Riduzione incruenta per la lussazione di spalla

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L AVO RO O R I G I N A L E
Riduzione incruenta
per la lussazione di spalla
La lussazione anteriore di
spalla è molto frequente e
può verificarsi sia per trauma diretto che indiretto.
La dislocazione scapoloomerale rappresenta più
del 60% di tutte le lesioni
traumatiche e il 95% di
queste dislocazioni sono
antero-inferiori.
I meccanismi patogenetici
responsabili di tale lesione
sono costituiti da:
trauma diretto a livello
della spalla;
caduta sul braccio in
abduzione. In questa posizione al momento della
caduta si osserva un’espulsione della testa in avanti
con lesione del bordo
anteriore della glena e del
cercine;
rotazione forzata all’esterno con braccio in
abduzione;
iperestensione sul braccio in abduzione. La traslazione anteriore della testa
lede prima la capsula e,
poi, stacca il cercine dall’inserzione ossea.
Le lussazioni di spalla possono essere classificate in
anteriori e posteriori.
In particolare le lesioni
anteriori possono essere:
sottocoracoidea;
sottoglenoidea;
intracoracoidea;
sotto clavicolare;
sopracoracoidea.
Le lesioni posteriori possono essere invece:
sotto acromiale;
sotto spinosa.
Il trattamento delle lussazioni anteriori della scapolo-omerale, avvenute in
un breve delta temporale,
è quasi sempre incruento e
si avvale di metodiche già
codificate che ne permettono la perfetta riduzione.
Essa viene solitamente
attuata in narcosi, onde
abolire le contratture
muscolari riflesse che fissano la testa omerale nella
sede anomala.
Questa patologia può,
quindi, essere trattata con
diversi tipi di riduzione tra
cui ricordiamo:
la sola trazione descritta
da Stimson;
la manovra di Kocher;
il metodo ippocratico;
la tecnica di Cooper e
Milch.
Il metodo di Stimson prevede il posizionamento del
paziente in posizione
prona. La trazione è garantita da un leggero peso
applicato al polso.
La manovra di Kocher è
stata descritta per la
prima volta nel 1869 e
non prevede il ricorso alla
trazione. Tale manovra
prevede, invece, che il
paziente venga posto con
il braccio a contatto con
il corpo e con il gomito
flesso. L’operatore deve
procedere con una rotazione esterna fino a quando non incontra resistenza. Segue, poi, l’elevazione sul piano saggittale
sempre fino ad incontrare
resistenza. Si prosegue
con una leggera rotazione
interna. La tecnica di
Kocher è stata accettata
come metodo di riduzione
fino al 1927 quando Roux
affermò che tale tecnica
aveva successo solo in
caso di lussazione subcoracoide. In seguito è stata
spesso modificata nel tentativo di aumentare il
numero dei succesi e
ridurre le complicanze.
Nel 1883 Jersey affermò la
necessità di aggiungere la
trazione a tale manovra.
La manovra di Ippocrate
viene attuata a paziente
supino sul letto; l’operatore traziona l’arto superiore
in basso, imprimendo leggeri movimenti di abduzione e adduzione, mentre
con il calcagno spinge la
testa omerale nella sede.
Nel 1825 Cooper descrisse
una manovra in cui il massimo livello di rilassamento muscolare è raggiunto
nella “posizione zero”, così
definita da Soha.
Tali manovre non prevedono, però, un approccio
filsiologico e a causa delle
violente forze applicate
sono spesso associate a
complicanze. Tra le possibili complicanze ricordiamo le lesioni capsulari,
legamentose, vascolari e
nervose.
UNA METODICA
ALTERNATIVA
DI RIDUZIONE
DELLA LUSSAZIONE
Una metodica alternativa,
che non ha pretese di essere considerata al pari delle
precedenti, non ancora
codificata e qui esposta
solo sul piano teorico può
essere la seguente.
Il paziente viene sottoposto a un accurato esame
clinico per verificare l’eventuale presenza di lesio-
ni neuro-muscolari periferiche.
In seguito si pone diagnosi
di lussazione anteriore di
spalla tramite l’indagine
radiografica eseguita nelle
proiezione antero-posteriore e laterale.
Accertata la natura della
lussazione ed esclusa la
presenza di fratture ossee a
livello omerale e del cingolo scapolare si procede
con la manovra riduttiva.
Il paziente viene fatto
sedere all’estremità inferiore del lettino mente il
medico si posiziona lateralmente al fianco del
malato all’altezza della
spalla lussata.
Successivamente si somministra una dose di antidolorifico (spesso indispensabile), mentre non si
ritiene opportuno l’uso di
anestetici.
Il paziente viene informato attentamente riguardo i
vari passaggi della procedura in modo da ottenere
il massimo rilassamento
muscolare e la migliore
collaborazione.
Inizialmente pone il gomito flesso a 90° mentre la
spalla è abdotta di circa
45°.
Il medico pone il proprio
avambraccio sotto l’ascella
lesionata mentre afferra
con la mano il polso del
paziente omolaterale alla
lesione.
La sua mano libera viene
posta a livello del gomito
del paziente, dove si applica un leggera trazione in
senso caudale.
Un secondo operatore
pone una mano a livello
della spalla in modo da
bloccare l’articolazione
acromio-clavicolare
e
impedire la risalita dell’articolazione stessa; a
questo punto il medico
esercita una forza, tramite
il proprio avambraccio,
diretta contro l’ascella in
direzione antero-rostrale
mentre con le mani poste
a livello del polso e del
gomito extraruota la spalla trazionando verso l’esterno il braccio del
paziente, riducendo così
la lussazione.
Ancora ampiamente aperta al dibattito, appare sul
piano teorico una manovra efficace e sicura se eseguita da mani esperte.
Severe complicanze sono
riportate nelle riduzioni di
spalla soprattutto nei
pazienti anziani.
Tra le principali si ricordano cambiamenti degenerativi nei vasi che possono
essere suscettibili a ripetuti eventi trombotici; tramite la manovra di Kocher
sono state descritte riscontrare frattura della testa
omerale in pazienti osteoporotici, lesioni ai vasi e
nervi della capsula articolare.
L’utilizzo della Stimson
richiede una maggiore collaborazione da parte del
paziente e un maggior sforzo da parte dell’operatore.
Il metodo ippocratico può
causare lesioni vascolonervose così come danni ai
legamenti della spalla
quando viene eseguito con
eccessiva forza o non correttamente.
Questa nuova metodica
proposta vede in sé alcuni
possibili vantaggi: rapida
velocità di esecuzione calcolata in un tempo compreso tra i 5 e 15 secondi,
massima fisiologia dei
movimenti con minimo
traumatismo dei tessuti,
senza riscontri negativi per
pazienti con massa muscolare elevata o per soggetti
di età avanzata.
Il non utilizzo di procedure
anestesiologiche, facilita
l’esecuzione della manovra
grazie anche alla collaborazione attiva del malato.
Tale tecnica presenta inoltre il vantaggio di poter
essere effettuata anche da
un singolo operatore.
In conclusione, senza
nulla togliere alle manovre descritte e codificate
in passato, che hanno
riportato ottimi risultati
sia in letteratura che “sul
campo”, vogliamo solo
suggerire come la medicina in continua evoluzione
possa anche essere applicata in campi già noti:
spingendo avanti la ricerca non solo verso nuove
procedure ma anche rivalutando e mettendo in
discussione
procedure
affermate da anni.
Lorenzo Castellani
Matteo Laccisaglia
Osteocondrite dissecante del ginocchio
Ascesso di Brodie
L’osteocondrite dissecante del ginocchio si può definire come un processo patologico che vede come risultato finale il distacco (quasi sempre parziale) di una cartilagine articolare.
Quasi tutte le articolazioni possono essere interessate
da questa problematica, ma esiste una netta predominanza a livello dei condili femorali.
La diagnosi, oltre che basarsi sui segni clinici (pochi e
non specifici) trova nella risonanza magnetica il gold
standar per lo studio della patologia.
Uno stretto follow-up porta quasi sempre a una corretta
e completa guarigione, in particolare nei soggetti in
accrescimento. In pazienti giunti alla completa maturità
ossea su può invece assistere a complicazioni, portando
la patologia verso una degenerazione periartrosica.
anche di immobilità. La combinazione di questi due
fattori, attraverso l’impiego di tutori per circa 8-10 settimane, può portare a guarigione della sintomatologia
e al ripristino di una corretta superficie articolare.
In caso di persistenza della sintomatologia e/o di instabilità del frammento (valutato tramite risonanza
magnetica di controllo) è necessario ricorrere all’approccio chirurgico. Il trattamento varia a seconda del
grado di instabilità del frammento. Per frammenti stabili, con persistenza della sintomatologia, perforazione
e/o condroabrasione artroscopia della cartilagine possono portare a completa guarigione. In caso di instabilità marcata del frammento è necessario un vero e proprio fissaggio con mezzi di sintesi (fili di kirshner, viti
canulate o altro), che potranno essere rimossi a distanza di 6-8 settimane.
A tutt’oggi esiste un forte dibattito su quale sia la tecnica migliore da impiegare a seconda dei casi e soprattutto su come poter gestire il “potenziale” insito nel
trapianto di condrociti. Risultati in corso, e trial clinici da definire faranno chiarezza su come sarà possibile
poter ripristinare una superficie cartilaginea integra e
meccanicamente funzionante.
Descritto come una forma di osteomielite cronica, l’ascesso di Brodie, è caratteristico dell’età infantile adolescenziale. Presenta come sede di elezione la metafisi
delle ossa lunghe e trova la sua causa principale nel trasposto attraverso il sangue di agenti infettanti. Si presenta come una cavità osteolitica ben definita, a margini netti di forma spesso ovalare o rotondeggiante. L’osso
circostante la lesione, attraverso una reazione para fisiologica, diventa maggiormente compatto (tentativo di
aumentare la resistenza meccanica) e può manifestare
una reazione periostale.
Il primo sintomo è sicuramente il dolore locale, caratterizzato da un andamento intermittente con possibile tumefazione e ipertermia cutanea locale. Gli esami ematici non
sono patognomonici: è possibile notare un leggero rialzo
della VES accompagnato da modesta leucocitosi. La diagnosi, o meglio il sospetto diagnostico, deve essere posto
confrontando la clinica con le immagini radiografiche
(che fondamentalmente rispecchiano il quadro tipico
descritto in precedenza).
Il trattamento è sostanzialmente chirurgico: curettage e
pulizia della lesione. I risultati sono ottimi sia da un punto
di vista clinico che funzionale.
Lorenzo Castellani, Matteo Laccisaglia
Lorenzo Castellani, Matteo Laccisaglia
QUALE TRATTAMENTO?
La terapia consiste nel trattamento non cruento (ove
possibile) o nel ricorso alla chirurgia per il ripristino
della cartilagine articolare e risoluzione della sintomatologia.
Il trattamento conservativo consiste principalmente
nel mantenere l’articolazione in scarico assoluto e, nel
periodo di maggior espressione della sintomatologia,