LE CROCIATE
di Rino CAMMILLERI
«A soli otto anni di distanza dalla morte del Profeta, avvenuta nel 632»,
l’islam si era steso su Nordafrica, Cipro, la maggior parte del Medioriente e
la Spagna. Come era stato possibile? Le ragioni militari sono in fondo
semplici: innanzitutto bizantini e persiani si erano dissanguati in secoli di
guerre; disponevano solo di truppe di confine, dislocate in piazzeforti e
spesso mercenarie, mentre gli arabi erano usi alle armi fin dall’infanzia;
non disponevano di reparti di cavalleria in grado di spostarsi rapidamente
da un punto all’altro; gli arabi avevano i cammelli, con cui attraversavano
velocemente il deserto; concentravano le forze per colpire in un punto,
mentre il grosso delle forze imperiali era sparso su confini lunghissimi.
Questi ultimi, infine, erano non di rado presidiati da tribù arabe pagate
all’uopo e che subito cambiarono campo ai primi attacchi.
«Sulla presunta tolleranza dei musulmani», poi, «sono state scritte non
poche sciocchezze», che iniziarono «con Voltaire, Gibbon e altri scrittori del
XVIII secolo, intenzionati a ritrarre la Chiesa cattolica nella peggiore luce possibile», dice Rodney Stark in quello che, a mio avviso, è il più bel
libro mai scritto sulle crociate: Gli eserciti di Dio. Le vere ragioni delle crociate (Lindau). Per esempio, i persiani «si ribellarono per più di un
secolo al dominio islamico», scatenandosi addosso «la repressione più brutale». E «settanta pellegrini cristiani provenienti dall’Asia Minore
furono messi a morte (…), tranne sette che acconsentirono a convertirsi all’islam. Di lì a non molto altri sessanta pellegrini (…) furono crocifissi
a Gerusalemme. Verso la fine dell’VIII secolo i musulmani attaccarono il monastero di San Teodosio, nei pressi di Betlemme, massacrarono i
monaci e distrussero due chiese vicine. Nel 796 i musulmani misero al rogo venti monaci del monastero di Mar Saba. Nell’809 vi furono
molteplici assalti a un gran numero di chiese e monasteri, sia dentro le mura di Gerusalemme sia attorno alla città, con stupri e uccisioni di
massa. Gli attacchi si ripeterono nell’813. Il giorno della Domenica delle Palme del 932 esplose una nuova ondata di violenze, con distruzioni di
chiese e molte uccisioni» (Moshe Gil). Alla fine del X secolo il sultano d’Egitto e sesto imam fatimide Tariqu al-Hakim costrinse «i cristiani a
portare al collo una croce di quasi due chilogrammi, imponendo invece agli ebrei la scultura di un vitello di identico peso». Fece incendiare e
radere al suolo 30mila chiese, compresa quella del Santo Sepolcro. Per gli europei gli islamici «avevano proditoriamente occupato con la forza
terre che un tempo appartenevano alla cristianità» e «oltraggiavano le regioni cristiane soggette al loro dominio, razziavano le regioni cristiane
riducendo in schiavitù la popolazione e si abbandonavano al saccheggio esaltati dal puro desiderio di distruzione» (Derek Lomax). Se Carlo
Martello non li avesse fermati a Poitiers nel 732, «forse oggi nelle scuole di Oxford si insegnerebbe l’esegesi coranica», deve ammettere
Edward Gibbon). «Nella storia mondiale non vi fu nessuna battaglia più importante di questa » (Hans Delbrück).
Ma tutto il libro di Stark è pieno di chicche da mandare a memoria. Come questa: «Non dimentichiamo che il Saladino, il famoso eroe dell’islam
tanto ammirato dagli scrittori occidentali, fece chiudere la biblioteca del Cairo e ne gettò i libri tra i rifiuti». L’altrettanto ammirata civiltà
islamica? «Quello che sappiamo con assoluta certezza è che dopo la conquista islamica dell’Egitto, del Nordafrica e della Spagna, da tutte
queste terre scomparve la ruota». Già: la ruota richiedeva strade, mentre gli arabi erano abituati ai cammelli, di cui avevano il monopolio.
Per i cristiani «era giunto il momento di passare al contrattacco». Ma «i grandi nobili e i cavalieri non erano né stupidi né ingenui e di una
spedizione in Terrasanta ne sapevano già abbastanza, visto che alcuni vi erano già stati in pellegrinaggio e tutti avevano qualche familiare o
compagno d’armi» che lo aveva fatto. «Sapevano anche che ad attenderli tra le sabbie della Palestina non vi erano certo cumuli d’oro». Il
Saladino? «A partire dell’Illuminismo » fu «bizzarramente» ritratto «come un personaggio razionale e civilizzato in contrapposizione ai crociati,
barbari e creduli». Invece, quando sconfisse i cristiani ad Hattin, riporta il suo segretario Imad ad-Din che prese i templari e gli ospitalieri
sopravvissuti e «ordinò che fossero decapitati, preferendo l’ucciderli al farli schiavi. C’era presso di lui tutta una schiera di dottori e sufi, e un
certo numero di devoti e asceti: ognuno chiese di poterne ammazzare uno», cosa che il Saladino concesse «a lieto viso». Quel che appare nel
film di Ridley Scott, Le crociate, è una balla: presa Gerusalemme, metà degli abitanti fu venduta schiava perché non poteva pagarsi il riscatto.
Anche la famosa quarta crociata, quella che prese Costantinopoli anziché Gerusalemme, va ridimensionata: i bizantini si erano sempre
comportati slealmente con i crociati, sempre; nel 1189 l’imperatore Isacco II si era addirittura alleato col Saladino in cambio della consegna di
tutte chiese latine d’Oltremare ai greci-ortodossi. Anche alla quarta crociata i latini furono traditi dai bizantini: per questo decisero di togliersi
quell’impiccio alle loro spalle una buona volta. Riguardo al presunto massacro: meno di duemila vittime in una città, Costantinopoli, di 150mila
abitanti. Nulla in confronto alle intere città massacrate da Baibars e dai mamelucchi, massacri di cristiani tutti compiuti in dispregio della
parola data: promessa della vita in cambio della resa, rimangiata appena aperte le porte. Anche all’assedio di Acri del 1291, ultimo baluardo
cristiano, gli ambasciatori attirati con la promessa di trattare vennero decapitati. Nel maggio 1268 ad Antiochia ci fu «il peggiore massacro (di
cristiani, ndr) dell’intera epoca delle crociate». Ma gli storici occidentali sorvolano: il famoso Steven Runciman «gli dedica ben otto righe »;
Christopher Tyerman, «che si era dilungato per molte pagine sugli efferati dettagli del massacro di Gerusalemme nella prima crociata, liquida
la carneficina di Antiochia in quattro parole». Meglio di tutti Karen Armstrong, che «riserva dodici parole al resoconto della strage, di cui
attribuisce la colpa agli stessi crociati, poiché era stata la loro orrenda minaccia a creare un “nuovo islam”, segnato da una “disperata
determinazione alla sopravvivenza” ». Sembra di sentire gli odierni commentatori nei confronti del terrorismo e dei kamikaze. «I monaci del
monte Carmelo furono massacrati senza pietà». E così finì la storia dei regni latini d’Oriente, che tuttavia «riuscirono a sopravvivere, almeno
lungo la costa, un numero di secoli pari a quello vissuto fin a oggi dagli Stati Uniti come nazione».
Il bello è che il risentimento per le crociate i musulmani l’hanno appreso nelle università occidentali verso la fine del XIX secolo, laddove prima,
per gli arabi, si era trattato, anzi, di un’impresa contro gli odiati turchi. Solo la fede mosse la crociate, e nient’altro: questo va affermato con
chiarezza contro ogni giudizio malevolo perché ideologicamente anticattolico. Finirono perché costava troppo all’Europa, in termini di
dissanguamento finanziario e umano, mantenere un’isola occidentale così lontana e circondata dalla marea islamica. Ma finché i crociati furono
là, l’espansionismo islamico segnò il passo. Per riprendere subito dopo e arrestarsi solo nel XVIII secolo. E solo davanti alla sconfitta militare.
IL TIMONE – Novembre 2010 (pag. 20 -21)