I RETROVIRUS ENDOGENI I retrovirus endogeni (ERV, Endogenous Retroviruses) sono elementi virali che fanno parte del genoma animale e che si sono probabilmente originati da retrovirus. Sono presenti in quantità considerevoli nel genoma di tutti i vertebrati e sono soprattutto localizzati nelle cellule somatiche. Una evenienza rara è l’inserimento di un retrovirus nelle cellule germinali e in questo caso si ha la trasmissibilità di questo elemento nella progenie. In questo modo un elemento che in origine era estraneo e che, per un evento occasionale, si è trasferito all’interno della cellula germinale o dell’embrione diventa parte del patrimonio genetico dell’individuo e viene trasmesso alla sua discendenza. Molti ERV sono rimasti nel genoma dei loro ospiti per milioni di anni. Essi sono andati incontro a cambiamenti che ne hanno causato l’inattivazione e non sono in grado di produrre elementi infettanti. La maggior parte degli ERV che si riscontrano nel genoma dei vertebrati sono di origine antichissima, sono inattivati e si sono fissati nei loro ospiti. Per questo motivo è molto improbabile che essi abbiano effetti negativi se non in condizioni eccezionali. Tuttavia vari studi hanno evidenziato la presenza di ERV, probabilmente tra quelli che si sono integrati di recente, associati a patologie e per questo motivo sono state fatte delle ipotesi su un possibile ruolo di ERV nelle patologie. Particolarmente sono stati studiate patologie autoimmuni e cancro (Bannert et al, 2004: Retroelements and the human genome: New perspectives on an old relation. Proc Natl Acad Sci U S A. 101; Nelson et al, 2003: "Demystified . . . Human endogenous retroviruses. Molecular Pathology 56; Singh SK 2007: Endogenous retroviruses: suspects in the disease world. Future Microbiology 2 ). Nell’uomo è stato proposto che gli ERV siano coinvolti nella Sclerosi Multipla (MS) e nella Sclerosi Laterale Miotrofica (SLA). (Mameli et al 2007.: Brains and peripheral blood mononuclear cells of multiple sclerosis (MS) patients hyperexpress MS-associated retrovirus/HERV-W endogenous retrovirus, but not human herpesvirus 6; J Gen Virol. 88); Serra et al.: In vitro modulation of the multiple sclerosis (MS)-associated retrovirus by cytokines: implications for MS pathogenesis. J Neurovirol. 9; Douville et al. 2011: Identification of active loci of a human endogenous retrovirus in neurons of patients with amyotrophic lateral sclerosis. Annal Neurol 69). Un lavoro del 2004 ha proposto il coinvolgimento di un ERV nella schizofrenia. (Yolken R, 2004: Viruses and schizophrenia: a focus on herpes simplex virus. Herpes 11). Fin dalle prime osservazioni sulla esistenza di sequenze simili a virus e a retrovirus nel genoma dell’uomo e di tutti gli altri esseri viventi, ci si domanda quale possa essere il ruolo di questa informazione genetica che viene dall’esterno e che si è mantenuta nel genoma dell’ospite pur subendo delle trasformazioni con il tempo. È logico pensare che l’inserimento di un genoma estraneo nel DNA di un individuo porti a degli sconvolgimenti iniziali, sappiamo che il DNA è comunque soggetto a continui eventi di taglio, ricomposizione, controllo, riparazione… e che questi meccanismi sono vari e variabili nei diversi individui e in diverse condizioni. Per questo motivo ci sono linee di ricerca di base che si occupano della biologia dei retrovirus, dei rapporti tra retrovirus e ospite, dei sistemi di ricombinazione, di riparazione ecc. ecc. Oggi sappiamo che i retrovirus endogeni costituiscono una componente quantitativamente significativa del genoma umano, si calcola che vi siano approssimativamente 98.000 tra ERV completi e frammenti di ERV e che rappresentano ca l’8% di tutto il DNA. Se a questi si aggiungono altri retro elementi come i retrotrasposoni (frammenti di DNA capaci di trascriversi autonomamente in un intermedio a RNA e conseguentemente replicarsi in diverse posizioni del genoma), si calcola che più del 40% del genoma di un individuo sia di provenienza esterna. Secondo uno studio del 2005 nessun ERV umano capace di replicarsi è stato mai identificato. Tutti si dimostrano difettivi e contenenti delezioni e mutazioni nonsenso. Questo si spiegherebbe con il fatto che questi hanno subito un ridimensionamento e un adattamento e sono ormai solo tracce dei virus originali che si sono integrati per la prima volta migliaia di anni fa. Una famiglia retrovirale sembra essere stata ancora attiva alla divergenza tra uomo e scimpanzé (Belshaw et al.,2005. Genomewide Screening Reveals High Levels of Insertional Polymorphism in the Human Endogenous Retrovirus Family HERV-K (HML2): Implications for Present-Day Activity. J Virol. 79). È logico pensare che eventi di trasferimento genico orizzontale che si fissano poi nella progenie, se sono avvenuti in passato, possano avvenire ancora. Molte evidenze indicano che l’ acquisizione di informazione genetica nuova abbia dato un contributo all’evoluzione, arricchendo gli organismi di nuove funzioni che hanno poi favorito le capacità di adattamento ai cambiamenti ambientali sempre in movimento. Ad esempio: una scoperta che ha dimostrato come i retrovirus possono essere utili all’ospite è stata effettuata da un gruppo di ricercatori della Texas University e dell’Università di Glasgow, in Scozia ed è stata pubblicata sui Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) nel 2006 (Dunlap et al.: Endogenous retroviruses regulate periimplantation placental growth and differentiation. PNAS 103) Questi ricercatori hanno scoperto che per la gravidanza della pecora è necessario l’intervento di retrovirus ospiti naturali dell’animale, in particolare, una classe di retrovirus endogeni, noti come retrovirus endogeni correlati allo Jaagsiekte sheep retrovirus (enJSRV). Per dimostrare il coinvolgimento del retrovirus enJSRV nella gestazione ovina, i ricercatori ne hanno bloccato l’espressione con opportuni nucleotidi antisenso: ciò ha determinato una riduzione nello sviluppo della placenta e il mancato sviluppo di alcuni tipi cellulari. In tal modo l’embrione non riusciva a impiantarsi nell’utero e la gravidanza non riusciva ad andare a buon termine. L'enJSRV deriva da un’antica infezione in piccoli ruminanti nel corso della loro evoluzione e si trattò, evidentemente, di un’infezione benefica per l’ospite, che venne così selezionata nel corso dell’evoluzione: gli esemplari con enJSRV erano avvantaggiati rispetto a quelli senza, tanto che enJSRV è diventato parte integrante del genoma della pecora, che addirittura non può più farne a meno. “In effetti – ha osservato Thomas Spencer, uno dei coordinatori della ricerca – i retrovirus endogeni sono normalmente innocui e spesso presentano mutazioni che impediscono loro di sviluppare infezioni.” Anzi, alcuni di essi forniscono una protezione da alcune infezioni e altri sono coinvolti nei meccanismi di riproduzione. Si è visto che il corrispondente retrovirus esogeno (Jaagsiekte sheep retrovirus) provoca il cancro del polmone nella pecora. Queste scoperte suggeriscono che i retrovirus endogeni abbiano influito sull’evoluzione della placenta nei mammiferi e che siano divenuti indispensabili per la gravidanza. Un altro aspetto che deve senz’altro essere preso in considerazione discutendo sui virus e retrovirus endogeni è il ruolo del sistema immunitario che, evidentemente, ha imparato a tollerarli. I ricercatori studiano con particolare interesse questo aspetto. È stato visto che nei soggetti infettati con il virus HIV vi è evidenza di risposta immunitaria di tipo T contro i retrovirus endogeni. Si è ipotizzato che HIV induca l’espressione di retrovirus normalmente silenti e che attivare una risposta contro i retovirus endogeni potrebbe portare ad una risposta contro HIV (Garrison et al., 2007: T cell responses to human endogenous retroviruses in HIV-1 infection. PLoS Pathog.3). Questo ovviamente senza tenere conto di altri danni che potrebbero essere fatti quando si colpisce indiscriminatamente tutti i retrovirus endogeni dato che, come sopra detto, molti degli ERV sono benefici. Un lavoro recente e molto interessante per le implicazioni che potrebbe avere sugli studi di patologie con disfunzioni immunitarie in cui vi sono alterazioni dei meccanismi di controllo della risposta immunitaria (es. malattie autoimmuni, CFS…) ha dimostrato che il gene KAP1 tiene sotto controllo l’espressione dei retrovirus endogeni (Rowe et. al, 2010. KAP1 controls endogenous retroviruses in embryonic stem cells. Nature 463) . Questa scoperta ha aperto nuovi ambiti di ricerca che porteranno ad acquisizioni importanti per la comprensione dei meccanismi della tolleranza immunitaria e dei fattori esterni che intervengono andando a interrompere l’equilibrio fisiologico con il conseguente instaurarsi di disfunzioni immunologiche che, come è noto, sono alla base di molte patologie di collocazione ancora incerta. E. Capelli Responsabile del Laboratorio di Immunologia e Analisi Genetiche.Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente-sezione Biologia. Università di Pavia.