Fichte e la filosofia politica in una prospettiva storico

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Fichte e la filosofia politica in una
prospettiva storico-concettuale
Giuseppe Duso – Université de Padoue
email: [email protected]
1. Noi lettori di Fichte
Non intendo qui offrire un nuovo contributo analitico sui testi
fichtiani, quanto piuttosto fare una riflessione sul tema “Fichte e la
politica” sulla base da una parte dei lavori compiuti sulle strutture
speculative della GWL e sul pensiero politico fichtiano tra il
Naturrecht e gli sviluppi che culminano nella Sittenlehre del 18121
e nella cosiddetta Staatslehre, e dall’altra dei lavori sui concetti
politici moderni e della criticità che è propria di una
consapevolezza storico-concettuale2. In questo orizzonte il presente
intervento riguarda non solo il modo in cui Fichte pensa la politica,
ma anche il tipo di ricerca che è necessaria per comprendere una
tale pensiero e la relazione che si pone tra quest’ultimo e la nostra
stessa pratica della filosofia politica : che ne viene dunque a noi che
1
Faccio riferimento, in relazione al nucleo speculativo della filosofia fichtiana, a
G. Duso, Contraddizione e dialettica nella formazione del pensiero fichtiano,
Argalia, Urbino 1974, e Id., Absolutheit und Widerspruch in der GWL, in E. Fuchs
– I. Radrizzani (a cura di), I. Der Grundsatz der ersten Wissenschaftslehre Fichtes.
II. Der Stand der Fichte-Forschung. Tagung des Internationalen
Kooperationsorgangs der Fichte-Forschung in Neapel, April 1995, Neuried 1996,
pp. 145-157 e ai lavori di G. Rametta, soprattutto a Le strutture speculative della
Dottrina della scienza. Il pensiero di J.G. Fichte negli anni 1801-1807, Genova
1995. Per quanto rigarda il pensiero politico rimando ai miei saggi citati nelle note
seguenti.
2
Cfr. G. Duso, Storia concettuale come filosofia politica, in Id., La logica del
potere, Polimetrica, Monza 2007, pp. 19-60 (anche www.polimetrica.com) .
2Fichte e la filosofia politica in una prospettiva storico-concettuale
facciamo oggi filosofia politica3. Perciò il tema non si riduce alla
filosofia politica di Fichte, ma può essere indicato come “Fichte e la
filosofia politica”.
Una tale modalità di accostare il pensiero politico fichtiano mi
sembra riesca a spostare l’asse delle discussioni che su di esso
spesso si incrociano. Le varie letture di un Fichte rivoluzionario, o
conservatore, o democratico, o paladino dei diritti naturali,
rischiano di perdere il senso filosofico del suo pensiero e dunque
anche il profondo significato che ha per noi. Non è tanto da negare
che Fichte abbia avuto nel contesto storico in cui è vissuto
intenzioni politiche e prese di posizione, ma da evitare che a queste
si riduca il significato del suo pensiero della politica. Alla luce di
una tale impostazione anche i mutamenti che si possono riscontrare
nell’atteggiamento fichtiano, ad esempio in relazione alla
rivoluzione o all’Eforato o al concetto di libertà, possono essere
letti in modo diverso da una semplice reazione ad avvenimenti
esterni o da un cambiamento del suo orientamento politico ed
essere interrogati in relazione alla maturazione o al mutamento
delle sue categorie filosofiche.
Per la chiarezza del ragionamento è necessaria una premessa che
ha carattere insieme teoretico e metodologico, con l’avvertenza che
la sua eventuale validità non sta nella mera enunciazione, quanto
piuttosto nei risultati che riesce a produrre nel concreto lavoro di
ricerca. Nell’accostare i testi di un autore classico per intendere il
suo pensiero politico, mi sembra che siano necessarie tre avvertenze
critiche4.
Innanzitutto 1) bisogna avere presente in cosa consista il nucleo
speculativo del suo pensiero. Se si cerca di descrivere la concezione
politica di un filosofo intendendola come una dottrina, una serie di
affermazioni tra di loro coerenti e configuranti una proposta, magari
da inserire nel continuum di una storia del pensiero politico, si
rischia di precludersi a-priori la possibilità di porsi realmente in
3
Come si comprenderà in seguito, ciò non ha niente a che vedere con quelle
“attualizzazioni” degli antichi, che non hanno presente né il senso del movimento
filosofico del loro pensiero, né la necessità di una contestualizzazione storicoconcettuale degli autori.
4
Per una articolazione di queste avvertenze si veda G. Duso, La storia della
filosofia politica tra storia concettuale e filosofia, in www.sifp.it/seminari.
Fichte e la filosofia politica in una prospettiva storico-concettuale
3
relazione con il filosofo in questione. Che per intendere il pensiero
politico di un filosofo sia necessario tenere presenti le strutture
speculative della sua filosofia, può sembrare una cosa ovvia, ma, se
si fa attenzione al vasto mare delle interpretazioni, si può notare che
si tratta di una avvertenza spesso disattesa.
Ciò appare con evidenza se ci riferiamo alle interpretazioni del
pensiero politico di Hegel, che cercano di definirlo sulla base di
quello che è individuato come il suo atteggiamento politico e
cercano di descrivere il modello politico che caratterizzerebbe la
sua proposta, magari contestualizzandola con gli avvenimenti
storici che lo circondano. Possiamo riferirci ad esempio alla
posizione che occupa, nella struttura dei Lineamenti di Filosofia del
diritto, la fürstliche Gewalt. Ci si affanna spesso a mostrare il
rapporto che la figura del monarca e la posizione che essa occupa
nell’opera ha con la situazione politica della Prussia o con la
censura che ha toccato anche la vicenda del testo stesso dei
Lineamenti. In questo modo si evita di riflettere sull’indicazione
che Hegel dà a questo proposito, e che ripete spesso nel corso
dell’opera : che per comprendere ciò che si dice a livello della
Rechtsphilosophie bisogna capire la scienza della logica, e questo
non perché la logica dello spirito oggettivo si identifichi con la
scienza della logica, ma perché la presuppone. O si pensi ancora
alla diatriba su uno Hegel liberale o uno Hegel statalista. Le
interpretazioni che a questo proposito si scontrano non tengono
conto della struttura speculativa che caratterizza l’Eticità, nella
quale non si tratta tanto di trovare una mediazione tra individuo e
Stato, quasi queste fossero realtà in se stesse significanti e
sussistenti, ma piuttosto di comprendere che essi sono due elementi
che nella loro determinazione e nel loro isolamento si ottengono
solo mediante l’astrazione che caratterizza il lavoro dell’intelletto,
che non ha in se stesso la sua verità, anche se risulta necessario allo
svolgimento e alla articolazione della Darstellung del sistema. In
realtà l’individuo è quello che è in quanto è determinato da una
serie molteplice di rapporti, e dunque si trova all’interno di
determinate cerchie, e lo Stato, a sua volta, non è mera istituzione,
ma un insieme esso stesso di rapporti, cerchia delle cerchie, come
dice Hegel, ed è condizione, ma nello stesso tempo anche prodotto
(nel senso non che sia alla fine, mero risultato, ma che non è
4Fichte e la filosofia politica in una prospettiva storico-concettuale
pensabile se non attraverso) della soggettività degli individui. Se si
comprende una tale struttura logica, risulta anche che
quell’individuo e quello Stato che permettono di parlare di
liberalismo e di statalismo sono superati, aufgehoben. Con il
movimento della Aufhebung si incontra la modalità caratteristica
del procedimento di pensiero hegeliano, il quale non si presenta
certo come una posizione particolare, magari quella vera contro le
altre considerate false, ma intende collocarsi all’interno della
posizione con cui si confronta per recuperare una verità che è in
essa presente e la rende possibile, ma che essa tuttavia non riesce ad
esprimere. Una tale consapevolezza non comporta che si consideri
a-priori riuscita la Aufhebung hegeliana, ma richiede che con
questo movimento di pensiero di volta in volta, nei diversi passaggi
del sistema, ci si debba confrontare ; altrimenti, riducendo il
pensiero hegeliano alla forma meramente affermativa di una
concezione particolare, di una posizione teorica, di un punto di
vista, si finisce con il perdere l’oggetto della propria indagine e con
non misurarsi nemmeno con esso.
Anche in rapporto a Fichte è necessario intendere in cosa
consista lo specifico movimento del suo pensiero. Già questo è
richiesto nel momento in cui si ha coscienza che la verità che
dovrebbe caratterizzare la WL si accompagna alla possibilitànecessità degli innumerevoli e sempre rinnovati tentativi di esporla.
Ma a ciò ci costringe lo stesso Fichte nel momento in cui, nello
stesso titolo della sua opera sul diritto naturale, indica come il
fondamento di questa disciplina sia trattato “secondo i principi della
Dottrina della scienza”. Già si può intendere che se la filosofia
fichtiana consiste nella Dottrina della scienza (che lo stesso Fichte
non considera certo come la sua particolare filosofia), questa a sua
volta non coincide con quella dottrina del diritto naturale che si
presenta a Fichte come una scienza dotata di una sua logica
determinata e diffusa attraverso una serie di manuali nella
Germania della fine del Settecento. Ci si può allora chiedere quale
sia lo specifico filosofico nello scritto sul Naturrecht, ma ci si può
anche chiedere come mai Fichte parli del corpo politico e dell’agire
in comune degli uomini all’interno dei canoni della moderna
scienza del diritto naturale e non ad esempio sulla base di
coordinate come quelle della giustizia e della relazione tra anima e
Fichte e la filosofia politica in una prospettiva storico-concettuale
5
polis che caratterizzano il pensiero di Platone e in parte anche
quello di Aristotele.
Con questa ultima domanda ci si apre alla seconda avvertenza
critica. 2) Non è sufficiente comprendere la relazione tra il pensiero
politico e le categorie speculative dell’autore, bisogna anche
comprendere come il pensiero dell’autore sia condizionato dal
proprio tempo. Nell’ambito di un lavoro di storia concettuale
questa affermazione non ha il significato del rapporto tra testo e
contesto storico, quale si determina mediante i fatti politici e il
dibattito politico dell’epoca. Piuttosto ciò che più conta è il modo in
cui in un’opera è presupposta una determinata costellazione
concettuale, con la consapevolezza che i tempi dei concetti non
coincidono con i normali tempi storici5. Nello specifico si tratta di
avere coscienza del fatto che Fichte ragiona sì sulla base della sua
filosofia, ma all’interno del modo – al suo tempo ormai diffuso
nelle Università – di intendere il vivere in comune tra gli uomini
che caratterizza i trattati di diritto naturale. Si tratta di una modalità
che non è universale e a-temporale e che non nasce con la filosofia
fichtiana. Se si ha questa avvertenza critica, si evita il rischio di
identificare l’apporto specifico di Fichte con gli elementi che
caratterizzano la struttura logica del giusnaturalismo moderno e si è
più disposti a registrare la perdita di centralità che il diritto naturale
viene ad avere nella maturità di Fichte6, il quale può sembrare
invece più vicino ad alcune movenze del pensiero della politica che
ricordano Platone.
E’ lo stesso Fichte a ricordare il condizionamento subito nella
sua prima esposizione della GWL dal modo in cui i contemporanei
post-kantiani ponevano il problema della filosofia. Noi possiamo
5
Si pensi per esempio a quanto le concezioni politiche tedesche del primo Seicento
siano ancora all’interno di un modo di pensare la politica che parte dall’antichità
greca (nonostante i notevoli cambiamenti storici complessivi e anche le notevoli
differenze che caratterizzano le diverse concezioni) e quanto invece appaia diversa
la concettualità della nuova scienza del diritto naturale che inizia con Hobbes,
anche se la distanza da quelle concezioni è di pochi decenni (Cfr., a proposito del
confronto tra Althusius e Pufendorf sul modo di intendere la società, Duso, La
logica del potere cit., sp. “Alle origini del moderno concetto di società civile”, pp.
123-156.
6
E’ a questo proposito da condividere la proposta già avanzata da C. Cesa, La
posizione sistematica del diritto, in Filosofia trascendentale e destinazione etica, a
cura di A. Masullo et M. Ivaldo, Guerini, Napoli 1995, pp. 239-260.
6Fichte e la filosofia politica in una prospettiva storico-concettuale
riassumere tale maniera di filosofare in questo tipo di procedimento
logico : la filosofia è sapere, ma questo è rigoroso se è sistema, e se
c’è un sistema c’è un principio primo7. Tale modalità comporta
quegli aspetti intellettualistici denunciati da Hegel e superati del
resto nelle ulteriori esposizioni della WL. Nel passo
immediatamente successivo della stessa lettera Fichte esprime la
convinzione di essere andato oltre questo condizionamento con gli
scritti successivi, tra cui nomina il Naturrecht e la Sittenlehre.
Nonostante questa affermazione credo sia invece possibile
affermare che nel ‘96-97, proprio in relazione al compito che si
pone per lo scritto e per le sue lezioni, Fichte venga ad essere
condizionato dalla logica tipica della nuova scienza politica dei
moderni, che appare nella veste del diritto naturale. Non è che nel
Naturrecht non sia presente il nucleo speculativo della WL,
secondo quanto recita lo stesso titolo del saggio, ma questo resta
fortemente condizionato dalla logica del diritto naturale, che nella
sua essenza con quel nucleo non coincide o, come tenderei a
proporre, rischia di essere addirittura in conflitto.
Se ci si chiede perché il pensiero fichtiano sia spesso identificato
con l’orizzonte dei diritti naturali degli individui, si può riscontrare
come nel lavoro interpretativo questo orizzonte venga a costituire in
molti casi un presupposto di valore. Ecco allora la terza avvertenza:
3) nella lettura dell’autore bisogna avere coscienza dei concetti che
adoperiamo e dei valori a cui, consapevolmente o no, facciamo
riferimento. Bisogna cioè, contemporaneamente al rapporto con il
testo, interrogare i concetti usati per l’interpretazione, verificarne la
pretesa universalità, la loro genesi, la loro logica, la quale comporta
conseguenze spesso inaspettate, e infine le aporie che in essi si
possono nascondere. Questo è forse l’aspetto più rilevante di un
lavoro di ricerca storico-concettuale: bisogna interrogare
criticamente i concetti che abitano le nostre parole. Spesso nel
nostro accostare i testi fichtiani, elementi come diritti, uguaglianza,
libertà, democrazia restano concetti fermi, valori presupposti, che
indicano la strada nella quale in modo imprescindibile la filosofia
deve camminare, e nello stesso tempo ci rassicurano sulla nostra
identità. A causa di questo atteggiamento presupposto, si rischia di
7
Cfr. la lettera del gennaio 1801 a Johannsen (GA , III/5, 9 21-22).
Fichte e la filosofia politica in una prospettiva storico-concettuale
7
leggere anche il nostro autore sulla base di questi concetti,
rintracciandoli in lui per l’aspetto di adesione che la nostra lettura
comporta. Da un tale atteggiamento la nostra lettura non solo viene
ad essere pregiudicata, ma manca di quella criticità - necessaria per
affrontare un lavoro filosofico - consistente nell’interrogare i
concetti, i presupposti, quei valori che sono divenuti doxa comune,
e dunque nel chiedere ragione e nel dare ragione.
Ci può essere utile l’esempio offertoci dalla discussione presente
in uno dei primi numeri delle Fichte-Studien, che è indicativa di un
atteggiamento che coinvolge un numero ben maggiore di interpreti
di quelli che hanno dato vita a quella discussione8. Quando si nota il
modificarsi dell’atteggiamento di Fichte nei confronti del diritto
naturale, o meglio dell’assolutezza e primarietà con cui sono posti i
diritti degli individui nel saggio sul diritto naturale e si riconosce
nelle opere dell’Ottocento un quadro più ampio in cui la libertà del
singolo è inserita, un senso più concreto e comunitario dell’etica9,
in genere si tende a chiedersi se nel Fichte maturo ci sia ancora il
rispetto per i diritti degli individui o se questi passino in secondo
piano, siano affossati da una concezione di carattere comunitario. In
ogni caso, sia che la risposta sia positiva o negativa, resta ferma in
tutti la convinzione che diritti dell’individuo, uguaglianza e libertà
siano valori a partire dai quali si debba giudicare lo spostamento
fichtiano. Ma in questo modo i concetti usati non vengono
interrogati: non se ne chiede ragione, come l’esercizio della
filosofia richiede, ma rimangono acriticamente presupposti.
Da quanto detto ci si può accorgere che la seconda e la terza
avvertenza si intrecciano. Infatti i pre-giudizi del nostro pensare
moderno consistono nell’intendere come eterni e come valori
indiscussi una serie di concetti fondamentali. Si è in tal modo
dipendenti da quel modo di pensare la politica che nasce con il
giusnaturalismo moderno e che condiziona lo stesso Fichte nel
1796-97. Se fosse vero che la logica di questi concetti non è poi
8
Cfr. in particolare : Geismann, Fichtes “Aufhebung” des Rechtstaates, e R.
Schottky, Rechtstaat und Kulturstaat bei Fichte. Eine Erwiderung, rispettivamente
in “Fichte-Studien”, 3 (1991, pp. 86-117 e 118-153.
9
Su ciò interessante la proposta di L. Fonnesu, Antropologia e idealismo. La
destinazione dell’uomo nell’etica di Fichte, Laterza, Bari 1993, che non ricade
nell’atteggiamento qui denunciato.
8Fichte e la filosofia politica in una prospettiva storico-concettuale
quella che sembra, in quanto comporta presupposti per niente
universali e magari porta a delle aporie strutturali, a delle
conseguenze che sono in contraddizione con le intenzioni che in
quei concetti sono riposte, ecco che l’eventuale spostamento
fichtiano (che credo si possa sostenere) in relazione alla centralità
del diritto naturale può assumere una valenza diversa e anche essere
giudicata in modo diverso : addirittura i mutamenti che avvengono
nell’Ottocento in relazione alla tematica dei diritti, della pratica e
dunque della filosofia politica possono apparire più consoni al
nucleo speculativo della filosofia fichtiana.
2. La logica del diritto naturale e il problema del controllo
Non è questo il luogo per ripercorrere i passaggi salienti che
segnano il processo logico del Naturrecht. E’ piuttosto utile
ricordare due aspetti : quello che mostra il legame che l’opera ha
con i trattati di diritto naturale, e quello secondo cui questo legame
è forzato in una direzione che esploderà in seguito in modo più
evidente. Il primo si manifesta nel modo in cui è ripresa la
costruzione teorica che sta alla base dello Stato, richiedente una
forza che garantisca l’ordine ed elimini il conflitto. Si pensi
all’affermazione della necessità di una forza immane che agisca con
una inesorabilità meccanica al fine di scoraggiare il delitto e di
rendere prevedibile il comportamento di ognuno in modo tale da
garantire una pace stabile e l’affermarsi della legalità10. Il secondo
aspetto consiste nella volontà di tenere aperto il problema del
controllo del potere, della responsabilità dei rappresentanti, di una
concezione del diritto che ecceda il dispositivo formale costituito
dalla legge e dalla sua legittimazione.
Bisogna ricordare che, dalla sua nascita, la scienza del diritto
naturale è caratterizzata da una razionalità di tipo formale : lo Stato
e il politico sono pensati sulla base di una razionalità giuridica. Il
procedimento “scientifico” che la caratterizza parte dagli individui,
10
Per questi aspetti cfr. G. Duso, Libertà e Stato in Fichte : la teoria del contratto
sociale, in Id. (a cura) Il contratto sociale nella filosofia politica moderna,
FrancoAngeli, Milano 20073 (El contrato social en la filosofia politica moderna,
tr. sp. di Martha Rivero, “Res publica”, Leserwelt, Valencia 2002), sp. pp. 284292.
Fichte e la filosofia politica in una prospettiva storico-concettuale
9
connotati dai diritti fondamentali di uguaglianza e libertà, e giunge
a dedurre il diritto di coazione e il potere comune, al quale tutti
devono essere soggetti. Nel momento in cui si nega che ci siano
differenze tra gli uomini che possano giustificare o meglio imporre,
la necessità che ci sia qualcuno che governi gli altri, è il concetto di
libertà ad assumere il ruolo di pietra angolare della costruzione. La
libertà è qui strettamente connessa con l’opinione e con la
possibilità di manifestazione, priva di ostacoli, delle potenzialità dei
singoli : implica cioè l’assolutizzazione della coscienza dei singoli.
Seguendo il filo del ragionamento quale comincia ad apparire con il
Leviatano di Hobbes, si può mostrare che è proprio questo concetto
di libertà, inteso come la mancanza di ostacoli e l’indipendenza
della volontà, a portare, secondo un procedimento rigoroso, alla
necessità di un potere sommo in quanto unico. E’ il concetto
moderno di sovranità e del comando decisivo che da essa promana
ad apparire necessario non solo per realizzare quella libertà, ma
anche per pensarla. Infatti una tale libertà non può essere attribuita
contemporaneamente a tutti gli individui se non ci sono regole che
impediscano che l’agire di uno occupi lo spazio di libertà dell’altro;
e le regole sono appunto il comando del sovrano11. Tra l’esercizio
della sovranità e i sudditi si determina un rapporto di comandoubbidienza che è formale : riguarda cioè la posizione che occupano
reciprocamente coloro che esprimono il comando e coloro che
ubbidiscono. Si ha in tal modo una risposta univoca a quella
domanda sulla giustizia – caratterizzante la filosofia politica della
tradizione - considerata da Hobbes fonte di destabilizzazione e di
conflitto. Perciò il risultato della costruzione consiste nella
dimostrazione della affemazione che egli nella Prefazione del De
cive aveva auspicato come fonte dei più grandi vantaggi: cioè che
“giusto è ubbidire alle leggi”. Tale affermazione, che caratterizzerà
la storia della forma politica moderna, non permette un’ulteriore
precisazione: che si debba però trattare di “leggi giuste”. Una tale
aggiunta significherebbe che il singolo individuo ha la possibilità di
condizionare l’ubbidienza nei confronti della legge al proprio
giudizio sul contenuto di essa; che c’è cioè un criterio di giustizia
11
Cfr. G. Duso, Il potere e la nascita dei concetti politici moderni, in S. Chignola e
G. Duso, (a cura di), Sui concetti politici e giuridici della costituzione dell’Europa,
FrancoAngeli, Milano 2005, sp. pp. 176-184.
Fichte e la filosofia politica in una prospettiva storico-concettuale
10
ulteriore a quello della legittimazione del potere. Ma è proprio una
tale possibilità che il giusnaturalismo intende negare al fine di una
pace duratura e questa negazione caratterizza la storia della
sovranità moderna, fino alla sua più recente declinazione
democratica12.
Una tale razionalità formale traspare anche nel Naturrecht di
Fichte, a causa della linea argomentativa che caratterizza le dottrine
del diritto naturale. Si può ricordare quel passaggio essenziale del
testo in cui si ipotizza la perdita di lealtà e fiducia (Treue und
Glaube)13, e il permanere di una situazione conflittuale tra i singoli
finché ognuno resta giudice della sua causa. Ma si può ricordare
anche l’affermazione decisa della inappellabiltà del potere
esecutivo e della necessità del principio rappresentativo, con la
comprensione della logica che ad esso è propria : quella che
impedisce di pensare il soggetto collettivo, il popolo, accanto o di
fronte a coloro che esercitano il potere, in quanto il concetto
moderno di rappresentanza, quale appare già nel XVI capitolo del
Leviatano di Hobbes, si mostra come l’unico modo possibile di
immaginare il soggetto collettivo, una persona artificiale e dunque
la persona civile, nel momento in cui il rapporto di comunità non
venga ritenuto come naturale e originario, ma come costruito sulla
base di un molteplicità di individui14. Che Fichte si muova
all’interno di questa logica lo mostra la stessa difficoltà che egli
incontra nel pensare le modalità del controllo nel momento in cui,
di fronte al corpo rappresentativo costituito dall’esecutivo, si pone
la domanda su “wo ist… die Gemeine, und was ist sie”15.
12
Cfr. G. Duso, Genesi e aporie dei concetti della democrazia moderna, in Id. (a
cura di), Oltre la democrazia. Un itinerario attraverso i classici, Carocci, Roma
2004, pp.107-138.
13
Cfr. J. G. Fichte, Grundlage des Naturrechts nach den Prinzipien der
Wissenschaftslehre (1796-97), Gesamtsausgabe der Bayerischen Akademie der
Wissenschaften (GA), hrsg R. Lauth u. H. Jakob, Mitwirkung R. Scottkhy,
Frommann, Stuttgart - Bad Cannstatt 1966, I, 3, p. 425.
14
Cfr. Duso, libertà e Stato, sp. pp. 292-301. Per quanto riguarda la nascita del
concetto di rappresentanza in Hobbes, cfr. Id., La rappresentanza politica sp.
pp.80-92 (anche G. Duso, Génesis y logica de la representación política moderna,
“Fundamentos. Quadernos monográficos de teoría del Estado, derecho público e
historia constitucional”, Oviedo, Spagna 2004, pp. 71-147, sp. pp. 102-116).
15
Cfr. J.G. Fichte, Naturrecht, GA, I, 3, 446-447 (Su ciò Duso, Libertà e Stato in
Fichte cit., sp. pp. 297 ss.). Per comprendere quanto sia difficile uscire da questa
Fichte e la filosofia politica in una prospettiva storico-concettuale
11
Non si possono dunque non riscontrare nel Naturrecht elementi
tipici del modo di pensare la società e il potere che è stato
inaugurato da Hobbes16. Su tale presenza – si pensi ad esempio alla
necessità del conflitto per il processo della deduzione della forza
coattiva – è stata espressa meraviglia, soprattutto considerando le
critiche a Hobbes mosse nel Beitrag e il poco interesse nutrito da
Fichte per questo autore anche negli anni successivi al testo sulla
rivoluzione17. Se ci si chiede come mai avvenga questo mutamento
nel pensiero fichtiano, credo che la risposta sia da rintracciarsi nel
fatto che ora non si tratta più di pensare il movimento della
rivoluzione e il protagonismo dell’agire degli uomini in essa, ma
piuttosto di riflettere sulla genesi e sulla giustificazione razionale
della forma politica, su quel potere comune che appare necessario
affinché gli uomini possano vivere insieme in pace. In altri termini
Fichte ha ora il compito di insegnare e di scrivere sullo Stato nella
forma dei trattati di diritto naturale. Allora la presenza di elementi
hobbesiani non è tanto legata ad un rapporto diretto con i testi di
Hobbes, ma piuttosto con i numerosi trattati di diritto naturale
presenti nelle Università tedesche. Sono questi ad essere il tramite
di diffusione del pensiero hobbesiano; e non tanto perché si ispirino
consapevolmente e positivamente ad esso, ma in quanto ne
riprendono la razionalità formale e lo schema del ragionamento,
quello che dagli individui liberi ed uguali giunge alla fondazione
del potere di coazione. Tale influenza del pensiero hobbesiano non
logica, è da riflettere sul fatto che Fichte, per superare la difficoltà consistente nel
rintracciare il soggetto collettivo fuori dalla mediazione rappresentativa, debba
ricorrere a modalità sempre di tipo rappresentativo. L’Eforato è infatti una seconda
forma di rappresentanza. E anche la rivoluzione, che non è pensabile come la
sollevazione contemporanea di tutti (il popolo sarebbe così presente direttamente
come soggetto collettivo) comporta la necessità di coloro che chiamano i cittadini
alla rivolta e questi sono significativamente chiamati “efori naturali” (cfr. Libertà e
Stato cit., pp. 292-301).
16
L’implicazione della concettualità del giusnaturalismo nel Naturrecht è il tema
che guida l’analisi del saggio Libertà e Stato in Fichte, che deve per altro essere
letto, ai fini della comprensione della filosofia politica di Fichte quale qui proposta,
insieme ai due saggi riguardanti il periodo successivo.
17
Cfr. R. Schottky, La “Grundlage des Naturrechts” de Fichte et la philosophie
politique de l’Aufklärung, in “Archives de Philosophie” XV (1962), pp. 441-485.
E’ significativo che Schottky riconosca che è la natura stessa della cosa, dunque
della trattazione del diritto naturale, a comportare questi aspetti hobbesiani (p.
450).
Fichte e la filosofia politica in una prospettiva storico-concettuale
12
dipende certo da una adesione alla proposta del Leviatano da parte
degli autori dei trattati ; si può al contrario notare che sovente
l’atteggiamento è di critica e rifiuto, e ciononostante la logica del
dispositivo concettuale hobbesiano è presente e determinante anche
quando il suo rifiuto appare esplicitamente persino nel titolo delle
opere, come avviene ad esempio nell’Anti-Hobbes di Anselm
Feuerbach18 .
Nonostante si muova in questo orizzonte concettuale, tuttavia il
pensiero fichtiano non è certo riducibile ad esso. Il filosofico a cui
rimanda il titolo del Naturrecht non consiste nell’aspetto normativo
e di costruzione concettuale che connota lo schema dei trattati di
diritto naturale (che, è da ricordare, non è prodotto dalla WL, ma la
precede di molto), quanto piuttosto negli aspetti con i quali quella
costruzione è interrogata e complicata. Ciò si manifesta nello stesso
problema del controllo del potere esercitato dai rappresentanti, in
quanto tale problema comporta l’ulteriorità del diritto nei confronti
della risposta formale data dal diritto naturale. Una messa in
questione della razionalità formale è presente anche in Kant, il
quale, pur negando decisamente la resistenza all’autorità dello
Stato, apre uno spazio di controllo costituito dalla pubblicità della
ragione. In questo modo non riduce la giustizia al meccanismo della
legge, intesa come il comando espresso da colui o da coloro che
sono stati da tutti autorizzati, e lega piuttosto il meccanismo
rappresentativo all’idea e alla ragione19. Anche in Fichte è presente
questa eccedenza della ragione nei confronti della costruzione
formale, e la volontà comune non è riducibile alla volontà prodotta
18
Per questa funzione che vengono ad avere i trattati di diritto naturale si veda ora
G. Tonella, Il problema del diritto di resistenza. Saggio sullo Staatsrecht tedesco
della fine Settecento, Editoriale Scientifica, Napoli 2007, in particolare sull’AntiHobbes, pp. 227 ss.
19
Di questo si tratta : del riferimento alla ragione e alla filosofia e non ad una sfera
di discussione pubblica quale può essere pensata nell’ambito del pensiero liberale
o della odierna etica pubblica. Ne risulta allora che proprio il filosofo della forma
non ha una concezione della politica e del potere riducibile alla razionalità formale
nata con il giusnaturalismo : per il chiarimento di questa affermazione si vedano
La libertà moderna e l’idea di giustizia, “Filosofia politica”, XV (2001), n. 1, pp.
5-28 e Idea di libertà e costituzione repubblicana cit. Per il tema della
rappresentanza in Kant e in Fichte cfr. G. Duso, Génesis y logica de la
representación cit, sp. pp. 122-136 (anche La rappresentanza politica cit., sp. pp.
96-109).
Fichte e la filosofia politica in una prospettiva storico-concettuale
13
dal corpo rappresentativo. Il potere costituito deve garantire diritto,
sicurezza e giustizia, e di questo si deve chiedere ragione ai
rappresentanti. Insomma appare una sfera di razionalità che eccede
il rapporto formale di rappresentanza e il processo di autorizzazione
e di scelta che legittima i rappresentanti. A differenza di Kant,
Fichte vuole però tenere aperto lo spazio del controllo dal punto di
vista non solo della discussione pubblica, ma anche di un agire
efficace : all’interno cioè dello spazio costituzionale.
Questa operazione risulta però difficile nel Naturrecht, non solo
perché qui egli si colloca nell’orizzonte teorico determinato dal
giusnaturalismo, ma anche perché tende a risolvere il problema del
controllo mediante soluzioni che hanno ancora una
caratterizzazione formale. E’ ben vero che nell’Eforato si manifesta
l’eccedenza della ragione nei confronti della funzione
rappresentativa e che, a proposito degli Efori, si richiama la
necessità della saggezza ; ma, ciononostante, anche quella degli
Efori è una figura che ha un carattere costituzionale e che dovrebbe
garantire il controllo con la sua stessa presenza. Ma come si sa
questa soluzione viene posta in crisi una volta che, nel testo, si
prospetta la possibilità che anche gli Efori tradiscano il popolo.
Anche l’estremo rimedio costituito dalla rivoluzione, se da una
parte mette in crisi la costruzione della forma politica, che non dà
più sicurezza nel momento in cui è sempre aperta al suo
rovesciamento, dall’altra non mette in questione radicalmente la
logica della forma politica, mostrandosi, al contrario, momento
essenziale alla sua fondazione, alla dimensione cioè del potere
costituente.
3. La filosofia pratica oltre la razionalità propria della
forma politica
Gli sviluppi del pensiero fichtiano dopo il Naturrecht vanno nella
direzione di un decentramento e di una perdita di rilevanza del
diritto, privilegiando un altro modo di concepire la filosofia
politica20. La scienza del diritto non viene certo negata, mostra una
20
Rimando a G. Duso, La philosophie politique de Fichte : de la forme juridique à
la pensée de la pratique, in “Fichte-Studien”, Bd. 16 (1999), pp. 191-211, che
Fichte e la filosofia politica in una prospettiva storico-concettuale
14
sua necessità, come evidenzia la sua ripresa nella Rechtslehre del
‘12, ma appare insufficiente, a causa del suo aspetto meramente
negativo, ai fini di illuminare la natura pratica dell’uomo e dunque
l’azione nella sua positività. Al di là del modello teorico che dai
diritti degli individui conduce al diritto di coazione, si pone il
problema di un pensare nella pratica guidati dall’idea21. La stessa
costruzione che ha in Hobbes la sua matrice e vede nell’egoismo
del singolo la molla per l’imporsi di una forma giuridica che serva
alla sicurezza di tutti viene messa sotto accusa nei Discorsi alla
nazione tedesca ; e in questa accusa non si può non vedere un
distacco dalla stessa assunzione di alcuni aspetti essenziali di questa
logica che è propria anche dello scritto sul Naturrecht, come sopra
è stato detto22. E’ cioè la stessa costruzione del Diritto naturale che
appare inficiata da questo fondamento costituito dall’egoismo e da
una razionalità formale che impedisce una domanda radicale sul
giusto.
Rimandando ai saggi precedenti ai fini del chiarimento di questo
mutamento nel percorso filosofico di Fichte, ritengo sia utile qui
soffermarsi solo su un punto, che era già stato al centro dei
precedenti interventi, ma al quale vorrei ora dare un rilievo ed un
significato ancora più forte. Si tratta del problema della coazione e
di chi nello Stato ha il compito di esercitarla. Il comando continua,
come nel Naturrecht, ad essere considerato necessario per la vita in
comune degli uomini. Tuttavia non è più pensato nella modalità
della sovranità, cioè di quel potere che caratterizza il modo di
intendere il comando non solo nei trattati di diritto naturale, ma
anche nella scienza politica moderna e nelle costituzioni. Per
esprime, già nel titolo il mutamento qui indicato, e a Id., Politische als praktische
Philosophie beim spätem Fichte, in Der Transzendental-philosophische Zugang
zur Wirklichkeit. Beiträge aus der aktuellen Fichte-Forschung, hrsg. E. Fuchs, M.
Ivaldo, G. Moretto, Frommann-Holzboog, Stuttgart- Bad Cannstatt, 2001, pp. 393409.
21
Per il chiarimento di tale modo di concepire la filosofia politica rimando a
Politische als praktische Philosophie beim spätem Fichte cit., ma soprattutto, per
la rilevanza data alla Weisheit e per il nesso che questa nozione ha con il nucleo
speculativo della WL, rimando ai lavori di G. Rametta, sp. Le strutture speculative
cit., pp. 149 ss.
22
Cfr. La philosophie politique de Fichte cit., p. 206 e J. G. Fichte, Discorsi alla
nazione tedesca, tr. it. A cura do G. Rametta, Laterza, Roma-Bari 2003, p. 95 e la
stessa nota 5 del traduttore, che ribadisce questa ipotesi).
Fichte e la filosofia politica in una prospettiva storico-concettuale
15
intendere questa affermazione bisogna ricordare i due aspetti che
determinano il concetto moderno di sovranità o potere politico. Da
una parte esso è unico e irresistibile e impedisce che l’ubbidienza
possa dipendere dal giudizio sui contenuti del comando. Dall’altra
tale irresistibilità e la negazione della rilevanza del giudizio dei
singoli per l’ubbidienza sono pensabili solo sulla base di un
processo di legittimazione, che non può consistere in altro che in
questo : colui che esprime il comando è autorizzato da coloro che
dovranno ubbidire. In questo modo i singoli sono bensì costretti ad
ubbidire sempre, a qualsiasi comando, ma loro stessi hanno voluto
colui o coloro che esprimono il comando : dunque essi ubbidiscono,
in fondo, alla propria volontà. E’ questo il processo di
autorizzazione che caratterizza il concetto moderno di
rappresentanza politica.
Il segreto del concetto moderno di sovranità, quale nasce con la
nuova scienza del diritto naturale e condiziona la dottrina dello
Stato moderno, sta non tanto nella dimensione verticale e
irresistibile che la connota, ma nella base che la rende possibile, il
concetto di libertà e il processo di autorizzazione, come si è sopra
detto, che fondano il potere dal basso legittimandolo. Si viene a
determinare, da un punto di vista concettuale, un arco storico che
dalle dottrine del diritto naturale giunge alla moderna democrazia
rappresentativa, che è pensata, costituzionalmente, sulla base dei
concetti di sovranità e di rappresentanza, e che perciò ravvisa la
legittimazione del potere pubblico nelle procedure elettorali23. Qui
l’elemento legittimante si identifica con l’espressione dell’opinione
e dell’arbitrio dei singoli e la logica del dispositivo è una logica
formale che impedisce che possa avere rilievo pratico per
l’obbligazione politica una questione della giustizia che ecceda il
meccanismo formale e procedurale di legittimazione24. Se questo
23
Cfr. Duso, Genesi e aporie dei concetti della democrazia moderna cit., sp. pp.
133-136.
24
Sul nesso tra i concetti nati nel laboratorio del diritto naturale e quelli che stanno
alla base della forma democratica, nonché sulle aporie che li connotano, cfr. il
volume collettaneo Oltre la democrazia cit., “Democrazia”, in “Filosofia politica”,
XX (2006), n. 3, e G. Duso, J-F. Kervégan (ed.), Crise de la démocratie et
gouvernement de la vie, Polimetrica, Monza 2007 (www.polimetrica.com), in
particolare, sulla funzione dell’opinione, il saggio di B. Karsenti, Election et
jugement de tous, pp. 115-135.
Fichte e la filosofia politica in una prospettiva storico-concettuale
16
fosse vero bisognerebbe dire che l’evoluzione del pensiero di Fichte
nell’Ottocento lo porta al di là della logica giusnaturalistica così
come della democrazia moderna25. Per lo stesso motivo egli si
mostrerà insoddisfatto anche dello strumento rivoluzionario, che al
contesto appena indicato è solidale. Insomma il filosofico in questo
Fichte si mostra, come in Kant, irriducibile alla razionalità formale
che caratterizza il dispositivo concettuale con cui viene pensata la
politica nelle concezioni giusnaturalistiche e che sta alla base della
moderna democrazia.
Si pensi infatti al modo in cui si pone la questione dello
Zwingherr, sia nella Rechtslehre, sia nella cosiddetta Staatslehre.
Certo il comando e anche l’uso della forza restano necessari nella
società, ma il problema non può più essere ridotto ad una
dimensione formale, giuridica. Punto di riferimento resta la legge
della ragione e dunque la libertà, ma questa non è certo riducibile
all’espressione libera dell’arbitrio dei singoli e deve essere guida
per colui che meglio al suo tempo può ad essa approssimarsi.
Bisogna riconoscere che nella Rechtslehre del 1812 permane il
meccanismo giuridico della sovranità come pure il suo intreccio con
la logica della rappresentazione. L’uso stesso dei termini
Souveränität e Souverain sono un segnale di questa permanenza.
Tuttavia La Herrschaft sembra irriducibile alla logica della
sovranità moderna nel momento in cui si mostra con evidenza che
essa deve essere esercitata in relazione ad una razionalità e ad una
concezione della libertà e della giustizia che eccedono il
meccanismo di legittimazione. Proprio per questo Fichte alla
domanda di chi sia legittimato a divenire Oberherr nel suo popolo
risponde : quello che è il migliore intelletto del suo tempo e del suo
popolo26. Nella Rechtslehre si propone la via, solo apparentemente
duplice, che non può non richiamarci la repubblica platonica : Der
Beste soll herrschen, oder … der Herrscher soll der Beste sein27.
Deve essere il migliore e, nella RL si dice anche “il più giusto del
25
Sul rapporto di Fichte con la democrazia cfr.G. Rametta, Politica e democrazia
nell’idealismo tedesco, in Duso, Oltre la democrazia cit., su Fichte pp. 186-196.
26
J.G. Fichte, Sämmtliche Werke, hrsg. I. Fichte Berlin 1845-46, rip. an. Walter de
Gruyter, Berlin 1971, IV, p. 444, (La Doctrine de l’Etat (1813), tr. fr., présentation
par JC. Goddard, Vrin, 2006, p. 126).
27
J. G. Fichte, Rechtslehre (RL), ed Schottky, Felix Meiner, Hamburg RL, 149;
cfr. La philosophie politique de Fichte cit., sp. pp. 200-203.
Fichte e la filosofia politica in una prospettiva storico-concettuale
17
suo tempo”. Ma allora ciò che garantisce la bontà del governo non è
una autorizzazione che viene dal basso, ma la capacità di innalzarsi
all’idea e alla ragione.
Non viene immediatamente negato il meccanismo della
sovranità, ma sono i due processi che nel NR apparivano rilevanti
per la sovranità a monte e a valle ad essere messi in crisi. Da una
parte, a monte, quello della autorizzazione, cioè della legittimazione
derivante dalla scelta dei singoli che avviene attraverso il voto,
secondo quanto afferma il ritornello consueto negli anni della
Rivoluzione francese : non c’è rappresentazione senza elezione. Già
con Kant questa legittimazione viene a cadere, e proprio per questo
l’ideale della costituzione repubblicana, nella quale la
rappresentazione ha a che fare con l’idea e dunque con la ragione,
non è riducibile al buon senso delle costituzioni democraticorappresentative contemporanee, dove il fondamento indiscusso
della legittimazione consiste nella maggioranza dei voti28.
Nonostante tutte le notevoli differenze esistenti tra i due autori,
troviamo un atteggiamento analogo (per quanto riguarda lo statuto
della filosofia) anche in Fichte. Già infatti nella Rechtslehre
emerge, sulla base della realistica constatazione della cattiveria dei
più, la convinzione che “nicht der Vorschlag des Weisen und
Guten, sondern des Unweisen die Majorität für sich gewinnen
werden”29. Ciò che mi pare maggiormente rilevante è non tanto
l’opinione che la maggioranza sia cattiva, ma l’indicazione che la
bontà della scelta non è riducibile alla maggioranza delle opinioni.
La semplice espressione dell’arbitrio di tutti, non solo non è
sufficiente, ma appare a Fichte contraria alla scelta del migliore. La
conclusione è drastica : “Also, die Aufgabe das Recht zu
konstituiren, welche jetzt auf die zurückgeführt worden ist, den
Gerechtesten seiner Zeit und Nation zum Herrscher derselben zu
machen, ist durch menschliche Freiheit nicht zu lösen “30. La
libertà, intesa qui nel senso riduttivo dell’espressione libera
dell’arbitrio, sembra abbandonare la centralità e il ruolo
28
Cfr. Duso, L’idea di libertà e l’ideale repubblicano nel pensiero di Kant cit. sp.
pp. 28-42.
29
Cfr. RL, p. 154.Riprendo qui alcune indicazioni presenti in Politische als
praktische Philosophie beim spätem Fichte cit.
30
R L, p. 155-156.
Fichte e la filosofia politica in una prospettiva storico-concettuale
18
fondamentale e unico che riveste nella costruzione del diritto, e
quest’ultimo sembra perdere la sua autosufficienza e la capacità di
risolvere il problema della giustizia. La domanda a cui è necessaria
la scelta del migliore, del più giusto e del saggio è quella della
Gerechtigkeit im Staate31. Si badi bene che questa riproposizione
della questione della giustizia nello Stato non si lascia ricondurre
alla giustizia dello Stato, nell’ottica della conquista del dispositivo
concettuale nato con il giusnaturalismo, che, sulla base della
constatazione della conflittualità e della instabilità che nascono
dalle contrapposte opinioni sulla giustizia, produce un modo
univoco di intendere quest’ultima, e appunto formale, tale da
prevedere un comportamento uniforme degli uomini a prescindere
dalla pluralità delle opinioni che essi possono avere. La costruzione
scientifica della forma politica tende a ridurre la giustizia al diritto,
e questo all’insieme delle leggi prodotte dallo Stato, e nello Stato da
colui o coloro che da tutti sono stati designati a tale funzione. Porre
una domanda di giustizia che ecceda questa razionalità formale
significa mettere in crisi la costruzione della forma politica e apri o riaprire - un modo diverso di pensare la politica.
Da una parte dunque è il processo che sta a monte della
sovranità ad essere messo in questione, dall’altra quello a valle, che
risulta di assai difficile soluzione per tutti i giusnaturalisti, ma che
con caparbietà Fichte cercava di perseguire nel NR, cioè quello
delle garanzie formali che possono realizzare un autentico controllo
del potere. Un tale controllo era ricercato attraverso la forma
costituzionale dell’Eforato e, nel fallimento di questa, attraverso il
mezzo della rivoluzione. Entrambe queste due vie, vengono scartate
nella Rechtslehre, per lo stesso motivo per il quale l’elezione non è
soluzione del problema della scelta dell’uomo più giusto. Non è con
un secondo corpo rappresentativo che si può avere una garanzia del
controllo : la ricerca del controllo dei controllori porta all’aporia la
logica di garanzia e di sicurezza che è insita nella forma politica
moderna. La stessa espressione di volontà della maggioranza del
popolo ha carattere solo formale, ma non dà la garanzia che il
governo e l’agire comune siano giusti da un punto di vista concreto
e materiale.
31
RL, p. 156.
Fichte e la filosofia politica in una prospettiva storico-concettuale
19
La messa in crisi del carattere formale della relazione comandoobbedienza, la denuncia della inefficacia del processo legittimante
basato sulla libertà dei singoli32 e la ricerca di una giustizia che
vada oltre il circolo che dai diritti degli individui porta al diritto
come insieme delle leggi dello Stato, ci spingono a dire che qui non
ci troviamo più di fronte al concetto di sovranità : la logica della
sovranità viene messa radicalmente in crisi e la Herrschaft di cui si
parla non è riducibile ad un gioco di volontà : quella obbligante del
soggetto collettivo e quella autorizzante dei singoli individui. Si
tratta piuttosto di un comando che è legato ad una funzione di guida
e che comporta la necessità di rivolgersi ai punti di orientamento
che la ragione ci offre, che oltrepassano la volontà sia di chi
comanda, sia di chi è soggetto al comando. C’è un orizzonte che
deve accomunare chi si trova nella stessa realtà politica. Come ho
sopra ricordato, più che la logica del giusnaturalismo, è qui presente
un modo di pensare la politica che richiama una tradizione più
antica, che giunge fino a Platone, come si è detto. Non è sufficiente
la messa in questione della affermazione platonica dei re filosofi o
dei filosofi re, o della ripresa nella Repubblica del mito dei diversi
metalli di cui sono fatti gli uomini33 per ravvisare una radicale
opposizione al modo platonico di pensare la politica. Intendiamoci
bene, non voglio qui sostenere che Fichte si rifaccia ad un modello
antico. La proposta è piuttosto un’altra : che al di là della
concettualità diffusa con i trattati di diritto naturale, che pensa
l’agire in comunità degli uomini mediante il dispositivo logico
determinato dai poli di libertà e potere, Fichte, per la radicalità che
comporta il nucleo filosofico del suo pensiero, riattinge, all’interno
della costruzione teorica che segna il pensiero moderno della
politica, un problema più originario, che è quello della giustizia e
quello della necessità di pensare l’azione di governo e il rapporto
tra governante e governati. Sarei tentato di dare a questo Zwingherr
32
Naturalmente non si vuole qui trascurare l’idea di libertà che è centrale in Fichte
e connaturata, come egli stesso afferma, a ciò che egli intende per filosofia ;
piuttosto si vuole registrare il fatto che essa non coincide con il concetto di libertà
che appare essenziale al dispositivo nato con il giusnaturalismo.
33
SW , IV, p. 458 (tr. fr., p. . 137), 453-54 (tr. fr., pp. 133-134).
Fichte e la filosofia politica in una prospettiva storico-concettuale
20
non il nome di sovrano, ma piuttosto quello di governante nel senso
forte e originario del termine governo34.
Per tornare al quadro da cui sono partito e che lega
l’attraversamento di Fichte al problema della filosofia politica e
all’analisi dei concetti politici moderni, ricordo che in una serie di
lavori abbiamo cercato di mostrare come lo stratagemma logico
della sovranità, che trova il suo compimento nella democrazia
moderna, consista nel negare, sulla base dell’uguaglianza un
rapporto di governo tra gli uomini. Dal momento che il comando e
l’obbligazione non è negabile, lo stratagemma consiste allora nel
fare della volontà di chi ubbidisce la fonte del comando. Solo così
si può pensare a quella disciplina che il concetto di potere
comporta, secondo cui chi ubbidisce, come dice Weber, per propria
volontà, pone il comando della legge a norma della propria azione,
a prescindere dal contenuto del comando, ma solamente in
relazione alla posizione in cui si trova nei confronti di chi esprime il
comando35. Così in democrazia il potere è teoricamente di tutti e
proprio ciò impedisce sia di pensare la partecipazione dei cittadini perché non si partecipa a ciò che è già proprio -, sia la
responsabilità di chi governa (che compirebbe azioni di cui autori
sono coloro che lo hanno autorizzato), sia la reale presenza politica
dei cittadini di fronte al corpo rappresentativo e al nesso di
legislativo ed esecutivo, dal momento che è proprio quella
rappresentativa la via di manifestazione della volontà del soggetto
collettivo36.
34
E’ ben vero che è l’educazione filosofica a venire in luce con forza in questo
contesto, ma questa non sostituisce né nega il comando e l’obbligazione politica;
piuttosto li pensa in un modo diverso da quello del potere e della sovranità. Per la
distinzione della categoria del governo dal concetto moderno di potere cfr. Fine
del governo e nascita del potere, in Duso, La logica del potere, pp. 83-122, Id., Il
potere e la nascita dei concetti cit., sp. pp. 184-188.
35
Cfr. M. Weber, Wirtschaft und Gesellschaft, hrsg. J. Winckelmann, Mohr,
Tübingen, 19765, I Bd., p. 28 (tr. it. Economia e società, a cura di P. Rossi,
Edizioni di Comunità, Milano, 19742, ora 1981, vol. I, pp. 51-52 (su questo cfr.
Tipi del potere e forma politica moderna in Max Weber, in G. Duso, La
rappresentanza politica cit., pp. 120-144).
36
Per un approfondimento dei paradossali effetti di spoliticizzazione che derivano
dal dispositivo democratico di legittimazione del potere, rimando a G. Duso, La
democrazia e il problema del governo, “Filosofia politica”, XX (2006), n. 3, pp.
Fichte e la filosofia politica in una prospettiva storico-concettuale
21
Alla luce anche della riflessione critica sulle opinioni comuni
che stanno alla base della forma democratica, l’eccedenza della
filosofia di Fichte nei confronti dello stato di diritto, della
democrazia e della rivoluzione, lungi dal dover essere deprecata,
appare piuttosto come uno spazio filosofico da attraversare senza
pregiudizi per il nostro stesso tentativo di pensare la politica.
367-390; per quanto riguarda il riemergere del problema del governo, sp. pp. 381385.
Fichte e la filosofia politica in una prospettiva storico-concettuale
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