Recensione a cura
dell' Ing. Antonio Salmeri sul libro
di Flavia Marcacci
Alle origini dell'assiomatica: gli Eleati, Aristotele, Euclide
Probabilmente senza l’idea di “dimostrazione” e di “dimostrazione assiomatica” non sarebbe mai
esistita la matematica così come la si intende comunemente. Chiedersi come sia nata questa idea,
quale sia stata la sua storia e le sue vicende alle origini è quanto viene fatto da Flavia Marcacci nel
libro che stiamo presentando.
Limitandosi ad indagarne le prime origini greche, Marcacci va ad esplorare argomenti consueti
della antica scienza matematica ed argomenti nuovi: accanto ai matematici più noti come Ippocrate
e gli Accademici, scopriamo presenze meno usuali come Parmenide e Melisso, in un intreccio di
matematica e filosofia che ancora non era stato troppo esplorato in questa prospettiva. Vediamo così
nascere l’idea stessa di “dimostrazione”, con la pretesa del raggiungimento della “certezza”, dal
panorama della polymathia, della retorica e della poesia.
Ma l’atto di nascita più autorevole viene sancito da Aristotele negli Analitici , opera dedicata alla
descrizione di un sistema assiomatico, l’unico capace di restituirci ragionamenti certi. E
chiaramente la scienza che in assoluto può adeguarsi comodamente a questo modello è la
matematica.
L’opera aristotelica viene riletta con i mezzi della logica formale moderna, gettando luce su aspetti
forse poco evidenziati o poco consueti, ma capaci di descrivere la logica aristotelica come una vera
e propria ontologia formale: è questa l’ontologia (formalizzata) che presenzia la valutazione
dell’ente matematico nello Stagirita, fortemente ancorato ad un orizzonte metafisico. In questo
modo quello di Aristotele viene ad essere un sistema “aperto”: perché gli assiomi del sistema
vogliono rimandare alle essenze che fanno conoscere la realtà, in un processo che resta sempre
perfettibile e mai concluso. Estremamente interessante in questa direzione la valutazione dei mondi
matematici “ipotetici” in Aristotele, che a tratti sembra considerare l’eventualità di geometrie “noneuclidee” (prendendo a prestito un anacronismo) e che però vengono poi rifiutate perché non
“adeguate” alla realtà.
«Sarà Euclide, il matematico, a tagliar via quel richiamo all’essenza che nel filosofo delle Cause
svolge un ruolo preminente: perché ad Euclide interessa sistemare i risultati di chi lo ha proceduto
ed aggiungere i suoi in maniera rigorosa ed ordinata. Rendere autonoma la matematica, in una
parola, e “chiudere” il sistema» (p. 11, dalla presentazione di Gianfranco Basti). Così vengono
ripercorsi i libri degli Elementi, recuperando con maggiore attenzione i tratti in cui il sistema
assiomatico si avvicina a quello aristotelico. Ne esce così un Euclide molto meno “platonico” di
quanto si poteva pensare, come in generale la critica degli ultimi decenni è ormai disposta ad
ammettere ma che ha però forse lasciato troppo poco dimostrato.
Da qui in avanti la storia è di certo più conosciuta, e vede trionfare l’assiomatica euclidea, fino alla
necessità di ripensarla ed adeguarla a sistemi ipotetico-deduttivi alla Hilbert. Resta da chiedersi
quante delle domande che animarono le origini di questa vicenda sono state eluse o hanno trovato
risposta: ripercorrere queste domande è di certo uno stimolo per chi ha fatto della matematica una
professione.