FARMACOVIGILANZA Primo piano Reazioni avverse da farmaci di Giovanni Polimeni Dipartimento Clinico e Sperimentale di Medicina e Farmacologia, Università di Messina nuovo Collegamento gennaio/febbraio 2007 12 La normativa in tema di farmacovigilanza pone particolare attenzione alle reazioni avverse ed inattese, dando maggior enfasi alla qualità (più che alla quantità) delle segnalazioni L e reazioni avverse da farmaco rappresentano un gruppo di patologie caratterizzate da manifestazioni cliniche estremamente variabili per ciò che riguarda sintomi, decorso e prognosi. Esse infatti coinvolgono molteplici meccanismi farmacologici, immunologici o genetici. E’ pertanto molto difficile riu- scire a catalogarle schematicamente in gruppi omogenei. D’altra parte, la stessa definizione di reazione avversa da farmaco è ancora oggi poco chiara a molti operatori sanitari. Spesso si tende a confonderla o ad uniformarla con quella di effetto collaterale, sebbene in realtà essi siano fenomeni differenti. O.M.S.: DEFINIZIONI Effetto collaterale: qualsiasi effetto non intenzionale di un farmaco che insorga alle dosi normalmente impiegate nell'uomo e che sia connesso alle proprietà del farmaco. Si tratta di reazioni non gravi (es. secchezza delle fauci da anticolinergici o tosse da ACE-inibitori) che il paziente dovrà preventivare, perché sono inscindibili dall’azione primaria (e voluta) del farmaco. Reazione avversa: risposta ad un farmaco che sia nociva e non intenzionale e che avvenga alle dosi normalmente usate nell'uomo per la profilassi, la diagnosi o la terapia della malattia o a seguito di modificazioni della fisiologia (es. gravidanza, allattamento etc.). Tale definizione differisce dalla prima in quanto si riferisce a reazioni avverse generalmente gravi ed inattese in base al meccanismo d’azione del farmaco (es. epatopatie, anafilassi, ipertermia maligna) e che come tali richiedano l’immediata sospensione del farmaco e spesso trattamenti aggiuntivi per curarle o, nei casi più gravi, il ricovero ospedaliero. Natura dell’evento Alcuni eventi clinici come la distonia acuta, le alterazioni ematiche ed alcune reazioni cutanee (es. sindrome di Stevens-Johnson) sono classicamente farmaco-correlate. Altri eventi avversi possono invece essere provocati da fattori differenti, che dovrebbero essere, ove possibile, esclusi. Ad esempio, l’epatite, oltre che iatrogena, può anche essere causata da infezioni, dall’abuso di alcool o da altre patologie. Relazione temporale Il tempo può significativamente rafforzare una relazione causale, come nel caso dell’anafilassi, che si verifica immediatamente dopo la somministrazione parenterale del farmaco. In altri casi, essa può essere fuorviante, come ad esempio nell’ittero colestatico causato dalla flucloxacillina, che si può manifestare dopo giorni o settimane dalla interruzione della terapia. Correlazione con la dose La maggior parte delle reazioni avverse da farmaco segnalate sono idiosincrasiche e quindi non dose correlate. Esempi sono il rash da penicilline e la trombocitopenia da diuretici. Al contrario, gli eventi avversi che sono associati con l’effetto farmacologico primario del farmaco compaiono o peggiorano tipicamente con l’aumento della dose e migliorano Esclusione di elementi di confondimento Come sopra menzionato, alcuni eventi avversi hanno più di un fattore causale. Per alcune reazioni, le indagini di laboratorio potrebbero essere necessarie per confermare la causa. Ad esempio, la polmonite farmaco-indotta o l’epatite possono essere dimostrate mediante una biopsia, spesso la concentrazione plasmatica può confermare una interazione farmacologica e gli studi immunologici possono imputare l’effetto ad un farmaco rispetto ad un altro. FARMACOVIGILANZA con la sua diminuzione. L’atrofia cutanea da steroidi topici o la sedazione da antistaminici sono esempi di tali effetti. Dechallenge e rechallenge La guarigione o il miglioramento dei sintomi dopo la sospensione del farmaco (dechallenge positivo) è un importante indicatore di una relazione causale. Il rechallenge consiste invece nella risomministrazione del farmaco sospetto e, se positivo, è fortemente suggestivo di una associazione causale tra farmaco ed evento avverso. Primo piano Associare un farmaco ad un evento clinico indesiderato, soprattutto nel caso in cui questo non sia indicato nel foglietto illustrativo, è un compito arduo per qualsiasi operatore sanitario. Bisogna infatti considerare che nella quasi totalità dei casi le reazioni avverse da farmaci si presentano con manifestazioni cliniche (es. eruzioni cutanee, epatopatie, gastrite) che possono anche avere cause non farmacologiche o essere provocate da un largo numero di farmaci. E’ pertanto necessario valutare e, se possibile, escludere tutte le possibili spiegazioni alternative che possano giustificare l'evento. Basti pensare che ci sono voluti decenni prima di scoprire gli effetti dannosi dell’aspirina sul tratto digerente o che la fenacetina provocava necrosi renale. A rendere ancora più difficoltoso il compito possono contribuire altre condizioni: 1) per alcuni farmaci l'effetto avverso compare solo dopo che essi sono stati assunti continuamente per lungo tempo. Ad esempio la ticlopidina può determinare gravi reazioni avverse ematologiche (es. agranulocitosi, piastrinopenia, pancitopenia) anche a distanza di anni dall’inizio della terapia; 2) gli eventi avversi possono essere rari o non facilmente evidenziabili all'osservazione clinica diretta (ad esempio, effetti identificabili attraverso sofisticate indagini strumentali, come nel caso della restrizione asintomatica del campo visivo da vigabatrina); 3) l’effetto avverso tende a verificarsi con frequenza elevata solo in sottogruppi di pazienti che presentano particolari fattori di rischio. Ad esempio, sebbene fosse nota da tempo l’associazione tra uso di antibiotici chinolonici e l’insorgenza di tendinopatie, solo di re- cente è stato osservato che un’età superiore a 60 anni e l’uso concomitante di corticosteroidi per via orale rappresentano due importanti fattori di rischio per tale reazione avversa. Vanno infine considerati altri fattori, quali il tipo di dieta, gli stati patologici associati, il consumo di sostanze voluttuarie come il fumo di sigarette e particolari stati fisiologici come la gravidanza. Esistono tuttavia degli elementi che possono aiutare a fare una valutazione di causalità: 13 La classificazione Le reazioni avverse da farmaci sono, come detto, multiformi, eterogenee e spesso anche inusitate ed imprevedibili. Tradizionalmente esse sono distinte in tre tipi: tipo A (dove A sta per aumentato); tipo B (bizzarro); e tipo C (complesso). I vari tipi differiscono non solo per le caratteristiche, ma anche per i metodi utilizzati per identificarle. Reazioni avverse di tipo A (dovute al farmaco) Sono reazioni piuttosto comuni, riconducibili ad effetti farmacologici ben definiti, in gran parte prevedibili e spesso evitabili utiliz- nuovo Collegamento gennaio/febbraio 2007 Come identificarle FARMACOVIGILANZA Primo piano nuovo Collegamento gennaio/febbraio 2007 14 zando dosaggi più appropriati (più bassi). Esse possono rappresentare un eccesso dell'azione farmacologica principale (es. sonnolenza eccessiva da benzodiazepine, crisi ipoglicemiche da insulina, aritmie da glicosidi cardioattivi, parkinsonismo da neurolettici) o di una attività farmacologica secondaria che il composto possiede (es. diarrea da penicilline, costipazione da morfina, attività anticolinergica degli antidepressivi triciclici). Possono anche essere dovute ad interferenze farmacocinetiche (es. inibizione del metabolismo di un farmaco da parte di un secondo farmaco). Sebbene inoltre la loro incidenza sia elevata, queste reazioni raramente mettono in pericolo la vita del paziente e, poiché il meccanismo patogenetico è conosciuto, è spesso possibile prevedere quali pazienti siano a maggior rischio, consentendo così di stabilire razionalmente specifiche controindicazioni. Le reazioni avverse di tipo A vengono spesso rilevate prima dell'immissione del farmaco nel mercato, nel corso della sperimentazione clinica dei farmaci. Per tali reazioni quindi risulta di particolare importanza il ruolo degli operatori sanitari che devono informare il paziente in maniera esaustiva sulla corretta modalità di assunzione del farmaco, oltre che sui farmaci e comportamenti da evitare in corso di terapia. Reazioni avverse di tipo B (reazione del paziente) Le reazioni di tipo B, viceversa, non sono ascrivibili ad un eccesso di attività farmacologica nota e sono in genere associate a condizioni predisponenti individuali, spesso ignote prima dell’evento. Per questi motivi esse tendono ad essere imprevedibili, dose-indipendenti e la loro incidenza è in genere relativamente bassa (< 1/1000 pazienti trattati). Possono avere natura immunologica o idiosincrasica e i loro effetti possono anche essere molto gravi e potenzialmente fatali, come nel caso delle reazioni anafilattiche, dell’ipertermia maligna, delle sindromi autoimmuni o di alcune discrasie ematiche. Prediligono alcuni organi: fegato (insufficienza epatica), apparato emopoietico (trombocitopenia, anemia emolitica, agranulocitosi, anemia aplastica) e cute (eritema multiforme, sindrome di Stevens-Johnson, sindrome di Lyell). Ad eccezione di quelle di ipersensibilità immediata (anafilassi), queste reazioni generalmente compaiono dopo alcuni giorni dall'inizio del trattamento (tempo in cui le cellule diventano ipersensibili al farmaco); non c'è però un limite temporale massimo. Oltre a reazioni su base immunologica, le reazioni di tipo B possono essere legate ad un errore congenito del metabolismo o ad una deficienza acquisita di un determinato enzima, con conseguente anomala via metabolica o accumulo di metaboliti tossici (es. epatite da isoniazide o apnea protratta da succinilcolina). Gli effetti avversi di tipo B sono difficili da studiare sperimentalmente, spesso il meccanismo non è noto o non completamente chiarito. Sono raramente disponibili test diagnostici e, in un singolo paziente, spesso resta non provata la connessione fra farmaco e risposta. Gli effetti avversi di tipo B sono la principale causa del ritiro dei farmaci dal mercato. La rarità di tali reazioni rende la segnalazione spontanea particolarmente efficace per individuarli. Reazioni avverse di tipo C (effetti statistici) Gli effetti avversi di tipo C rappresentano l’aumento della fre- quenza di un evento “spontaneo” (es. tumore) in una popolazione trattata, in confronto alla sua frequenza nei pazienti non trattati. Due esempi di reazioni di tipo C sono la morte improvvisa in pazienti cardiopatici in terapia con antiaritmici, o il suicidio nella depressione o nella schizofrenia farmacologicamente trattate. Come quelli di tipo B, anche gli effetti avversi di tipo C sono spesso difficili da studiare in modelli sperimentali ed il loro meccanismo è spesso sconosciuto. Il coinvolgimento del farmaco rimane spesso incerto o dubbio, a causa della probabilità che si tratti di un fatto coincidente e della mancanza di una relazione temporale indicativa. Quindi, la segnalazione spontanea è di limitata utilità per individuare e studiare gli effetti di tipo C. D’altra parte, la dimensione del campione di popolazione richiesto per condurre studi ad hoc e la loro lunga durata sollevano spesso problemi insormontabili nello studio di tali reazioni. Il ruolo dei citocromi Apparentemente, la differenziazione tra i vari tipi di reazione sembra semplice e schematica, ma nella realtà, come spesso succede per altre classificazioni, vi sono numerosi esempi di eventi avversi che non rientrano negli schemi rigidi sopra descritti. La distinzione tra reazioni di tipo A, B e C ha oggi esclusivamente una valenza didattica, dal momento che, grazie ai progressi della farmacogenetica, molte reazioni sono state successivamente riconsiderate alla luce delle scoperte relative al ruolo degli isoenzimi microsomiali del Citocromo P450 (CYP 450) nella eliminazione dei farmaci. Dei circa 30 CYP identificati negli ultimi anni, 7 svolgono infatti un ruolo determinante nel metabolismo dei farmaci. La variabilità individuale nell’attività di tali enzimi (il cosiddetto polimorfismo genetico) rende conto della differente capacità di metabolizzare i farmaci, e quindi anche delle differenti risposte (anche tossiche) ad una stessa dose (terapeutica) di farmaco. Ad esempio, una riduzione geneticamente determinata nella velocità dei processi metabolici può provocare l’accumulo di un farmaco nell’organismo con un aumentato rischio di effetti collaterali, mentre un incremento di tale velocità può condurre ad un fallimento terapeutico, causa il mancato raggiungimento di livelli plasmatici efficaci. Esiste inoltre un altro aspetto della questione, ancora più interessante, che è quello della interazione tra farmaci dovuta all’effetto di inibizione o induzione enzimatica prodotto da alcuni farmaci. Tali interazioni sono di particolare importanza per i farmaci caratterizzati da uno stretto indice terapeutico (come la warfarina o la digossina), in quanto si possono avere conseguenze molto serie, con la comparsa di gravi effetti collaterali o addirittura con il decesso del paziente. Un esempio recente è stato il ritiro della cisapride dal mercato, dovuto al fatto che pazienti trattati con farmaci quali ketoconazolo e macrolidi erano fortemente esposti al rischio di cardiotossicità da cisapride in quanto questi farmaci inibiscono il citocromo CYP3A4 determinando uno spiccato aumento dei livelli plasmatici della cisapride stessa. Un meccanismo analogo è alla base della elevata cardiotossicità della terfenadina e dell’astemizolo, due antistaminici ritirati dal commercio in quanto, essendo anch’essi substrati del citocromo CYP3A4, causavano aritmie nei pazienti trattati con antifungini e macrolidi. SMAGLIATURE NOVITÀ PROGETTO SMAGLIATURE Vuuooii ddiim V maaggrriirree?? 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