XENOTRAPIANTI E RISCHI CORRELATI ALLA TRASMISSIONE

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Large Animals Review, Anno 9, n. 4, Agosto 2003
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MAURA FERRARI, MADDALENA SONCINI, MARINA NADIA LOSIO, LAURA FERRANDO,
FRANCESCA GILBERTI, ATTILIO CORRADI1, PIERGIORGIO PETRONINI2
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Brescia
1
Dipartimento di Salute Animale, Università degli Studi di Parma
2
Dipartimento di Medicina Sperimentale, Università degli Studi di Parma
INTRODUZIONE
L’impiego di organi e tessuti di origine suina, quale alternativa nel settore dei trapianti nella specie umana è da
tempo oggetto di studio nel tentativo di ridurre il divario
tra la richiesta e la disponibilità degli stessi. La mancanza
di cellule umane, tessuti ed organi disponibili per il trapianto, non veicolanti malattie a bassa trasmissione né geni
esogeni che possono attivare processi biochimici, ha orientato la ricerca ad impiegare organi provenienti da specie
diverse da quella umana, quale il suino. Il rischio principale dello xenotrapianto, accanto a quello del rigetto iperacuto conseguente alla incompatibilità immunologica, è la
possibile trasmissione di agenti infettivi di origine animale.
L’uso dei primati non umani (scimmie non antropomorfe,
come il babbuino) quali donatori di organi per l’uomo è
ad alto rischio: questi animali, infatti, potrebbero trasmettere all’uomo pericolosi agenti virali, quali i retrovirus SIV
(Simian Immunodeficiency Virus) e STLV (Simian TLymphotropic Virus), correlati rispettivamente all’HIV-2 e
all’HTLV-1 (Human T-Lymphotropic Virus-1) umani,
l’Herpes simiae, analogo all’Herpes simplex, benigno nella
scimmia, ma letale nell’uomo (provoca infatti una mielite
ascendente) e, non ultimi, i virus Marburg ed Ebola, membri del genere Filovirus, che hanno causato nel passato
preoccupanti epidemie, fortunatamente rimaste circoscritte (Poli, 2001; Gunzburg et al., 2000). Virus del suino potenzialmente responsabili di zoonosi sono rappresentati
dal virus dell’epatite E (la cui reale prevalenza nella popolazione suina nazionale non è definita), circovirus di tipo 1
(non virulento, ma provvisto di attività trasformante), dal
virus della sindrome PMWS (Poli, 2001), herpesvirus (altamente specie specifici) ed herpesvirus linfotrofici recentemente evidenziati (Rue et al., 2003). Oltre agli agenti ri-
* Relazione tenuta al Meeting “tra sogno… e futuro-prossimo: xenotrapianto di cuore” svoltosi il 21 marzo 2003 alla Scuola di Specializzazione
di Patologia suina di Moretta.
portati i retrovirus endogeni rappresentano attualmente il
rischio principale legato agli xenotrapianti in ragione della
loro presenza in forma inapparente, negli organi del donatore (Poli, 2001). L’organizzazione genomica dei retrovirus
prevede tre principali regioni: gag – che codifica per proteine virali rappresentate dalla matrice (M), dal capside e
dalle nucleoproteine (NP), pol – codificante per gli enzimi
virali come la trascrittasi inversa ed infine env – che prevede la sintesi delle glicoproteine di rivestimento del capside. Un ulteriore dominio è pro, che codifica per le proteasi
virali (Coffin et al., 1997). I retrovirus endogeni del suino
sono suddivisi in diversi tipi fra i quali a tre viene attribuita maggiore importanza e sono definiti rispettivamente di
tipo A, B e C. Le tre classi sono caratterizzate da elevate
omologie nelle regioni gag e pol, mentre elevate sono le
differenze che si riscontrano nel gene env (Takeuchi et al.,
1998). È stato dimostrato che i retrovirus A e B possono,
in vitro, infettare e replicare in linee cellulari umane. Nel
suino sono integrati nel genoma e la loro espressione è regolata dalle sequenze LTR (Long Terminal Region). Al
momento attuale non sono ritenuti responsabili di forme
patologiche nella specie suina; viceversa, la situazione potrebbe essere molto diversa in pazienti trapiantati immunodepressi, nei quali il virus potrebbe replicare ad alto titolo e diffondere anche ad altri soggetti della popolazione.
Tale evento potrebbe risultare ancora più drammatico a
causa della eventuale ricombinazione fra questi retrovirus
di origine animale e virus umani, evento che, sebbene molto raro in natura, potrebbe dare esito alla formazione di
un virus emergente.
La presenza di DNA retrovirale nelle cellule e la formazione di provirus possono indurre la formazione di infezioni permanenti e l’insorgenza di tumori.
Le indagini svolte presso il nostro Istituto sono state condotte in vitro ed hanno riguardato l’accertamento e la tipizzazione della infezione retrovirale in cellule di derivazione
suina in coltura continua; la sua prevalenza nella popolazione suina domestica e selvatica e la tipizzazione della classe
maggiormente coinvolta. Inoltre è stata accertata la potenziale trasmissibilità dell’infezione a cellule di primati umani
SUINI
XENOTRAPIANTI E RISCHI
CORRELATI ALLA TRASMISSIONE
DEI RETROVIRUS ENDOGENI DEL SUINO*
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Xenotrapianti e rischi correlati alla trasmissione dei retrovirus endogeni del suino
e non umani nonché la determinazione della eventuale attività trasformante e le caratteristiche di tumorigenicità a seguito della inoculazione di topi nudi. È anche in fase di elaborazione il sistema di inibizione dell’espressione virale attraverso trattamento in vitro, con farmaci anti-retrovirali
che, agendo secondo un differente meccanismo d’azione,
impediscono la replicazione dei retrovirus.
Linee cellulari
Per le prove in vitro sono state utilizzate diversi tipi di
linee cellulari, rappresentati rispettivamente da: NPTr
(newborn pig trachea), NSK (newborn swine kidney)
(Ferrari et al., 2003), PK15 (porcine kidney), MPK (minipig kidney) e colture primarie di rene di suino-RS.
Quali cellule bersaglio si sono utilizzate le linee 293 (human embryonic kidney), MCR-5 (embryonic human
lung), e VERO (african green monkey kidney) (Krack et
al., 2001).
Determinazione della infezione retrovirale
e tipizzazione
L’infezione è stata accertata mediante reazione di PCR
tramite l’impiego di primer generali (Akiyoshi et al.,
1998), volta a rilevare sequenze provirali nel genoma cellulare; la presenza del virus nel supernatante colturale è
stata accertata mediante reazione RT-PCR ed il test in
grado di rilevare l’attività della trascrittasi inversa (Silver
et al., 1993).
L’eventuale trasmissione del virus a cellule di primate è
stata attuata con due differenti metodiche: (1) inoculando
il terreno colturale supernatante di cellule suine in cellule
umane e (2) coltivando congiuntamente cellule di suino irradiate con cellule umane (co-coltura).
Per la tipizzazione della classe retrovirale sono stati utilizzati primer specifici per le sequenze env, note essere differenti fra le varie classi (Takeuchi et al., 1998).
Attività trasformante e tumorigenicità
Le potenziali attività trasformanti delle linee cellulari
di origine suina sono state accertate mediante loro inoculazione in terreno semisolido (MacPherson et al.,
1964) ed osservando quotidianamente l’eventuale comparsa di colonie di trasformazione. Nel caso di formazione di colonie, gruppi di topi nudi sono stati inoculati
con 107 cellule; ciascun animale è stato sottoposto all’intervento per via sottocutanea nella zona retroscapolare
in ragione di 0,2 ml di sospensione cellulare (0,1 ml/lato). All’evidenziazione della neoformazione i topi sono
stati sacrificati mediante eutanasia eterea e sottoposti ad
esame autoptico. Prelievi bioptici dermo-epidermici del
sito di inoculo e di organi, apparati e sistemi delle cavità
splancniche toracica, addominale e neurocranica sono
stati fissati in formalina tamponata a pH 7,4 ed inclusi
in paraffina. Sezioni di 5 µm di spessore sono state allestite e poi colorate con metodi routinari di istologia ed
istochimica.
Trattamento con farmaci anti-retrovirali
Sono state impiegate 6 sostanze ad attività antivirale
rappresentate da nucleosidi sintetici, e inibenti l’attività
sia della proteasi che della trascrittasi inversa. I composti selezionati erano rappresentati da: Nelfinavir (NFV,
0,030 µM, inibitore dell’enzima proteasi ed essenziale
per l’inserimento delle proteine virali nelle cellule ospiti), Nevirapina (NVP, 0,075 µM, inibitore non nucleosidico, si lega direttamente alla transcrittasi inversa bloccando l’attività della polimerasi), Stavudina (d4T, 0,042
µM), Didanosina (DDI, 0,042 µM), Lamivudina (3TC,
0,087 µM), e Azidotimidina (AZT, 5 µM), gli ultimi
quattro composti sono noti essere inibitori della trascrittasi inversa a seguito della loro competizione con i
nucleotidi naturali e sintesi di un prodotto inattivo. I
composti in esame sono stati diluiti in terreno colturale
contenente il 10% di siero fetale bovino. Limitatamente
alle cellule NSK e NPTr il trattamento è stato eseguito
anche in presenza di terreno contenente siero umano
(8%) e siero fetale bovino (2%) al fine di valutare l’attività dei componenti del siero umano specifica per le cellule di suino e nota essere alla base dei fenomeni di rigetto degli organi di suino trapiantati nella specie umana (Takeuchi et al., 1996). Le cellule sono state trattate
con i composti menzionati per otto passaggi seriali al
termine dei quali sono state verificate la presenza del
provirus nel genoma cellulare, la sintesi virale nel supernatante mediante RT-PCR e l’attività della trascrittasi
inversa.
RISULTATI
Determinazione della infezione retrovirale
e tipizzazione
Le analisi svolte sulle linee cellulari mediante la reazione
di PCR hanno evidenziato come tutti i substrati esaminati
e tutti i campioni prelevati da suini domestici e selvatici
fossero infettati da retrovirus endogeni del suino.
I risultati relativi alla determinazione della possibile
trasmissione dell’infezione alle cellule di primate hanno
evidenziato come la stessa sia stata trasmessa alle cellule
umane (293 e MRC-5) sia impiegando il terreno colturale che co-infettando cellule di suino irradiate con cellule umane.
Viceversa, non è stata dimostrata alcuna trasmissione
dell’infezione alle cellule Vero di scimmia a conferma di
quanto riportato in letteratura relativamente all’assenza
di recettori specifici per i retrovirus endogeni del suino
(Soncini et al., 2001). L’infezione è stata riscontrata nelle cellule umane coltivate per almeno 20 giorni dall’infezione.
I virus della classe A e B sono stati evidenziati in quasi
tutte le linee cellulari e colture di primo impianto esaminate con l’unica eccezione costituita dalla linea di rene di suino minipig (MPK) che è risultata contaminata esclusivamente da retrovirus di tipo C in accordo a quanto riportato in letteratura (Oldmixon et al., 2002). Nella Figura
1 vengono indicate le bande di migrazione delle tre
classi di retrovirus indicati.
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PERV A
Figura 2A
596 bp
PERV B
Figura 2B
FIGURA 2 - Colonie di cellule trasformate evidenziate in terreno semisolido (A) e neoformazione riscontrata nei topi nudi inoculati con cellule NSK (B).
280 bp
Lo studio citomorfologico ha inoltre permesso di mettere in rilievo la totale assenza di metastasi in organi, apparati e sistemi, contestualmente alla costante assenza, alla
PCR nei medesimi tessuti, delle sequenze genomiche ascrivibili ai retrovirus endogeni del suino.
PERV C
FIGURA 1
Attività trasformante e tumorigenicità
Le linee cellulari PK15, NSK e NPTr hanno presentato la
capacità di indurre colonie di trasformazione in vitro già evidenti dopo 7-10 giorni di coltura. Nessuna colonia di cellule
trasformate è stata invece evidenziata per gli altri tipi di cellule.
I topi nudi inoculati con le cellule NSK e NPTr hanno
presentato neoformazioni neoplastiche limitatamente alla
sede di inoculo che, all’analisi istologica, sono risultate caratterizzate dalla presenza di elementi epiteliali neoplastici
disposti in strutture tubulo-alveolari molto compatte tali
da conferire alle neoplasie un aspetto solido.
Trattamento con farmaci anti-retrovirali
Il trattamento con analoghi nucleosidici ha ridotto la replicazione dei retrovirus endogeni del suino da parte della linea
cellulare umana 293 come evidenziato dai risultati relativi alla
valutazione dell’attività della trascrittasi inversa. Analogo
comportamento è stato riscontrato nelle linee cellulari suine
NSK e NPTr nelle quali si è riscontrata una riduzione della
sintesi attiva di particelle virali rispettivamente di 3 (NSK) e
20 volte (NPTr). L’analisi in PCR non ha invece evidenziato
una significativa differenza nei substrati trattati con i farmaci
ad attività anti-retrovirale, come d’altra parte atteso, non essendo stata eseguita un’analisi di tipo quantitativo.
L’addizione di siero umano, che già all’osservazione
morfologica ha permesso di rilevare una graduale, ma progressiva distruzione dei due substrati cellulari suini come
conseguenza della presenza di recettori superficiali propri
di questa specie, ha evidenziato una ulteriore riduzione
della replicazione retrovirale.
SUINI
600 bp
42
Xenotrapianti e rischi correlati alla trasmissione dei retrovirus endogeni del suino
FIGURA 3 - Neoplasia localizzata indotta da cellule NPTR nel tessuto
sottocutaneo. Disposizione tubulo alveolare con conferimento di caratteristiche di un tumore solido. (H&E X 200).
FIGURA 4 - Crescita di un tumore intradermico indotta da cellule NSK
caratterizzata da una disposizione tubulo alveolare. (H&E X 200).
Poiché sono stati eseguiti trattamenti con una unica miscela dei composti indicati, non è stato possibile stabilire
la dose minima efficace di ciascun prodotto.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
I risultati delle indagini svolte hanno evidenziato come i
retrovirus endogeni del suino siano diffusi nella popolazione di animali domestici e selvatici di questa specie e come,
di conseguenza, anche le cellule in coltura primaria e in linea continua contengano integrate, nel genoma cellulare,
sequenze provirali. Le classi predominanti sono risultate
quelle di tipo A e B e la loro ampia diffusione costituisce
un elevato motivo di preoccupazione. È infatti stato dimostrato (Patience et al., 1997) e confermato nel presente
studio come tali tipi di retrovirus possano superare la barriera di specie ed essere trasmessi a cellule umane nei sistemi in vitro. Viceversa, è stato evidenziato come i retrovirus
di tipo C siano provvisti di ridotta capacità di trasmissione
a cellule della specie umana e come tale evento si possa
realizzare soltanto in particolari circostanze quali ad esempio la contemporanea presenza delle altre due classi, A e
B, di retrovirus e soltanto in alcuni tipi di cellule (Le Tisser et al., 1997). Tale peculiarità sembra essere attribuibile
alla mancanza di specificità nel meccanismo di attivazione
virale (Oldmixon et al., 2002).
Nonostante gli studi eseguiti su pazienti venuti a contatto od inoculati con cellule o tessuti di origine suina non
abbiano rilevato alcuna presenza dei retrovirus endogeni
di questa specie (Paradis et al., 1999; Pitkin et al., 1999), i
risultati delle prove svolte in vitro evidenziano la possibile
trasmissione dei retrovirus a cellule di specie recettive come quella umana. Poiché tale trasmissione è molto remota
nel caso della classe C, sarebbe opportuno poter selezionare e disporre di nuclei di suini infetti soltanto da questo tipo di retrovirus da impiegarsi per lo xenotrapianto.
Un ulteriore aspetto riguarda la potenziale azione tumorigena dei retrovirus. È infatti segnalato come la inoculazione retrovirale nel ratto esiti in una risposta tumorigena.
Nello studio svolto analogo comportamento si è riscontrato nei topi nudi inoculati con due tipi di cellule suine
(NSK, NPTr) entrambi caratterizzati non solo da virus integrato, ma con sintesi attiva. È d’altra parte da sottolineare che non è possibile accertare, in questa fase, se l’attività
oncogena debba essere attribuita alle cellule come tali che
hanno acquisito tale caratteristica a seguito del processo di
immortalizzazione o sia invece causata dalla presenza in
forma attiva di particelle retrovirali. In ragione delle osservazioni eseguite in laboratorio e relative alla potenziale trasmissibilità dei retrovirus a cellule eterologhe, alla evidenziazione di sequenze retrovirali in topi transgenici (SCID,
Deng et al., 2000) e all’azione tumorigena dimostrata nei
ratti si ritiene giustificata la preoccupazione relativa al ricorso incondizionato dello xenotrapianto. L’impiego di
suini transgenici non esprimenti il determinante α-1,3 galactosil transferasi sulla superficie cellulare è risultato in
grado di impedire il fenomeno del rigetto iper-acuto, che è
uno dei principali ostacoli degli xenotrapianti ma, d’altra
parte, presenta l’inconveniente di impedire la virolisi mediata dal complemento. In tal caso soltanto anticorpi presenti nel siero sarebbero in grado di inibire l’infettività
delle particelle retrovirali. D’altro canto se venisse accettato il suggerimento avanzato da alcuni gruppi di ricercatori
relativamente alla eliminazione nel siero umano degli anticorpi responsabili del secondo tipo di rigetto “di tipo cellulare”, si avrebbe la completa assenza di qualunque difesa
naturale in grado di inibire i retrovirus che potrebbero in
tal modo superare con maggiore facilità la barriera di specie e colonizzare tessuti umani.
Al momento attuale, non disponendo di suini indenni
da retrovirus l’eventuale ricorso agli xenotrapianti dovrebbe prevedere l’uso di animali infetti dalla classe C di retrovirus da impiegarsi quali donatori in associazione alla somministrazione congiunta di farmaci a consolidata attività
anti-retrovirale non soltanto evidenziata in vitro, ma anche
in vivo (Powell et al., 2000).
Gli sforzi dei ricercatori dovrebbero comunque essere volti alla selezione, mediante tecnologie genetiche di
diversa natura, di animali transgenici caratterizzati non
solo da elevata compatibilità immunologica, ma anche
indenni da agenti virali e altri microrganismi potenzialmente trasmissibili e responsabili di eventi zoonosici da
impiegarsi quale fonte di cellule, organi e tessuti per la
specie umana.
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