Bartonella henselae - Associazione Consigli Ordini Provinciali

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Contributi
Pratici
Fabbi M.
I.Z.S. della Lombardia e dell’Emilia-Romagna
Marone P.
Policlinico San Matteo, Pavia
Zavanella M.
Fondazione Iniziative Zooprofilattiche e
Zootecniche, Brescia
Generalità
sull’infezione
La malattia da graffio del gatto (sinonimo =
Cat Scratch Disease, CSD) è una zoonosi
emergente e ubiquitaria. La malattia è nota
nell’uomo dal 1930 ed è stata descritta per
la prima volta nel 1950 da Debrè. L’agente
eziologico nel corso degli anni era stato
sospettato essere dapprima un virus, poi
una Clamidia, poi un batterio, ma solo dopo
gli anni ’90 Bartonella henselae è stata definitivamente identificata quale agente eziologico della malattia. Più recentemente un’altra Bartonella, Bartonella clarridgeiae, è
stata pure segnalata quale responsabile di
casi di CSD nell’uomo.
Bartonella henselae è un corto bastoncino,
pleomorfo, Gram-negativo, aerobio, con
scarse affinità tintoriali. Replica in vitro fra
28 e 37 °C e resiste al congelamento. Dal
punto di vista tassonomico è incluso nel
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Bartonella henselae,
agente eziologico di una
zoonosi emergente:
la malattia da graffio del gatto
genere Bartonella, all’interno del sottogruppo alfa 2 della classe Proteobacteria e presenta forti affinità con i generi Rhizobium e
Brucella. Con Brucella condivide al 95% il
genoma. Si conoscono due tipi di Bartonella
henselae, tipo I e tipo II, identificabili con
tecniche molecolari.
Il serbatoio naturale del microrganismo è il
gatto, nel quale l’infezione decorre abitualmente in forma pressoché asintomatica
caratterizzandosi con batteriemie prolungate
(di parecchi mesi o anni) e ricorrenti anche
in presenza di una risposta immunitaria rilevabile. Un ruolo centrale della diffusione dell’infezione tra i gatti è svolto dalla pulce,
anche se, recentemente, è stato dimostrato
che zecche quali Ixodes pacificus ed Ixodes
ricinus possono albergare il microrganismo
e quindi essere potenzialmente in grado di
trasmetterlo all’ospite, uomo compreso,
attraverso il pasto di sangue.
La trasmissione dell’infezione dal gatto
all’uomo avviene solitamente attraverso il
graffio o il morso ed è legata alla presenza
del batterio sugli artigli e/o nel cavo orale.
Bartonella henselae può contaminare gli
artigli del gatto mediante il loro contatto con
feci di pulci infette presenti sulla cute (nelle
quali il batterio resiste vitale fino a 9 giorni).
Bartonella henselae, inoltre, può contaminare direttamente la cavità orale, sia attraverso sanguinamenti conseguenti a patologie gengivali e/o dentali, sia indirettamente
mediante il leccamento della cute contaminata o degli artigli.
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L’infezione negli
animali e nell’uomo
L’infezione interessa soprattutto il gatto e
l’uomo, anche se Bartonelle sono state isolate da cani, conigli, roditori e ruminanti. In particolare nel cane, sia B. henselae che B. clarridgeiae determinano lo sviluppo di forme cliniche e quadri anatomo-patologici del tutto
simili a quelli osservati nell’uomo (peliosi
epatica, endocarditi, ecc.) mostrandosi pertanto più ospite finale e accidentale piuttosto
che di mantenimento per il batterio.
Il gatto, come più sopra accennato, non
manifesta sintomi specifici di malattia, anche
se alcuni Autori hanno potuto rilevare episodi di linfoadenite associata a un transitorio
rialzo febbrile. Dalla letteratura emerge che il
rischio di infezione per i gatti di strada è circa
doppio rispetto a quelli di proprietà. Studi
condotti in vari paesi hanno indicato che la
prevalenza di gatti infetti da B. henselae può
risultare talora molto elevata; tra i gatti di
strada si possono raggiungere, nell’ambito
delle singole colonie, prevalenze anche
maggiori del 50% di soggetti batteriemici.
Per quanto attiene a dati italiani, una ricerca
da noi condotta su circa 800 gatti di strada
(Fabbi et. al., 2004, J.Clin.Microbiol.), ha
rivelato in differenti aree del Nord Italia un
18% globale di soggetti batteriemici (emocoltura = gold standard), con punte di prevalenza fino al 48% di animali batteriemici nella
singola colonia. Il 38% dei gatti testati possedeva invece anticorpi verso B. henselae.
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Gli animali positivi contemporaneamente all’emocoltura e alla sierologia erano il 12,2%.
La tipizzazione molecolare ha poi permesso
di attribuire il 20,6% dell’infezione a Bartonella henselae tipo I, il 61,1% al tipo II, mentre il 18,3% è risultato infetto contemporaneamente da entrambi i tipi.
Una indagine recente condotta da Lauzi e
collaboratori in gatti di strada nella città di
Venezia ha rilevato il 18% di gatti batteriemici per Bartonella henselae ed il 33% di gatti
sieropositivi. In una nostra più recente indagine su un campione di oltre 150 gatti di proprietà abbiamo registrato un 21% di soggetti batteriemici ed un 43,5% di sieropositivi.
B. henselae tipo I era presente nel 45% dei
soggetti infetti, Bartonella henselae tipo II
nel 37 %, mentre il 12% era coinfetto da entrambi i tipi.
Solo il 6% degli animali è risultato batteriemico per Bartonella clarridgeiae, a conferma
della minor circolazione di questa Bartonella
nelle popolazioni feline del Nord Italia.
L’incidenza della malattia nella popolazione
umana è poco nota, ad eccezione dei circa
22.000 casi segnalati ogni anno negli USA,
2000 dei quali richiedono l’ospedalizzazione.
I dati di prevalenza della malattia nell’uomo
in Italia sono molto frammentari e spesso
legati a segnalazioni di carattere personale
(contatti con medici, ospedali, poliambulatori, ecc) o alla segnalazione della zoonosi da
parte di strutture ospedaliere (quelle che
eseguono la diagnosi) al servizio veterinario
competente. Tuttavia le diverse fonti riferiscono di numerosi casi che giungono all’osservazione del medico in cliniche pediatriche, di
malattie infettive o negli ambulatori di medicina generale.
La forma clinica più frequente di CSD, che
sembra privilegiare i soggetti giovani (bambini-ragazzi), è caratterizzata da una linfoadenopatia superficiale localizzata in sede
ascellare o nella regione che drena una
lesione cutanea provocata dal graffio del
gatto. Il periodo di incubazione è di 3-21
giorni con una media di 12 giorni. Nei 2/3 dei
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casi è documentabile una lesione primaria
da inoculo rappresentata da una macula,
papula o vescicola di 3-5 mm di diametro,
dolente, che può evolvere in una pustola o
escara con tendenza alla guarigione spontanea in pochi giorni o settimane. Nel 6% dei
casi la lesione primaria è congiuntivale.
Dopo 2-4 settimane si assiste alla comparsa
di linfoadenopatia loco-regionale, dolente,
mobile. Le stazioni più coinvolte sono in
ordine di frequenza ascellari, laterocervicali,
sottomandibolari, inguinali, femorali, preauricolari, sopraclavicolari ed epitrocleari. Nel
40% dei casi circa si assiste all’interessamento di più stazioni contemporaneamente.
La linfoadenopatia regredisce spontaneamente entro 2-6 mesi. Nel 15-20 % dei casi
i linfonodi vanno incontro a suppurazione e
fistolizzazione cutanea.
Tale quadro si accompagna talvolta a febbricola, rash fugace, eritemato-papuloso o eritemato-nodoso, astenia, anoressia, malessere, cefalea, faringodinia, artralgie. Gli
esami di laboratorio evidenziano leucocitosi
neutrofila e talvolta eosinofilia, aumento
della VES e delle globuline sieriche.
Non sono tuttavia infrequenti (circa il 5-14%
di tutte le CSD) forme sistemiche complicate a carattere granulomatoso, soprattutto a
carico dei parenchimi (fegato, milza, linfonodi del mediastino, ecc), che possono assumere particolare gravità nei pazienti immunocompromessi (pazienti HIV-positivi, pazienti sottoposti a trapianto di organo solido
o a terapie anti-neoplastiche, ecc.).
Bartonella henselae può essere altresì responsabile di altre forme cliniche nell’uomo,
quali angiomatosi bacillare, peliosi epatica,
batteriemie, endocarditi, neuroretiniti, sindromi oculo-glandolari di Parinaud e meningiti asettiche, che pure possono assumere
carattere di estrema gravità in particolari
condizioni di deficit immunitario.
Se nel paziente immunocompetente nelle
forme asintomatiche e lievi di CSD non è indispensabile ricorrere alla terapia antibiotica
(che non è peraltro in grado di modificare
l’andamento della malattia) al contrario il
trattamento si impone nelle forme gravi e nel
paziente immunodepresso.
Possono inoltre essere impiegati antiinfiammatori, mentre sono da evitare gli steroidi
che possono favorire la fistolizzazione.
In vitro la B. henselae è sensibile a numerosi antibiotici quali amoxicillina, cefalosporine
di terza generazione, fluorchinoloni, aminoglucosidi, macrolidi, rifampicina e cotrimossazolo. Alcuni studi hanno evidenziato l’efficacia della rifampicina, della doxiciclina e
dei macrolidi. La durata del trattamento varia
da 7 a 14 giorni.
Nelle forme a decorso grave è consigliata
l’associazione di rifampicina e doxiciclina.
Nei pazienti immunocompromessi la terapia
deve essere protratta per 6 settimane.
Nel trattamento dell’angiomatosi bacillare e
della peliosi epatica ci si avvale in genere
dell’eritromicina oppure della doxiciclina per
3 mesi.
Nei pazienti immunocompromessi, in caso
di recidiva dell’infezione, dopo la terapia è
necessario procedere alla profilassi secondaria da proseguire fino a che persista la
condizione di immunocompromissione.
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Diagnosi
La diagnosi nell’uomo, oltre che dal sospetto clinico, può essere
confermata in laboratorio mediante test sierologico (immunofluorescenza indiretta, cut-off 1:64), che attualmente appare il più praticato dagli ospedali (non molti, peraltro) che effettuano diagnosi di
CSD. Sono segnalate possibili reazioni crociate con Coxiella burnetii e Clamidia spp. E’ tuttavia da rilevare che i test del commercio contengono B. henselae e non B. clarridgeiae. Ciò deve essere tenuto in
considerazione in presenza di una forma clinica compatibile con una
CSD che risulti negativa al test di immunofluorescenza del commercio. Non risulta esserci infatti reazione crociata tra le due Bartonelle
sopra citate, come rilevato per la prima volta in occasione della scoperta dell’esistenza di B. clarridgeiae su un paziente (un veterinario),
che pur mostrando una sintomatologia tipica per CSD risultò negativo al test per B. henselae. Fu necessario isolare la nuova Bartonella
dal gatto del paziente ed allestire il test specifico per confermare la
diagnosi (titolo anticorpale positivo = 1:1024).
La messa in evidenza del microrganismo nei pazienti con CSD con
metodi tradizionali (coltura) è spesso problematica per la presenza di
pochi microrganismi o addirittura per la loro assenza nei linfonodi al
momento del prelievo del campione (biopsia, pus). Inoltre spesso il
paziente giunge all’osservazione dello specialista dopo trattamenti
antibiotici empirici che possono favorire la negatività delle indagini
colturali. Mentre nei gatti l’emocoltura rappresenta il gold-standard
strettamente correlato alle alte cariche batteriche repertate nel sangue degli animali infetti (> di 1000 e fino a 30.000 ufc/ml di sangue),
nell’uomo l’emocoltura si rivela di scarsa utilità, salvo nel paziente
gravemente immunocompromesso che presenti una forma clinica
grave. Secondo Murray e Coll. (2003), l’esame batteriologico sui linfonodi che drenano il sito di contatto è quasi sempre negativo, anche
se i bacilli sono visibili nei preparati istologici.
Al contrario l’emocoltura nel gatto riveste estrema importanza in
quanto strumento che permette la quantificazione della carica batterica circolante e si rivela altrettanto utile per valutare l’efficacia di
eventuali trattamenti terapeutici intrapresi.
La metodica in PCR è sempre più frequentemente indicata quale
metodica di riferimento per confermare la diagnosi diretta di CSD da
biopsie tissutali (solitamente linfonodi), in quanto in grado di rilevare
frammenti del DNA batterico di microrganismi non vitali e/o presenti
in quantità molto piccole, oltre a essere utilizzata per tipizzare i diversi tipi di Bartonella. In Medicina Veterinaria, nel gatto in particolare,
l’emocoltura resta il metodo diagnostico d’elezione, rispetto al quale
la sierologia mostra un 56,5% di sensibilità ed un 67% di specificità.
Come già in precedenza ribadito, il test sierologico da solo non è sufficiente per stabilire lo stato sanitario dell’animale nei confronti della
bartonellosi felina, in quanto si tratta di una prova che spesso si posi-
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tivizza tardivamente rispetto al momento dell’infezione e che comunque tende a coesistere con la batteriemia. E’ possibile, a nostro avviso, effettuare una completa valutazione dello stato sanitario del gatto
nei riguardi della bartonellosi felina abbinando il test sierologico all’emocoltura, ripetendo quest’ultima nei soggetti risultati sieropositivi al
fine di controllare la eventuale comparsa di batteriemie ricorrenti.
Pochi studi sono stati effettuati sulla efficacia della terapia in vivo nei
gatti batteriemici; tuttavia, la terapia antibiotica con farmaci quali
macrolidi, amoxicillina e doxiciclina, seguiti dagli opportuni successivi controlli di efficacia, hanno mostrato una buona capacità di risposta all’infezione.
Nella diagnostica sull’uomo la sierologia, abbinata ad una attenta
valutazione clinica ed anamnestica, conserva un buon valore diagnostico nonostante la possibilità di false reazioni negative attribuibili a
diversi fattori, quali la cattiva qualità dell’antigene diagnostico, la produzione tardiva di anticorpi rispetto alla comparsa della forma clinica
e malattie concomitanti (AIDS).
La bibliografia è disponibile presso gli autori
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