinarlo a proficue intuizioni. LE ISOLE FALKLAND: INTUIZIONI CORRETTE MA SENZA CONSEGUENZE TEORICHE. Darwin fece due soste alle Isole Falkland: nel 1833 dal 1 al 16 marzo e nel 1834 dal 10 marzo al 7 aprile: in totale 45 giorni. Il clima sfavorevole e la diffusa copertura vegetale impedirono a Darwin di “fare geologia” come d’abitudine: il rilevamento fu limitato alla parte NE de lla sola isola orientale. Molto più copiose (e interessanti) sono le osservazioni di carattere zoologico 4. Quel poco che vide gli permise tuttavia di scrivere un Saggio per la Geological Society intitolato « On the 2 Geology of the Falkland Islands », che legge il 25 marzo 1846. Un breve capitolo sull’argomento è anche in Geological Observations on South America. Le Falkland sono un piccolo frammento della crosta terrestre trasportato lungo un viaggio che lo ha deformato, torto e trascinato mentre l’Oceano Atlantico si andava aprendo. E’ un passato africano, con una rotazione per cui il nord è diventato il sud, e una migrazione geologica verso il Nuovo Mondo. Infatti quelle isole, inizialmente parte del Gondwana, e quindi a contatto con la costa occidentale dell’Africa, sono poi migrate, ruotando di 180°, ponendosi infine accanto alla costa orientale dell’America meridionale. Quando i ghiacciai si estesero attraverso il Gondwana, dei massi mescolati con fango sabbioso furono trasportati dal ghiaccio e depositati lontano dalla loro origine. Il risultato è una singolare roccia chiamata tillite con matrice nerastra fine includente un assortimento variato di ciottoli e blocchi. Nella costa nord delle Falkland occidentali si trovano inclusi blocchi di granito e altre rocce che non sono originali delle Falkland. A riprova della primitiva continuità geografica, delle tilliti identiche sono diffuse nel Sud Africa. Darwin non conosce la geologia del Sud Africa come quella del Sud America (e della Patagonia in particolare): vi ha fatto solo un soggiorno incomparabilmente più breve, sulla via del ritorno (giugno 1936), e ne scrive, nel 1844, in un paragrafo di poco più di due pagine in Volcanic Islands 5. Vi nota una interessante forma di graduale transizione metamorfica dal granito quarzifero all’argilloscisto sovrastante: una transizione che avrebbe potuto ricordargli una situazione analoga riscontrata sulle Falkland. E’ invece quando tratta della Patagonia che si ricorda delle Falkland, e nel 1846 scrive (in Geological Observations on South America, pp. 24-25): The pebbles and fragments near the Strait of Magellan nearly all belong to rocks known to occur in Fuegia. I was therefore much surprised in dredging south of the Strait to find, in lat. 54° 10' south, many pebbles of the gallstone-yellow siliceous porphyry; I procured others from a great depth off Staten Island, and others were brought me from the western extremity of the Falkland Islands (footnote1). The distribution of the pebbles of this peculiar porphyry, which I venture to affirm is not found in situ either in Fuegia, the Falkland Islands, or on the coast of Patagonia, is very remarkable, for they are found over a space of 840 miles in a north and south line, and at the Falklands, 300 miles eastward of the coast of Patagonia. Their occurrence in Fuegia and the Falklands may, however, perhaps be due to the same ice-agency by which the boulders have been there transported. Footnote 1. At my request, Mr. Kent collected for me a bag of pebbles from the beach of White Rock harbour, in the northern part of the sound, between the two Falkland Islands. Out of these well-rounded pebbles, varying in size from a walnut to a hen's egg, with some larger, thirty-eight evidently belonged to the rocks of these islands; twenty-six were similar to the pebbles of porphyry found on the Patagonian plains, which rocks do not exist in situ in the Falklands; one pebble belonged to the peculiar yellow siliceous porphyry; thirty were of doubtful origin. E in una nota alla p. 26 aggiunge: I may mention, that at the distance of 150 miles from the Patagonian shore I carefully examined the minute rounded particles in the sand, and found them to be fusible like the porphyries of the great shingle bed. I could even distinguish particles of the gallstone-yellow porphyry. It was interesting to notice how gradually the particles of white quartz increased, as we approached the Falkland Islands, which are thus constituted. In sostanza Darwin correttamente riconosce come alloctoni i blocchi di porfidi sparsi sulle Falkland ma li associa a quelli della Patagonia, individuandone l’origine nelle Ande, e correttamente , anche se dubbiosamente (may, however, perhaps ) ne attribuisce il trasporto a una comune azione dei ghiacciai australi: è probabile che una conoscenza della geologia dell’Africa meridionale diffusa e 3 profonda come quella della Patagonia lo avrebbe indotto ad altre connessioni. Riconosce la tillite, quasi certamente sa che è roccia tipica delle calotte glaciali (Lyell lo sapeva): non avrebbe quindi dovuto essere lontano dal supporre la presenza di un continente unico, ricoperto da ghiacci, (il nostro Gondwana) che unisca America meridionale e Falkland. E invece manca la formulazione completa di una originaria contiguità geografica; tuttavia, nella nota qui sopra, c’è l’accenno, lasciato infecondo, di un graduale aumento della componente quarzosa nella sabbia avvicinandosi alle Falkland, rendendo plausibile l’ipotesi di una struttura geologica unica soggetta a variazioni laterali. Abbiamo visto che l’ipotesi di una originaria connessione con la Patagonia non sarebbe stata corretta, alla luce della moderna teoria della migrazione delle piattaforme continentali, ma comunque una tale connessione avrebbe significato l’assunzione di un meccanismo di traslazioni orizzontali all’interno di uno schema che invece ammetteva soltanto movimenti verticali. NATURA BASALTICA DELLE ISOLE OCEANICHE E DEI FONDALI . Nel Sedgwick Museum di Cambridge sono confluiti quasi tutti i campioni di rocce inviati in patria da Darwin durante il viaggio. Accanto a un campione di roccia basaltica, l’etichetta spiega: Continental and Ocean Crust Darwin noted that all the islands in the deep oceans were essentially basaltic, except St. Paul Rocks in the Central Atlantic and the Seychelles in the Indian Ocean. If more heed had been taken if this, then a lot of time in the development of ideas on continental drift could have been saved. Modern plate tectonics theory holds that the floor of the deep oceans is basalt generated at spreading centres. St. Paul and the Seychelles are fragment of continent stranded during seafloor spreading. In effetti, in Volcanic Islands, per esempio, Darwin scrive (Cap. VI, pp. 99-100): The composition of the numerous islands scattered through the great oceans being with such rare exceptions volcanic, is evidently an extension of that law, and the effect of those same causes, whether chemical or mechanical, from which it results, that a vast majority of the volcanoes now in action stand either as islands in the sea, or near its shores. This fact of the ocean-islands being so generally volcanic, is, also, interesting in relation to the nature of the mountain-chains on our continents, which are comparatively seldom volcanic; and yet we are led to suppose, that where our continents now stand, an ocean once extended. Do volcanic eruptions, we may ask, reach the surface more readily through fissure, formed during the first stages of the conversion of the bed of the ocean into a tract of land? La quantità di osservazioni – in questo passaggio e in altri nel testo citato – compatibili con le moderne teorie geodinamiche è notevole: sono contemplate la formazione delle dorsali medio-oceaniche per fuoriuscita del magma basaltico del mantello, la formazione di archi insulari sopra le zone di subduzione, continenti laddove un tempo erano oceani: sono lembi sparsi di una visione del globo cui è mancata la maturazione e la sistemazione in una teoria “dinamica coerente”, come intesa da Eldredge. ISOLE VULCANICHE NELL’O CEANO INDIANO SOGGETTE A MOVIMENTI OPPOSTI Nel libro Volcanic Islands, un paragrafo del capitolo VI è dedicato alla distribuzione delle isole vulcaniche negli oceani, e da esso è tratta la citazione di cui sopra. Ma è nel Capitolo VI di Structure and distribution of Coral Reefs e nell’Appendice I (la descrizione dettagliata della carta del globo allegata al testo, usando vari colori per distinguere le tipologie di isole) che si possono individuare elementi di intuizioni interessanti. Blu scuro, azzurro, rosso e vermiglio, 4 corrispondono rispettivamente a: isole-lagune o atolli (lagoon-islands or atolls), a banchi o barriere o cinture di banchi (barrier or encircling reefs), banchi o scogliere frangenti o banchi o scogliere di litorale (fringing or shore reefs) e infine a vulcani attivi attualmente o in tempi storici. Le prime due tipologie corrispondono a isole prodotte da un movimento di subsidenza della fondazione, mentre la terza categoria è il prodotto di un movimento di sollevamento del fondale. A pagina 120 Darwin scrive: The eastern and western boundaries of our map are continents, and they are rising areas: the central spaces of the great Indian and Pacific Oceans, are mostly subsiding; between them, north of Australia, lies the most broken land on the globe, and there the rising parts are surrounded and penetrated by areas of subsidence, so that the prevailing movements now in progress, seem to accord with the actual states of surface of the great divisions of the world. E poco sotto: From the comparative observations made in these latter pages, we may finally conclude, that the subterranean changes which have caused some large areas to rise, and others to subside, have acted in a very similar manner. L’individuazione della zona centrale del Pacifico come una delle aree più fratturate del pianeta (the most broken land on the globe), il riconoscimento di porzioni della crosta in fase di sollevamento che sono circondate e compenetrate (penetrated) da porzioni in fase di subsidenza, il ricorso a un meccanismo che produce con azioni analoghe (a very similar manner ) aree di subsidenza ed altre di sollevamento, sono sprazzi di una visione della terra che non trova (e non può trovare, come vedremo) una sistemazione teorica che faccia riferimento a una tettonica con forze a vettori orizzontali, come è quella di Wegener - Hess. E’ opportuno, a questo punto, chiedersi perché le prove addotte da Wegener (all’incirca nel 1910) a sostegno della sua teoria della deriva dei continenti, essenzialmente: • Evidenze nelle forme geografiche dei continenti • Forme di vita simili, passate e attuali, distribuite su aree geograficamente distinte; • Smentita della soluzione dei ponti tra continenti, asserendo che questi sono più leggeri del substrato e quindi non possono sprofondare = principio della isostasia; • Depositi glaciali del Permo-Carbonifero distribuiti in Sud Africa, Argentina, Brasile meridionale, India, Australia orientale, centrale e occidentale; • Formazione delle catene montuose che si situano ai margini delle piattaforme continentali che collidono; perché, ripeto, quelle prove di indiscutibile evidenza, non furono ritenute sufficienti, pur costituendo la risposta a diversi problemi pratici, e perché le sue idee hanno dovuto aspettare altri 50 anni prima di essere riconosciute, grazie al contributo sistematico di Hess. La risposta è: perché Wegener non propose un meccanismo sufficientemente forte per giustificare uno spostamento orizzontale dei continenti. Henry Frankel 6 scrive: Wegener's theory was the first detailed specific theory of continental drift - the first of several drift theories to have as a guiding assumption the postulation of large-scale (horizontal) displacement of continents relative to each other. When he proposed his theory all other important global theories in the earth sciences shared the guiding assumption that major changes in the earth's surface were caused vertical movements and the continents do not undergo major shifts in the latitude or longitude during their lifetimes. These fixist theories differed in many ways. For example, some fixists believed the former continents and landbridges had sunk into the ocean floor (landbridgers) while others believed in the permanency of continents and oceans 5 (permanentists), but they shared in common the rejection of major longitudinal or latitudinal changes of particular continental masses. Soon after Wegener's theory was proposed, it attracted some interest; however, within a few years it was severely attacked. The most important objection, or set of objections, raised by the fixists against the theory was what became known as the 'mechanism' objection. It amounted to the following: The forces postulated by Wegener to drive the continents through the sea floor are many times too weak. Moreover, there simply were no known forces of sufficient strength to cause such lengthy migrations of the continents. Solo l’esplorazione dei fondali oceanici e gli studi di paleomagnetismo apportarono elementi sufficientemente forti per accreditare la teoria di Wegener, e bisognerà attendere gli anni 1950 – 1960. Si riconoscerà allora: • L’esistenza di dorsali oceaniche, caratterizzate da una vallata centrale, (sismicità superficiale, scarsezza di sedimenti, una forte anomalia magnetica positiva, alta emissione termica) e costituite da segmenti separati tra loro da zone di frattura; • La giovane età dei sedimenti dei fondali, e la loro potenza minore di quanto avrebbe dovuto essere se i fondali fossero stati antichi; • L’ubicazione delle fosse oceaniche al bordo dei bacini, caratterizzate da sismicità profonda, anomalie magnetiche negative, bassa emissione termica. Queste scoperte portarono alla formulazione della teoria di H. Hess (e altri) che, postulando la cosiddetta “sea-floor spreading”, introducono un meccanismo di formazione di nuovo fondale lungo le dorsali da parte di nuovo materiale spinto verso l’alto dal mantello ad opera di correnti di convezione. Queste correnti, scorrendo nella parte superiore del mantello, al di sotto della litosfera costituiscono una forza di trascinamento a vettore orizzontale. E’ infine comparsa (1960) la causa che spiega il movimento relativo longitudinale e latitudinale dei continenti. Eppure, si direbbe che Darwin c’era andato veramente vicino, quando scriveva nei Notebooks (probabilmente nel luglio del 1836): As in Ocean & Air; there are [ likewise ] differences of temperature [ at equal distances from centre of rotation ] & a < circulation owing > rotation in fluid matter of globe. must there not be a circulation [ however slow & weak. ]; [ (cause of not accumulation of Coral limestone in intertropical) ] hence varieties of substances ejected from same point. & changes. [ ( changes in variation ? ) ] as in Cordillera. From poles to Equator current downwards & to West. – From Equator to poles. nearer the surface & to the Eastward. –If matter proceeds from great depth from axis to surface must gain a Westerly current: - If great changes of climate have happened. hurricane in bowels of earth cause: - does not explain cleavage lines./ possibly general symmetry of world.- 7 . Curiosamente, questo passo non è mai stato chiosato dalla pur attenta e competente curatrice dei Notebooks, la già citata storica della scienza e specialista della geologia di Darwin, Sandra Herbert. Se supponiamo che alla fine del primo periodo si debba introdurre un punto interrogativo, un tentativo di traduzione, cassando e inserendo le parole già cancellate e inserite da Darwin, potrebbe essere il seguente: Come nell’Oceano e nell’atmosfera; analogamente vi sono differenze di temperatura a uguali distanze dal centro di rotazione e una rotazione nel materiale fluido del globo. N on deve esserci (analogamente) una circolazione per quanto lenta e debole, (causa del mancato accumulo di calcare corallino nell’intertropico) da cui la varietà di sostanze effuse dallo stesso punto? E cambiamenti , ( cambiamenti nella variazione ?) come nella Cordigliera?. 6 Dai poli all’equatore correnti verso il basso e verso Ovest. – Dall’equatore ai poli. più vicino alla superficie e verso Est. – Se il materiale viene da grandi profondità dall’asse verso la superficie deve raggiungere una corrente occidentale . Se si sono verificati grandi mutamenti del clima, un uragano nelle viscere della terra causa: - non spiega le linee di clivaggio, forse una simmetria generale del mondo. Pur con tutte le incertezze dovute alla notazione frammentaria e alla punteggiatura di difficile interpretazione, si possono evincere nuclei di alcune idee in nuce: • • • Ipotesi di una circolazione del materiale fluido del mantello, secondo un meccanismo termico analogo a quello dell’aria e dell’acqua degli oceani; La diversa varietà del materiale effuso in uno stesso punto (vulcano) può essere spiegata con il fatto che la circolazione del materiale fluido del mantello propone successivamente rocce diverse allo stesso sbocco; Le forze sviluppate dalla circolazione del materiale fluido del mantello non possono spiegare la direzione delle linee di clivaggio, ma forse un simmetria generale del globo. Oggi sappiamo che la circolazione “vicino alla superficie” procede verso Est, come supposto da Darwin. L’affermazione che le forze sviluppate da queste correnti non spiegano “le linee di clivaggio ma forse una simmetria generale del mondo”, si può attribuire al fatto che la direzione delle linee di clivaggio rilevate da Darwin, e su cui egli si è ampiamente dilungato 8, non corrisponde in generale alla configurazione della circolazione ipotizzata. Ma è più probabile che, per Darwin, le linee di clivaggio riflettessero gli sforzi tettonici agenti zone certamente ampie, ma non tanto ampie da poter essere considerate significative della “simmetria generale del globo”. I MARGINI ATTIVI DEI CONTINENTI Propongo ora una riflessione su quest’altro passaggio dei Notebooks, di poco posteriore a quello citato sopra: Shores of Pacifick, as compared to whole E. America < East > Africa. Australia. profoundly deep: a great fault or rather many faults. Nel corso del Viaggio Darwin ha effettuato personalmente o ha assiduamente assistito alle operazioni di scandaglio delle coste ai margini delle terre emerse alle quali il brigantino si accostava. Per le coste del Pacifico redige questa nota di carattere generale, frutto di una visone globale del continente sudamericano, e pone a causa del fenomeno osservato la presenza di un sistema di faglie: non una profonda fossa (geosinclinale), forse più congeniale alla geologia dell’epoca (per esempio a quella di Dana). Se avesse associato a questa fatturazione della crosta l’intensa attività vulcanica riscontrata sulle coste, Darwin avrebbe individuato un “margine attivo”, elemento complementare alla tettonica delle placche. Si veda la nota (*) apposta da Darwin in calce al suo appunto riportato qui sotto. UN’ALTRA VISIONE DELLA TETTONICA DEL GLOBO Si legga ora questa lunga citazione da “Reflection on reading my Geological notes” 9, a proposito della formazione geologica del Sud America: Looking this whole part of Eastern side of S America. we must considers [sic] it as one grand formation.- In the Northern parts it seems to repose on the Crystalline rocks, some of which in their lines of cleavages & elevation. & mineralogical nature are allied to the Transition formations of Falkland Isld. & Tierra del Fuego.- ... But with this exception the hiatus (as compared to Europe) between the Crystalline & Tertiary beds: ...is very remarkable 10.-We shall presently ...run over the proofs of repeated elevations: May we conjecture that these ...began with greater(*) stri des, that the rocks from seas too deep for life ...were rapidly elevated & that immediately when within a proper depth. life commenced. 7 ...The elevations rapidly continued; land was produced. on which great quadrupeds lived: the former inhabitants of the sea perished. ...the present ones appeared.- ... The study of this Geology is very instructive from the consideration of the greatness in extent. & perfect horizontally, <of the> & number of the Elevations: We have nothing here like anticlinal tilting on each side the strata into highly inclined position: it [ is ] rather a swelling of the Globe, on the largest & most regular manner. It becomes a problem. how much the Andes owes its height. to Volcanic matter pouring out? .-how much to horizontal strata tilted up.? how much to these horizontal elevations of the surface of continents? (*) Perhaps the first opening of the N & S. crack in the crust of the globe. Forming the Cordilleras. Il primo periodo richiama la già citata graduale transizione metamorfica dal granito quarzifero all’argilloscisto sovrastante. Nel secondo periodo, Darwin prende atto di una enorme lacuna stratigrafica per ipotizzare un’emersione del primitivo bacino di sedimentazione. Il terzo e quarto periodo smentiscono qualunque visione gradualista dei movimenti (greater strides, elevations rapidly continued), e assume rapidi sollevamenti di un’intera parte del continente. Nel quarto periodo compare un sostantivo fondamentale: swelling significa gonfiare, tumefare, espandere: Darwin rifiuta la visione di una struttura generale del tipo “a falde” (We have nothing here like anticlinal tilting on each side the strata into highly inclined position) e formula l’ipotesi che i movimenti verticali del suolo siano dovuti a un’espansione del globo, a una tumefazione che spinge verso l’alto, in modo regolare (most regular manner) la crosta continentale. E’ una visione che conferma la sua tettonica a vettori verticali, e per la prima volta ne individua la causa in una espansione del globo. Ma qui gli si presenta l’evidenza di una incompatibilità (It becomes a problem) tra la suggestiva visione delle Ande, con gli strati sollevati e piegati fino a diventare quasi verticali, e i ripetuti movimenti di sollevamento e sprofondamento che il ritrovamento di tronchi di dicotiledoni silicizzati alla quota di 7.000 piedi sulle pendici della catena dell’Uspallata gli impone di mettere in conto. Il commento alla nota (*) che Darwin ha posto in calce al suo appunto si collega alla nota sopra riportata a proposito della maggiore profondità delle coste orientali del Pacifico, cioè alla repentina immersione del fondale lungo le coste occidentali del Sudamerica. Lasciamo per un momento Darwin con le sue perplessità a proposito delle Ande e torniamo alla domanda di Eldredge, e in particolare al fatto che, con quella formulazione, egli dimostra chiaramente di considerare la teoria della deriva dei continenti e della tettonica delle placche come “una teoria evolutiva coerente della Terra”. Ma la letteratura specialistica (gli studi, le esperienze e i convegni scientifici che l’alimentano) ci propone sempre più insistentemente un’altra visione della dinamica del globo 11, mentre individua con precisione crescente le incongruenze della teoria della tettonica delle placche. Essenzialmente, si obietta a questa teoria che essa pretende di spiegare la formazione di orogeni completamente diversi: le Alpi e gli Appennini con un basamento di falde (nappes), e le Ande con un enorme nucleo di granito sottostante. Essa conterrebbe anche dei paradossi geotettonici, ipotizzando impossibili rotazioni di zolle intorno a dei vertici in cui convergono tre placche, dei 8 paradossi paleontologici ecc. Si tratta di serie difficoltà insite nella teoria della tettonica delle placche, cui una scuola di pensiero sempre più documentata, che sviluppa un’idea non certo nuova di un globo in espansione, offre soluzioni suggestive e plausibili. Ovviamente non è qui il luogo per discettare pro o contro le due scuole, ma di tornare al nostro Darwin e alle sue perplessità sulla geologia delle Ande. Ricordiamo che queste sono essenzialmente costituite (nella zona ristretta visitata da Darwin, ma anche per lunghi tratti nord e a sud) da due catene di montagne sub-parallele, disposte grosso modo N. – S., separate da un vasto altipiano. Si confrontino le due rappresentazioni schematiche del meccanismo di formazione delle Ande: quello cui fa riferimento Darwin (sopra, preso in prestito da Hopkins) e quello che ne sintetizza la visione secondo la teoria della terra in espansione. E’ evidente la similitudine del meccanismo: scomposizione della crosta in blocchi, azione di spinta verticale dal basso verso l’alto, espansione laterale che Darwin non rappresenta ma evoca nel testo del citato Saggio del 1838. CONCLUSIONI Abbiamo accennato al fatto che un’altra scuola di pensiero propone da qualche decennio, con sempre maggiore giustificata convinzione, una “teoria” che inficia il meccanismo della plate tectonics, e spiega le strutture generali della terra come effetto di una espansione del globo per aumento del suo volume (teoria della expanding earth ). In essa, le forze agenti sono ridiventate prevalentemente verticali. Con questa visione della dinamica del globo (che lasciamo ad altri la responsabilità se definire “coerente” nel senso di Eldredge) tutta la geologia di Darwin diventerebbe forse suggestivamente moderna. Ad essa, forse Rhodes avrebbe dovuto riferirsi con maggiore ragione. Nel volume citato alla nota 11, C. Strutinski e R. Stan scrivono (p. 264): The expansion hypothesis is fundamentally a fixist hypothesis, assuming that the lithosphere is welded to its underlying mantle. Sappiamo quanto Darwin tenesse all’idea di una sostanziale fissità dei continenti, tanto da insistere con Lyell (nel 1856) che « the skeletons, at least, of our continents are ancient », e rimproverarlo per aver permesso che certi suoi allievi (Forbes soprattutto) mandassero a spasso per il globo interi continenti. E in un’altra lettera: The fact which I pointed out many years ago, that all oceanic islands are volcanic (except St Paul's, and now that is viewed by some as the nucleus of an ancient volcano), seem to me a strong argument that no continent ever occupied the great oceans. Riassumendo, per Eldredge una teoria “coerente” dell’evoluzione fisica del globo (intende quella della tettonica delle placche, 1960) è arrivata con un secolo di ritardo rispetto a quella dell’evoluzione biologica (Darwin, 1859); per Rhodes nella geologia di Darwin vi sono numerosi elementi compatibili con quell’auspicata teoria “coerente”. Per entrambi, comunque, è mancato qualcosa, un salto concettuale fecondo. La risposta a Eldredge è che soltanto molto tempo dopo Darwin e un poco dopo Wegener si resero disponibili quelle tecniche investigative del globo che hanno consentito di individuare quelle forze plausibili per spiegare e giustificare una teoria “coerente” della dinamica della terra. A entrambi è mancato quel 9 meccanismo esplicativo e confortativo che invece Darwin individuò nella selezione naturale e che gli permise di formulare, e giustificare, la sua “teoria coerente dell’evoluzione biologica”. Il commento al suggerimento di Rhodes è che la geologia di Darwin della dinamica del globo è forse più vicina alla visione della “expanding earth ” che non a quella della tettonica delle placche. Guido Chiesura, Spoleto, giugno 2006 N. Eldredge, Le trame dell’evoluzione, Cortina, Milano 1999, pp. 8, 58, 135. F.H. Rhodes, Darwin’s search for a theory of the earth: simmetry, simplicity and speculation, BJHS, 1991, 2a, pp. 193-229. 3 Vedi: Charles Darwin, Opere geologiche, Antologia a cura di Guido Chiesura, Hevelius, Benevento, 2004, pp. 387- 420. 4 In una nota (p. 147) del Diary of the Voyage, il curatore R.D. Keynes afferma che durante il primo soggiorno alle Falkland Darwin era già “deeply concerned with the question raised by differences in the geological distribution of plants and animals as between isolated islands and mainland” . 1 2 5 Charles Darwin, Geological Observations on the Volcanic Islands, Barret & Freeman editors, Pickering, London, 1986, pp 148-150. 66 A. Donovan, L. Laudan & R. Laudan Eds , Scrutinizing Science, Kluwer Academic Publishers, 1988, p.272 [ ] Aggiunte di Darwin , < > Cancellazioni di Darwin , [ ] Note del curatore. 8 Vedi Geological Observations on South America, p. 191-197. Vedi anche S. Herbert, Charles Darwin, Geologist, Cornell University, 2005, p. 171- 173 e nota n. 139 p. 404 9 S. Herbert, Charles Darwin, Geologist, Cornell University, 2005, p. 159. La Herbert informa che si tratta di note informali scritte da Darwin durante il viaggio, in piccoli fascicoli. 10 Evidenziato con un corsivo nel testo. 11 Per un ampio esame di queste critiche, e per la proposta alternativa di un globo in espansione si veda: Why expanding Earth?, G. Scalera e K-H. Jacob editors, Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia di Roma – Technische Universität Berlin, Roma, 2003. Si veda anche: Earth Dynamics beyond the Plate Paradigm, Bollettino n° 5 (Special Issue) della Società Geologica Italiana, Roma, 2005. 7 10