Kid Granoturco e polenta in Romagna.pub - Comune di Russi

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Comune
di Russi
(Ravenna)
Museo della vita contadina
in Romagna
San Pancrazio di Russi
Sistema
Museale
Provincia
Materiali per la didattica museale
a cura dell’Associazione culturale
“La Grama” di San Pancrazio di Russi(RA)
con la collaborazione
del Laboratorio per la didattica museale
della Provincia di Ravenna
Museo della Vita contadina in Romagna
Via XVII Novembre - 48020 San Pancrazio - RA Telefono: 0544-534303 - Fax: 0544-535033
E-mail: [email protected]— Internet: www.racine.ra.it/russi/vitacontadina
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RANOTURCO E POLENTA IN ROMAGNA
LA PIANTA
MAIS (o Maiz) : nome italiano della Zea Mays, specie del genere Zea, chiamata anche grano
turco, granoturco,formentone, frumentone, grano d’India, granone, melone, polenta, ecc..
Numerose e commiste sono le varietà e razze italiane, molte veramente ottime per i loro cacaratteri organolettici e per la loro costituzione chimica.
Il mais appartiene alla famiglia delle graminacee; è una pianta a sessi separati, ad infiorescenza a pannocchia, alta fino a tre metri, con foglie sessili spadiformi. L’infiorescenza maschile è all’apice, quella femminile è nella pannocchia rappresentata dagli stili o capelli inseriti in una costola legnosa (tutolo). Questa specie di spiga è avvolta da una serie di brattee
che formano il cartoccio che viene asportato dopo la raccolta della pannocchia.
Il mais è una pianta originaria dell’America e propriamente degli altipiani del Perù, della Bolivia, dell’Equador; fu introdotto in Europa da Cristoforo Colombo in seguito alla scoperta di
quel continente dove era largamente coltivato dalle tribù indiane. Attualmente è una coltura
che si è diffusa in tutto il mondo.
Il prodotto del mais viene impiegato per uso alimentare umano e zootecnico, per uso industriale in quanto se ne estrae, oltre alla farina, l’amido di granoturco e l’olio di granone
(usato in saponeria, nella finitura del cuoio e come lubrificante), il quale, se raffinato, serve
ad uso alimentare sia puro che miscelato.
LA COLTIVAZIONE
Una volta tutti quelli che avevano un po’ di terreno coltivavano il mais, e furmintón. Era
una produzione per lo più ad uso e consumo famigliare, in piccoli appezzamenti lavorati esclusivamente in modo manuale e faticoso.
La coltivazione del mais, dalla preparazione del terreno alla raccolta del prodotto, è scaglionata in diversi mesi:
ottobre: concimazione e apertura del terreno
gennaio: aratura preparatoria per marzatelli
marzo: preparazione del terreno per la semina
marzo – aprile: semina del mais
maggio: prima zappatura
giugno: seconda zappatura
luglio: terza zappatura e taglio della
cima sopra la pannocchia
agosto – settembre: raccolta delle pannocchie, sfogliatura e sgranatura delle
pannocchie,
estirpazione degli stocchi.
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Attualmente tutto questo lavoro viene svolto da macchine che, se rendono più rapida e perfetta l’esecuzione,
tolgono tutto ciò che vi era di caratteristico e tradizionale nell’attività
manuale, specialmente nell’ultima
parte, cioè la raccolta del prodotto.
Dunque il lavoro iniziava in autunno con la concimazione del terreno fatta con il letame, ma
solo a primavera inoltrata si provvedeva alla semina; questa veniva fatta tracciando delle
righe nel campo con dei paletti, poi, con la zappa, a distanza
regolare, veniva fatto un buco in cui si lasciavano cadere i semi. Dopo la nascita le piantine di mais venivano diradate a
mano lasciando una sola pianta
per ogni buco. Il campo doveva
poi essere tenuto pulito dalle erbacce manualmente o con la zappa.
Attualmente tutto questo lavoro viene svolto da macchine che,
se rendono più rapida e perfetta l’esecuzione, tolgono tutto ciò
che vi era di caratteristico e tradizionale nell’attività manuale,
specialmente nell’ultima parte, cioè la raccolta del prodotto.
SFOGLIATURA E SGRANATURA
Alla maturazione si raccoglievano le pannocchie che venivano sfogliate e lasciate al sole per
l’essiccazione.
Nella lavorazione manuale i momenti più
caratteristici consistevano proprio nella sfogliatura e sgranatura
delle pannocchie e
nella confezione della
polenta.
La sfogliatura e la sgranatura avvenivano sull’aia dove le pannocchie venivano portate al
momento della raccolta, di sera.
Ad essa partecipavano anche i vicini di casa ed assumeva l’aspetto di un rito. Questi ritrovi
serali erano anche occasione di incontri amichevoli di coabitanti e, soprattutto, per i giovani,
incontri in cui sbocciavano gli amori.
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La sfogliatura consisteva nel togliere alle pannocchie il rivestimento di brattee esterne
(cartoccio) e gli stili (capelli) che servivano da lettiera per gli animali, poi il distacco delle
brattee interne, bianche e soffici, che servivano per l’imbottitura dei sacconi pagliericci
(materassi) per i letti della famiglia contadina.
Per aprire il cartoccio il contadino
usava uno spuntone di ferro o un
chiodo che serviva anche per la
sgranatura facendolo scorrere tra
alcune righe di chicchi, che saltavano via, aprendo dei varchi nelle
righe stesse che facilitavano
l’estrazione dei chicchi. In tempi
successivi fu adottata un’apparecchiatura sgranapannocchie.
“Mi ricordo –dice Zvanì, un anziano del paese- che ognuno la faceva
con i mezzi che aveva a disposizione, chi usava un chiodo, un pezzo di ferro o qualsiasi arnese adatto reperibile nella corte; però mi
ricordo che qualcuno possedeva un
attrezzo e froll con il quale la sgranatura avveniva con maggiore velocità”.
Le cariossidi così sgranate, venivano lasciate sull’aia per alcuni giorni, debitamente protette,
ad essiccare al sole poi erano insaccate e portate in magazzino in attesa di essere macinate e
trasformate in farina nei momenti opportuni.
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MPIEGO DEL MAIS
Per quanto riguarda l’uso della farina di mais come alimento commestibile come per esempio mista alla farina di grano per fare il pane o per la polenta, vogliamo fare presente che nel
corso del XIX secolo lo sfamarsi con sola farina di mais comportava l’insorgere della pellagra, malattia dovuta alla carenza di vitamine, che provocò molti decessi specialmente nella
popolazione contadina e montanara.
Comunque la produzione a quell’epoca era più scarsa di quella odierna perché le piante e i
sistemi di coltivazione di allora rendevano meno di quelli attuali.
Il mais veniva utilizzato quasi esclusivamente per uso della famiglia che lo produceva e qui
da noi, in pianura, la maggior parte era usato per l’alimentazione degli animali sia da cortile
che suini e bovini. I chicchi triturati grossolanamente servivano per il becchime: tutti i contadini avevano animali da cortile indispensabili per la carne
e le uova; triturati finemente
servivano per allevare un maiale per uso domestico e magari uno in più da vendere per
racimolare qualche soldo.
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Le foglie più esterne venivano date alle mucche e tutto veniva
utilizzato: le foglie più interne delle pannocchie, bianche e raffinate, riempivano i pagliericci e gli steli più grossolani non utilizzati per l’alimentazione del bestiame servivano per il fuoco, più
che altro per far bollire l’acqua per il bucato.
Con i chicchi del mais, fatti macinare al mulino, si otteneva la
farina gialla, con la quale si faceva la polenta. Nella nostra zona
la polenta si mangiava qualche volta durante l’inverno solo le
famiglie più povere erano costrette a mangiarla
più spesso. Quando sono venuti ad abitare in pianura gli abitanti delle zone
collinari ed appenniniche, loro si che raccontavano di averla dovuta mangiare molto spesso purtroppo per la carenza di farina bianca.
Volendo rendere il dovuto omaggio al passato, potremmo redigere il seguente prospetto che ci presenta quali erano i prodotti che si ottenevano
coltivando il mais:
Tutta la pianta giovane: foraggio per animali.
colta del prodotto.
Granella(chicchi): alimentazione per animali da cortile, specialmente volatili; farina per polenta, piadotto, pietanze varie, mangimi per animali.
Pannocchia: i tutoli erano usati come combustibile; la foglia bianca (brattea) per imbottire i
pagliericci, confezionare sporte, calzature, contenitori vari, stuoie; il cartoccio
era utilizzato come lettiera per gli animali.
BIBLIOGRAFIA
Ritenendo interessante far conoscere vari tipi di pietanze confezionabili con farina di mais,
rimandiamo alla pubblicazione “ Granoturco e Polenta in Romagna” di Graziano Pozzetto,
comunicazione presentata nell’incontro di studi dedicato a Granoturco e Polenta in Romagna il 10 settembre 2001, organizzato dall’Associazione Culturale “La Grâma” e dal Museo
della Vita Contadina in Romagna di S.Pancrazio di Russi (RA), pubblicato a cura del Comune di Russi e della Pro Loco e reperibile presso la biblioteca del Museo della Vita Contadina
in Romagna di S.Pancrazio di Russi (RA).
Altra ricca citazione sull’uso gastronomico della farina di mais è contenuta in “La Piadina
Romagnola Tradizionale” di Graziano Pozzetto, edizione Panozzo-Rimini 2005.
Vivace e realistica descrizione della sfogliatura e sgranatura delle pannocchie di mais è rintracciabile in “Vita operosa e gaia nell’aia Romagnola” di Vittorio Tonelli, edizione Edit-
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DETTI
Farena grösa, pulenta fena
(Farina grossa, polenta fine).
La pulenta furmintena
la t’ten pin sèna a dmatena
(La polenta di farina di granoturco
ti tiene sazio fino a domattina).
Par fê bona la pulenta,
(Per fare buona la polenta,
u j vo al braz dl’azdor a dei indendar ci vogliono le braccia reggitore a rimestarla).
PROVERBI
S’e’ piov i dè imprasté, pianta di fasul e dde furminôn t’ n’arei. (Se piove i giorni prestati – gli ultimi tre giorni
di marzo – pianta dei fagioli e del frumentone e ne avrai).
Se par Sà Pir è piuvarà, de furminôn e di fasul u s’cuirà. (Se per San Pietro – 29 giugno –
pioverà, si raccoglierà del frumentone e dei fagioli).
Se piove il giorno di San Martino – 11 novembre – il contadino è avvertito che l’estate correrà fresco e che perciò quant’altro dovrà seminare largamente granoturco che gli darà lautissimo prodotto.
POESIE SUL GRANOTURCO di A. Spallicci
DO GÓZAL TRA È FURMINTÓN
Un vel a’d nuvlai alzir alzir
Uss stend cumpagna a un ligul da una róca
E e da dal vinadur a’d bianch in zir
Us d’una feta a’d cómar meza zóca.
e’ zil d’ incú l’ è coma e’ zil d’jir
Che quesi e’ scota tot gniaquël ch’us tóca,
Che l’éria l’ è aqua chélda e che e’ rispir
E pe ch’sipa scapé da un’étra boca.
Mo un s’ ved gnianca una stela in zil stasera;
Mundin l’à stes la man -“e fa dal gózal
Dis, - Oh se dgess da d’ bon, fossal la vera!”
L’ arlus incora i sprëi dagli últum lózal
E un’ aquarina ch’la vel pió d’na passión
La j arsóna int al foi de furmintón.
E’ FURMINTÓN
L’a dal voi
Oh Signor!
Cun al foi
Cma e’ canéd
Cun e’ fior
Cme l’ abed.
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LA PANÒCIA AD FURMINTÓN
La i infilé e’ frocc int e’ scartòz
La j scarbujé i cavel,
E la pancia fresca la ridé,
La ridé propi d’ côr,
Cun tot i dent su d’ôr.
I SPANÒCIA
E rapa in zil la luna e l’ an va piàn
Parché l’ à priscia ‘d lassê e’ post a e’ dé.
Stanata e po’ durmir in pês e’ can
Che int l’ éra a sén a veggia a spanuciê.
Lè ch’a sèn int’ na bëla sucieté!
L’ è vnu nec dal burdëli da luntan
Cun e’ sach, cun e’ frocc int una man
Ch’al vö ridar, ch’al vö sintì cantê.
A la piò bèla ch’l’ è int la sfuiarì,
Prema ch’ la purta e’ bé la nostra azdóra,
Ch’ la i arsponda a sta canta ins i du pí
“La foia de nuden bianca e pulida
L’è cme a magnê la rocla, a dormii sora,
La fa sugnê e’ muros nech da instizzida”.
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