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IL NUCLEARE

A

Direttore
Ettore Gadioli
Ettore Gadioli
Energia nucleare
ed effetti biologici
delle radiazioni
Copyright © MMXI
ARACNE editrice S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Raffaele Garofalo, /A–B
 Roma
() 
ISBN ––––
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: maggio 
Alle donne della mia vita:
Enrica, Lucia, Giulia e Beatrice
Indice

Prefazione

Capitolo I
La scoperta del nucleo atomico e dell’interazione forte
.. L’atomo di Thomson,  – .. La scoperta del nucleo,  – .. La
scoperta dell’interazione forte,  – .. La scoperta del neutrone e la
costituzione del nucleo,  – .. L’interazione forte, .

Capitolo II
Masse nucleari e instabilità nucleare
.. Misura delle masse atomiche,  – .. Energie di legame dei nuclei
stabili e formula semiempirica delle masse,  – .. Multipletti isobarici
e instabilità per decadimento β,  – .. Instabilità per emissione di
particelle α,  – .. Instabilità per fissione e instabilità di nuclei con
elevato momento angolare, .

Capitolo III
Radioattività
.. Scoperta della radioattività naturale,  – .. Legge del decadimento
radioattivo,  – .. Decadimento β,  – .. Decadimento α,  –
.. Decadimento γ,  – .. Isotopi radioattivi naturali,  – .. Serie
di decadimenti dell’uranio e del torio,  – .. Radioisotopi a lunga
vita non appartenenti alle serie radioattive,  – .. Radioisotopi
cosmogenici,  – .. Datazione di reperti geologici e archeologici, 
– .. Radioattività artificiale, .

Capitolo IV
Fissione nucleare
.. Introduzione storica,  – .. Teoria semplificata del processo
di fissione,  – .. Produzione di energia con la fissione di nuclei
pesanti,  – .. Ordigni nucleari,  .

Energia nucleare ed effetti biologici delle radiazioni


Capitolo V
Fusione nucleare e nucleosintesi
.. Introduzione storica,  – .. Nucleosintesi primordiale,  –
.. Formazione delle protostelle e ciclo p − p.,  – .. Stelle di seconda
generazione e ciclo CNO,  – .. Reazioni di fusione di particelle
alfa,  – .. Evoluzione ulteriore di stelle di grande massa,  –
.. Principio antropico,  – .. Reattori a fusione, .

Capitolo VI
Effetti biologici delle radiazioni
.. Interazione tra radiazione e materia,  – .. Interazione di raggi X
e γ e neutroni con la materia,  – .. Interazione di particelle cariche
con la materia,  – .. Origini della diagnostica e terapia medica con
radiazioni ionizzanti,  – .. Grandezze che caratterizzano l’effetto
biologico delle radiazioni ionizzanti,  – .. Effetto biologico delle
radiazioni,  – .. Uso di radiazioni ionizzanti in ambito ospedaliero
per diagnostica,  – .. Radioterapia con l’utilizzo di radioisotopi, 
– .. Radioterapia con fasci esterni al corpo del paziente, .

Appendice I
Unità di misura maggiormente usate in fisica nucleare e subnucleare

Appendice II
Dimostrazione che la traiettoria delle particelle α diffuse da un
nucleo in una interazione Coulombiana è un ramo di iperbole

Appendice III
Interazioni fondamentali

Appendice IV
La teoria di Fermi del decadimento β

Appendice V
Arricchimento dell’uranio

Appendice VI
Sostenibilità dei reattori nucleari

Indice analitico
Prefazione
Questo volume raccoglie le lezioni da me tenute alla Scuola di Specializzazione dell’Università di Milano per gli Insegnanti delle Scuole
Secondarie negli anni – e nel suo contenuto riflette le esigenze degli studenti a cui le lezioni erano rivolte con ampio spazio
dedicato allo sviluppo storico e ad argomenti (ad esempio, gli ordigni nucleari nel Capitolo ) che non sono usualmente discussi in
lezioni universitarie di carattere generale e tuttavia hanno rilevante
importanza nella formazione dell’opinione pubblica.
Penso tuttavia che possa essere utile anche per un Corso Universitario di Istituzioni di Fisica Nucleare e Subnucleare della laurea triennale perchè discute argomenti essenziali per chi voglia avere un’idea
dell’importanza della Fisica Nucleare e delle sue applicazioni interdisciplinari senza entrare in discussioni più tecniche che pur indispensabili e di primaria importanza per chi desideri approfondire questa
materia non lo sono per un pubblico più generale.
Ettore Gadioli
Dicembre 

Capitolo I
La scoperta del nucleo atomico e
dell’interazione forte
: .. L’atomo di Thomson,  – .. La scoperta del nucleo,  –
.. La scoperta dell’interazione forte,  – .. La scoperta del neutrone
e la costituzione del nucleo,  – .. L’interazione forte, .
.. L’atomo di Thomson
Benché nel corso del XIX secolo si fosse venuta affermando l’ipotesi
che la materia è costituita da atomi, fino alla scoperta dell’elettrone
() non venne affrontato il problema della costituzione interna di
un atomo: semplicemente lo si considerava, usando un linguaggio
moderno, un oggetto elementare non separabile in costituenti più
fini, proprio come pensavano Leucippo e Democrito che per primi,
duemila e trecento anni prima, ne avevano ipotizzato l’esistenza. La
scoperta che si potevano separare dagli atomi particelle quali gli elettroni, di massa molto minore della loro, pose in modo non eludibile
il problema della loro costituzione. Non a caso lo scienziato che più
decisamente affrontò questo problema fu Thomson . Egli suppose
dapprima che l’atomo fosse costituito da elettroni che si muovevano
in uno spazio che per qualche causa aveva una carica positiva tale da
bilanciare la loro carica negativa e rendere così neutro l’atomo. Fino
al  Thomson ritenne che la massa dell’atomo fosse dovuta ai soli
elettroni e poichè si sapeva dallo studio dei fenomeni elettrochimici
. Per una discussione più approfondita si veda A. Pais, Inward Bound, Oxford
University Press, , pag.  e seguito.


Energia nucleare ed effetti biologici delle radiazioni
che le masse degli ioni carichi in cui si scindevano le molecole di un
elettrolita erano migliaia di volte maggiori della massa dell’elettrone,
egli ritenne che ogni atomo contenesse migliaia di elettroni. In particolare un atomo di idrogeno contenesse circa  elettroni. Fu solo
nel  quando egli affrontò il problema di spiegare l’interazione
di una radiazione elettromagnetica con un atomo, l’assorbimento di
raggi beta emessi da sostanze radioattive con la materia e il decadimento radioattivo di atomi instabili che egli capì che il numero degli
elettroni contenuti in un atomo non poteva essere così elevato e doveva essere dell’ordine del suo peso atomico. In particolare un atomo
di idrogeno poteva contenere non più di un elettrone. Come conseguenza la massa del mezzo carico positivamente in cui gli elettroni
si muovevano non poteva essere trascurabile, ma anzi costituiva il
contributo dominante alla massa dell’atomo .
Veniva così a prendere forma il modello che fino al , doveva
essere considerato il modello di riferimento dell’atomo, il cosiddetto
plum pudding model in cui gli elettroni erano contenuti in un volume
sferico di carica elettrica positiva come le uvette in un panettone.
Oggi questo modello viene ricordato con un dispregio che non
merita per varie ragioni. Innanzitutto era un modello molto sofisticato in accordo con le leggi della meccanica e l’elettromagnetismo
classico. Gli elettroni erano supposti in moto su traiettorie circolari
e lo studio delle condizioni di stabilità del sistema mostrava, come
suggerivano anche risultati sperimentali riguardanti un sistema di
magneti in moto su traiettorie circolari sotto l’azione di una forza
radiale perpendicolare alla loro traiettoria , che per la stabilità del sistema il numero di elettroni su ciascuna orbita non poteva superare
un determinato valore. Gli elettroni che eccedevano questo numero si dovevano disporre su una traiettoria circolare più esterna. In
questo modo si poteva pensare di riuscire a spiegare le regolarità nel
comportamento degli atomi che stanno alla base della tavola periodica degli elementi. Inoltre Thomson, con il suo modello, ottenne
. J. J. Thomson. Phil. Mag. , , .
. A.M.Mayer, Am, J. Sci, ,  e , , , , , Nature , , , , ,
.
. La scoperta del nucleo atomico e dell’interazione forte

un valore per la sezione d’urto di interazione di una radiazione elettromagnetica con la materia (nota ancor oggi come sezione d’urto di
Thomson) che è il limite a cui tende per basse energie la formula di
Klein–Nishina per l’effetto Compton e che era in grado di riprodurre
in modo ragionevole i valori misurati noti a quell’epoca. Il modello
sembrava anche in grado di poter spiegare il valore del coefficiente di assorbimento di raggi β di bassa energia in rame e argento.
Infine l’atomo di Thomson appariva in grado di preservare la sua
struttura per lunghi periodi di tempo anche tenendo conto della perdita di energia per irraggiamento degli elettroni dovuto al loro moto
circolare, purché il loro numero fosse sufficientemente elevato e la
loro velocità sufficientemente bassa. L’emissione di elettroni da atomi radioattivi era spiegata come dovuta a una perdita di stabilità del
sistema quando un elettrone perdeva per qualche ragione una frazione notevole della sua energia e la sua velocità scendeva al di sotto
di un valore critico. Infine il modello prevedeva che nella diffusione
elastica con un atomo una particella carica potesse venir deviata solo
ad un angolo molto piccolo come la maggior parte delle osservazioni sembrava indicare. Fu proprio quest’ultima previsione, che i fatti
dimostrarono errata, che segnò storicamente la fine del modello di
Thomson .
.. La scoperta del nucleo
La scoperta di Rutherford che la carica positiva entro l’atomo è confinata in un nucleo di raggio molto minore del raggio atomico è stata la conseguenza di una lunga e mirabile serie di esperimenti sulle
proprietà della particella α emessa nella maggior parte dei decadimenti radioattivi naturali di nuclei pesanti. Questi studi sono riassunti nella Conferenza che Rutherford tenne nel  in occasione
del conferimento del premio Nobel per la chimica .
. Questo mostra che a volte un modello non corretto può permettere di riprodurre
qualitativamente fenomeni complessi mentre non può spiegare fenomeni semplici.
. E. Rutherford — Nobel Lecture, Nobelprize.org.  Oct , http://nobelprize.
org/nobel_prizes/chemistry/laureates//rutherford-lecture.html.

Energia nucleare ed effetti biologici delle radiazioni
Questa serie di esperimenti inizia nel  con la scoperta che
le radiazioni emesse da elementi pesanti sono costituite da raggi α
incapaci di attraversare fogliolini di alluminio con spessore pari a pochi µm e raggi β molto più penetranti capaci di attraversare spessori fino a  volte maggiori . Successivamente Rutherford si pose
il problema di scoprire la natura delle particelle α misurandone l’energia e studiandone la deflessione in campi magnetici. Scoprì così
che le particelle α possono essere deflesse solo da campi magnetici
tra  e  volte maggiori dei campi magnetici necessari per deviare i raggi β (elettroni) emessi nei decadimenti radioattivi e poté
ottenere deviazioni misurabili solo utilizzando campi magnetici dell’ordine del T (, T) che all’epoca erano al limite delle possibilità
tecniche. Quanto alla velocità delle particelle α trovò che era dell’ordine di un ventesimo della velocità della luce . Ottenne poi un
valore di   C/g per la loro carica specifica (il rapporto tra carica e massa q/m), un valore pari alla metà del valore trovato per gli
ioni idrogeno, come erano allora chiamati i protoni, ottenuto dallo studio del fenomeni elettrochimici. Rutherford si accinse poi alla
determinazione della loro carica, misurando dapprima il numero di
particelle emesse nell’unità di tempo da una data quantità di Ra,
concludendo che un grammo di radio emette , ·  particelle alfa
ogni secondo, un valore di circa il % inferiore al valore attualmente accettato di , ·  . Infine determinò la loro carica (dividendo la
carica ceduta a un opportuno rivelatore per il numero di particelle α
che erano incise su di esso) che risultò pari a , · − C. Utilizzando
il valore oggi accettato per la carica elementare e (, · − C) il
valore ottenuto da Rutherford era pari a , e che, unitamente al valore già ottenuto per la sua carica specifica, indicava una massa della
particella α pari a circa  volte la massa dello ione idrogeno e quindi
suggeriva che la particella alfa fosse un atomo di He doppiamente
ionizzato.
. Tuttavia la maggior parte dell’energia emessa nella serie dei decadimenti radioattivi naturali è dovuta alle particelle α come dimostrato da Curie e Laborde nel
.
. Le particelle α emesse dal Ra, la sostanza radioattiva utilizzata nella maggior
parte dei suoi esperimenti, hanno un’energia di , MeV e la loro velocità è pari a .c.
. La scoperta del nucleo atomico e dell’interazione forte

Questa conclusione non era però scontata dato che il valore ottenuto a quel tempo da misure sperimentali di e era di circa , · − C.
Il valore più corretto allora noto per e era , · − C ed era stato
ottenuto da Planck riproducendo lo spettro delle radiazioni emesse
da un corpo nero . Questo valore però non era accettato da molti scienziati, con la notevole eccezione di Einstein. Con il valore di
Planck il risultato di Rutherford era che la carica della particella α
era pari a , e corroborando la conclusione già data che pareva in
accordo con l’osservazione che in natura l’elio si trova solo in rocce radiogeniche contenenti uranio o torio che notoriamente danno
origine a una serie di decadimenti radioattivi α. La prova definitiva
che la particella α è uno ione di elio doppiamente ionizzato fu ottenuta da Rutherford e Royds con uno degli esperimenti più belli
in tutta la storia della radioattività . Rutherford e Royds posero del
Rn, un gas prodotto nel decadimento del Ra, in un sottile tubo
di vetro con pareti dello spessore di meno di  µm, attraverso cui
le particella alfa del radon con energia di , MeV potevano agevolmente passare. Queste particelle alfa penetravano in un secondo tubo inizialmente vuoto che conteneva il primo, e aveva pareti molto
più spesse, in cui le particelle alfa si fermavano. Dopo circa  giorni
innescando una scarica nel secondo tubo si osservano le righe ottiche caratteristiche dell’elio. Rutherford poteva così concludere che
le particelle α erano atomi di elio doppiamente ionizzati che interagendo con la materia riacquistano i due elettroni ritrasformandosi in
normali atomi di elio .
. Riproducendo lo spettro del corpo nero Planck aveva ottenuto con una precisione di circa il % il valore della costante di Boltzmann k = R/N. Poichè la costante R
dell’equazione di stato dei gas perfetti era noto con grande precisione, dal valore di k
riuscì ad ottenere il valore del numero di Avogadro con una precisione di circa il ,%.
Infine dalla relazione F = eN, dove F è la costante di Faraday che dà la carica specifica
dello ione idrogeno nei fenomeni elettrolitici (  C/g), ottenne il valore riportato per
la carica dell’elettrone.
. E. Rutherford e T. Royds, Phil. Mag. , , .
. In studi successivi riguardanti l’assorbimento delle particelle α nella materia
Rutherford studiò più accuratamente il meccanismo di cattura elettronica da parte di ioni
al termine del loro percorso in un assorbitore, quando la loro velocità è divenuta paragonabile a quella degli elettroni di valenza nel corrispondente atomo. Questo argomento
verrà trattato nel Capitolo  dove si discute l’interazione della radiazione con la materia.
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