LA DOMANDA SUL SENSO DELL’ESISTENZA: SCHOPENHAUER SCHOPENHAUER Nasce a Danzica nel 1788 da una ricca famiglia borghese. Il padre era un mercante abile e proprio grazie alla fortunata condizione familiare, ha la possibilità di viaggiare e conoscere paesi e ambienti stimolanti sul piano umano e culturale. Questo tipo di esperienza però contribuisce ad aumentare la sua naturale tendenza a chiudersi in se stesso e a nutrire una visione dolente e pessimistica della vita. I temi dominanti delle sue meditazioni giovanili sono la morte, il mistero dell’eternità, lo smarrimento di fronte alla potenza della natura: argomenti che Leopardi affronterà nelle pagine dello Zibaldone. S nutre fin da piccolo una certa insofferenza per il mondo borghese da cui è circondato. Dopo la morte del padre, il distacco da tale mondo si fa sempre più profondo ed inizia a dedicarsi agli studi classici, in particolare alla filosofia. Il suo pensiero è affidato all’opera “IL MONDO COME VOLONTA’ E RAPPRESENTAZIONE”. In essa, intende rispondere alla domanda “che cos’è il mondo”. Per rispondere a questa domanda parte da una duplice prospettiva: quella della scienza e quella della filosofia. Si tratta di due visioni che conducono a soluzioni differenti. Prof.ssa Lucia Lupia- Liceo Artistico KR- a.s. 2016/17 Secondo la prima prospettiva, quella scientifica, il mondo è una mia rappresentazione. Secondo l’altra prospettiva, quella filosofica, che secondo S è la più vera e profonda, il mondo è volontà di vivere, un impeto cieco e tenace che coinvolge tutti gli esseri viventi e li condanna alla sofferenza. IL MONDO COME RAPPRESENTAZIONE Il capolavoro di S si apre con l’affermazione “Il mondo è una mia rappresentazione”. Dire che il mondo è una mia rappresentazione significa avere la consapevolezza che non è possibile sapere come le cose siano in se stesse, ma solo come esse si presentano nella mia esperienza, cioè in relazione ai miei organi di senso. Per fare un esempio, non posso sapere che cosa sia un albero, ma solo come esso si mostra ai miei occhi, come la sua corteccia si offre al contatto delle mie mani. Il mondo dunque esiste solo nel rapporto tra soggetto e oggetto che caratterizza appunto la rappresentazione. Questo implica anche che il soggetto e l’oggetto non possono sussistere indipendentemente l’uno dall’altro. Per S né il soggetto può prevalere sull’oggetto, né l’oggetto sul soggetto: la conoscenza è data infatti dall’unione di entrambi. E’ in questo senso che per S tutte le cose sono “fenomeni”. Tale mondo fenomenico è inteso da S come una dimensione illusoria e ingannevole. Per definire il mondo fenomenico egli utilizza l’espressione maya, illusione, magia, la quale allude ad un “velo” che si interpone nella conoscenza della vera essenza della realtà. Il mondo della rappresentazione delineato da S è costituito da apparenze, da immagini evanescenti come quelle dei sogni. IL MONDO COME VOLONTA’ Allora, arrivati a questo punto, esiste un modo per cogliere l’essenza della realtà andando al di là del velo di Maya? Esiste cioè un modo per accedere alla verità della vita e dell’esistenza? L’uomo, dice S, è anche un soggetto corporeo, ed è proprio nel corpo che risiede la chiave per attingere l’essenza delle cose. Il corpo è la sede in cui si manifesta una forza che è la volontà di vivere, un impulso forte e irresistibile che ci spinge a esistere e ad agire. Prof.ssa Lucia Lupia- Liceo Artistico KR- a.s. 2016/17 Una volta che abbiamo squarciato il velo di Maya, scopriamo che la volontà di vivere è l’essenza stessa del mondo. Da ciò ne deriva una conseguenza drammatica per l’esistenza umana: la vita è dolore , un continuo oscillare tra desiderio e noia intervallato da un brevissimo istante di piacere. (LA VITA UMANA E’ COME UN PENDOLO) Dolore, piacere, noia “La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente fra il dolore e la noia, passando attraverso l’intervallo fugace, e per di più illusorio, del piacere.” DOLORE Posta la Volontà quale essenza della realtà e poiché volere significa desiderare qualcosa che non si ha, lo stato di tensione continua che ne deriva genera sofferenza. Schopenhauer teorizza tre stati esistenziali PIACERE Il godimento (fisico) e la gioia (psichica) è cessazione del dolore, scarico da uno stato preesistente di tensione, che ne è condizione indispensabile. NOIA Subentra quando viene meno l’aculeo del desiderio o il pungolo delle preoccupazioni. Tuttavia, esistono tre possibili vie di liberazione dal dolore: l’arte, la morale e l’ascesi. 1. Secondo S l’esperienza estetica rappresenta la prima forma di liberazione dal dolore. Osservando un bel quadro, leggendo un bel libro o ascoltando un brano musicale, l’uomo dimentica se stesso e il proprio dolore. Tutto questo è possibile perché l’arte è contemplazione, conoscenza disinteressata. Un posto importante nella sua filosofia occupa la musica. Sebbene l’arte sia importante perché ci affranca dalle liberazioni della vita quotidiana, il suo effetto è limitato nel tempo e dunque non ci sottrae in modo definitivo dalla catena del dolore. 2. Una liberazione più duratura dai mali della vita può invece derivare dalla morale. La morale, a differenza dell’esperienza artistica non si limita alla contemplazione disinteressata e individuale di un mondo ideale, ma implica un impegno pratico a favore del prossimo. Nella morale, infatti, l’uomo supera il principio di individuazione. Un grado più alto del processo di liberazione dal dolore, si ottiene però solo attraverso l’ascesi. Prof.ssa Lucia Lupia- Liceo Artistico KR- a.s. 2016/17 3. L’ascesi si realizza attraverso l’esercizio della noluntas, cioè la negazione radicale della volontà. Dal momento che la fondamentale manifestazione della volontà di vivere è rappresentata dall’istinto della generazione, l’uomo deve innanzitutto raggiungere uno stato di perfetta castità: deve quindi rinunciare ai piaceri e praticare l’umiltà, il digiuno, la povertà, il sacrificio e la rassegnazione. Le prescrizioni di S appaiono simili a quelle della tradizione mistica cristiana. In realtà le due prospettive sono molto diverse: nel cristianesimo, l’ascesi ha come obiettivo l’unione con Dio, in S invece la redenzione finale viene riconosciuta nella conquista del nirvana, cioè nell’esperienza del nulla. Il nulla di cui parla S è la negazione del mondo, l’estinzione della volontà di vivere che è in noi. Per colui che riesce a raggiungere questo stadio finale, il nulla o nirvana, non è morte, ma la conquista del tutto, un oceano di serenità. NOTA BENE: Il "vero" mondo si nasconde agli occhi dell'uomo. Il mondo vero si trova proprio dietro un velo. Questo velo è appunto il "velo di maya". Schopenhauer afferma che la vita è un sogno. Il reale si nasconde sotto il velo di maya. Perché Schopenhauer lo chiama il "velo di maya"? Il nome "velo di maya" deriva della cultura orientale. La religione orientale, in particolare, ne influenza il nome Il "velo di maya" deriva infatti dalla cultura induista. L'uso che ne fa Schopenhauer è però molto diverso dal significato originale della cultura induista. Per Schopenhauer il velo di maya rappresenta ciò che nasconde la realtà delle cose. Schopenhauer afferma che bisogna strappare via questo velo. Solo in questo modo l'uomo potrà conoscere il mondo. Il velo va strappato tramite le tre vie di redenzione dal dolore. Si tratta delle tre strade che possono sconfiggere il dolore e l'ignoranza dell'uomo. Esse sono l'arte, la pietà e l'ascesi. Secondo Schopenhauer la vita dell'uomo è infatti come un pendolo che oscilla tra la noia e il dolore. Prof.ssa Lucia Lupia- Liceo Artistico KR- a.s. 2016/17