18 L AVO RO O R I G I N A L E Riduzione incruenta per la lussazione di spalla La lussazione anteriore di spalla è molto frequente e può verificarsi sia per trauma diretto che indiretto. La dislocazione scapoloomerale rappresenta più del 60% di tutte le lesioni traumatiche e il 95% di queste dislocazioni sono antero-inferiori. I meccanismi patogenetici responsabili di tale lesione sono costituiti da: trauma diretto a livello della spalla; caduta sul braccio in abduzione. In questa posizione al momento della caduta si osserva un’espulsione della testa in avanti con lesione del bordo anteriore della glena e del cercine; rotazione forzata all’esterno con braccio in abduzione; iperestensione sul braccio in abduzione. La traslazione anteriore della testa lede prima la capsula e, poi, stacca il cercine dall’inserzione ossea. Le lussazioni di spalla possono essere classificate in anteriori e posteriori. In particolare le lesioni anteriori possono essere: sottocoracoidea; sottoglenoidea; intracoracoidea; sotto clavicolare; sopracoracoidea. Le lesioni posteriori possono essere invece: sotto acromiale; sotto spinosa. Il trattamento delle lussazioni anteriori della scapolo-omerale, avvenute in un breve delta temporale, è quasi sempre incruento e si avvale di metodiche già codificate che ne permettono la perfetta riduzione. Essa viene solitamente attuata in narcosi, onde abolire le contratture muscolari riflesse che fissano la testa omerale nella sede anomala. Questa patologia può, quindi, essere trattata con diversi tipi di riduzione tra cui ricordiamo: la sola trazione descritta da Stimson; la manovra di Kocher; il metodo ippocratico; la tecnica di Cooper e Milch. Il metodo di Stimson prevede il posizionamento del paziente in posizione prona. La trazione è garantita da un leggero peso applicato al polso. La manovra di Kocher è stata descritta per la prima volta nel 1869 e non prevede il ricorso alla trazione. Tale manovra prevede, invece, che il paziente venga posto con il braccio a contatto con il corpo e con il gomito flesso. L’operatore deve procedere con una rotazione esterna fino a quando non incontra resistenza. Segue, poi, l’elevazione sul piano saggittale sempre fino ad incontrare resistenza. Si prosegue con una leggera rotazione interna. La tecnica di Kocher è stata accettata come metodo di riduzione fino al 1927 quando Roux affermò che tale tecnica aveva successo solo in caso di lussazione subcoracoide. In seguito è stata spesso modificata nel tentativo di aumentare il numero dei succesi e ridurre le complicanze. Nel 1883 Jersey affermò la necessità di aggiungere la trazione a tale manovra. La manovra di Ippocrate viene attuata a paziente supino sul letto; l’operatore traziona l’arto superiore in basso, imprimendo leggeri movimenti di abduzione e adduzione, mentre con il calcagno spinge la testa omerale nella sede. Nel 1825 Cooper descrisse una manovra in cui il massimo livello di rilassamento muscolare è raggiunto nella “posizione zero”, così definita da Soha. Tali manovre non prevedono, però, un approccio filsiologico e a causa delle violente forze applicate sono spesso associate a complicanze. Tra le possibili complicanze ricordiamo le lesioni capsulari, legamentose, vascolari e nervose. UNA METODICA ALTERNATIVA DI RIDUZIONE DELLA LUSSAZIONE Una metodica alternativa, che non ha pretese di essere considerata al pari delle precedenti, non ancora codificata e qui esposta solo sul piano teorico può essere la seguente. Il paziente viene sottoposto a un accurato esame clinico per verificare l’eventuale presenza di lesio- ni neuro-muscolari periferiche. In seguito si pone diagnosi di lussazione anteriore di spalla tramite l’indagine radiografica eseguita nelle proiezione antero-posteriore e laterale. Accertata la natura della lussazione ed esclusa la presenza di fratture ossee a livello omerale e del cingolo scapolare si procede con la manovra riduttiva. Il paziente viene fatto sedere all’estremità inferiore del lettino mente il medico si posiziona lateralmente al fianco del malato all’altezza della spalla lussata. Successivamente si somministra una dose di antidolorifico (spesso indispensabile), mentre non si ritiene opportuno l’uso di anestetici. Il paziente viene informato attentamente riguardo i vari passaggi della procedura in modo da ottenere il massimo rilassamento muscolare e la migliore collaborazione. Inizialmente pone il gomito flesso a 90° mentre la spalla è abdotta di circa 45°. Il medico pone il proprio avambraccio sotto l’ascella lesionata mentre afferra con la mano il polso del paziente omolaterale alla lesione. La sua mano libera viene posta a livello del gomito del paziente, dove si applica un leggera trazione in senso caudale. Un secondo operatore pone una mano a livello della spalla in modo da bloccare l’articolazione acromio-clavicolare e impedire la risalita dell’articolazione stessa; a questo punto il medico esercita una forza, tramite il proprio avambraccio, diretta contro l’ascella in direzione antero-rostrale mentre con le mani poste a livello del polso e del gomito extraruota la spalla trazionando verso l’esterno il braccio del paziente, riducendo così la lussazione. Ancora ampiamente aperta al dibattito, appare sul piano teorico una manovra efficace e sicura se eseguita da mani esperte. Severe complicanze sono riportate nelle riduzioni di spalla soprattutto nei pazienti anziani. Tra le principali si ricordano cambiamenti degenerativi nei vasi che possono essere suscettibili a ripetuti eventi trombotici; tramite la manovra di Kocher sono state descritte riscontrare frattura della testa omerale in pazienti osteoporotici, lesioni ai vasi e nervi della capsula articolare. L’utilizzo della Stimson richiede una maggiore collaborazione da parte del paziente e un maggior sforzo da parte dell’operatore. Il metodo ippocratico può causare lesioni vascolonervose così come danni ai legamenti della spalla quando viene eseguito con eccessiva forza o non correttamente. Questa nuova metodica proposta vede in sé alcuni possibili vantaggi: rapida velocità di esecuzione calcolata in un tempo compreso tra i 5 e 15 secondi, massima fisiologia dei movimenti con minimo traumatismo dei tessuti, senza riscontri negativi per pazienti con massa muscolare elevata o per soggetti di età avanzata. Il non utilizzo di procedure anestesiologiche, facilita l’esecuzione della manovra grazie anche alla collaborazione attiva del malato. Tale tecnica presenta inoltre il vantaggio di poter essere effettuata anche da un singolo operatore. In conclusione, senza nulla togliere alle manovre descritte e codificate in passato, che hanno riportato ottimi risultati sia in letteratura che “sul campo”, vogliamo solo suggerire come la medicina in continua evoluzione possa anche essere applicata in campi già noti: spingendo avanti la ricerca non solo verso nuove procedure ma anche rivalutando e mettendo in discussione procedure affermate da anni. Lorenzo Castellani Matteo Laccisaglia Osteocondrite dissecante del ginocchio Ascesso di Brodie L’osteocondrite dissecante del ginocchio si può definire come un processo patologico che vede come risultato finale il distacco (quasi sempre parziale) di una cartilagine articolare. Quasi tutte le articolazioni possono essere interessate da questa problematica, ma esiste una netta predominanza a livello dei condili femorali. La diagnosi, oltre che basarsi sui segni clinici (pochi e non specifici) trova nella risonanza magnetica il gold standar per lo studio della patologia. Uno stretto follow-up porta quasi sempre a una corretta e completa guarigione, in particolare nei soggetti in accrescimento. In pazienti giunti alla completa maturità ossea su può invece assistere a complicazioni, portando la patologia verso una degenerazione periartrosica. anche di immobilità. La combinazione di questi due fattori, attraverso l’impiego di tutori per circa 8-10 settimane, può portare a guarigione della sintomatologia e al ripristino di una corretta superficie articolare. In caso di persistenza della sintomatologia e/o di instabilità del frammento (valutato tramite risonanza magnetica di controllo) è necessario ricorrere all’approccio chirurgico. Il trattamento varia a seconda del grado di instabilità del frammento. Per frammenti stabili, con persistenza della sintomatologia, perforazione e/o condroabrasione artroscopia della cartilagine possono portare a completa guarigione. In caso di instabilità marcata del frammento è necessario un vero e proprio fissaggio con mezzi di sintesi (fili di kirshner, viti canulate o altro), che potranno essere rimossi a distanza di 6-8 settimane. A tutt’oggi esiste un forte dibattito su quale sia la tecnica migliore da impiegare a seconda dei casi e soprattutto su come poter gestire il “potenziale” insito nel trapianto di condrociti. Risultati in corso, e trial clinici da definire faranno chiarezza su come sarà possibile poter ripristinare una superficie cartilaginea integra e meccanicamente funzionante. Descritto come una forma di osteomielite cronica, l’ascesso di Brodie, è caratteristico dell’età infantile adolescenziale. Presenta come sede di elezione la metafisi delle ossa lunghe e trova la sua causa principale nel trasposto attraverso il sangue di agenti infettanti. Si presenta come una cavità osteolitica ben definita, a margini netti di forma spesso ovalare o rotondeggiante. L’osso circostante la lesione, attraverso una reazione para fisiologica, diventa maggiormente compatto (tentativo di aumentare la resistenza meccanica) e può manifestare una reazione periostale. Il primo sintomo è sicuramente il dolore locale, caratterizzato da un andamento intermittente con possibile tumefazione e ipertermia cutanea locale. Gli esami ematici non sono patognomonici: è possibile notare un leggero rialzo della VES accompagnato da modesta leucocitosi. La diagnosi, o meglio il sospetto diagnostico, deve essere posto confrontando la clinica con le immagini radiografiche (che fondamentalmente rispecchiano il quadro tipico descritto in precedenza). Il trattamento è sostanzialmente chirurgico: curettage e pulizia della lesione. I risultati sono ottimi sia da un punto di vista clinico che funzionale. Lorenzo Castellani, Matteo Laccisaglia Lorenzo Castellani, Matteo Laccisaglia QUALE TRATTAMENTO? La terapia consiste nel trattamento non cruento (ove possibile) o nel ricorso alla chirurgia per il ripristino della cartilagine articolare e risoluzione della sintomatologia. Il trattamento conservativo consiste principalmente nel mantenere l’articolazione in scarico assoluto e, nel periodo di maggior espressione della sintomatologia,