INDICE
 La divisione del lavoro sociale (1893)
 Le regole del metodo sociologico (1895)
 Le forme elementari della vita religiosa (1912)
 Sociologia e filosofia (1896-1911)
 La sociologia e l’educazione (postumo)
 Il socialismo (postumo)
 Il crimine, fenomeno normale
 Anomia
La divisione del lavoro sociale
Questo è il primo libro di Durkheim e precisamente è la sua tesi di dottorato. Il tema caratterizzante
questo libro è il tema centrale del suo pensiero, quello della relazione tra gli individui e la
collettività.
Divisione del lavoro che non è quella tecnica vista da Smith ma una divisione sociale, cioè una
divisione in classi con funzioni specifiche in collaborazione tra loro. Nessuno è più autosufficiente
tutti hanno bisogno di offrire la loro specializzazione in cambio delle altre necessarie al
sostentamento. La macchina della società è dunque indispensabile alla collaborazione fra uomini,
alla loro unità. Se i valori scambiati non si bilanciano vuol dire che è necessario l’intervento di una
forza estranea, di una pressione che viene esercitata dalla società. Solo l’assoluta uguaglianza delle
condizioni esterne potrebbe evitare tale pressione o costrizione, uguaglianza che è una uguaglianza
di opportunità: tutti gli uomini devono poter correre nella gara sociale muovendosi dallo stesso
nastro di partenza in modo da andare ad occupare nella griglia sociale il posto corrispondente alle
loro facoltà. Il compito della società, se le si vuole attribuire una funzione regolatrice, è quello di
superare le ineguaglianze naturali per pervenire ad un’eguaglianza artificiale in cui a tutti sia dato
modo di partecipare attivamente. All’aumento della divisione e della specializzazione corrisponde
la necessità di una collaborazione più fitta. Nessun individuo può più vivere separatamente come
nelle società semplici. Qui sta il paradosso: la massima divisione del lavoro, a cui corrisponde la
massima divisione in classi, porta alla massima solidarietà fra disuguali piuttosto che al conflitto.
Ma tutto ciò non fa altro che portare alla luce un problema che anche Marx aveva sottovalutato e
cioè che nella divisione tecnica del lavoro sono implicite la coercizione e l’alienazione, per cui le
radici della disuguaglianza derivano proprio da essa e non solo dalla proprietà privata o da
differenze naturali. La soluzione del problema va dunque aldilà della semplice abolizione della
proprietà privata come predicato da Marx..
La costituzione della società come organismo basato sul consenso è spiegata dall’autore tramite la
distinzione tra due forme di solidarietà:
- la solidarietà meccanica che è basata sulla somiglianza, nel senso che quando questa domina in
una società, gli individui differiscono poco gli uni dagli altri perché provano gli stessi sentimenti e
accettano gli stessi valori. La coscienza collettiva corrisponde alle coscienze individuali e
l’esistenza è governata da imperativi e divieti sociali la cui trasgressione è punita con forte rigore;
- la solidarietà organica è quella nella quale il consenso si esprime con la differenziazione, gli
individui non sono più simili, ma differenti e proprio in base a tale diversità si realizza il consenso.
L’aggettivo organica dipende dall’analogia con gli organi degli esseri viventi che, assolvendo
ciascuno ad una funzione e non rassomigliandosi, sono allo stesso modo indispensabili alla vita.
Le regole del metodo sociologico
La sociologia così come la concepisce Durkheim è lo studio dei fatti essenzialmente sociali e la loro
spiegazione in forma sociologica. Il primo scopo dell’autore è quello di dimostrare che deve esistere
una sociologia che sia una scienza oggettiva, in conformità al modello delle altre scienze, il cui
oggetto sarebbe il fatto sociale che deve essere specifico e deve poter essere osservato e spiegato
allo stesso modo che i fatti di tutte le altre scienze. Inoltre i fatti sociali devono essere osservati
dall’esterno, scoprendoli così come vengono scoperti i fatti fisici. I metodi usati in sociologia
secondo Durkheim presentano tutti il medesimo difetto che consisterebbe nella falsa idea che i
fenomeni sociali possono essere compresi partendo dal significato che prestiamo loro
spontaneamente mentre il loro vero significato può essere scoperto soltanto da un’esplorazione di
tipo oggettivo e scientifico.
Da qui passiamo ad una seconda interpretazione: “E’ fatto sociale qualsiasi modo di fare, stabilito
o no, suscettibile di esercitare sull’individuo una costrizione esterna”. Vi è costrizione, per
esempio, quando in un’assemblea o in una folla, un sentimento si impone a tutti. Parimenti la moda
è un fenomeno sociale: ognuno si abbiglia in un certo modo perché gli altri fanno lo stesso.
All’origine della moda non c’è l’individuo, vi è la società stessa che si esprime con queste
obbligazioni implicite e diffuse. Lo stesso vale per le istituzioni educative e le credenze che hanno
anch’esse la caratteristica di essere date al di fuori di ognuno e di imporsi a tutti. La costrizione è
solamente il carattere esterno che permette di riconoscere i fatti sociali non la loro mera essenza.
L’opera volge quindi ai problemi di definizione e classificazione dei fenomeni sociali. Secondo
Durkheim, ogni categoria di fatti è riconducibile ad una causa se ad esempio vi sono diverse cause
di reati è perché esistono più categorie o tipi di reati. La formazione delle categorie avviene
attraverso una prima definizione dei fenomeni in base ai loro caratteri esterni e il successivo
raggruppamento secondo quelli che hanno in comune. Con questo metodo vengono classificate pure
le società. Tale classificazione è fondata sul principio che le società differiscono tra loro per il
diverso grado di complessità. L’aggregato più semplice è quello che Durkheim chiama orda,
seguito dal clan che è costituito da più famiglie. Per classificare le altre società basta applicare lo
stesso criterio che permette di determinare la natura di ogni società senza riferirsi alle fasi storiche.
La società è una realtà distinta dalle realtà individuali poiché il fatto sociale è creato
dall’associazione degli individui e differisce da ciò che avviene a livello delle coscienze individuali.
Le forme elementari della vita religiosa
La società che favorisce lo sviluppo dell’individualismo e del razionalismo ha bisogno di credenze
comuni che non possono più essere fornite dalla religione tradizionale perché questa non risponde
alle esigenze dello spirito scientifico. La scienza non ricrea la religione, ma ha fiducia nelle capacità
delle società di darsi in ogni epoca gli dei di cui ha bisogno.
L’essenza della religione consiste nella divisione del mondo in fenomeni sacri e profani e non
strettamente nella credenza di un dio trascendente. Il sacro è composto da un insieme di cose,
credenze e riti corrispondenti. La nozione di chiesa serve poi a distinguere la religione dalla magia
che non comporta il consenso dei fedeli in una chiesa. Lo scopo della teoria della religione
durkheimiana è di fondare la realtà dell’oggetto della fede senza ammettere il contenuto intellettuale
delle religioni tradizionali. Queste ultime sono condannate dallo sviluppo del razionalismo
scientifico anche se è questo che permette di salvarle dimostrando come gli uomini non hanno
adorato altro che la loro stessa società.
Nell’opera Durkheim analizza una religione semplice, il totemismo, attraverso i concetti di clan e
totem. Il clan è un raggruppamento umano che esprime la sua identità riallacciandosi a una pianta o
a un animale attraverso la venerazione di una loro rappresentazione, il totem. Gli oggetti totemici
provocano atteggiamenti tipici della sfera religiosa che sfociano in pratiche di astensione o pratiche
positive, i cosiddetti riti. Il totemismo clanico è storicamente anteriore a quello individuale ciò
perché il sacro è una forza tratta dalla collettività stessa e superiore a tutti gli individui. Esso è una
forza anonima e impersonale che si trova in ogni essere umano ma nessuno la possiede tutta intera.
Questa forza sopravvive agli individui, resta sempre attuale e anima la generazione odierna come ha
animato quella di ieri e come animerà quella di domani. Ma è la società che risveglia il sentimento
del divino e favorisce il sorgere delle credenze quando si trova in uno stato di esaltazione dato dalla
comunione reciproca, dalle cerimonie e cioè dalle attività collettive che rendono partecipe ogni
individuo della forza del gruppo. E’ così che gli uomini sviluppano un senso di attaccamento
fanatico al gruppo a cui appartengono consacrandosi a esso.
Sociologia e filosofia
Questo libro riunisce tre saggi di Durkheim: Rappresentazioni individuali e rappresentazioni
collettive del 1898, Determinazione del fatto morale del 1906 e Giudizi di realtà e giudizi di valore
del 1911. Sono qui espressi pregnantemente alcuni dei temi essenziali del suo pensiero. Innanzitutto
la sua concezione dell’uomo e dell’umanità che in quanto tale è strettamente connessa alla società
come condizione essenziale al suo sviluppo. Ciò è possibile anche perché l’uomo è dotato di
capacità quali il linguaggio, la comprensione e la comunicazione che permettono alle società umane
di distinguersi da quelle animali ma comportano necessariamente una dimensione sociale. Da qui si
arriva alla conclusione che i fatti umani presentano un aspetto sociale ma il loro significato deriva
essenzialmente da esso. Ciò vale soprattutto per la morale può esistere solo se la società è carica di
un valore superiore agli individui. Infatti se esiste un sistema di doveri e di obblighi è necessario
che la società sia una persona morale qualitativamente distinta dalle persone individuali. Tale realtà
superiore non può essere che Dio o la società, fra le quali non c’è differenza visto che la religione
non è altro che l’adorazione della società trasfigurata. Per Durkheim un atto morale è tale se ha per
oggetto una persona diversa dall’agente e cioè quando ci si distacca da sé per dedicarsi a un altro.
La sociologia e l’educazione
Durkheim come specialista in problemi dell’educazione è una figura ambivalente: per certi versi
conservatore per altri innovatore. E’ un uomo che esprime la scienza dell’educazione in funzione di
un preciso momento dello sviluppo della società borghese legata alla rivoluzione industriale.
Lo studio e l’approfondimento dei temi della pedagogia e della sociologia dell’educazione è stato
tutt’altro che marginale anche perché egli insegnò oltre che sociologia anche pedagogia alla Facoltà
di Lettere di Bordeaux dal 1887 al 1902. L’educazione “ è l’azione esercitata dalle generazioni
adulte su quelle non ancora mature per la vita sociale. Ha per fine suscitare e sviluppare nel
bambino un certo numero di condizioni fisiche, intellettuali e morali che reclamano da lui, sia la
società politica nel suo insieme, sia l'ambiente particolare cui è specificamente destinato “.
Per Durkheim quando si parla di educazione anzitutto si considerano i valori di una civiltà, le sue
credenze, i fini da perseguire, la sua cultura e via dicendo; in secondo luogo vi è la sociologia che li
spiega, li chiarisce e aiuta la pedagogia a costruire le sue teorie; infine la psicologia individua i
mezzi e suggerisce la via più immediata per raggiungere gli scopi prefissati.
Alla base della nostra civiltà vi sono infatti alcuni principi che, implicitamente o esplicitamente,
sono comuni a tutti, compito dello stato è porli in evidenza farli insegnare nelle scuole “ vegliare
affinché nessuno li lasci ignoti ai bambini, affinché ovunque se ne parli con il dovuto rispetto ”.
Formalmente il concetto di educazione diventa relativo e innovativo in quanto il tipo di educazione
varia secondo le società. Essa si orienta secondo criteri che derivano dai costumi e dalle idee
proprie di una società e quindi dalla sua filosofia, dall’organizzazione politica e dal grado di
sviluppo delle scienze. La pedagogia e l’educazione devono promuovere il <<bene>> e il
<<dovere>>. L’educazione morale fondamento della pedagogia deve iniziare il fanciullo al dovere,
orientarlo verso ciascuna delle virtù morali che la società riconosce come proprie. Questo è un
ideale morale, non più individuale ma di civiltà.
Il socialismo
Durkheim dettò sotto forma di lezioni le sue riflessioni ed i suoi studi sul socialismo durante un
corso da lui tenuto alla Facoltà di Lettere di Bordeaux dal novembre del 1895 al maggio del 1896.
Egli non fu mai di dedizione al socialismo militante soprattutto a causa della predicazione della
lotta di classe, però aveva simpatia per il contenuto morale ed intellettuale del socialismo come
espressione del “problema sociale”.
Analizza tre tipi fondamentali di definizioni del socialismo:
1. come negazione pura e semplice della proprietà privata;
2. come filosofia economica dell’individuo alla società;
3. come filosofia economica delle classi lavoratrici.
Il socialismo infatti veniva proposto e discusso secondo diversi punti di vista e “denominazioni”.
Tra questa ricchezza di elementi di analisi e di giudizio Durkheim sceglie appunto il pensiero delle
dottrine socialiste e vi distingue le teorie sociali scientifiche da quelle pratiche e cioè quelle che si
propongono non leggi ma riforme nel senso di trasformazioni. “Il socialismo aspira ad una
trasformazione completa dell’ordine sociale”, trasformazione che ha le sue radici nella dimensione
economica. Quest'ultima tuttavia non è sufficiente alla caratterizzazione dell’intento del socialismo
dal momento che molti gruppi propongono delle riforme economiche. Si devono allora ricercare
altre trasformazioni più appropriate e tipiche ma sempre collegate a quelle economiche. In questo
modo Durkheim perviene a connettere l’economico con il sociale, la dimensione economica con la
società e cioè l’economia con la sua funzione sociale. Egli si oppone a due punti essenziali della
dottrina marxista pur essendo un socialista: in primo luogo non crede alla validità dei mezzi violenti
e si rifiuta di considerare la lotta di classe come la molla del movimento storico. I conflitti tra operai
ed imprenditori secondo lui sono la prova di una mancanza di organizzazione che deve essere
corretta.
Il socialismo durkheimiano si riassume in due parole: organizzazione e moralizzazione. Esso è
infatti un’organizzazione migliore, più consapevole della vita collettiva, che ha come oggetto
l’integrazione di individui in quadri sociali o comunità dotate di autorità morale e in grado di
assolvere una funzione educativa. Ha per scopo la creazione di gruppi professionali e non il
cambiamento della forma di proprietà e per questo è legato alla sociologia. Quest’ultima, studiando
obiettivamente e scientificamente la realtà sociale, si interessa al movimento socialista rendendo
ragione del suo significato storico e suggerendo le riforme grazie alle quali esso si esprimerà in
nuove istituzioni.
Il crimine, fenomeno normale
Durkheim e dopo di lui gli scienziati sociali sottolineano che la devianza è un fenomeno normale
della società umana, l'analisi della devianza e delle reazioni ad essa costituisce un elemento
necessario e funzionale alla definizione dei confini sociali e all'espressione della solidarietà sociale.
Non esiste un fenomeno che presenti in maniera più inconfutabile tutti i sintomi della normalità
quanto il crimine, esso è strettamente legato alle condizioni fondamentali di qualsiasi vita collettiva,
condizioni indispensabili all’evoluzione normale del diritto e della morale. Questi variano da un
tipo sociale ad un altro e cambiano anche all’interno dello stesso tipo se si modificano le condizioni
sociali stesse. Il delitto però può avere delle forme di anormali quando il tasso di criminalità supera
un certo livello impossibile da fissare perché varia al variare delle società, dei costumi e dei valori.
Ad esempio un tempo erano più frequenti le violenze contro le persone perché il rispetto per la
dignità individuale era più debole, essendo ora questo aumentato tal genere di delitti è diventato più
rado. La mancanza di criminalità è indice della rigidità di un sistema sociale, della mancanza di
ricambio di un’autorità immutabile della coscienza morale. Affinché una società possa evolvere è
necessario che l’originalità individuale abbia libero corso. Per potersi manifestare l’originalità
dell’idealista che sogna di superare il suo secolo bisogna che quella del criminale sia possibile.
Questa non è altro che un’anticipazione della morale dell’avvenire. Sono molti gli esempi citabili
come quello di Socrate che secondo il diritto ateniese era un deviante perché predicava
l’indipendenza del pensiero per la preparazione di una morale e di una fede nuova che ristabilissero
un equilibrio all’interno della società ateniese. La libertà di pensare di cui noi godiamo attualmente
non avrebbe mai potuto essere proclamata se le regole che la vietavano non fossero state violate
prima della loro abrogazione. Allora però erano dei delitti perché offendevano i sentimenti della
generalità delle coscienze, delitti utili, però, in quanto preludio a trasformazioni necessarie.
Anomia
A Durkheim appartiene la prima compiuta definizione del concetto di Anomia come situazione di
crisi del sistema di norme e valori capaci di garantire la coesione di un aggregato sociale. Una crisi
a cui sarebbero esposte soprattutto le moderne società industriali caratterizzate da un’accentuata
divisione del lavoro e specializzazione delle funzioni. La sua argomentazione in proposito è molto
profonda e pregnante.
Secondo Durkheim qualsiasi essere vivente non può sopravvivere se i suoi bisogni non sono
sufficientemente in rapporto con i mezzi di cui dispone, infatti se questi esigono più di quanto loro
accordato si troveranno in uno stato di permanente irritazione e non potranno funzionare senza
sofferenza, per questo tenderanno a non riprodursi. Nel caso dell’animale questo equilibrio si
stabilisce con una spontaneità automatica dato che dipende da condizioni materiali e la sua
riflessione non tende a immaginare altri fini oltre quelli impliciti nella sua natura fisica. Lo stesso
non vale per l’uomo la cui riflessione fa intravedere condizioni migliori che appaiono come dei fini
e sollecitano l’attività. Né nella costituzione organica né in quella psicologica dell’uomo si riesce a
trovare un limite a tali propensioni ma se niente finisce per contenerla dall’esterno, la nostra
sensibilità non può essere per se stessa che una fonte di tormenti. Voler perseguire un fine
inaccessibile significa dunque condannarsi ad un perpetuo stato di scontento. E’ necessario che le
passioni siano limitate perché soltanto così possono armonizzarsi con le facoltà e quindi essere
soddisfatte ma poiché l’uomo di per se stesso non riesce a porsi un limite, è necessaria una forza
imposta dall’esterno che regoli i bisogni morali come l’organismo fa con quelli fisici. Questa forza
è anch’essa morale e viene esercitata da un’autorità che l’uomo rispetta e a cui ubbidisce
spontaneamente: la società. Essa produce una vera e propria regolamentazione che, pur non avendo
sempre una forma giuridica, fissa il massimo agio che ciascuna classe della società può cercare di
conseguire. Tale regolamentazione varia al mutare della società per cui tale determinazione non ha
nulla di rigido né di assoluto in quanto all’interno di tali limiti i desideri possono muoversi
liberamente. Ciò procura il piacere di vivere e di esistere che è caratteristico della salute ma il
lavoratore non sarebbe in armonia con la sua situazione sociale se non è convinto proprio di
possedere ciò che gli è dovuto. Da questo nasce il bisogno di una ulteriore regolamentazione che
stabilisca il modo in cui le diverse condizioni debbono essere accessibili agli individui. Durkheim si
abbandona alla critica del sistema ereditario che non permette una condizione di eguaglianza per la
quale tutti entrerebbero nella vita con le stesse risorse e che eviterebbe la costrizione sociale. Da
precisare che tale costrizione non è imposta tramite la violenza ma perviene da una coscienza
superiore a quella dell’individuo che è la società. Quando quest’ultima però è in agitazione, diviene
incapace di esercitare le sue funzioni ed è in tale momento che avvengono delle brusche ascensioni
della curva dei suicidi. Alcuni individui vengono a trovarsi in una posizione inferiore a quella che
occupavano originariamente, per cui viene su loro esercitata una pressione superiore al
contenimento tale da rendere intollerabile la condizione in cui si trovano. Ciò accade anche per chi
nel sovvertimento delle gerarchie si trovi in una posizione molto più favorevole della precedente.
Lo stato di sregolatezza o d’anomia è rafforzato per il fatto che le passioni sono meno disciplinate
proprio quando ne avrebbero avuto più necessità. La lotta con se stessi e fra tutte le classi diventa
più aspra e dolorosa perché non vi sono regole né gerarchie. Si affievolisce così la volontà di vivere.
Tutto ciò avviene nelle società ricche ed industrializzate perché non si è abituati alla moderazione a
cui sono costretti i paesi poveri che per questo sono protetti dal suicidio.