CULTURA
L’ISLÀM
C.F. RENATO SCARFI
4
CULTURA
Ancora oggi è opinione diffusa che i termini arabo e musulmano si equivalgano nel loro significato. Tale errore
deriva dal fatto che gli arabi si sono imposti all’attenzione della storia soltanto dopo l’avvento dell’Islàm. Le gesta
delle parecchie centinaia di milioni di uomini e donne che l’hanno rappresentato durante i circa quattordici secoli
della sua storia hanno profondamente inciso sull’evoluzione culturale del mondo occidentale, e su quello europeo
in particolare, ma è negli ultimi anni che l’Islàm è tornato impetuosamente alla ribalta mondiale, occupando le pagine dei giornali e gli schermi delle televisioni. L’Occidente ha ricordato così che il Mediterraneo è già stato, in passato, teatro di dispute e di scontri col mondo arabo-islamico, ha riscoperto lo stesso jihad che, in pochi decenni,
condusse le verdi insegne del Profeta alla conquista di Damasco, di Alessandria, di Palermo, di Siviglia; ha ripescato il “Mamma li turchi”, urlato dai popolani che abitavano le cittadine cristiane affacciate sul Mediterraneo.
Le notizie divulgate, spesso imprecise, frammentarie, quando non intenzionalmente tendenziose, hanno creato una rappresentazione del mondo islamico definitivamente distorta. I cantastorie che giravano l’Europa contribuivano ad alimentare tale confusione, diffondendo notizie di sovente fornite da informatori che non conoscevano minimamente il mondo arabo-islamico (1) e ritraendo gli arabi in modo decisamente diverso da quello che
erano il loro aspetto, i loro costumi e il loro mondo religioso. Quel retaggio culturale rimane ancora in molti di
noi. Pensiamo, infatti, a quali immagini ci figuriamo, ancora adesso, quando pensiamo all’Islàm e ai musulmani:
l’immenso deserto e il beduino sul suo cammello; i mori che rapiscono le belle fanciulle cristiane per gli harem dei
rispettivi signori; il lusso dei palazzi dove vivono i vari califfi, sultani e pascià, circondati da belle schiave e dediti
ad ogni sorta di piacere; le città con i quartieri miserabili e in condizioni igieniche disastrate, con mercati che
offrono, però, delizie e meravigliosi tappeti, magari volanti; la scimitarra che taglia la mano del ladro (2). Scene
che, a seconda della nostra fantasia, coloriamo di pittoresco, di crudele, di fantastico, di strampalato o di truculento, scene spesso viste e riviste nelle molte produzioni cinematografiche di Hollywood. Molte di queste cose sono
effettivamente esistite o esistono tuttora ma circoscrivere in questo modo la conoscenza di un popolo e di una religione - che è al secondo posto nel mondo per numero di credenti - è estremamente limitativo e poco aderente al
vero. Questo, comunque, è il risultato di secoli di confusione culturale e di ignoranza in materia, che hanno consentito di demonizzare popoli con una diversa fede religiosa, in maniera da confondere la realtà, ora ignorandola,
ora distorcendola e contraffacendola volutamente. Come se ciò non bastasse l’opera di disinformazione tendeva
ad una soluzione ancora più drastica, raffigurare l’Islàm come il nemico principale del mondo cristiano. Si arrivò
addirittura a dipingere i musulmani come dei pagani idolatri, intenti ad adorare sia Maometto che Lucifero.
A tutte queste notizie, però, si contrapponevano le informazioni provenienti da altre fonti - mercanti, guerrieri, marinai, pellegrini, viaggiatori - che descrivevano i musulmani in maniera diversa, meno distorta.
Il mondo arabo prima di Maometto
Agli inizi del VII secolo esistevano due grandi imperi, che dominavano la metà occidentale del mondo: quello bizantino e quello sassanide.
L’impero bizantino (da Bisanzio, l’antico nome di Costantinopoli, la capitale) era un impero prevalentemente
di fede cristiana, con le sue varianti ortodosse e copte. Esso comprendeva una parte dell’Italia, i Balcani, l’Anatolia, la Siria, la Palestina, l’Egitto, Creta, la Tripolitania e la Cirenaica. I funzionari che rappresentavano l’imperatore erano di lingua greca e tra i più grossi centri di cultura ellenica nel Mediterraneo orientale c’erano città come
Antiochia in Siria e Alessandria in Egitto.
L’impero sassanide era confinante con quello bizantino e si estendeva dall’Iraq fino in Asia centrale. La sua capitale era Ctesifonte, nella zona fertile e popolosa del centro dell’Iraq, bagnata dal Tigri e dall’Eufrate. Le lingue più
diffuse erano il pahlavi (una varietà di lingua iranica) e l’aramaico. La popolazione professava principalmente il
Mazdeismo (3) o Zoroastrismo, nato a Babilonia nel III secolo, che poneva un accento particolare sul dualismo
del bene e del male, ed aveva un clero ed un culto formale.
I due imperi rivali si trovavano in una situazione di tensione che aveva portato all’esaurimento di tutte le soluzioni diplomatiche. L’unica carta “giocabile” per arrivare ad una soluzione definitiva era lo scontro diretto, troppo
(1)
(2)
(3)
Come ad esempio l’inglese George Sale, che aveva pubblicato una traduzione allora molto accreditata del Corano e che, a suo dire,
aveva passato circa un quarto di secolo in Oriente, mentre egli non aveva mai messo il naso fuori dalla natìa Albione.
Corano V, 38.
Tale fede fu professata anche da S. Agostino prima che si convertisse al cristianesimo.
5
CULTURA
dispendioso, però, in termini di vite umane e di risorse economiche. A mantenere accesi gli animi pensavano gli
arabi cristiani e quelli zoroastriani che vivevano nei territori di confine, massacrandosi a vicenda per conto dei
rispettivi padroni. Nel frattempo nella penisola arabica altre comunità arabe pagane si arricchivano commerciando pacificamente con i loro vicini e con l’estero.
La più importante di queste risiedeva nello Yemen, sulle coste del Mar Rosso opposte all’Etiopia (4), terra di
vallate fertili e punto di transito per il commercio a lunga distanza. La comunità yemenita parlava una lingua
diversa dall’arabo parlato nel resto della penisola arabica. Non era definita una religione ufficiale ma prevalevano
i politeisti che adoravano i loro numerosi dèi in templi comuni, che erano mèta di pellegrinaggi e di preghiere,
mai comunitarie. Lo stile di vita sedentario degli arabi dello Yemen si contrapponeva al nomadismo degli arabi
localizzati nel centro e nel nord dell’Arabia. Gli yemeniti erano in questo agevolati dalla particolare fertilità delle
zone subarabiche che producevano aromi e incensi e che diedero origine a una delle maggiori vie commerciali del
mondo antico: la Grande Carovaniera (5). Essa portava ai mercati “occidentali” tutti i prodotti di quella terra
(sapori, droghe, stoffe raffinate) e fungeva da ponte per il commercio di alcuni prodotti con l’Estremo Oriente.
Da queste zone si diffusero la palma da dattero, l’incenso, la gomma arabica, il melograno, il melo, l’albicocco, il
mandorlo, l’arancio, il limone, la canna da zucchero, l’anguria, il banano e il caffè (quest’ultimo importato, però,
dall’Abissinia).
In questa zona agli inizi del VII secolo fece la sua comparsa un nuovo movimento religioso che chiamava uomini e donne ad una riforma morale e alla sottomissione al volere dell’unico Dio. Tale messaggio, diffuso in lingua
araba da Muhammad (Maometto), costituiva lo sviluppo del Giudaismo e del Cristianesimo e fondava, così, una
nuova religione, distinta dalle due precedenti.
... e venne un uomo ...
Una stella appare nel cielo per annunziare un grande evento e contemporaneamente gli angeli scacciano i jinn
(dèmoni, sàtiri) dalla sacra Ka’ba per purificarla. Così inizia la storia della vita di Maometto, col desiderio di tramandare ai posteri alcuni avvenimenti prodigiosi che preannunciarono la nascita del Profeta. In realtà, quando
egli nacque alla Mecca, un centro dell’Arabia occidentale, nell’Anno dell’Elefante - intorno al 570 (6) pochi se ne
accorsero anche se il fanciullo apparteneva ad una influente, anche se non ricca, famiglia della città. Egli veniva
alla luce orfano di padre e dopo la morte prematura della madre, quando egli aveva cinque anni, fu il nonno
materno Abd al-Muttalib, sheikh (vecchio, anziano) della consorteria degli Hashim (della tribù dei Quraysh) che
gli fornì l’aiuto per affrontare le prime difficoltà della vita.
In una società in cui gli orfani erano mal sopportati le prime esperienze del ragazzo furono drammatiche, tuttavia egli ricevette il costante appoggio dello zio paterno Abd Manaf che lo avviò alla professione del carovaniere.
Viaggiando, il giovane Muhammad ebbe l’occasione di allargare i suoi orizzonti, visitando i grandi centri culturali e commerciali della regione. Nel 595 si unì in matrimonio con la ricca vedova - di una quindicina di anni più
anziana di lui - dedita al commercio, che gli aveva dato lavoro come amministratore delle sue sostanze, Khadija.
Il ricco matrimonio salvò Maometto dalle preoccupazioni economiche lasciandogli, così, molto tempo per frequentare gli hanif, uomini pii tendenzialmente monoteisti, esperti nelle Scritture ebraiche e cristiane, che gli insegnarono la meditazione. Non si conosce molto circa le ragioni intime della sua vocazione ma chi ha vissuto nel
deserto e ha sentito il rumore del vento che vi soffia impetuoso la notte, chi ha visto sabbia e sassi a perdita d’occhio, imbiancati dalla luce abbagliante del sole torrido vicino allo zenith e chi ha sentito il freddo sotto il cielo che
appare più stellato che altrove, sa bene che il silenzio del deserto parla dentro, e chi lo ascolta ne viene travolto.
Correva l’anno 611 e una notte lo splendente arcangelo Gabriele svegliò Maometto che riposava in una grotta ove
sovente egli usava ritirarsi, sul “monte” Hira. Egli gli disse: «Tu sei l’inviato di Allah (7), il Suo Profeta!», gli si avvicinò e lo obbligò a recitare alcuni versi rivelatigli direttamente da Dio.
In arabo la recitazione orale solenne di un testo scritto si esprime col termine qur’an e tale nome è passato ad iden(4)
(5)
(6)
(7)
6
L’Etiopia era un antico regno che aveva come religione ufficiale il cristianesimo copto.
L’altra grande via di commercio dell’epoca era la Via della Seta, che portava fino in Estremo Oriente.
Così chiamato perché in tale anno il viceré etiope marciò dallo Yemen sulla Mecca con un esercito nel quale c’era anche uno di quei pachidermi. Tale attacco, secondo uno strano ed incerto sincronismo, fu stornato a causa di un’epidemia che falcidiò le truppe etiopi.
Il nome di Dio, già impiegato per indicare una delle divinità locali. Al giorno d’oggi esso viene usato come nome di Dio anche da
parte di ebrei e cristiani di lingua araba.
CULTURA
tificare il contenuto del libro (il Corano) (8). La feroce opposizione dei politeisti si traduce in una vera e propria persecuzione verso tutti coloro che vengono riconosciuti come seguaci di Maometto, per strada essi subiscono ogni genere di prepotenza: insulti, sputi, percosse. La situazione degenera a tal punto da costringere Maometto alla hijra (ègira
= migrazione) del 622 verso Yatrib, che da quel momento sarà chiamata al-Madina (Città): la città per eccellenza del
Profeta. L’era musulmana inizia proprio dall’anno dell’ègira, il 622; e precisamente dal 16 luglio, primo giorno dell’anno musulmano. In quel posto sarà poi costruita la prima masjid (la moschea, “il luogo dove ci si prosterna”).
A Medina, Maometto cominciò a concentrare un potere che si propagò attraverso l’oasi e il deserto circostante.
E’ qui che ricevette i due versetti che avrebbero inciso più degli altri nei rapporti dei musulmani con le altre religioni. Essi così recitano: « ... uccidete gli idolatri ovunque li troviate, prendeteli, circondateli, fate delle imboscate con-
(8)
Le parole di Maometto, secondo le usanze di allora, continueranno ad essere tramandate oralmente per molti anni dopo la sua morte.
Sotto il terzo califfo (Uthman - 644/656) si provvederà finalmente alla raccolta delle rivelazioni, successivamente riunite nel Corano.
7
CULTURA
tro di loro, ... » (9) e ancora «O Profeta! Combatti i miscredenti e gli ipocriti, trattali severamente ... » (10). Ben presto ci furono scontri con i Qurayshiti (politeisti) per il controllo delle vie commerciali che passavano da Medina. In
seguito i gruppi di ebrei della città, pur avendo fatto parte dell’alleanza originaria, entrarono in rotta di collisione con
le idee di Maometto e tale fatto ebbe come risultato la loro espulsione dalla città o, peggio, il loro sterminio.
Dopo una serie impressionante di battaglie e di vittorie, Muhammad conquistò nel 630, senza combattere, la Mecca
e quando due anni dopo morì, il giorno 13 del mese di Rabi’ dell’undicesimo anno dell’ègira, corrispondente all’8 giugno del 632, aveva conquistato l’intera penisola arabica. Venne sepolto a Medina, che rimase per sempre la sua città.
Egli era stato statista, legislatore, conquistatore, monarca, pontefice e un grande rais (capo) ma soprattutto e
anzitutto sarà ricordato come an-Nabi (il Profeta) e rasul Allah (l’Inviato di Dio)(11). Egli potè fare cose infinitamente grandi perchè viveva in un tempo e presso un popolo in cui esse erano possibili. Il suo destino era diventare un martire o un conquistatore, non c’era via di mezzo.
Il monoteismo proposto da Maometto era legato all’originale monoteismo abramitico, che ebrei e cristiani,
secondo la visione islamica, possedevano ma avevano in parte corrotto, così come corrotte erano ormai le loro
Scritture. Esso ne rappresentava, quindi, l’ultima e definitiva evoluzione. Tutti i credenti nella vera religione e nel
Dio di Abramo saranno chiamati musulmani.
Il mondo arabo dopo Maometto.
La nuova religione attrasse molti seguaci e nel suo nome si formarono eserciti, composti prevalentemente da
abitanti dell’Arabia. Essi condussero una delle più grandi campagne di conquista della storia, trasformandosi da
gruppo tribale quasi sconosciuto a fondatore di un nuovo impero, il califfato (12), che comprendeva gran parte
del territorio dell’impero di Bisanzio e la totalità di quello sassanide estendendosi dall’Asia Centrale alla Spagna.
Il mondo fu da essi suddiviso in due grandi “blocchi”: il Dar-al-Islàm (il mondo dell’Islàm), la parte del mondo
abitata dai musulmani - sulla quale, secondo gli insegnamenti coranici, non era lecito combattere - e il Dar-alHarb (mondo della guerra), che comprendeva la restante parte della terra, intendendo indicare con questo che il
mondo non governato dalle leggi del Corano era in preda al caos e pertanto era lecito combattere su quel suolo
per portarvi “l’ordine Islamico” e per “convertire” le popolazioni che vi risiedevano.
I bizantini e gli iranici furono incapaci di opporre qualsiasi resistenza all’offensiva araba; essi erano indeboliti dalle
lunghe guerre e dalle numerose epidemie di peste. I primi, sconfitti nella battaglia di Yarmuk, il 20 agosto 636, ripiegarono in Asia Minore e successivamente su Costantinopoli che verrà infine conquistata da Maometto II nel 1453. L’impero sassanide, invece, si sgretolò dopo due sole battaglie, a Qadisyya, vicino a Baghdad, nel 637 e a Nihavand nel 642.
Nel 661, anno della morte di Alì, genero-cugino di Maometto e ultimo dei califfi “ben guidati”, il centro del potere si
trasferì dall’Arabia a Damasco, in Siria, sotto i califfi Ummayyadi e, nel 750, a Baghdad, in Iraq, sotto gli Abbassidi.
Il fulmineo sviluppo che ebbe la nuova religione è sempre stato motivo di stupore e di meraviglia, e continua
ad esserlo sia tra gli studiosi sia tra i profani. La rapidità e la successione delle vittorie militari dei seguaci della
nuova religione non desta meno meraviglia. Probabilmente il folgorante successo arabo è la conseguenza del fatto
che tale popolo permeò di religione la condotta della guerra. Nella storia si possono trovare molti esempi dell’influenza di un’idea nei combattimenti; il romano Temistio aveva dichiarato che la forza di Roma non consisteva
nella corazze e negli scudi, e neppure nella massa degli uomini, ma nella ragione; Costantino nella battaglia di
Ponte Milvio aveva implorato l’immagine della croce di dargli la vittoria contro il pretendente Massenzio.
Le vittorie arabe suscitano ulteriore stupore anche considerando la mediocre qualità dei loro eserciti. Gli arabi
erano, infatti, abituati ad una condotta della guerra fatta in maniera abbastanza primitiva, con piccoli scontri o
scorrerie, che in definitiva comportavano uno sforzo limitato nel tempo. Essi non erano abituati alla condotta di
campagne prolungate, erano piuttosto male equipaggiati e i loro primi capi non erano strateghi particolarmente
brillanti. Ciò nondimeno essi non dubitarono mai della giustezza della loro causa e della ineluttabilità della vittoria finale, e tale sicurezza li condusse al successo.
(9) Corano IX, 5.
(10) Corano IX, 73.
(11) Da parte cristiana si tenderà, invece, a sminuirne la statura politica, religiosa e militare e, nel corso del tempo, gli verranno assegnati
vari epiteti poco lusinghieri.
(12) Il califfo - da Khalifa = successore, luogotenente, vicario - è colui che, pur non essendo un profeta lui stesso e non potendo avanzare, quindi, le pretese di continue rivelazioni, sostituisce il Profeta alla testa della comunità.
8
CULTURA
In mancanza di un addestramento militare specifico e di mezzi adatti alla guerra essi si ingegnarono utilizzando al meglio quello che la natura aveva loro assegnato, il cammello. Questo animale più lento e più impacciato
del cavallo era dotato di una grande resistenza. Esso fu utilizzato per superare terreni che erano giudicati impenetrabili dal nemico, consentendo alle armate musulmane di giungere inaspettatamente sul campo di battaglia e di
sbaragliarlo. Dal punto di vista tattico gli arabi non disdegnavano la fuga o, più propriamente, la ritirata durante
le battaglie. Questo consentiva loro di sfruttare appieno le peculiarità morfologiche del campo di battaglia. Quando il nemico, inseguendo i combattenti arabi che si ritiravano, si disuniva, essi con un rapido dietro-front, contrattaccavano, lasciando disorientato l’avversario, non abituato a quel tipo di comportamento.
Ai primi dell’VIII secolo la costa settentrionale dell’Africa era interamente sotto la giurisdizione musulmana e
le popolazioni assoggettate erano state islamizzate. Il Dar-al-Islàm venne distinto in “Maghreb” (Occidente), che
comprendeva la Tunisia, l’Algeria e il Marocco e la Libia, e in “Mashreq” (Oriente), che andava dall’Egitto fino al
confine orientale dell’Iran, comprendendo la fascia siro-palestinese e la penisola arabica.
Mentre l’Islàm si espandeva dal Maghreb verso sud, oltre l’Atlante, una spedizione passava, nel 711, lo stretto di
Gibilterra approdando nella penisola iberica e, successivamente, sconfiggeva i Visigoti impadronendosi della Spagna
da cui era facile, con rapide scorrerie, varcare i Pirenei e minacciare i Franchi. Nel 732 Carlo Martello impegnò in
combattimento, sconfiggendoli, i saraceni (da “figli di Sara”, la moglie di Abramo) nell’epica battaglia di Poitiers. Tale
vittoria ebbe senza dubbio il merito di rialzare il morale delle truppe cristiane ma, dal punto di vista militare non fu
determinante. Una curiosità: narrando l’episodio di Poitiers un anonimo cronista del tempo chiama per la prima volta
i combattenti cristiani Europeenses. L’avanzata musulmana in territorio franco si può affermare che fu effettivamente
arrestata solo quando i saraceni persero definitivamente la città di Narbona, nel 751, presa da Pipino dopo ben sette
anni di assedio. La storia non ha reso la necessaria giustizia a questa grande vittoria strategica senza la quale, probabilmente, i muezzin avrebbero diffuso l’appello alla preghiera dall’alto delle torri cristiane dell’epoca. Le incursioni
saracene in Francia e in Italia, comunque, continuarono ancora a lungo. Dopo il 732 una flottiglia di pirati musulmani approdava in una località nelle vicinanze di Saint Tropez, utilizzandola come punto di partenza per le loro scorrerie che per lunghi anni seminarono il terrore in tutta l’area limitrofa; dalla Provenza al Delfinato, alla Savoia, al Piemonte, spingendosi fino a Genova. Successivamente, tra l’827 e il 902, i musulmani occupavano la Sicilia, dove
avrebbero mantenuto il potere per quasi 200 anni e dove la loro civiltà avrebbe lasciato numerose tracce, fortunata-
9
CULTURA
mente giunte fino a noi. Altri raids corsari musulmani crearono sulle coste italiane ulteriori basi di scorreria. Tra l’840
e l’880 sorsero in Puglia due emirati, a Bari e a Taranto. Il primo di essi chiese la legittimazione della sua esistenza
direttamente al califfo abbasside di Baghdad e non ai suoi diretti sovrani. Tale comportamento era la prima avvisaglia dei futuri dissidi politici interni al califfato che porteranno, come vedremo, al suo successivo frazionamento.
La storia mediterranea dei secoli VII-X è pertanto quella di un costante contrasto tra “europei” e musulmani.
Nel X secolo il califfato si suddivise in califfati rivali. La maggior parte della popolazione si era convertita all’Islàm,
anche se continuavano ad esservi delle minoranze di ebrei e cristiani. L’unità sociale e culturale che si era creata, però,
non si ridusse; la lingua araba si diffuse enormemente facendo da catalizzatore attorno al quale la cultura si rinnovò
tenendo conto delle peculiarità dei popoli assorbiti dal mondo islamico.
Pur facendo parte di ambienti fisicamente diversi, le società islàmiche si amalgamarono sviluppando istituzioni comuni e un proprio stile caratteristico. I legami commerciali che si stabilirono tra i Paesi del Mediterraneo e
quelli dell’Oceano Indiano consentirono lo sviluppo di un commercio su vasta scala che implicò mutamenti nel
sistema agricolo esistente e un riordino dei mestieri. Sotto tale spinta economica crebbero grandi città con una
civiltà urbana organizzata e importanti scuole.
Tra l’XI e il XV secolo il mondo musulmano continuò la sua espansione annettendo l’Anatolia e l’India. In
seguito emerse un terzo gruppo etnico e linguistico: i Turchi, che costituiranno la classe dominante in gran parte
del Mashreq.
La prima crociata, consegnata alla storia come movimento di entusiasmo religioso per liberare la Terrasanta dall’oppressione turca, fu in effetti la prima reazione concreta, a lungo meditata e preparata, della cristianità contro
l’Islàm, dell’Europa contro l’Asia. Pur non ottenendo i risultati che si era prefissata essa fu, comunque, un innegabile successo perchè arrestò l’avanzata turca verso occidente, impegnando le armate musulmane sul proprio territorio, e permise di creare i precedenti per la successiva “Reconquista” della Spagna.
Tra il XV e il XVI secolo il mondo musulmano venne suddiviso, in seguito ad una spaccatura politica, in tre
grandi imperi: quello degli Ottomani, dei Safavidi e dei Moghul. Tutti i territori di lingua araba, ad eccezione di
parte dell’Arabia, del Sudan e del Marocco, furono compresi nell’Impero Ottomano, con capitale Istambul. Esso
si estendeva anche nel sud-est europeo, rappresentando una costante minaccia ed una spina nel fianco dei regni
cristiani. Il turco era la lingua della famiglia regnante e della classe dirigente militare e amministrativa, composta
prevalentemente da elementi provenienti dai Balcani e dal Caucaso convertitisi all’Islàm.
Proseguirono le incursioni saracene sulle coste italiane facendosi sempre più intraprendenti e, nel 1516, durante un raid presso Lavinio, vicino a Roma, Giovanni de’ Medici - Papa Leone X - riuscì per pura fortuna a sfuggire ad un tentativo di rapimento da parte dei corsari musulmani.
Arriviamo così all’anno 1571, considerato un anno molto importante per gli effetti che ebbe sia sul mondo
islamico, sia sul mondo cristiano: è l’anno della battaglia di Lepanto.
Le flotte cristiane e musulmane in quelle acque si dettero battaglia per il dominio del Mediterraneo e, quindi, delle
sue rotte commerciali marittime. La sconfitta ottomana comportò un ridimensionamento delle mire espansionistiche
dell’impero e anche se dal punto di vista militare non si ebbero grosse ripercussioni - le navi perdute furono presto rimpiazzate - il contraccolpo psicologico fu durissimo. Da quel momento l’impero ottomano cominciò il suo lento ma
progressivo declino. A similitudine dei tramonti che si possono ammirare nel deserto, quando il sole riempie l’orizzonte con i suoi raggi, l’impero ottomano, in questo periodo, conobbe la massima espansione. Esso comprendeva l’Anatolia, la Transcaucasia, il Caucaso, la Crimea, l’Ucraina meridionale, i Balcani, le attuali Romania, Bulgaria, Grecia,
Ungheria, e poi la Siria, il Libano, Israele, una parte dell’Iraq, l’Arabia, lo Yemen, l’Egitto, la Cirenaica e la Tripolitania, la Tunisia e l’Algeria. Un impero smisurato che fu anche l’ultima espressione dell’universalità islamica.
Nel XVIII secolo mutarono i rapporti tra l’impero e gli Stati d’Europa. La potenza di alcuni Paesi europei era
notevolmente cresciuta. Tale salto di qualità fu determinato sia dalla minore mortalità causata dalla peste, che cessò
di devastare le città in seguito al miglioramento dei sistemi di quarantena, sia dalla fine delle carestie, dovuta all’introduzione del mais che rese possibile sfamare una popolazione più numerosa. In seguito al divario scientifico e
tecnologico creatosi, l’impero ottomano si trovò minacciato militarmente da ovest e da nord. Alla fine del secolo
la forte concorrenza tra i commercianti e navigatori arabi e quelli europei - la Compagnia delle Indie Orientali
(olandese) e la Compagnia delle Indie (inglese) - causò un mutamento, a favore degli europei, nella natura e nella
condotta del commercio in quella zona.
Le merci sotto il controllo dei commercianti europei, prodotte in Europa o nelle colonie dell’Asia e delle Ameri-
10
CULTURA
che, furono ben presto competitive con quelle prodotte dal Medio Oriente su tutti i mercati mondiali. Il caffè della
Martinicca, lo zucchero delle Antille e i tessuti francesi presero pian piano il posto dei corrispondenti prodotti arabi.
La classe dominante ottomana cominciò infine a comprendere ciò che stava accadendo, a riconoscere il declino della propria potenza e a intuire il pericolo che correva la propria indipendenza. Furono, così, varati i primi
tentativi per fronteggiare la nuova situazione: si intensificarono i contatti diplomatici con le Nazioni europee e
vennero formulate soluzioni per la creazione di un nuovo esercito, più moderno e meglio addestrato ma alla fine
non si risolse nulla, dato che la creazione di un esercito competitivo avrebbe comportato riforme fiscali che avrebbero colpito troppi e potenti interessi.
Il XIX secolo fu l’epoca in cui l’Europa dominò il mondo. La crescita della produzione industriale e lo sfruttamento dei nuovi metodi di comunicazione - battelli a vapore, ferrovie e telegrafi - portarono ad una ulteriore
espansione del commercio europeo che, a sua volta, comportò la crescita della potenza militare, portando la Francia all’annessione dell’Algeria (1830-1847), primo Paese di lingua araba ad essere conquistato. Le comunità
musulmane ebbero adesso la necessità di sopravvivere in un sistema dominato dagli altri. Il mondo islamico cercò
ancora di formulare nuove teorie che mostrassero come fosse possibile adottare il metodo europeo senza venir
meno alla propria fede. Fu Selim III (1789-1807) a tentare tale strada ideando innanzi tutto un programma per
rinnovare le strutture dell’impero. I giannizzeri - la guardia imperiale - e i religiosi, alleati, lo fecero mandare a
morte per paura di perdere i propri privilegi. A lui subentrò il figlio Mahmud II (1808-1839) che varò le riforme,
dopo aver preventivamente sterminato i giannizzeri. Egli successivamente abbandonò il palazzo del Topkapi, per
numerosi anni residenza dei sultani, e impose al proprio popolo gli abiti europei e il fez, strutturò l’amministrazione pubblica sul modello occidentale, nominò dei ministri e inviò ambasciatori presso le potenze europee. Il suo
successore (Abd ul-Megid, 1839-1861) completò l’opera proclamando l’uguaglianza di tutti davanti alla legge,
riformando le finanze, l’amministrazione e la giustizia, ricostruendo l’esercito su basi nuove, aprendo grandi scuole, sopprimendo la schiavitù dei negri. Un cambiamento reale che, tuttavia, non impedì lo smembramento dell’impero. I Paesi Jugoslavi e l’Albania si resero indipendenti fra il 1830 ed il 1878, la Grecia diventò Nazione indipendente tra il 1828 e il 1913, la Romania si separò tra il 1858 e il 1878 e, oltre alla già menzionata Algeria, caddero sotto il “protettorato” francese e inglese rispettivamente la Tunisia e l’Egitto.
La prima guerra mondiale decretò la definitiva conclusione dell’esperienza ottomana. Dalle rovine dell’Impero nacque il nuovo Stato indipendente della Turchia, limitato territorialmente alla penisola anatolica. L’Impero
11
CULTURA
ottomano fu uno Stato che si dedicò molto all’organizzazione dell’amministrazione statale, uniformando il sistema fiscale e di governo su tutte le regioni sotto il suo dominio. Tutelò, inoltre, le minoranze religiose cristiane ed
ebree, riconoscendone una condizione legale; si occupò dell’organizzazione dei pellegrinaggi diretti alle città sante
dell’Islàm, che custodì con cura; difese ed estese i confini del mondo musulmano.
Le altre provincie ottomane di lingua araba caddero sotto il dominio inglese e francese, ad eccezione di qualche Paese della penisola arabica. L’appoggio dato dal Governo britannico all’idea di assegnare una parte del territorio della Palestina ad un nucleo ebraico indipendente (dichiarazione Balfour), alimentò il risentimento dei popoli arabi limitrofi verso gli occupanti e determinò la crescita delle idee nazionaliste, soprattutto tra le classi colte
della società.
Tra la prima e la seconda guerra mondiale i territori arabi furono oggetto di una sfrenata campagna di conquista da parte delle potenze colonizzatrici europee. Il sisma mentale che una simile condotta causò sulle popolazioni musulmane fece sbocciare numerose iniziative intellettuali tese alla comprensione delle ragioni e delle cause
di tale situazione. Si cercò ancora, come ai tempi di Selim III, di realizzare quelle riforme che avrebbero permesso di uscire dal marasma della dominazione straniera.
La seconda guerra mondiale si affacciò su un mondo arabo controllato dagli Inglesi e dai Francesi. Tra i popoli arabi sottomessi, gli eventi bellici alimentarono ulteriormente le speranze di resurrezione; lo spettacolo dei Paesi
europei che si sbranavano l’un l’altro e l’affermazione della Russia comunista come potenza mondiale, opposta al
sistema imperialistico occidentale che li opprimeva, portavano a credere in un futuro migliore. Gli avvenimenti
bellici, poi, contribuirono a rafforzare l’idea di un ritorno all’unità dei Paesi arabi, alla umma. Due conferenze
tenute ad Alessandria nel 1944 e al Cairo nel 1945 condussero alla costituzione della Lega degli Stati Arabi (13).
Quando, nel 1945, vennero create le Nazioni Unite, gli Stati arabi indipendenti ne entrarono a far parte.
In seguito, sfruttando sapientemente le tensioni e le rivalità politiche tra Francesi e Inglesi o organizzando rivolte armate, alcuni Paesi sotto il dominio europeo si affrancarono da tali ingombranti presenze: il Libano e la Siria
nel 1945, la Libia nel 1951, il Sudan nel 1955, la Tunisia e il Marocco nel 1956 e per ultima l’Algeria nel 1962.
La definizione di un’area assegnata alla fondazione dello Stato di Israele, condusse gli Stati arabi confinanti alla
dichiarazione di una serie di guerre contro lo Stato ebraico e all’instaurarsi di una situazione di tensione, ancora
in atto, in tutta l’area.
L’Islàm
Per cercare di capire il comportamento quotidiano del musulmano bisogna prima di tutto comprendere il suo
rapporto con Dio.
(13) Ne facevano parte Egitto, Siria, Libano, Transgiordania, Iraq, Arabia Saudita e Yemen, oltre ad una rappresentanza degli Arabi palestinesi.
12
CULTURA
Per i “credenti” Allah è onnipotente e gli atti di tutti gli esseri viventi sono soggetti a tale infinita potenza. L’uomo, quindi, non è mai creatore dei propri atti ma li pone solo in essere, senza avere alcuna possibilità di incidere in
alcuna maniera sugli stessi. Per il musulmano, quindi, tutto quanto accade, ogni singolo evento, è stato deciso da Dio
e, di conseguenza, non esiste nessun rapporto tra causa ed effetto. Per sostenere tale assunto, il teologo sunnita alGhazali (1058-1111) spiegò che quando un uomo taglia il collo ad un altro, la morte di quest’ultimo è solo una creazione esclusiva di Dio, posta in essere nello stesso momento del taglio del collo. L’“apparente” rapporto tra taglio e
morte è solo dovuto alla simultaneità ed alla abitualità dei due fatti. Il mondo, secondo la visione islamica, è creato,
annientato e ricreato attimo per attimo da Dio. Ciò che Dio vuole esiste, ciò che Dio non vuole non esiste.
Per quanto attiene al rapporto con gli uomini Egli, non essendo sottoposto ad alcuna legge superiore, non è
“obbligato” a premiare le buone azioni e neppure a castigare le colpe. La conosciutissima espressione “inshallah”
(se piace a Dio) esprime perfettamente la visione islamica del Supremo.
Come già accennato, per il musulmano il Corano è la Parola di Dio. Nel libro sacro, comunque, Allah non
esprime solo precetti teologici ma vi si possono trovare anche molti precetti legali che tendono a regolamentare i
rapporti tra uomini, tra uomini e cose, quali cibi sia lecito o no mangiare, il matrimonio, l’eredità e detta anche
delle regole di buone maniere. L’Islàm, basandosi su tale testo, diventa, pertanto, non solo religione ma anche politica, regola di vita, legge. Pur in mancanza di un clero costituito, esistono dei rappresentanti religiosi che si assumono il compito di indirizzare i fedeli nello svolgimento delle pratiche religiose. Essi diventano, pertanto, anche
coloro che, interpretando la legge, regolano i rapporti tra individui. Le quattro scuole giuridiche che si sono create all’interno dell’ortodossia islamica sono:
- la scuola hanafita che deriva il proprio nome da Abu Hanifa (14) (699-767). È la scuola più “aperta” al ragionamento analogico e notevolmente più liberale delle altre. Essa punta a stabilire norme giuridiche uniformantesi ai principi di giustizia e prevede la possibilità di un loro eventuale sviluppo, in base all’evoluzione della
società. Maggioritaria in Turchia, Siria, Iraq, Egitto, Afghanistan, India, Tunisia (circa il 50% del mondo
musulmano sunnita);
- la scuola malikita (o del Hijaz) che deve il nome a Malik b. Anas (715-795). Essendo nata a Medina, essa risente di una forte tradizione religiosa, tuttora vissuta nella città. In tale scuola teologia e diritto, intimamente fusi,
sfruttano la giurisprudenza derivante dalle tradizioni (hadith) del Profeta e dei primi tre califfi, pur ammettendo anche la validità del ragionamento alla luce dell’interesse della comunità. La scuola è stata criticata per
la severità con cui condanna i dissidenti e i settari. Il malikismo è ancora in vigore nei Paesi musulmani dell’Africa, tranne l’Egitto, ove tuttavia vi sono parecchi malikiti, in India e in Indonesia;
- la scuola shafi’ita che si rifà al teologo
al-Shafi’i (767-820), discepolo di
Malik. Anche questa scuola riunisce
teologia e diritto ma tende ad inserirsi in una posizione di equilibrio tra
hadith e ragionamento, realizzando
un sincretismo tra le idee malikite e
hanafite. La ricerca dell’unità dei sunniti contraddistingue tale dottrina. Al
giorno d’oggi il diritto shafi’ita è
adottato in Bahrein, in Arabia centrale e meridionale, in Indonesia, in
Malesia e nel resto del sud-est asiatico, nell’Africa orientale e in Egitto.
Numerosi shafi’iti si trovano anche in
Iraq;
- la scuola hanbalita che deve il proprio nome a Ahmad b. Hanbal (780855), integralista risoluto. Con que(14) Morto in prigione perchè rifiutò il posto di giudice supremo a Baghdad, non avendo avuto garanzie di poter giudicare senza ingerenze politiche.
13
CULTURA
sta dottrina si ha un ritorno al Corano e alla Sunna (comportamento abituale del Profeta) come fonti dell’Islàm. Il ragionamento viene preso in considerazione solo quando anche la consultazione degli hadith non fornisce una risposta al quesito posto. È contraddistinta da un atteggiamento intollerante, con rifiuto delle innovazioni, censura dei costumi, rigidità dottrinale. Il diritto hanbalita è relativamente poco praticato ma è presente in Arabia Saudita, nell’Oman, in alcuni Stati del Golfo Persico, in Egitto e in Iraq.
I “Pilastri” dell’Islàm.
L’Islàm si basa su dei concetti fondamentali, detti “pilastri”, che sintetizzano e identificano sia il suo credo
sia la sua visione del mondo. Essi permeano totalmente la vita dei Paesi islamici, ne condizionano lo scandire
delle pratiche quotidiane e costituiscono un riferimento sempre vivo per il musulmano. Il primo dei “pilastri”
è la shahada, la testimonianza che “non vi è dio all’infuori di Dio e Maometto è il Profeta di Dio” (15). Essa
rappresenta, in sostanza, tutto il modo d’essere dei musulmani grazie al quale essi si distinguevano dagli altri
popoli, che erano stati divisi in due categorie; la prima comprendeva i pagani e i politeisti, gli infedeli (kafir)
propriamente detti, che dovevano, quando passavano sotto dominazione musulmana, convertirsi immediatamente o essere messi a morte; la seconda comprendeva la “gente del Libro” - così chiamata perché credente in
una religione monoteista rivelata in un libro sacro (Bibbia o Vangeli) - che poteva conservare la propria fede
senza convertirsi all’Islàm ma sottomettendovisi e vivendo in condizioni di discriminazione economica che li
costringeva al pagamento di un’imposta specifica, la gizya. Tale imposizione fiscale fu successivamente eliminata nel contesto delle riforme varate nel XVIII secolo. Basta recitare la shahada di fronte a testimoni per divenire musulmani. L’affermazione costante del credo va, inoltre, ripetuta quotidianamente nella preghiera rituale, salat, il secondo concetto fondamentale.
Da principio la salat veniva eseguita due volte al giorno, ma poi, pare in seguito ad influssi persiani, si finì
per farla eseguire cinque volte al dì: all’alba, poco prima del sorgere del sole, a mezzogiorno, a metà pomeriggio, quando il sole comincia a calare, dopo il tramonto e la sera, al termine del crepuscolo. La salat può essere compiuta dovunque ma è desiderabile che venga effettuata nella Moschea, insieme ad altri fedeli, ad eccezione, però, della preghiera di mezzogiorno del venerdì, per la quale tale prescrizione è obbligatoria. L’inizio
della preghiera viene annunciato da un muezzin (mu’adhadhim) che effettua una chiamata pubblica (adhan)
dall’alto di una torre o di un minareto. Essa segue un rituale immutabile: dopo un’abluzione (16) l’orante si
inginocchia, si prostra al suolo e dice delle preghiere che proclamano la grandezza di Dio e l’umiltà dell’uomo al Suo cospetto. L’introduzione alla preghiera è rappresentata dalla formulazione dell’intenzione (niyya),
senza la quale la preghiera non è valida. La niyya (Allahu akbar = Dio è massimo) fu molto usata dai musulmani anche come grido di guerra urlato prima di gettarsi nel combattimento. Durante la preghiera all’orante
è proibito, pena l’invalidità della preghiera stessa, parlare, ridere, mangiare, bere, voltarsi e fare altri movimenti che non siano quelli previsti dal rituale.
Il terzo concetto di base è la zakat, ovvero la cessione volontaria di parte dei propri guadagni che servivano per
opere umanitarie. Tale offerta poteva essere raccolta dal sovrano, dai suoi funzionari o anche dai religiosi affinchè
potesse essere devoluta ai poveri e ai bisognosi. Essa era considerata un obbligo per chi guadagnava più di una
certa quantità di denaro. Di fatto, essa è stata successivamente soppiantata dalla esazione statale delle imposte ma
rimane ancora, a carattere volontario, come oblazione a favore delle moschee.
Chi aderisce all’Islàm ha anche altri due obblighi ai quali sottostare: il digiuno (sawm) e il pellegrinaggio alla
Mecca (hajj).
Il primo deve essere effettuato una volta all’anno nel mese del Ramadan, il mese durante il quale è stato rivelato per la prima volta il Corano. In tale periodo tutti i Musulmani di età superiore ai dieci anni sono obbligati ad
astenersi dal mangiare, dal bere e dall’avere rapporti sessuali, nel periodo che va dall’alba al tramonto. Non solo,
è anche raccomandato di non litigare, di non mentire, di non calunniare e di non avere cattivi pensieri. Ne sono
esentati i troppo deboli fisicamente, i malati di mente, chi è impegnato in lavori gravosi o in guerra o chi si trova
in viaggio. Esso è considerato un solenne atto di pentimento per i peccati e una negazione di sé per amore di Dio.
Il digiuno, troppo facilmente schernito dagli occidentali, è in realtà una costrizione durissima, in particolare quan(15) La ilaha illà Allah, wa Muhammad rasul Allah.
(16) In mancanza d’acqua l’abluzione può essere simulata con della sabbia.
14
CULTURA
do viene effettuato nei mesi estivi. Il Ramadan, infatti, non cade sempre nella stessa stagione ma anticipa ogni
anno di 11 giorni. Tale fatto deve la sua origine alla riforma del calendario operata da Maometto, che stabilì il
ritorno al calendario lunare per la misurazione del tempo, definendo la durata dei 12 mesi alternativamente di 29
e 30 giorni, con l’anno di 354 giorni, 11 in meno del calendario solare. La fine del Ramadan viene celebrata il 1°
giorno del mese di Shawwal con una delle due feste più importanti dell’anno liturgico.
Ogni musulmano che sia in grado di viaggiare deve, almeno una volta nella vita, effettuare il pellegrinaggio alla
Mecca. Esso può essere effettuato in qualunque periodo dell’anno ma il settimo, l’ottavo, il nono e il decimo giorno del mese di Dhu ‘l-Hijja (17), detto appunto “del pellegrinaggio” (18), sono considerati i giorni “canonici”.
Anticamente i pellegrini che venivano da molto lontano confluivano a Damasco o al Cairo, luoghi nei quali venivano organizzate le carovane principali. Si stima che ogni anno circa 20-30.000 pellegrini si mettessero in viaggio
da Damasco e circa 30-40.000 dal Cairo, cifra considerevole se si pensa a quali fatiche essi erano sottoposti nei
30-40 giorni che occorrevano per completare il viaggio. Il rituale del pellegrinaggio prevede che ad un certo punto
del cammino di avvicinamento alla Mecca, in uno dei sette luoghi designati (19), il pellegrino si purifichi con
abluzioni e indossi un abito bianco fatto di un unico pezzo di tela, l’ihram. Giunto alla Mecca, il pellegrino deve
entrare nell’area sacra, lo haram, dove si trovano diversi luoghi e costruzioni associati ad eventi sacri, quali il pozzo
di Zamzam, che si ritiene sia stato aperto dall’Angelo Gabriele per dissetare Agar e suo figlio Ismaele, e la pietra
su cui è impressa un’orma di Abramo. Nel cuore dello haram si trova la Ka’ba, l’edificio quadrangolare che Maometto ha reso il centro della devozione islamica, con la Pietra Nera incassata in una delle due pareti (20). Si narra
che tale Pietra risalga addirittura ai tempi di Adamo. Allora, però, essa era bianca e divenne nera a causa dei peccati commessi dagli uomini. I pellegrini devono fare sette volte il giro della Ka’ba , toccando e baciando al loro
passaggio la Pietra Nera. Il giorno seguente devono uscire dalla città e dirigersi verso est, fino a raggiungere la collina di Arafa, dove sostano in meditazione. Sulla via del ritorno alla Mecca vengono lanciate pietre contro una
colonna simboleggiante il demonio e viene sacrificato un animale. Il pellegrino, quindi, ripone l’ihram e riassume
l’aspetto di sempre.
Nei soli testi sciiti è inserito un sesto “comandamento” il quale, più di ogni altro, negli ultimi tempi ha portato alla ribalta della cronaca occidentale, spesso nera, il mondo musulmano: lo jihad.
Lo jihad e l’integralismo islamico.
Lo jihad viene rappresentato spesso, in occidente, come l’equivalente islamico della crociata e viene, perciò, impropriamente tradotto col termine “guerra santa”. Una tale interpretazione, ancorchè opinabile dal
punto di vista storico (21), è servita ad alcuni Governi arabi del passato e, negli ultimi tempi, ai gruppi integralisti islamici per attirare l’attenzione delle masse verso particolari obiettivi. In origine, però, lo jihad era lo
sforzo che doveva fare ciascun musulmano per lottare dentro di sé e attorno a sé (rispettivamente il grande
jihad e il piccolo jihad) allo scopo di far trionfare l’Islàm.
In arabo il fenomeno dell’integralismo è spesso definito con l’espressione al-tatarruf ad-dini (estremismo
religioso). Tale espressione è largamente utilizzata nei media ma sempre più spesso, soprattutto negli ultimi
anni, possiamo trovare il termine al-irhab (terrorismo), usato prevalentemente in relazione alle sanguinose
azioni di alcuni gruppi estremisti.
Il fanatismo, nelle forme a noi note, non è, però, una caratteristica del mondo islamico, almeno fino a
quando i musulmani si sono sentiti garantiti nella loro autonomia politica ed economica. Diverso è il discorso quando essi furono sottomessi e umiliati dal colonialismo.
Come già accennato, dopo il termine della prima guerra mondiale aumentò il solco esistente tra l’occidente
(17) Il decimo giorno del mese di Dhu ‘l-Hijja rappresenta la seconda grande festa del calendario liturgico musulmano.
(18) I mesi del calendario religioso islamico sono: Muharram (30), Safar (29), Rabi’ I (30), Rabi’ II (29), Giumada Al-Ula (30), Giumada al-Akhira (29), Ragiab (30), Sha’ban (29), Ramadan (30), Shawwal (29), Dhu l’Qa’dah (30) e Dhu ‘l-Hijja (29).
(19) Gedda, Medina, Rabigh, Zù alHulaya, Zàt Irq, Jabal Yalamlan, Qarw alManàzil.
(20) Il motivo per cui tale pietra è considerata sacra sta nel fatto che Abramo, fermatosi nel luogo dove sorgerà la Mecca, ebbe un rapporto con la schiava Agar proprio sulla pietra nera. Da tale rapporto nacque Ismaele che, in seguito, procreò 12 figli, destinati a diventare i capostipiti delle tribù arabe.
(21) Neanche la Chiesa ha mai, infatti, conferito ufficialmente alle crociate il carattere di “guerre sante” cercando di imporre, anzi, un codice comportamentale ai combattimenti e degli obiettivi politici da raggiungere.
15
CULTURA
e il mondo arabo. Questo principalmente in conseguenza di due importanti avvenimenti: la sottoscrizione dell’accordo Sykes-Picot del maggio 1916 e la già citata dichiarazione Balfour del 1917.
Il primo, concluso quasi al termine della guerra nel Vicino Oriente, prevedeva la spartizione dell’area in
due zone poste sotto il protettorato britannico e francese, tradendo, così, le promesse di indipendenza fatte da
questi ai popoli arabi durante la guerra. Promesse che, ricordiamolo, consentirono di coalizzare le numerose
tribù beduine contro i turchi - coordinate dal famoso T. E. Lawrence (Lawrence d’Arabia), un ufficiale dell’esercito britannico in possesso di un’ottima conoscenza della lingua e dei meccanismi mentali del mondo arabo
- accelerando così il corso della guerra nel Vicino Oriente. Nacquero, di conseguenza, diversi tipi di comportamento, alcuni dei quali favorivano il ripiegamento in sè, considerando l’invasione europea come un castigo
di Dio, da cui si poteva trovare scampo solo attraverso un approfondimento della fede.
Nel 1926 si registrò una forte ripresa dell’Islàm in seguito alla convocazione di un congresso panislamico.
In tale sede il wahabita Ibn Saud chiese l’assegnazione della custodia dei luoghi santi musulmani. La sua condotta, ispirata al rigore caratteristico dei wahabiti, si contrapponeva al processo di laicizzazione condotto dai
regimi turco di Mustafà Kemal “Ataturk” e persiano di Reza Shah. Le tensioni createsi dettero origine ad alcuni movimenti integralisti, come i “Fratelli Musulmani” in Egitto. Ad essi più di recente si sono andate aggiungendo le istanze radicali dei gruppi definiti con termine improprio “fondamentalisti”, il caso più celebre dei
quali è quello del movimento sciita iraniano guidato dallo ayatollah Khomeini.
Nel 1967 il mondo arabo subì l’umiliazione della sconfitta da parte di Israele nella “guerra dei sei giorni”.
L’imponente spiegamento di forze egiziane, siriane e giordane che circondavano il piccolo Stato ebraico fu battuto dalla sua spregiudicata e decisa condotta delle operazioni. La guerra, però, era stata perduta proprio da
quei Governi che, nel mondo arabo, rappresentavano l’ala “laica”. La sconfitta, pertanto, non fu “limitata”
all’aspetto politico-militare, ma ebbe effetti più profondi perchè la sensibilità delle popolazioni arabo-musulmane fu duramente colpita e convinse le masse che solo il ritorno all’Islàm avrebbe loro permesso il recupero
di dignità, identità, coesione e prosperità. Alcune durezze e forme di fanatismo, infatti, sono derivate proprio
dall’ostinata volontà di mantenersi fedeli alla lettera a determinate prescrizioni del Corano. Quando i musulmani erano padroni di loro stessi e non avevano subito il trauma coloniale, infatti, non si preoccupavano di
applicare regole e comportamenti religiosi in maniera così precisa. Questo irrigidimento mentale ha fino ad
oggi determinato la crescita sia dei radicali o integralisti - che si battono per mobilitare attorno all’ortodossia
Islamica le energie delle masse popolari - sia dei tradizionalisti o fondamentalisti - che si impegnano per un
ritorno a una vita pubblica e privata ispirata alle origini e alla purezza dell’Islàm, alla fede maschia e non sdolcinata dei tempi del Profeta -.
Le cause dell’affermazione e del rafforzamento degli estremismi religiosi vanno, comunque, ricercate anche
nell’eccessivo arricchimento delle classi dirigenti, in conseguenza di una diffusa corruzione, e nel disinteresse
dei Governi verso le classi più povere. Il senso di isolamento dagli altri strati sociali è acuito dalla povertà, che
amplifica le differenze e fa crescere il desiderio di rivalsa verso i ceti più elevati, identificando nella loro opulenza e nella loro indifferenza la causa della propria misera condizione economico-sociale. Il rancore che alimenta i movimenti integralisti affonda, quindi, le sue radici nella insoddisfazione e nella frustrazione delle
masse di diseredati, derivanti dal malgoverno, dalla crisi economica e dalla conseguente disoccupazione. È sin
troppo semplice, pertanto, seminare malcontento in questa area per raccogliere consensi e reclutare elementi
- principalmente semplice “manovalanza” - da addestrare per le operazioni terroristiche.
Un altro fenomeno che concorre a determinare il malessere generale è il galoppante aumento demografico.
Nella maggioranza dei casi, infatti, la crescita della popolazione sta saturando le capacità alimentari e le risorse idriche dei territori (22). Tale accrescimento è dovuto alla diminuzione della mortalità infantile parallelamente ad un
notevole incremento delle nascite, risultante sia da un retaggio del passato - molti figli = molte braccia per lavorare la terra - sia dalla necessità di assicurarsi assistenza per la vecchiaia. Nella maggior parte dei Paesi arabi, infatti, non esiste un sistema assistenziale efficiente e, di conseguenza, chi può vantare una prole più numerosa ha anche
meno probabilità di rimanere abbandonato a se stesso in età avanzata. Tale mentalità non è legata esclusivamente
ad un freddo ragionamento utilitaristico ma è anche la conseguenza sia dell’eccezionale attaccamento degli arabi
ai bambini sia dei forti legami esistenti all’interno dei gruppi familiari.
(22) Si calcola che molte popolazioni, infatti, vivano attualmente con una disponibilità idrica di 700 litri/persona/anno, quando la quantità considerata come “minimo vitale” è di 1000 litri/persona/anno.
16
CULTURA
Si può dire, pertanto, che la carenza delle amministrazioni statali, che non hanno affrontato il problema dell’assistenzialismo in maniera adeguata, ha portato consensi ai gruppi integralisti che sono riusciti a coagulare le
masse attorno alla loro causa, spesso grazie ad interventi proprio in questo campo.
In definitiva, a differenza dei primi musulmani, animati da fervente spirito mistico, il popolo si schiera con i
movimenti integralisti non già per garantirsi un posto in paradiso, ma per ottenere vantaggi concreti e immediati su questa terra.
Molti Governi laici hanno risposto all’offensiva integralista con una dura repressione diretta, se non a sradicare (Algeria), quanto meno a circoscrivere (Egitto) tali movimenti politico-religiosi che sono fonte di una forte
instabilità interna. Si può pertanto affermare che le formazioni integraliste considerano lo stato laico, qualunque
sia l’idea ispiratrice, come il principale nemico da distruggere.
Nel mondo dei movimenti integralisti islamici si possono, ad ogni modo, riscontrare differenti correnti di pensiero e di azione che hanno dato vita a numerose organizzazioni che, pur aspirando tutte ad una reislamizzazione della
società, hanno strategie e modi di agire divergenti. La fatwa di Khomeini contro Salman Rushdie, autore dei “famosi” Versetti Satanici, ad esempio, non è stata accolta, commentata e accettata ovunque in ugual modo; gli ambienti
sunniti, infatti, hanno reagito meno duramente di quelli sciiti, più estremisti. Non tutte le formazioni o le correnti
di pensiero predicano la violenza, non tutte si contrappongono allo stesso modo ai regimi attualmente al potere, non
tutte nutrono lo stesso sentimento di rivalsa verso l’Occidente. Oggi, nei Paesi musulmani, è in corso l’aspro dibattito tra chi vorrebbe una “modernizzazione dell’Islàm” e chi, invece, vorrebbe “rendere islamica la modernità”. I due
schieramenti, quindi, differiscono nel tipo di approccio al problema dell’adattamento ai tempi: il primo desidera una
revisione delle regole dell’Islàm in senso più moderno, il secondo tende al mantenimento di tali regole, adattando le
innovazioni alle proprie esigenze teologiche e adottandole solo se coerenti con la propria fede.
La posizione delle fazioni più estremiste è, comunque, ben determinata: conquistare il potere con ogni mezzo,
compresa la violenza. Per conseguire questo obiettivo strategico i leader di tali movimenti applicano due diverse
metodologie di lotta, una “interna” e un “esterna”.
La prima prevede l’assassinio dei membri delle forze dell’ordine, che mira a dividere l’istituzione militare, l’omicidio degli uomini politici, che serve a isolare il potere sul piano interno, l’uccisione degli intellettuali, che
vengono eliminati quando accusati di collaborazionismo col regime al potere e l’assassinio degli stranieri, che
tende ad isolare il regime sul piano internazionale. Ricordiamo anche la distruzione delle infrastrutture e delle
installazioni strategiche, che rientra nel quadro della distruzione delle risorse economiche del Paese. Ancorchè
meno violento esso contribuisce a rendere ancora più tragico il malessere generale e il divario esistente tra istituzioni e cittadino. In questo caso, però, la strategia usata può, in prospettiva futura, ritorcersi contro gli stessi integralisti in quanto, se e quando perverranno al potere, saranno costretti, per ricostruire ciò che essi hanno
distrutto, a distogliere notevoli somme dai già magri bilanci.
La seconda è, invece, quella di indicare nell’Occidente, più propriamente negli Stati Uniti che ne sono il
simbolo, la causa del disagio dei popoli arabo-islamici. Colpevolizzare e colpire l’immagine e gli interessi
USA/Occidentali, quindi, allo scopo di coalizzare le masse e radicalizzarne il pensiero. Anche gli spietati
sistemi terroristici impiegati, le sempre più numerose vittime innocenti e gli obiettivi scelti, altamente simbolici, sono “studiati” per amplificare l’eco dell’azione all’interno del mondo arabo-islamico, evidenziando il
coraggio e la capacità dimostrati nello sfidare, infliggendo gravi perdite umane, gli USA o l’Occidente.
Per il raggiungimento dei loro scopi i leader integralisti si sono rivelati anche eccellenti utilizzatori dei
moderni sistemi di comunicazione di massa. Un esempio di tale combinazione tra capacità operativa e conoscenza degli effetti dei mass media è rappresentato da Osama bin Laden che, nell’attuale quadro di crisi provocata dai tragici attentati di New York e di Washington D.C., riesce ad utilizzare oculatamente la stazione
televisiva al-Giazira (la penisola) per la diramazione dei suoi comunicati contro gli USA/Occidente e a favore
del jihad.
Possiamo, quindi, dire che sono diversi i bersagli delle azioni terroristiche, ma non l’obiettivo strategico.
Attaccare i paesi arabi moderati, gli Stati Uniti e l’Occidente non già per ottenere benefici per la nazione araba
o per i musulmani in generale, ma allo scopo di assumere il potere all’interno del mondo arabo-islamico.
Nonostante il raccapriccio causato dall’abbondante spargimento di sangue, però, il consenso verso i movimenti integralisti sta aumentando anche tra la popolazione culturalmente più elevata, anche se non ne viene
condivisa la metodica di lotta, prediligendo atteggiamenti decisamente più moderati.
17
CULTURA
L’attuale mondo islamico
Tra i vari Stati del mondo islamico esistono marcate differenze, specie sul piano demografico. Paesi ricchi e a
bassa densità di popolazione convivono con Paesi sovrappopolati e dall’economia disastrata. Il continuo aggravarsi dell’economia statale non consente, quindi, di investire nella ricerca, nell’istruzione e nell’acquisizione di moderne tecnologie, mezzi indispensabili per un avvicinamento all’occidente e per un miglioramento della qualità della
vita. Tale circolo vizioso è aggravato dall’esistenza di notevoli rivalità personali dei vari leader arabi che spendono
considerevoli somme nel campo militare. La situazione, quindi, va progressivamente peggiorando e il divario tra
ricchi e poveri anzichè diminuire tende quasi ovunque ad aumentare e la differenza tra Occidente e mondo islamico, nonostante che questo produca petrolio, è sempre più grande.
Gli attriti esistenti tra i leader arabi, però, non sono il solo motivo di divisione del mondo musulmano. «...O
popolo, in verità i Credenti sono tutti fratelli...» (23). Nonostante questa esortazione del Profeta, infatti, il mondo
musulmano da tempo non è più un insieme monolitico ma si è frazionato in numerose correnti. Una statistica precisa sul numero di credenti e, di conseguenza, sulla consistenza delle singole correnti è impossibile; i Governi non
sanno o non vogliono fornire la cifra esatta degli abitanti - ammesso e non concesso che essi siano tutti musulmani
- e chiedere lumi ai vari rappresentanti religiosi si rivela inutile in quanto questi tendono sempre a gonfiare i dati.
Da alcune valutazioni fatte si stima che nel 1994 la presenza dei musulmani nel mondo fosse di circa 902 milioni di unità, a fronte di 1.798.990.000 cristiani. Vista l’enorme crescita demografica che contraddistingue i Paesi
islamici, non è molto lontano dal vero dire che tale differenza quantitativa tra cristiani e musulmani potrebbe già
oggi essere sensibilmente ridotta.
Il variegato mondo musulmano è attualmente composto dalle seguenti correnti religiose principali:
- i sunniti (Ahl al-sunna wa l-jama’a, “la gente della tradizione e del consenso”), di gran lunga maggioritari, sono
gli ortodossi dell’islamismo. Derivano il nome dal secolo I dell’egira, dalla sunna di Maometto, della quale si
professano i soli veri seguaci, in opposizione ai dissidenti sciiti e kharigiti i quali, d’altronde, sono pure convinti di essere con essa in accordo. I sunniti sono diffusi tanto all’interno dei Paesi dell’Africa mediterranea e
del Medio oriente, quanto nei Paesi del Golfo che nei Paesi sub-sahariani. All’interno di tale corrente esistono
due differenti dottrine, le quali caratterizzano la visione religiosa. Esse sono:
• l’asharita. Il suo fondatore fu al-Ashari (m. 915) di Bosra (Iraq). Tale dottrina tenta di fornire una spiegazione del Corano e degli hadith (=tradizione) per mezzo di un’argomentazione razionale basata sui principi della logica. È la scuola teologica attualmente seguita dalla maggior parte dei sunniti. Si segue in Siria,
Egitto, Iraq e nel Maghreb. Il già citato al-Ghazali fu esponente di spicco di tale scuola. Al-Azhar, la famosa università coranica del Cairo, è un autorevole punto di riferimento per i musulmani sunniti ashariti. Le
(23) Dall’ultimo discorso di Maometto a La Mecca durante il “pellegrinaggio dell’addio”.
18
CULTURA
19
CULTURA
dottrine giuridiche generalmente seguite dagli ashariti sono la malikita e la shafi’ita;
• la maturidita. Il suo fondatore fu al-Maturidi (m. 944) di Samarcanda. È la scuola teologica seguita dai sunniti delle regioni orientali (Turchia, India, Asia centrale). Tale scuola teologica ha una visione delle azioni
umane più favorevole, riconoscendo all’uomo la responsabilità dei suoi atti. Tale dottrina, inoltre, non prevede l’ipotesi che Allah possa punire con la dannazione eterna il credente che gli abbia obbedito. La dottrina giuridica generalmente seguita dai maturiditi è la hanafita.
Una espressione del sunnismo più estremista è costituito dai wahabiti. Essi, a stretto rigore, non possono
essere annoverati tra le “sette” sunnite ma, più propriamente, si può dire che rappresentino gli “ultras” dell’Islàm ortodosso. Discepoli di Ibn Taimyyah, costituiscono l’ala destra della scuola hanbalita. Pur se in questi ultimi anni hanno lievemente moderato la loro intransigenza originaria, essi si contraddistinguono per
la “durezza” con la quale applicano i precetti coranici. A tale gruppo appartengono i monarchi sauditi.
- gli sciiti (il partito di Alì) sono un gruppo di musulmani comprendente i seguaci di Alì - considerato il primo
califfo legittimo - e dei suoi discendenti. Gli sciiti si dividono in duodecimani, ismailiti o batiniti e zaiditi o
ziriti. Essi riconoscono a capo dell’Islàm solo i diretti discendenti di Alì; si opposero sempre, pertanto, ai califfi Ummayyadi e Abbassidi. Agli sciiti e alle loro sette appartennero diverse dinastie locali. I gruppi sciiti, tut-
tavia, non sono completamente omogenei in quanto ad essi appartengono numerose sette di arabi con capi particolari che, attraverso una genealogia assai complicata, sostengono la legittima discendenza dal genero di Maometto. Nell’area mediterranea gli sciiti sono significativamente presenti solo in Libano, mentre sono maggioritari in Iran e contano alcune minoranze in Iraq e in altri Paesi della penisola arabica.
I duodecimani si distinguono dalle altre sette imamite per il fatto di chiudere la successione degli imam al dodicesimo
di questi, Muhammad al-Muntazar, sottratto alla vista degli uomini attraverso “l’assenza temporanea”. Per questa ragione egli non può avere successori, in quanto continua ad essere presente e riapparirà alla fine dei tempi. Questa branca
è predominante in Iran. Ai giorni nostri è principalmente ai duodecimani che si pensa quando si parla di sciismo.
Gli ismailiti riconoscono come imam i discendenti di Muhammad al-Mahdi (ultimo imam visibile del suo
ciclo). Essi credono, infatti, che nel corso della storia dell’uomo ci saranno sette cicli di sette imam “visibili”,
il settimo dei quali è il messaggero (natiq) del ciclo successivo. Tali cicli saranno intervallati da un interprete
20
CULTURA
(wasi) della Verità. Attualmente sono sparsi un po’ dovunque nel mondo musulmano: un forte gruppo è in
India, mentre altri nuclei si trovano nell’Asia minore ed anche in Africa. La maggioranza degli ismailiti indiani riconosce l’Aga Khan come proprio capo spirituale.
Un gruppo, la cui dottrina, chiusa al proselitismo, ha i caratteri dell’Islàmismo ismailita, cui aggiunge credenze particolari, è costituito dai drusi. Essi sono un gruppo etnico musulmano stanziato nelle valli del Libano
(40%) e della Siria (60%). I drusi condividono il credo ismailita per cui Dio si incarnerebbe in ogni epoca del
genere umano, ma credono che la più recente di tali incarnazioni sia stato il califfo fatimida d’Egitto Hakim
Abu Alì Mansen (sec. XI), di cui non ammettono la morte e aspettano la ricomparsa e che venerano come loro
Signore. Essi praticano la dissimulazione legale, credono nella metempsicosi e possiedono vari gradi iniziatici.
Non hanno un luogo di culto, ma cellule in cui possono riunirsi gli iniziati. La loro morale è basata su sette
precetti fondamentali: veridicità, mutuo sostegno, rinuncia a qualsiasi altra religione, ripudio del demonio e
dei miscredenti, riconoscimento dell’unità divina incarnantesi ad ogni epoca, approvazione di ogni opera di
Hakim, accettazione della sua volontà quale viene manifestata dai suoi ministri.
Ricordiamo, inoltre, gli alawiti. La loro fede è ricca di numerosi tratti esoterici ed è il frutto di una mescolanza di elementi della teologia sciita con altre credenze, anche di derivazione cristiana. Tale ramo sciita ha in
comune con l’Islàm le origini e una parte della terminologia religiosa. Gli alawiti sono presenti in Marocco, in
Turchia (circa 12 milioni di unità) e nella regione montuosa dell’Ansariè (Siria settentrionale), con alcune presenze nella regione costiera fino a Tripoli del Libano. In Siria essi hanno assunto maggiore “peso” da quando è
giunto al potere il Presidente Hafez Asad (padre dell’attuale Presidente siriano), appartenente a tale branca religiosa.
Gli zaiditi sono diffusi in Tunisia e in Algeria. I primi zaiditi facevano parte di una dinastia musulmana-berbera che regnò in Tunisia nei sec. X-XI. Un loro ramo si affermò nella penisola iberica dove creò un principato a Granada, durato per tutto il sec. XI.
- i kharigiti rappresentano il ramo più “forte” dell’Islàmismo. I kharigiti appoggiarono Alì, genero di Maometto, soprattutto contro coloro che sostenevano Mu’awiya, che diverrà il capostipite degli Ummayyadi. La loro
opposizione era assoluta: per i nemici non ci doveva essere che sterminio. In seguito abbandonarono Alì e si
crearono un proprio califfo, scelto per virtù personali e religiose. Essi univano ad uno spiccato senso religioso
un’indole dura, intollerante e fanatica che si fece sentire successivamente nelle lotte contro sunniti e sciiti. I
kharigiti si frazionarono poi in numerose sette, fondando in Arabia e in Africa molti Stati. Oggi dei kharigiti
sopravvive la setta moderata degli ibaditi diffusi soprattutto nell’Oman e in alcune zone dell’Algeria.
E in futuro?
La più che millenaria storia delle relazioni tra musulmani e cristiani ha spesso posto l’accento sui conflitti bellici
che li hanno coinvolti. E’ innegabile, però, che i reciproci rapporti, pur essendo improntati al confronto militare, non
hanno mai lasciato “raffreddare” i contatti diplomatici e i legami commerciali sono stati comunque intensi e frequenti. Pur implicati in duri scontri, cristiani e musulmani non hanno mai smesso di colloquiare e di approfondire
la conoscenza gli uni degli altri. Gli avventurieri e gli schiavi che, sotto la minaccia della scimitarra, del rogo o per
convenienza personale, mutavano credo con estrema naturalezza, favorivano lo scambio culturale tra i due mondi.
Non solo questi “convertiti” e questi “rinnegati”, a seconda dell’ottica con cui erano visti, ma anche i commercianti,
i pellegrini, i navigatori, mantenevano vivo il colloquio tra le popolazioni delle due sponde del Mediterraneo e queste, pur con diverse sfumature e intensità, si rispettavano e si comprendevano.
Oggigiorno, l’atteggiamento dei Paesi europei che si affacciano sul Mediterraneo può senza dubbio influire sullo
sviluppo dell’estremismo religioso islamico dei Paesi della “sponda Sud”, cercando di indirizzarlo verso una posizione più tollerante, più diretta al confronto dialettico che a quello armato. Abbiamo precedentemente visto, infatti,
come sia diverso l’approccio, rispetto ai primi musulmani, delle masse contemporanee nei confronti delle idee integraliste. Sviluppando un dialogo pacifico ed improntato al reciproco rispetto, intensificando le relazioni diplomatiche e lo scambio di opinioni, fornendo un aiuto concreto accresceremmo le loro conoscenze sul mondo occidentale,
il quale non sarebbe probabilmente più visto come “nemico”, e consentiremmo quel miglioramento della qualità della
vita che potrebbe creare quel ripensamento nelle masse che toglierebbe linfa vitale ai movimenti terroristici di matrice islamica.
21
CULTURA
Dal canto suo la Chiesa, dopo aver appoggiato per secoli un’immagine negativa, deformata, dei musulmani ha,
col Concilio Vaticano secondo (1962-1965), riveduto la propria posizione nei confronti dell’Islàm imboccando la
strada del dialogo. Così si legge, infatti, nella Dichiarazione finale “Sulle relazioni della Chiesa con le religioni noncristiane” (Nostra aetate - 28 ottobre 1965):
« La Chiesa guarda anche con stima i musulmani, che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con
tutto il cuore ai decreti di Dio, anche nascosti, come si è sottomesso Abramo, a cui la fede islamica volentieri si
riferisce. Benché essi non riconoscano Gesù come Dio, lo venerano come profeta; essi onorano la sua Madre Vergine, Maria, e talvolta pure la invocano con devozione. Inoltre attendono il giorno del giudizio, quando Dio retribuirà tutti gli uomini resuscitati. Così pure essi hanno in stima la vita morale e rendono culto a Dio, soprattutto
con la preghiera, le elemosine e il digiuno. Se nel corso dei secoli non pochi dissensi e inimicizie sono sorti tra cristiani e musulmani, il Sacrosanto Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e ad esercitare sinceramente la
mutua comprensione, nonché a promuovere e a difendere insieme, per tutti gli uomini, la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà. »
Davvero un notevole cambiamento dal passato. La Chiesa cattolica ha ora nei confronti dell’Islàm un atteggiamento ispirato alla tolleranza e tendente al dialogo, considerando soprattutto le origini comuni e le somiglianze delle
due fedi anziché sottolineare e accentuare le loro divergenze. Tale linea di condotta è stata ribadita anche da Papa Giovanni Paolo II sia nel suo libro “Varcare le soglie della speranza” che nella riunione di Assisi del 1994.
La storia ci fornisce esempi nei quali la collaborazione tra i due mondi era possibile e proficua. Anche se non si
riuscirà a far rivivere il clima di franchezza e di cordialità della Spagna medievale o del sultanato Moghul in India possiamo, però, tentare di coesistere pacificamente, smussando gli spigoli creati dalla reciproca diffidenza. La storia, altrimenti, diventa una sterile cronaca del passato, senza nulla insegnare agli uomini del futuro, siano essi laici, cristiani
o musulmani.
Tra le varie soluzioni possibili, da quella dello scontro frontale a quella della concordia basata sul reciproco ignorarsi - due soluzioni che, comunque, contano dei sostenitori - quella dell’incontro e del dialogo pare suscettibile
di dare i risultati migliori per isolare il terrorismo e bloccare la violenza che si richiama all’estremismo religioso,
per consentire il colloquio tra le due grandi religioni monoteiste del mondo, per consentire al mondo occidentale e a quello islamico di risolvere i problemi comuni.
Il Mediterraneo - che è stato per secoli, nel bene e nel male, teatro di incontro tra le due civiltà - appare il luogo
più idoneo per tale approccio dialettico col mondo musulmano. Da qui il processo di distensione e di trasparenza ha la possibilità di propagarsi fino alle Regioni più lontane. Negli ultimi tempi si è assistito al proliferare di iniziative europee tese a questo obiettivo. L’Europa deve però essere più determinata nell’affrontare le problematiche
del mondo arabo, che deve rimanere interesse di carattere primario, al pari dell’area centroeuropea e della zona
balcanica; è necessario continuare ad approfondire le reciproche conoscenze per esorcizzare i fantasmi creati da
secoli di ignoranza e di sospetto.
I diversi tentativi di interrompere il processo di distensione nell’area, dall’assassinio del Premier israeliano
Rabin, il 4 novembre 1995, ai recenti attentati negli USA, devono avere l’effetto di rafforzare nei popoli la volontà di pace e di distensione.
L’effervescenza di idee che ha contraddistinto l’attività diplomatica degli ultimi anni era guidata da tale desiderio e tendeva alla costituzione, tra l’altro, di un “Forum Mediterraneo”. Una iniziativa del genere era già stata
presentata dall’Italia e dalla Spagna nel 1990. La Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione nel Mediterraneo
(CSCM) - questo era il nome dell’iniziativa - nei loro intendimenti, doveva vedere tutti i Paesi del bacino riuniti
attorno ad un tavolo per affrontare i problemi comuni.
Una soluzione che riunisca in un unico consesso tutti i Paesi rivieraschi sarebbe auspicabile in quanto gli attuali convegni sono limitati ad alcune zone del Mediterraneo, rendendo tali riunioni estremamente settoriali, ancorchè
utili e necessarie. Le Nazioni Unite sono, per il momento, l’unico foro ove tutti i Paesi mediterranei possono
incontrarsi per discutere. In quella sede, però, l’attenzione generale è stata troppo spesso orientata verso altre problematiche considerate di maggiore urgenza. Sotto questo punto di vista molte speranze vengono riposte nella
Conferenza euro-mediterranea. La prima riunione si è svolta nell’autunno 1995 a Barcellona (24). Essa ha rap(24) Patroncinata dall’Unione Europea vi hanno partecipato oltre, ovviamente, ai 15 Paesi dell’Unione, anche Marocco, Algeria, Tunisia,
Mauritania, Malta, Cipro, Israele, Siria, Libano, Turchia, Egitto.
22
CULTURA
presentato un segnale politico di enorme importanza: finalmente le due sponde del Mediterraneo hanno cominciato ad incontrarsi e, anche se con enorme ritardo, a confrontarsi sul piano dialettico.
La NATO, da parte sua, ha lanciato nel 1995 una proposta di costituzione di una tavola rotonda dove poter
discutere dei problemi della sicurezza nell’area. Tale proposta è stata indirizzata solo ad alcuni Paesi del Vicino e
del Medio Oriente, a quelli, cioè, che presentavano maggiori “garanzie” di stabilità politica. Alcuni degli “invitati” hanno prontamente risposto, comunicando la propria disponibilità, ed altri invece, pur riconoscendone la validità concettuale, hanno avanzato delle perplessità sulla sua effettiva efficacia. Tali perplessità, comunque, sono
state superate e anche altri Paesi hanno aderito all’iniziativa. La costituzione di un simile foro ha un notevole significato simbolico; è un chiaro messaggio, diretto ai Paesi più “esposti” all’integralismo, che l’Occidente intende
impegnarsi a fondo per esaudire le loro aspettative di miglioramento delle condizioni di vita, al fine di intensificare quel processo di distensione che contribuisca ad aumentare la sicurezza nel bacino del Mediterraneo.
Qualora, però, in qualche Paese i movimenti anti-occidentali e xenofobi prevalessero, potrebbe nascere la
necessità di far fronte alle possibili minacce da questi provenienti. Appare quindi importante sviluppare, congiuntamente a tutte le iniziative di dialogo, anche il settore difensivo in relazione alle minacce da contrastare. Esse
appaiono individuabili nel terrorismo internazionale e nella proliferazione delle armi di distruzione di massa. Nel
primo caso i servizi di sicurezza militari e civili sono chiamati ad opporsi, magari congiuntamente a quello della
NATO, all’offensiva terroristica e assume, pertanto, fondamentale importanza la condotta di un’idonea azione preventiva. In tale ottica, una più stretta e intensa collaborazione tra i servizi di intelligence appare l’arma più idonea,
ferma restando la parallela necessità di affinare le tecniche e i mezzi tesi a garantire la consegna alla giustizia degli
autori e degli ispiratori delle azioni terroristiche.
Nel secondo caso va tenuto conto che, ormai, l’odierna tecnologia e l’elettronica permettono la creazione di
missili in grado di colpire bersagli sempre più lontani e con sempre maggiore precisione. Tale minaccia potrebbe
pertanto essere fronteggiata con la creazione di una efficiente barriera difensiva e con la costituzione di un efficace sistema di risposta che consenta di ottenere un complesso deterrente che alzi la soglia di rischio ad un livello
tale da non rendere più “pagante” una eventuale aggressione di questo tipo. In fin dei conti non vi è nulla di nuovo;
un simile principio ha funzionato egregiamente durante il periodo della “guerra fredda”. Ora si tratta di sfruttare
le più moderne tecnologie per lo sviluppo di un tale sistema anche se, ora come allora, ciò potrebbe dare ulteriori motivazioni alla propaganda dei movimenti anti-occidentali.
Il problema è complesso ma non insuperabile. Occorre comunque procedere con chiarezza di intenti e dimostrare
una decisa volontà di raggiungere gli obiettivi prefissati. Bisogna, in definiRiferimenti bibliografici
tiva, che il processo dialettico proceda e si intensifiAlessandro BAUSANI
L’Islàm - Laterza 1992
chi, ma non si limiti a una
Alessandro BAUSANI
Il Corano - Rizzoli 1994
sterile serie di enunciazioSalvatore
BONO
Corsari nel Mediterraneo - Mondadori 1993
François
BURGAT
Il fondamentalismo Islamico - SEI 1995
ni platoniche, affinchè il
Cino
BOCCAZZI
Lawrence d’Arabia - Rusconi 1982
mondo islamico, in passaFranco
CARDINI
Noi e l’Islàm, un incontro possibile? - Laterza 1994
to già sedotto e abbandoHenry
CORBIN
Storia
della filosofia Islamica - Adelphi 1991
nato dall’Occidente, sapAnne
Marie
DELCAMBRE
L’Islàm
- Ed. Associate 1991
pia che finalmente esiste
Francesco GABRIELI
Maometto - De Agostini 1989
la ferma intenzione di
Albert
HOURANI
Storia dei popoli arabi da Maometto ai nostri giorni
“fare qualcosa di concreMondadori 1992
to”.
John
KEEGAN
La grande storia della guerra - Mondadori 1994
La storia ci giudicherà
Gilles
KEPEL
L’Islàm - Giunti 1989
per ciò che noi faremo e,
Gilles
KEPEL
Jihad, ascesa e declino soprattutto, per ciò che
Henri
LAMMENS
L’Islàm - Laterza 1929
noi non avremo voluto
Henry C.
PUECH
Storia dell’Islàmismo - Mondadori 1993
fare. Il verdetto dipende
Jean-Paul
ROUX
Storia dei turchi - Garzanti 1988
Biancamaria SCARCIA
Il mondo dell’Islàm - Editori Riuniti 1981
solo da noi.
N.B. Le tre religioni monoteiste sono praticate da più del 60% della popolazione mondiale.
23