“PROGETTO DI INIZIATIVE
DI ASSISTENZA TECNICA PER
LA RAZIONALIZZAZIONE PRODUTTIVA
NEL SETTORE APISTICO”
M.I.P.A.F.
Ministero per le
Politiche
Agricole Forestali
I quaderni dell’apicoltore
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FLORA
APISTICA
A cura di:
Barbara Leida
Giorgio Della Valle
e Lucia Piana
Il presente lavoro si pone come obiettivo di passare in rassegna le principali piante di interesse apistico. Non c’è la pretesa, con queste pagine, di offrire un lavoro
esauriente. La quantità di specie presenti sul nostro territorio è enorme e le differenze ambientali da nord a sud, dalla montagna alla pianura creano microclimi particolari e varietà di piante all’interno della stessa specie che richiederebbero la stesura di un’opera enciclopedica. Crediamo tuttavia di poter fornire un panorama
della principale flora apistica presente e delle produzioni da questa fornite. Un
secondo lavoro, sulla flora apistica minore, sarà pubblicato successivamente, data la
quantità di specie interessate.
Le api raccolgono dalle piante diversi prodotti: il nettare, la melata, il polline, la propoli.
In questo lavoro sono state descritte le principali piante interessanti per la produzione di miele. Delle stesse viene indicata comunque l’incidenza della produzione
di polline.
Prima di passare in rassegna queste specie, merita ricordare brevemente come le
api intervengono nella produzione del miele e nella raccolta del polline.
Barbara Leida
I testi relativi alle diverse specie botaniche sono di Barbara Leida e Giorgio della Valle
Le schede del Miele sono di Lucia Piana
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Il miele
e la melata
I
l miele è “la sostanza zuccherina prodotta dalle
api a partire dal nettare, dalla melata e dalle
sostanze zuccherine che esse raccolgono su vegetali viventi, che arricchiscono di sostanze provenienti dal loro corpo, trasformano, depongono nei favi e
fanno maturare”.
Il nettare è un liquido zuccherino secreto dai nettarii,
tessuti ghiandolari generalmente presenti nei fiori o, talvolta, in altre parti delle piante. Il nettare deriva dalla
linfa floematica ed è costituito essenzialmente da carboidrati (prevalentemente saccarosio, fruttosio e glucosio) e in piccola parte da altre sostanze quali composti
azotati, vitamine, pigmenti, oli essenziali (responsabili
dell’aroma), sali minerali, ecc. La quantità e la qualità del
nettare dipendono dalle caratteristiche morfologiche e
fisiologiche della pianta (numero e dimensione dei nettarii, età della pianta, posizione del fiore sulla pianta,
ecc.) e dall’ambiente (terreno, temperatura, umidità,
esposizione al sole, vento, ecc.).
La melata, invece, deriva dalla linfa che viene succhiata
ed escreta da insetti dell’ordine dei Rincoti, pertanto è
già arricchita di alcuni enzimi di origine animale. Sono
inoltre caratteristicamente presenti altri due zuccheri, il
fruttomaltoso e il melezitoso. Anche in questo caso la
produzione è influenzata dalla pianta stessa e dalle
caratteristiche ambientali. Le api suggono queste
sostanze zuccherine grazie al loro apparato boccale
costituito da galee mascellari e palpi del labbro inferiore che si uniscono a tubo e che, con la ligula, costituiscono la proboscide. Il nettare o la melata, succhiati con
la proboscide, passano nella faringe, nell’esofago ed infine nella borsa melaria. Qui, arricchito di enzimi, il nettare viene disidratato e subisce un processo di “maturazione” grazie a numerosi rigurgiti aventi lo scopo di
esporlo all’aria. Il completamento della maturazione
avviene all’interno delle cellette, ad opera delle api che
ventilano.
Il polline
I
l polline viene raccolto dalle api in quanto fonte
proteica, fondamentale per la nutrizione della covata. Attraverso espedienti diversi, l’ape prima si
imbratta di polline, quindi lo raccoglie attraverso una
serie di operazioni effettuate con le zampe. Col primo
paio di zampe, con le spazzole tarsali, l’ape raccoglie il
polline presente sull’apparato boccale e sul capo e lo
umetta col nettare; col secondo paio, sempre con le
spazzole tarsali, raccoglie il polline del torace e lo unisce al primo; col terzo paio, raccoglie il polline dell’addome e lo unisce a quello del secondo paio. Quindi, con
movimenti rapidi di sfregamento delle zampe posteriori, trasferisce il polline da una spazzola tarsale al pettine dell’altra e viceversa. Infine, flettendo l’articolazione
tibio-tarsale, spinge il polline nelle cestelle, situate nella
porzione esterna della tibia del terzo paio di zampe,
dove le pallottole vengono trattenute da peli ricurvi.
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Le principali specie vegetative
visitate dalle api
ACACIA O ROBINIA
(ROBINIA PSEUDACACIA L.)
a robinia è una pianta di origine americana:
sono circa venti le specie che appartengono a
questo genere e che si trovano in America settentrionale e centrale. In Europa è presente solo la
"falsa acacia", cioè la Robinia pseudacacia L.
Le varietà sono numerose: R. pseudacacia pyramidalis ha chioma assurgente, mentre la varietà R. p.
ubriciana ha forma pendula e R. p. purpurea ha
fogliame rossastro. Le varietà R. p. unbraculifera e R.
p. bessoniana sono prive di spine e, la seconda, ha
chioma globosa. Al nord, la robinia si spinge fino in
Irlanda anche se, come pianta ornamentale, si ritrova
fin nella penisola scandinava. In Italia è distribuita su
una fascia altimetrica che va dal livello del mare fino
a più di 1.000 metri (oltre 1.500 nel sud), dove occupa una superficie di circa 100.000 ettari: solo in
Piemonte i boschi di robinia si estendano su una
superficie di 85.000 ettari. Oltre che in Piemonte, la
robinia è diffusa principalmente in Lombardia,
Veneto e Toscana e si sta diffondendo velocemente
in altre regioni.E' una specie rustica,con minime esigenze, climaticamente mesofila, ma capace di sopportare la siccità estiva. Non presenta esigenze particolari di terreno, anzi lo migliora (si tratta di una
leguminosa, come tale vive in simbiosi con batteri
azotofissatori); esige una luce intensa, ma può sopportare, negli stadi giovanili, un parziale aduggiamento. È ritenuta pianta infestante poiché, a causa
della sua forza pollonifera, rigetta abbondantemente
se ripetutamente tagliata, prendendo il sopravvento
sulle specie locali.
Il legname della robinia, molto più usato all'estero
che in Italia,è duro,di lunga durata,resistente alla rottura,elastico,ben lavorabile e poco soggetto alle alterazioni. Le doti ornamentali di alcune forme di robinia sono il motivo della sua diffusione in Europa;
pare vi sia giunta all'inizio del secolo XVII inviata a
Jean Robin, erborista del re Enrico IV di Francia. Più
L
Acacia
tardi Linneo denominò il genere riferendosi al
cognome Robin. In Italia apparì più tardi, verso la
fine del secolo XVIII, sporadicamente e quale pianta
da giardino; dimostratasi subito vigorosa e di facile
adattamento a diversissime condizioni pedoclimatiche, passò ad usi forestali, tanto che già nel secolo
scorso era considerata più pianta da bosco che da
giardino. In Italia la robinia è rintracciabile ovunque:
forma siepi arbustive lungo le strade e le ferrovie,
oppure, in portamento arboreo, è mescolata a molte
altre specie, spontaneizzata con querce, castagni,
pini ecc. E’ oggi la specie esotica più diffusa in Italia
ed in Europa, in particolare nelle regioni danubiane.
Tra i diversi tipi di miele quello di robinia è senza
dubbio il più estesamente conosciuto ed apprezzato
in Italia. E’ la qualità uniflorale più diffusa nei punti
vendita della grande distribuzione; la produzione
nazionale è largamente insufficiente a soddisfare le
richieste e ogni anno ne vengono importati grandi
quantitativi dai Paesi dell'Est Europeo (Ungheria,
soprattutto) e dalla Cina.
I mieli di robinia di origini geografiche diverse (italiane e non) possono essere differenziati grazie ai
pollini di accompagnamento che permettono, per lo
meno per i prodotti più diffusi e meglio conosciuti,
un agevole riconoscimento.
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Acacia
BOTANICA
LA SCHEDA
La robinia è una pianta a portamento arbustivo ed
arboreo, di non elevate dimensioni. La corteccia è
scura,percorsa longitudinalmente da solcature sinuose. Dispone di un apparato radicale robusto e particolarmente pollonifero. La chioma è ramificata. Le
foglie sono addensate, alterne, imparipennate composte (cioè ogni foglia è formata da numerose foglioline e termina con una foglia all'apice della nervatura
centrale). Le foglioline, a loro volta, sono obovate,
regolari e di un verde brillante. Spesso le foglie sono
dotate di stipole trasformate in spine. La fioritura
avviene su grappoli penduli di fiori portati da sottili
peduncoli ed assumenti forma papilionacea: il calice
è composto da cinque lobi e la corolla da petali larghi, arrotondati verso il margine libero. L'androceo è
formato da 10 stami, nove dei quali sono riuniti a formare la parte essenziale del pistillo, mentre uno è
libero. Il colore dei petali è generalmente bianco, ma
può essere anche rosato.Il nettare viene prodotto nel
fondo del fiore, alla base del tubo formato dagli stami
e risulta facilmente accessibile agli insetti. Il frutto è
un legume portante da tre a dieci semi.
Il miele di acacia
La produzione di nettare è molto elevata e
permette un’ottima produzione qualitativa e
quantitativa di miele, anche se molto variabile negli anni.
Il miele di robinia presenta un’elevatissima
concentrazione di fruttosio (59-60%) che lo
rende stabilmente fluido.
E’ relativamente povero in sali minerali ed in
polline; per dichiarare un miele uniflorale di
robinia è sufficiente una presenza di granuli
pollinici di questa pianta nella misura del
30% (I classe di rappresentatività), contro il
45% richiesto per i pollini normalmente rappresentati
Aspetti organolettici
STATO FISICO: generalmente liquido; può
eventualmente presentarsi torbido per la
formazione di cristalli, senza tuttavia raggiungere una cristallizzazione completa.
COLORE: sempre molto chiaro, da quasi
incolore a paglierino.
ODORE: leggero, floreale, ricorda quello dei
suoi fiori o appena fruttato.
SAPORE: decisamente dolce, anche stucchevole, con leggerissima acidità.
AROMA: molto delicato, tipicamente vanigliato, confettato, poco persistente e privo
di retrogusto.
L’INTERVISTA
"Si dice che il miele di robinia prodotto dagli
apicoltori stanziali delle prealpi lombarde e piemontesi sia il migliore. E' vero?"
"Generalmente sì: il miele di robinia, o di acacia, come viene anche chiamato, ha un sapore
delicato, sensibile a qualsiasi, anche minima,
contaminazione: una pur piccola quantità di
un altro miele dal sapore forte (ad esempio il
miele di tarassaco) è sufficiente a modificarne
la colorazione ed il sapore. Nella zona delle
Prealpi non sono presenti, se non in misura
limitata, siffatte fioriture primaverili e si ha la
quasi certezza di produrre un miele autenticamente monoflora."
Acacia
Difetti
Anche piccole quantità di altri nettari che si
aggiungano al raccolto principale possono
contaminare il prodotto finale, rendendolo
semplicemente un millefiori. Lo stesso vale
per raccolti aromatici precedenti (tarassaco
nelle prealpi ed erica in Toscana) o, più raramente, seguenti (ailanto, melate). Gli effetti
sono evidenti sull'aroma, sul colore, sulla
composizione e, conseguentemente, sulla
cristallizzazione. Per ridurre l'incidenza di
questi fenomeni è indispensabile una buona
conoscenza del territorio e delle risorse nettarifere, tempismo nella posa e nel prelievo
dei melari; ciò può richiedere una successiva deumidificazione in laboratorio.
Un altro difetto che si può riscontrare nel
miele di robinia è di ritrovare odore e/o
aroma di naftalina (usata impropriamente per
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Acacia
LA SCHEDA
AGRUMI
(CITRUS SPP. L.)
proteggere dall'attacco della tarma della cera
i favi dei melari immagazzinati), di acido fenico
o di benzaldeide (usati, irragionevolmente, per
allontanare le api dai melari al momento della
raccolta), di fumo (prodotto con materiali inidonei o usato eccessivamente durante le visite e alla raccolta), di timolo (usato per la lotta
alla varroa), di covata (qualora si smielino favi
vecchi precedentemente covati). Eventuali
impurità sono messe in rilievo in caso di mancate o incomplete operazioni di decantazione
e filtrazione.
Il miele di acacia è liquido. Tuttavia alcuni fattori possono innescare un processo di cristallizzazione. Tra questi, tralasciando la presenza
di mieli inquinanti:
- il contenuto d’acqua che incide sulla percentuale di glucosio “cristallizzabile”, in
eccesso cioè rispetto al punto di saturazione;
- formazione di microcristalli per agitazione
durante il passaggio nelle pompe;
- formazione di microcristalli per presenza di
residui di cera dovuti all’uso di disopercolatrici automatiche.
Questo difetto può essere eliminato stabilmente con un riscaldamento moderato (4045°C) che sciolga i microcristalli o i cristalli già
visibili. Oppure può essere prevenuto sottoponendo i melari a un riscaldamento ancora
più moderato (30-35°C) ed estraendo il miele
a questa temperatura, in modo che i microcristalli non si formino.
Acacia
L
'arancio ed il limone sono, in Italia, i più diffusi rappresentanti della famiglia delle
Rutaceae. Nel clima mediterraneo e nei suoli
del Sud hanno trovato le condizioni adatte per diffondersi.
ARANCIO
(CITRUS AURANTIUM L. E CITRUS SINENSIS L.)
L'introduzione nel bacino del Mediterraneo è relativamente recente e si ritiene risalga ai primi secoli dell'era cristiana sotto le vesti dell'arancio
amaro. L'arancio dolce compare in Europa solo
dopo il Mille e si ritiene sia stato portato dai portoghesi grazie alle spedizioni nelle Indie.
Il nome arancio troverebbe la propria origine nell'arabo "narangi", derivato a sua volta dal persiano o dal sanscrito "nagarang'a", che secondo il
Pianigiani, significava “frutto favorito dagli elefanti". Secondo altri glottologi la parola "aurantium"
dei latini può originare anche dal vocabolo
"aureum" e quindi significherebbe "albero dai
frutti aurei".
L'arancio è pianta longeva e può vivere oltre
cento anni, ma economicamente dura meno e
raggiunge lo stadio della piena produzione verso
il ventesimo anno.
BOTANICA
É alto 10-12 metri; la media peraltro è di 6-7 metri.
La chioma è compatta e le foglie sono ovate, a margine intero o appena dentate; il picciolo, alato in
forma accennata nell'arancio dolce, è evidente in
quello amaro. In quest'ultimo le foglie sono profumate. Le spine sono molto piccole nell'arancio
dolce e di maggior lunghezza in quello amaro.
I fiori, di dimensioni maggiori nell'arancio amaro,
sono profumati in entrambe le specie, ma il profumo dell'arancio amaro è più intenso. Sono solitari
o riuniti in fascetti o in piccoli grappoli ascellari,
hanno perianzio di cinque sepali con lobi calicini
arrotondati. Il numero degli stami è pari a quattro
volte il numero dei petali. L'ovario è supero, costituito da nove-quindici carpelli.
Il frutto è una bacca tipo esperidio, di forma rotonda o subsferica; la buccia - liscia e di colore dal giallo al rosso vinoso nell'arancio dolce e ruvida, rugosa, amarissima, giallo-rossiccia in quello amaro - è
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Agrumi
LA SCHEDA
Il miele di agrumi
Il miele di agrumi rappresenta uno dei prodotti
uniflorali più conosciuti ed apprezzati nel
mondo intero. In Italia è secondo, per diffusione nei punti vendita e nelle preferenze del consumatore, solo al miele di acacia.
La produzione uniflorale si ha soprattutto dove
questa cultura assume carattere intensivo e la
fioritura avviene in un periodo definito (e non
protratto, e quindi sovrapposto ad altre fioriture, come spesso avviene ai tropici); in particolare sono note le produzioni di Messico,
California, Florida, Israele, Spagna e Italia. Nel
nostro Paese si produce principalmente in
Sicilia e Calabria, ma anche Puglia, Basilicata,
Campania, Sardegna e Lazio rientrano nelle
regioni produttrici. In Italia, il miele di agrumi più
comunemente prodotto è di arancio o di agrumi misti: più rari i mieli di un’unica varietà diversa dall’arancio (limone, mandarino, bergamotto, cedro); in Israele sono noti mieli di pompelmo, in Corsica, i mieli di clementino. Le differenze tra un’origine e l’altra sono poco conosciute e anche a livello di analisi spesso non ci
sono elementi sufficienti per verificare se queste denominazioni specifiche, di sicura presa
sul consumatore, sono usate correttamente.
costituita da un esocarpo, flavedo, nel quale si trovano numerose tasche lisigene ricche di oli essenziali; queste sono appoggiate al mesocarpo bianco
e spugnoso, albedo. L'endocarpo, suddiviso in tanti
settori avvolti da una sottile membrana, è formato
da vescicole pluricellulari contenenti il succo.
Nell'arancio amaro i semi sono numerosi, mentre
quello dolce ne contiene pochi o nulla. Una specifica caratteristica dei semi di arancio è la poliembrionia. L'arancia deriva il suo pregio da tre suoi
componenti: lo zucchero, le vitamine (A, gruppo B,
C) e i sali minerali.All’alto contenuto di vitamina C
si deve l'azione terapeutica preventiva e curativa in
tutti i caso di scorbuto conclamato, ed in tutte le
altre forme che allo scorbuto si connettono.
Esistono due specie: C. aurantium L., detta "arancio amaro" o "melangolo" e C. aurantium var
sinensis L., o Citrus sinensis (L) Osbeck, chiamata
arancio dolce.
L'utilizzo dell’arancio amaro è industriale per la
presenza nelle foglie, nei frutti e nei fiori di cellule
oleifere e di principi aromatici. Dalla scorza si
estrae l’essenza; dalle foglie e dai polloni si ricava,
per distillazione, l’essenza di Petit grain; dai fiori,
per estrazione con solventi volatili, si ha l’essenza
di Neroli, da Flavia Orsini principessa di Neroli che
alla fine del sec. XVII ne introdusse la moda. Dal
frutto (polpa e scorza) si ha una confettura di pregio, come pure il "Curacao" ed altri liquori.
L’arancio dolce è originario della Cina. Comprende
un insieme di varietà classificate da diversi autori
in gruppi distinti, ma i caratteri non sono costanti
e le identificazioni non sono facili. Le cultivar coltivate in Italia sono numerose, tra queste: Ovale o
Calabrese, Belladonna, Tarocco, Moro, Sanguinello
comune,Washington Navel,Valencia late, Jaffa.
Agrumi
Aspetti organolettici
STATO FISICO: cristallizzato; la cristallizzazione avviene spontaneamente dopo alcuni mesi,
con cristalli da piccoli a grossolani, a seconda
delle condizioni di umidità e di conservazione.
COLORE: da quasi incolore a giallo paglierino
quando liquido, da bianco a beige nel cristallizzato.
ODORE: mediamente intenso, simile a quello
dei fiori dai quali proviene.
SAPORE: normalmente dolce con leggera acidità.
AROMA: molto intenso, floreale, simile all’odore,
ma di tipo più fresco, con tendenza al fruttato.
La cristallizzazione è più grossolana, se avviene a temperature maggiori e se il prodotto di
partenza è più umido; forma cristalli più fini se
il miele è deumidificato o conservato a temperature più fresche.
Identificare l’origine botanica attraverso l’analisi
pollinica è poco efficace, poiché alcune varietà
di agrumi coltivate hanno fiori che producono
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Agrumi
polpa è assai abbondante ed i succhi hanno acidità variabile a seconda delle varietà.
I semi sono piccoli, spesso mancanti.
Il limone è specie rifiorente; in altre parole porta
contemporaneamente sulla stessa pianta fiori e
frutti in diversi stadi di maturazione. Si hanno
frutti specifici per ogni fioritura.
Fioritura di marzo. Dà origine al marzano o malsano, frutto tozzo, con base larga, ordinariamente
privo di semi, a buccia spessa e ruvida, succo
acido e maturazione in settembre-ottobre.
Fioritura di aprile-maggio. Origina il limone propriamente detto, provvisto di semi, con succo
fortemente acido e maturazione da settembre ad
aprile.
Fioritura di giugno-luglio. Dà origine al jancuzzo
o biancuzzo, che ha buccia spessa e rugosa, e
matura da aprile a maggio.
Fioritura di agosto-primi di settembre. Dà il verdello, meno sfusato del limone, a buccia sottile,
liscia, pochi semi striminziti, maturazione da giugno ad agosto.
Fioritura di fine settembre. Dà l'agostaro, simile al
verdello, ma meno sfusato, e matura da agosto a
settembre.
Fioritura di ottobre. Dà il bastardo, sferico, buccia
spessa, semi abortiti, succo lievemente acido e
maturazione da settembre ad ottobre.
Oltre a quelli descritti il limone dà frutti con
caratteristiche intermedie come la marzanella, il
limone ammarzanato, il limone jancuzzato, ecc.
LA SCHEDA
pochissimo polline (o non ne producono affatto). Le particolarità compositive e organolettiche permettono però di confermare o smentire l’origine dichiarata nella maggior parte dei
casi. Alcune sostanze sono presenti in maniera esclusiva (o quasi) nel miele di agrumi:fra
queste un componente dell’aroma (metilantranilato), un flavonoide (esperetina), la caffeina.
LIMONE
(CITRUS
LIMON
L.)
La zona di origine del limone è l’Asia orientale. I
romani già sin dal I secolo dopo Cristo, conoscevano il limone ed altre specie del genere Citrus.
BOTANICA
Si tratta di un piccolo albero a lunghe branche
irregolari, con brevi spine forti e rigide sui rametti lignificati, a portamento aperto, procombente
per i rami a frutto ed assurgente per i getti a
legno.
Le foglie, persistenti, sono di colore verde pallido, di forma allungato-ovata, appuntiti in sommità, a margini dentati, sempre alterne.
I fiori sono isolati, talvolta accoppiati in mazzetti, piuttosto grandi, localizzati all'ascella delle
foglie, di colore bianco sfumato di rosso porpora.
I frutti sono ovali allungati, isolati o raggruppati,
composti da otto-dieci segmenti, contengono
molti o pochi semi, talora abortiti; di colore giallo chiaro, hanno una sottile buccia (o scorza) a
superficie liscia piuttosto che rugosa, sempre riccamente provvista di produzioni glandolari. La
Agrumi
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Agrumi
LA SCHEDA
CALLUNA
(CALLUNA VULGARIS HULL)
Il miele di calluna
Il brugo fornisce alle api nel periodo autunnale
importanti raccolti sia di nettare che di polline.
In questi mieli il fruttosio (56%) prevale sul glucosio (40%).
La produzione di miele uniflorale di calluna rappresenta una rarità in Italia, confinata a piccole
aree. E’ invece un prodotto importante e ben
conosciuto oltralpe.
Il miele di calluna è noto per una sua particolare caratteristica fisica: viene definito tixotropico,
si presenta cioè in uno stato gelatinoso (gel) e
si fluidifica se sottoposto ad agitazione o vibrazione. Lasciato a riposo riacquista lo stato di
gel. Questa proprietà, dovuta alla presenza di
una proteina colloidale, rende difficile l'estrazione di questo miele. In passato poteva essere
estratto solo per pressatura. La soluzione è rappresentata da particolari attrezzature (picoteuses), che permettono di agitare il contenuto
delle celle dei favi prima della centrifugazione, e
dalla stabilizzazione termica del prodotto (con
una pastorizzazione a 60-65° C o con refrigerazione). Un'altra caratteristica costante è l'elevato contenuto d'acqua e di conseguenza una
notevole predisposizione alla fermentazione.
B
rugo, brentoli, baraccia, grecchia, sorcelli, scopetti, ed anche impropriamente erica: questi
alcuni dei tanti nomi attribuiti a Calluna vulgaris Hull, pianta diffusa in Europa, Asia, Nord
Africa e Nord America.
Il termine botanico Calluna deriva dal greco "kalluno", cioè scopare; infatti le branche ramose di questa pianta venivano utilizzate per fare scope da giardino. Dà il nome alle brughiere, zone ai piedi delle
Alpi estese su terreni diluviali o in lande ove esistevano boschi che si sono successivamente degradati
dando origine a suoli acidificati, spesso molto umiferi, quasi torbosi.
In Italia, nell'alta pianura padana, sui terrazzi diluviali della Lombardia e del Piemonte si trovano diffuse brughiere; accanto ai cespugli dalle foglie piccolissime e di un verde cupo ed i fiori autunnali
rosa-violetti persistenti, si trovano anche la ginestrina dei carbonai e la molinia.Anche i pascoli montani e ospitano formazioni simili, soprattutto in zone
povere e con terreni superficiali, accompagnato
dalla scopina (Erica carnea), dai fiori rosa ed a fioritura primaverile precoce. Queste due specie si
possono spingere fin oltre il limite del bosco, formando le cosiddette "brughiere alpine" in consociazione con il mirtillo nero, il mirtillo di palude e
l'uva ursina. Non diffusamente, ma il brugo è presente anche sull'Appennino e nella zona di
Viareggio scende fin quasi al mare. Più a sud è raro.
Il brugo è coltivato per l'aspetto decorativo e ne
sono state selezionate diverse varietà. Possiede proprietà astringenti ed antinfiammatorie, antisettiche
delle vie urinarie e antireumatiche.Viene sfruttato,
per uso interno, nella cura delle cistiti, nelle leucorree, nei reumatismi e nelle albuminurie; per uso
esterno, per curare la gotta, le degnatosi squamose
e le nevralgie reumatiche.
La fioritura del brugo inizia in agosto e si protrae
fino a novembre.
Aspetti organolettici
STATO FISICO: gelatinoso.
COLORE: piuttosto scuro, rossastro.
ODORE: intenso, floreale, artificiale.
SAPORE: simile all’odore e leggermente
amaro.
BOTANICA
Il brugo è un arbusto di dimensioni modeste,con i
fusticini legnosi, tenaci e generalmente glabri. Le
foglie sono minute, ridotte a squame lanceolate
brevi (3-4 mm), disposte su quattro linee longitudinali e fittamente embriciate. I fiori, di colore roseo,
sono riuniti in racemi terminali provvisti di foglie;
la corolla, a quattro petali, è ricoperta dal calice,
Calluna
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Calluna
pure roseo, in quanto i sepali sono lunghi circa il
doppio dei petali. Il nettario è situato attorno all'ovario ed è un disco con otto protuberanze.
Il fiore mostra otto stami ed ovario supero con un
solo stilo. Il frutto è una capsula a quattro logge.
CASTAGNO
(CASTANEA SATIVA Miller)
I
l castagno appartiene alla famiglia delle
Fagacee ed è l’unica specie del genere
Castanea che sia presente in Europa. Altre
specie sono invece presenti in Asia. È pianta longeva, potendo arrivare ai 400-500 anni di età.
Il castagno è una pianta diffusa negli ambienti
collinari e montani che raggiunge i 1000 metri
di altitudine nelle zone settentrionali del Paese
e i 1.300 metri nel Sud.
Si tratta di una pianta longeva e di grande mole,
con una chioma densa ed espansa. Entra in produzione dopo circa 10 anni.
Non è chiaro se si tratti di una specie indigena
del territorio italiano o se vi si stata introdotta.
In ogni caso l’uomo ha contribuito, negli ultimi
due millenni, alla sua diffusione in tutto il territorio, a scopo produttivo.
Fino agli anni ’50, il castagno rappresentava
un’importante risorsa per l’economia montana
e collinare, in agricoltura, nell’industria ed in
ebanisteria. I frutti venivano utilizzati per l’alimentazione umana e del bestiame, i ricci bruciati per il riscaldamento, il legname come
legna da ardere, per l’estrazione del tannino
(utilizzato come conciante e colorante), ma
anche, grazie alla notevole durezza e pesantezza, per la costituzione di pali, per costruire
mobili, solette, ecc.
La fioritura avviene a giugno luglio. A differenza delle altre Fagacee, l’impollinazione è entomogama, ad opera specialmente di coleotteri e
di api.
Negli anni ’40, il castagno è stato colpito da un
fungo detto “cancro del castagno”. Il rimedio
trovato sono state abbondanti potature. Tuttavia
l’abbandono di questa coltivazione ha fatto si
che il cancro devastasse pressoché ovunque.
Oggi, nel tentativo di recuperare questa coltura,
si sta promuovendo la tecnica della potatura in
tree-climbing, per evitare l’utilizzo di mezzi
meccanici pesanti.
L’INTERVISTA
La brughiera mi è nota sin dall'infanzia: spesso
mio nonno mi portava con sé nelle lunghe passeggiate nei dintorni dell'aeroporto della
Malpensa, vicino a Gallarate. Ricordo, molto
vagamente, un incontro con un vecchio apicoltore e l'assaggio del miele autunnale di brugo.
Per puro caso ne ho incontrato il figlio, che non
è apicoltore, ma ha ancora memoria dell'attività del padre. Attualmente da noi, nel sud della
provincia di Varese, non si produce più miele di
brugo, ma fino ai primi anni cinquanta questa
ericacea era fondamentale per l'economia apistica locale; anche quando non si estraeva il
miele, il polline ed il nettare raccolti fino alla
fine di ottobre assicuravano un ottimo invernamento alle famiglie. Il mio interlocutore ricorda
con precisione una data: 1946. Fino ad allora,
infatti, si faceva tutto il possibile per riuscire a
produrre il miele di brugo, arrivando anche ad
un melario per colonia; in regime di autarchia,
con bloccate le importazioni, andava a ruba
all'ingrosso acquistato dai produttori di torrone.
Ed il prezzo era ottimo, paragonabile a quello
della robinia. Dal ‘46 le importazioni ne decretarono un forte deprezzamento ed il circuito si
interruppe. Ma allora, prosegue il mio interlocutore, la brughiera era curata e coltivata; regolarmente i cespugli di brugo venivano falciati
alla base per ricavarne scopette e lettiere per gli
animali e rispuntavano vigorosi formando stupende macchie rosacee.
BOTANICA
Calluna
Il castagno è una pianta alta fino a 30 metri presente su tutto il territorio italiano.
La corteccia è liscia, di colore dal grigio chiaro
all’ocra, nelle piante giovani; diviene via via più
scura e solcata da screpolature con gli anni.
10
Castagno
LA SCHEDA
Il miele di castagno
Il castagno è una pianta, in Italia, diffusa in
tutti i boschi collinari. Per questo rappresenta una delle produzioni principali uniflorali su
tutto il territorio.
Si ottengono notevoli produzioni su tutto
l’arco alpino, nelle zone appenniniche e nelle
zone montuose della Sicilia e della
Sardegna.
Pur trattandosi di una produzione uniflorale,
spesso il miele di castagno contiene anche
miele di melata e/o di tiglio.
La presenza della melata scurisce il miele e
lo rende meno amaro. Commercialmente è,
decisamente, più ricercato il miele di castagno prealpino, con percentuali di melata,
rispetto alle produzioni appenniniche e meridionali.
Il polline è iperrappresentato nel miele,
essendo presente in percentuale superiore al
90% (III-IV classe).
Le pallottole di polline sono piccole, di forma
irregolare e di colore giallo. Le api visitano i
fiori del castagno anche per la raccolta di
polline, sempre molto abbondante.
Dal punto di vista dei parametri fisico-chimici, i valori di umidità e di HMF rientrano nei
limiti previsti, nonostante il miele di castagno
sia più ricco in acqua rispetto ad altri mieli.
L’apparato radicale è dapprima fittonante, poi
espanso e molto ramificato, ma superficiale.
Ha foglie caduche oblunghe e lanceolate.
È pianta monoica, con fiori unisessuali riuniti in
infiorescenze: quelli femminili sono singoli o in
gruppi di 2-3 e sono posti alla base delle infiorescenze maschili; quelli maschili sono lunghi 1020 cm e sono di colore giallo verdastro. I fiori
maschili presentano un perigonio bianco formato da sei pezzi e sono privi di peduncoli.
L’infiorescenza è un amento.
Il frutto è un achenio detto castagna rivestita da
una capsula spinosa. In ogni capsula sono racchiusi tre frutti.
Aspetti organolettici
STATO FISICO: liquido, cristallizza lentamente in modo non sempre regolare.
COLORE: ambrato. Quando liquido presenta
tonalità rossiccio-verdastre.
ODORE: intenso; aromatico, amaro, di ceci
lessati, di cartone bagnato, di legno secco,
di tannino.
SAPORE: non eccessivamente dolce, con
retrogusto amaro.
AROMA: intenso, simile all’odore, tannico;
molto persistente.
Le peculiarità del miele di castagno non
sempre incontrano il gusto dei consumatori;
tuttavia, per le stesse caratteristiche, sempre
più sono coloro che imparano ad apprezzarlo e a preferirlo a tutti gli altri mieli.
Castagno
11
Castagno
CILIEGIO
(PRUNUS SPP. L.)
S
otto il termine comune di "ciliegio" vengono
comprese tre specie: Prunus avium L. (ciliegio montano o selvatico, duracina, durone);
Prunus cerasus L. (visciola, amarena, amarasca,
marasca); Prunus mahaleb L. (megaleppo o ciliegio di S. Lucia).
Terre d'origine del ciliegio, come del resto di
molte altre piante da frutto europee, sono ritenute il Medio Oriente, le regioni del Caucaso e
dell'Armenia. L'introduzione del ciliegio in
Europa è databile alla preistoria, grazie al ritrovamento nelle palafitte di alcuni insediamenti svizzeri e francesi di noccioli di ciliegio. Attualmente
è presente nelle regioni centro meridionali
dell'Europa, spingendosi fino nelle regioni meridionali della Svezia.
BOTANICA
lamina ovale allungata, acuminate e con doppia
dentellatura. I fiori, riuniti in mazzi di due-sei presentano il calice rossastro, i petali bianchi ed odorosi, gli stami da venti a trentacinque, con antere
gialle.
Il ricettacolo del fiori di ciliegio è rivestito da tessuto che produce nettare ad alta concentrazione
zuccherina: 55% nel ciliegio dolce e 28% nel
ciliegio acido. Mentre il nettare del ciliegio dolce
è ricco di saccarosio, quello di ciliegio acido ne è
povero. Sui piccioli fogliari sono presenti nettari
extrafiorali, raramente visitati dalle api.
Il polline raccolto dall'ape appare di colore giallo
marroncino.
Il frutto è una drupa pendula, ovoidale e cuoriforme, con la cavità di inserzione del peduncolo
approfondita; il suo colore va dal giallo, al roseo,
al rosso, al rosso scuro quasi moro. Il sapore della
polpa può essere dolce od acidulo ed il succo
talora incolore, talora fortemente colorato.
La fioritura avviene poco prima di quella del
pesco (prima l'acido poi il dolce); in zone di collina e di pianura si verifica nel mese di aprile,
mentre in zone montane più tardi, verso maggio
giugno. Le cultivar di ciliegio dolce sono autoincompatibili ad eccezione di alcune cultivar fra cui
la Stella (canadese) e la Cristobalina (spagnola).
Per una buona impollinazione si richiedono varietà di ciliegio compatibile e con fioritura contemporanea, abbondante presenza di api nel frutteto
e condizioni climatiche favorevoli.
Si tratta di una pianta che può raggiungere i 25
metri in altezza e che presenta un tronco diritto,
il cui diametro può raggiungere i 70 cm. La corteccia si caratterizza per tipiche striature orizzontali. Le radici sono fittonanti e con micorrizie
(associazione di radici di piante vascolari con ife
fungine).
Le gemme fiorifere sono distinguibili da quelle a
legno per la maggior grossezza. Le foglie sono
generalmente grandi, più o meno pendule, con la
Ciliegio
12
Ciliegio
LA SCHEDA
COLZA
Il miele di ciliegio
(BRASSICA
I fiori di ciliegio sono fortemente attrattivi per le
api: offrono abbondanti quantità di nettare e di
polline, in un periodo di intensa attività delle api.
Il nettare di ciliegio come quello degli altri alberi fruttiferi, entra nella composizione di quasi
tutti i mieli primaverili europei; molto più raramente si creano le condizioni per ottenerne
mieli uniflorali. In Italia, mieli puri di ciliegio vengono prodotti occasionalmente in zone a vocazione frutticola (Lombardia, Emilia Romagna,
Lazio e Puglia). Il polline di ciliegio, nei mieli italiani, si trova, generalmente, associato a quello
di tarassaco, di salice e di vari altri fruttiferi; può,
talora, essere dominante, sebbene sia normalmente iporappresentato.
NAPUS
L.)
L
a colza appartiene al gruppo delle piante
oleaginose. Spontanea in Europa ed Africa
del Nord-Ovest, si ritiene sia stata addomesticata dopo che fu apprezzato il valore nutritivo del
seme di questa malerba, spesso infestante dei
campi di cereali.
I semi di alcune crucifere, tra cui la colza, contengono dal 45 al 60% di acido erucico e rappresentano la fonte energetica rinnovabile più economica.
Attualmente l'industria utilizza un derivato, l'erucamide, per la sintesi di film plastici. L'industria
delle vernici e dei lubrificanti li utilizza per l'alta
temperatura di infiammabilità, per la resistenza
alla degradazione alle alte temperature e per il
basso punto di solidificazione. Dall'acido erucico
si ottiene per scissione l'acido brassilico che polimerizzato forma il Nylon - 13,13: rispetto al Nylon
- 12,12 di origine petrolifera, il nuovo nylon è più
stabile dimensionalmente ed è un ottimo isolante.
Infine da questi oli si ricava il biodiesel.
Parallelamente agli ampi utilizzi industriali l'alto
contenuto in acido erucico rende l'olio di colza
inadatto al consumo alimentare umano: perché è
un acido grasso insaturo, che facilmente si ossida
favorendo processi di irrancidimento, e perché,
dagli anni '70, è considerato un fattore antinutrizionale, responsabile dell'accumulo di lipidi nel
fegato, nei surreni, nel cardio, ecc.
I genetisti canadesi per primi selezionarono una
varietà (la Canbra) priva di acido erucico e con un
contenuto medio di acidi grassi simile all'olio di
soia; quindi adatto al consumo alimentare.
Aspetti organolettici
STATO FISICO: La cristallizzazione, relativamente rapida, dà generalmente origine a una
massa pastosa, con cristalli fini.
COLORE: abbastanza chiaro, bianco grigiastro
una volta cristallizzato.
ODORE: ricorda quello del fiori dai quali derivano (e delle Rosacee in genere) e può essere
avvicinato a quello della mandorla amara o dei
noccioli di ciliegia.
SAPORE E AROMA: come l’odore.
In Friuli si produce un miele uniflorale da una
specie selvatica, il P. mahaleb (ciliegio canino),
detto comunemente “miele di marasca". Il colore è ambrato scuro, rossiccio, cristallizza lentamente ed è caratterizzato da un forte aroma di
mandorla amara, sciroppo di amarene, quasi di
tipo "medicinale".
BOTANICA
Ciliegio
La colza è una pianta erbacea annuale o biennale.
La radice è a fittone, relativamente ramificata con
il colletto ingrossato e sporgente dal terreno. Il
fusto è eretto, ramoso ed alto fino a 150 cm. Le
foglie sono sessili (senza peduncolo) ed abbraccianti in parte il fusto. 1’infiorescenza è a grappolo con fioritura scalare. I fiori hanno corolla gialla,
raramente bianca; in base alla tipica morfologia
dei fiori di crucifere, possiedono quattro petali
disposti a croce, sei stami, di cui quattro più lunghi, un pistillo con ovario supero ed un calice con
quattro sepali. Il frutto allungato è una siliqua. I
13
Colza
semi sono piccoli (l.000 pesano circa 4 grammi) e
di colore scuro. La fioritura avviene tra aprile e
giugno, oppure in autunno in relazione all'epoca
di semina; esistono cultivar a semina invernale ed
altre a semina primaverile. I nettarii della colza
sono quattro e posti alla base degli stami; solo i
due posti presso gli stami più corti sono attivamente funzionali. I semi hanno un elevato contenuto in olio (32-35%).
LA SCHEDA
Il miele di colza
Sulla colza le api raccolgono notevoli quantità
sia di nettare sia di polline; quest’ultimo ha un
vivace colore giallo. La colza si autofeconda
efficacemente; la fecondazione incrociata,
favorita dagli insetti impollinatori, dovrebbe
apportare modesti benefici alla produzione di
semi. Nonostante ciò l'intervento dell'ape è
utile in quanto riduce il periodo di fioritura,
migliora l'allegagione e induce la pianta a produrre meno fiori; perciò la maturazione dei semi
è più concentrata nel tempo, più omogenea e
riduce le perdite al momento della raccolta. In
Francia è comune trovare mieli che contengono più del 95% di questo polline. È un miele
che viene spesso prodotto con un contenuto
d'acqua elevato: la tendenza a fermentare è
quindi elevata. In Italia la produzione allo stato
uniflorale del miele di colza non è così comune:
la coltivazione non è altrettanto diffusa e la fioritura precoce fa sì che il raccolto sia più spesso sfruttato per lo sviluppo delle famiglie che
per la produzione di miele. Molto comuni invece sono i mieli primaverili in cui la presenza di
colza o di altre crucifere selvatiche (Diplotaxis,
Sinapis) è riconoscibile all'olfatto. Il miele di
colza è caratterizzato da due particolarità:
diversamente dalla maggior parte degli altri
mieli contiene generalmente più glucosio che
fruttosio ed ha un odore che richiama fortemente quello della pianta di origine. Dalla prima
caratteristica deriva una tendenza alla rapida
cristallizzazione (a volte anche nei favi, prima
dell'estrazione), nei 7-15 giorni successivi alla
produzione, che si sviluppa praticamente sempre con cristalli molto fini, spesso impalpabili.
La seconda costituisce il grosso difetto di questo miele: un odore di cavolo, nelle sue diverse
connotazioni (crauti, composti solforati) non è
l'ideale per un miele. Per fortuna all'assaggio
l'aroma è di solito percepito molto più leggero
di quanto l'odore può far supporre e l'attenzione è subito catturata dall'estrema gradevolezza
della struttura fisica; inoltre, nei mieli a cristallizzazione così fine, il rapido scioglimento dei piccoli cristalli di glucosio conferisce al miele un
effetto rinfrescante, come nelle caramelle fondenti, che li rende particolarmente piacevoli.
Visto che raramente il consumatore annusa un
miele prima di consumarlo, l'odore di cavolo
passa spesso inosservato.
Colza
LA SCHEDA
L’uso che ne viene fatto più spesso è come
prodotto "da taglio" per innescare la cristallizzazione del resto della massa (semenza).
Il suo apporto di glucosio stabilizza, dal punto
di vista della cristallizzazione, i mieli che
avrebbero tendenza a dividersi; inoltre le tecniche per ottenere miele cremoso sono molto
facilitate nelle miscele che contengono forti
percentuali di questo miele.
Aspetti organolettici
STATO FISICO: cristallizzazione molto rapida
e generalmente fine.
COLORE: molto chiaro, beige nel cristallizzato.
ODORE: di cavolo più o meno pronunciato.
SAPORE: debole, non molto dolce.
AROMA: intenso, vegetale.
14
Colza
CORBEZZOLO
(ARBUTUS UNEDO L.)
I
l genere Arbutim appartiene alla famiglia
delle Ericacee e comprende circa venti specie, di cui la maggior parte presenti in
America.
In Italia, l’unica specie spontanea è il corbezzolo, un alberello sempreverde caratteristico della
macchia mediterranea, dove si trova insieme al
lentisco, all’erica arborea, al mirto e al leccio.
Il nome arbutus deriva dal latino e significa
appunto piccolo albero, mentre unedo da unum
edere, si riferisce ai frutti non troppo saporiti.
È una pianta a crescita lenta, presente generalmente allo stato di arbusto, ma può arrivare fino
a 10-12 metri. Fornisce un legno duro, adatto a
piccoli lavori di artigianato ed ottimo come
combustibile. I frutti vengono sfruttati per la
preparazione di marmellate o per distillare
acquavite. Il corbezzolo viene coltivato anche
come pianta ornamentale per la corteccia ornamentale, per il bel fogliame sempreverde e per la
caratteristica di fiorire in autunno-inverno insieme ai frutti maturi dell’anno precedente.
ceolate, coriacee, con apice acuminato e margine dentellato.
I fiori sono riuniti in pannocchie corimbose con
5-35 fiori penduli. Ogni fiore è composto da una
corolla bianca-beige ed ha forma di orcio.
I frutti sono bacche sferiche di circa 2 cm di diametro, di colore rosso, a superficie rugosa, granulosa.
LA SCHEDA
Il miele di corbezzolo
È una produzione tipica della Sardegna.
Produzioni meno significative si ottengono in
Toscana e nel Centro-Sud Italia. Anche in
Corsica si possono verificare buoni raccolti.
Il polline è iporappresentato (classe I).
BOTANICA
Albero o arbusto sempreverde alto fino a 10-12
metri. La chioma è irregolare e di colore verde
carico. La corteccia, variamente ramificata, si
presenta bruno-rossiccia e rugosa e fessurata.
Le foglie hanno un picciolo peloso e sono oblan-
Aspetti organolettici
STATO FISICO: cristallizzazione generalmente rapida, in funzione del contenuto in acqua.
COLORE: ambrato quando liquido; più scuro
con riflessi grigio-verde quando cristallizza.
ODORE: pungente, amaro, di fondo di caffè.
SAPORE: amaro, di medicinale.
AROMA: molto caratteristico, simile all’odore,
di genziana, di liquirizia, di rabarbaro.
Il miele di corbezzolo presenta un caratteristico sapore amaro. Tale peculiarità, insieme alle
limitate zone di produzione, rendono questo
prodotto particolarmente pregiato tanto da
garantirgli un valore di mercato molto superiore a quello degli altri mieli.
A causa del periodo di raccolta (autunno),
spesso il miele presenta un contenuto di umidità piuttosto elevato che da molti problemi di
conservazione, salvo l’applicazione di tecniche di disidratazione e stabilizzazione.
Corbezzolo Corbezzolo
15
ERBA MEDICA
(MEDICAGO SATIVA L.)
L
’erba medica è pianta erbacea coltivata in
tutto il mondo. È la pianta foraggera per
eccellenza: rispetto alle altre foraggere da
prato è più produttiva, longeva, ha capacità notevoli di ricaccio, si conserva facilmente, ha alti
valori nutritivi ed è miglioratrice delle proprietà
fisiche e chimiche del terreno.
Da sempre utilizzata come coltura da fieno viene
anche sfruttata come coltura da pascolo, si insila
facilmente e recentemente, sotto forma di farina
di medica disidratata, ha trovato largo impiego
nell'alimentazione del bestiame come concentrato proteico. Si ritiene che sia originaria delle
regioni dell'Asia occidentale, dove cresce spontanea. Con i nomadi delle steppe migrò verso la
Cina, il Nord Africa e l'Europa. In Italia giunse tra
il 200 ed il 150 a.C.
L’erba medica è pianta adattabile a climi e terreni differenti. Resiste alle basse come alle alte temperature e cresce bene sia nei climi umidi che in
quelli aridi. Predilige le zone a clima temperato
piuttosto fresco ed uniforme.
La medica cresce stentatamente nei terreni poco
profondi, poco permeabili ed a reazione acida. I
migliori terreni per la medica sono quelli di
medio impasto, dotati di calcare e ricchi di elementi nutritivi. Poiché l'apparto radicale si spinge negli strati più profondi del terreno, non sfrut-
ta molto gli strati superficiali che, anzi, si arricchiscono di sostanza organica derivante dai residui della coltura. Inoltre, come del resto le altre
leguminose, l'erba medica è in grado di utilizzare
l'azoto atmosferico per mezzo dei batteri azotofissatori simbionti che provocano la formazione
dei tubercoli radicali. In genere l'infezione avviene normalmente, in quanto i batteri azoto-fissatori specifici sono presenti nel terreno. La medica in Italia rappresenta circa il 60% del totale
della superficie investita a foraggere prative.
BOTANICA
Le piante di erba medica sono erbacee, perenni.
La radice, a fittone, molto robusta, è lunga 4-5
metri (può raggiungere anche i 10 metri) ed ha
sotto il colletto un diametro di 2-3 cm. Il fusto è
eretto o suberetto, alto 50-80 cm, ramificato e
ricco, a livello del colletto, di numerosi germogli
laterali dai quali, dopo il taglio, si originano nuovi
fusti.
Le foglie sono alterne, trifogliate e picciolate; la
fogliolina centrale presenta un picciolo più
lungo delle foglioline laterali. All'ascella delle
foglie, soprattutto delle inferiori, si originano
nuove foglie trifogliate, mentre all'ascella delle
foglie inferiori lunghi peduncoli portano le inflorescenze.
Erba Medica Erba Medica
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Le infiorescenze sono racemi con in media una
decina di fiori che presentano brevi peduncoli.
Il fiore è quello tipico delle leguminose, composto da cinque petali: i due inferiori sono più o
meno saldati fra loro e formano la carena, ai lati
di questa si trovano altri due petali od ali e superiormente vi è lo stendardo composto dal quinto
petalo. Gli stami sono in numero di dieci; il pistillo è costituito da un ovario composto da 2-7
ovuli, da uno stilo corto e da stigma bilobato. Il
nettario è formato da un rigonfiamento del tessuto nettarifero situato all'interno del tubo formato dagli stami e circostante l'ovario.
Il frutto è un legume spiralato in media tre volte,
con superficie reticolata e pubescente.
La sutura dorsale del legume, posta all’esterno,
presenta una costolonatura che al momento
della deiscenza dei semi origina un filamento
ritorto su se stesso.
I semi sono molto piccoli, lunghi circa 2 mm e
larghi 1 mm; 1.000 semi pesano circa 2 grammi.
L’INTERVISTA
Tempo fa incontrammo, casualmente, un
vecchio apicoltore della Provincia di Pavia il
quale, tra i tanti curiosi ricordi, ci raccontò
le sue esperienze con l’erba medica negli
anni cinquanta. Alcune notizie, a nostro
avviso, mostrano come l’evoluzione dell’agricoltura nel dopoguerra abbia influenzato
l’attività apistica. Ad esempio: la fioritura
del secondo taglio avveniva tra la metà di
giugno ed i primi di luglio, la pianta diventava nettarifera e siccome l’agricoltore
lasciava la fioritura da semente, proprio
questa sfalciata rendeva maggiormente
all’apiario. Inoltre l’agricoltore, nonostante
incominciasse ad eseguire le operazioni con
le macchine, a volte non riusciva a sfalciare
tutto in breve tempo. Pertanto le fioriture nei
vari appezzamenti erano scalate e quelle dei
primi sfalci raggiungevano quasi le altre dei
campi falciati tardivamente.
Le fioriture del quarto e quinto taglio, dal
luglio in poi, venivano lasciate invecchiare e
fiori di erba medica erano a disposizione
delle api per circa tre mesi. Ancora: nelle
colture irrigate da pozzi a motore quasi tutti
i tagli della medica venivano eseguiti prima
che la pianta sbocciasse completamente il
suo fiore. Poiché, secondo il nostro interlocutore, quando la medica ha le radici nell’umido, si sviluppa molto nel fusto, mentre
tarda a portare il fiore. Non a caso le api
portate sull’erba medica delle colline erano
più produttive: lì il fiore soffre meno l’umidità ed il freddo, sia per l’esposizione che per
l’inclinazione del terreno che allontana sollecitamente le acque.
LA SCHEDA
Il miele di erba medica
L’erba medica fornisce mieli uniflorali nelle
zone di coltivazione estensiva, soprattutto
quando portata a seme: costituisce una produzione importante negli Stati Uniti ed in
Canada. In Europa se ne ottengono partite di
una certa consistenza in Germania come in
Francia e in Italia, nella pianura padana.
Giudicare la "purezza" di questo miele sulla
base dei dati microscopici risulta difficile poiché la quantità totale di polline è sempre
molto bassa e la percentuale di Medicago
resta, nella maggior parte dei casi, dell'ordine
del 5% e raramente sfiora il 10%.
Aspetti organolettici
STATO FISICO: cristallizza spontaneamente
alcuni mesi dopo il raccolto, formando generalmente cristalli grossi.
COLORE: molto chiaro da beige a nocciola.
ODORE: mediamente intenso ma penetrante,
ricorda quello della cera fusa.
SAPORE: leggero, vegetale, acido, astringente.
AROMA: mediamente intenso; mediamente
persistente. Aroma fruttato, di mosto.
Erba Medica Erba Medica
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stenti, fiori di varia foggia singoli o riuniti, frutti
a capsula o a bacca. Sono piante generalmente
adatte a terreni fortemente acidi e dispongono di
una particolare micorrizia (funghi sotterranei
che vivono in simbiosi con le parti terminali
delle radici delle piante) che permette loro di
trarre nutrimento da substrati particolarmente
difficili, sui quali solo i funghi sono in grado di
compiere la funzione di rimettere in circolo le
sostanze nutritive.
ERICA
(ERICA ARBOREA L.)
I
l genere Erica (nome di origine oscura, usato
da Plinio) è vastissimo, comprende circa 650
specie, si estende dall'Europa atlantica e
mediterranea ai monti tropicali africani, fino
all'Africa meridionale dove assume il massimo
sviluppo. Esistono due specie dominanti di erica,
l'arborea, presente in quasi tutta l'Italia peninsulare e l'erica cinerea; caratteristica di una ristretta zona della Liguria occidentale.
Le due piante sono nettamente distinguibili, perché l’arborea L. (volgarmente scopa maschio,
scopa da ciocco, scopa da fastella, stipa maggiore) ha dimensioni maggiori, con arbusti anche di
2-3 metri, fiori bianchi e predilige ambienti più
umidi (nel fondo dei valloni), la cinerea è pianta
di dimensioni molto più ridotte, ha fiori di colore azzurro cinereo e vegeta nelle zone più secche. La fioritura delle due specie è contemporanea e dunque, dal punto di vista apistico, vanno
considerate assieme. Il legno di erica viene utilizzato per la produzione di pipe, dette ciocco.
In erboristeria, l’erica viene sfruttata per l’azione
diuretica.
LA SCHEDA
Il miele di erica
La produzione di mieli monoflorali di erica è difficile, dato l'anticipato periodo di fioritura, ma
non impossibile in quanto i fiori di erica sono
assiduamente visitati dalle api e normalmente
non si hanno fioriture concomitanti. Comunque,
anche se non riempiono i melari, gli alveari che
raccolgono sull'erica sbiancano i nidi ed accumulano buone scorte di polline dal caratteristico
colore rosa. Il miele di erica è caratterizzato dalla
presenza di materiale insolubile, di natura non
identificata, che rende torbido il miele anche
quando è ancora liquido e promuove una rapida
cristallizzazione. A causa del periodo precoce di
fioritura il miele ha spesso un'umidità elevata e
questo lo predispone alla fermentazione.
BOTANICA
Aspetti organolettici
Le piante appartenenti a questo raggruppamento
si presentano come fruttici (alberelli) di varie
dimensioni, ad accrescimento alquanto lento,
non di rado con foglie piccole (microfille), persi-
STATO FISICO: Si presenta spesso cristallizzato
in modo fine (come tutti i mieli che cristallizzano
rapidamente) e con consistenza cremosa e non
stabile (a causa dell'umidità elevata).
COLORE: molto scuro tendente all'arancio.
ODORE: pungente, fresco, simile a quello dei
fiori.
SAPORE: mediamente dolce
AROMA: di zucchero caramellato, che risulta in
genere gradito, anche se abbastanza forte.
Dal punto di vista della composizione presenta
alcune particolarità: ha sempre acidità elevata,
basso contenuto di enzimi e idrossimetilfurfurale più elevato che negli altri mieli. Queste caratteristiche suggeriscono di tenere questo miele
separato dal resto dei raccolti. Una piccola presenza di nettare di erica può alterare notevolmente l'acacia rendendola più scura e saporita e
promuoverne la cristallizzazione. I millefiori che
lo contengono rischiano di uscire, più rapidamente degli altri mieli, dai limiti legali di invecchiamento.
Erica
18
Erica
EUCALIPTO
(EUCALYPTUS SPP.)
L’INTERVISTA
Andiamo a fare un giro notturno per vedere la
dislocazione degli alveari in una postazione
nuova e qui ci attende una sorpresa.
La notte è chiara per una bellissima luna quasi
piena ed in apiario c'è un forte ronzio di cui,
con stupore, verifichiamo subito la causa.
Avvicinandoci agli alveari restiamo colpiti dal
via vai delle bottinatrici. Siamo in pieno raccolto! Scherzi dell’Eucalyptus, della luna piena o,
forse, delle tiepide notti calabresi….
L’Eucalyptus, con questa sua strana fioritura a
fiocchi mai completamente omogenei senza
dare mai l’impressione dell’abbondanza, dona
invece ottime produzioni di miele.
La secrezione del nettare si ha soprattutto nelle
ore fresche della giornata (la mattina presto e al
tramonto), per cui quando si visitano gli apiari
l’impressione è di "api ferme” anche se abbastanza vivaci nei confronti degli apicoltori.
I
l termine Eucalyptus nasce dalla combinazione
di due vocaboli greci: éu = bene e kalypto =
nascondo. A questo genere appartengono circa
seicento specie originarie della Tasmania, della
Nuova Guinea, ma soprattutto dell'Australia. Nel
Nuovissimo Continente gli eucalipti fanno parte
delle formazioni forestali della savana alberata (prateria alberata pascolata da pecore),della foresta arida
spontanea a sottobosco di acacie varie, delle foreste
localizzate ai margini della zona desertica centrale
ed, infine, delle foreste umide localizzate nelle zone
montuose e caratterizzate da elevata piovosità e
ridottissimi periodi di siccità. Da specie alte pochi
metri si passa gradualmente a specie con esemplari
giganteschi che possono superare i 100 metri di
altezza. Delle numerose specie classificate solo una
sessantina hanno anche interesse economico e provengono tutte dalle zone costiere dell'Australia, zone
caratterizzate da clima mite e da ricchezza di precipitazioni atmosferiche. Attualmente gli eucalipti
sono diffusi in numerosi Paesi in ragione dell’adattabilità delle differenti specie a climi diversi, della rapida crescita e dei molteplici scopi per cui vengono
coltivati. L'introduzione in Italia dei primi esemplari
di eucalipto avvenne alla fine del '700, contemporaneamente a quanto avveniva nel resto d'Europa.
Nonostante le numerose specie già costituite, la classificazione dicotomica risulta spesso inadeguata ed
alcune classificazioni sono ritenute artificiose. Il
compito è reso difficile anche dai numerosi ibridi in
coltivazione.
Eucalipto
Le specie maggiormente diffuse in Italia sono:
Eucalyptus globulus Labill, pianta originaria della
Tasmania,diffuso in Liguria,Sardegna e sulla costa tirrenica.Può raggiungere i 50-65 metri di altezza ed un
diametro di 2 metri; in Italia non supera i 40 metri.
Ha chioma largamente ovale o irregolarmente globosa. Tronco diritto, cilindrico, con rami arcuati; la
corteccia si desquama in placche nastriformi longitudinali o spiralate attorno al fusto, liberando zone
lisce, chiare azzurrine, rosate. Il legno è di medio
peso, duro e di colore giallo chiaro. Le foglie nelle
piante adulte sono lanceolate falciformi, lunghe 1030 cm, ad apice acuto e margine liscio, inserite in
modo alterno e di colore verde scuro e brillante,
emettono un profumo aromatico caratteristico. I
fiori sono generalmente solitari, costituiti da numerosissimi stami inseriti sull'ovario; questo è avvolto
dal ricettacolo legnoso, da cui deriverà il frutto.
Secondo alcuni autori la fioritura avviene da novembre a luglio, mentre secondo altri da maggio a luglio;
probabilmente in relazione alle differenti zone
d'Italia in cui questa specie è presente. I frutti sono
capsule emisferiche con quattro costolature di colore grigio, di 2 cm di diametro.
Eucalyptus camaldulensis Dehnh., in Australia è diffusa in tutto il territorio continentale, segnatamente
lungo i corsi d'acqua e nei terreni soggetti ad inondazioni primaverili. E' la specie più diffusa in Italia.
Può raggiungere i 50-60 metri di altezza e diametri di
2 metri. La corteccia è caduca e si stacca in placche
arrotondate di colore rossastro. Il legno è pesante e
19
Eucalipto
duro, di colore bianco-giallognolo nell'alburno e
rosso-mogano nel durame.Le foglie delle piante adulte e delle piante giovani differiscono di poco;sono di
dimensioni leggermente inferiori a quelle dell'E. globulus. Le infiorescenze hanno forma di ombrelle
ascellari costituite da 5-10 fiori con peduncoli cilindrici lunghi 10-15 cm. Gli opercoli dispongono di un
rostro., da cui l'altro nome dato alla specie, E. rostrata. La fioritura avviene da giugno a novembre. Dato
che i rami e le foglie sono pendule e la luce le attraversa facilmente, l'ombra prodotta da questa specie
è limitata e consente coltivazioni sottostanti.
Eucalyptus viminalis Labill., definito eucalipto della
manna, è originario dell'Australia sud orientale. In
Italia è noto da tempo, ma è relativamente poco diffuso, tranne nell'Agro Pontino. Questa pianta raggiunge i 30 metri di altezza; i rametti penduli danno
alla pianta un aspetto molto gradevole. I caratteri
distintivi sono:corteccia liscia e biancastra,foglie giovanili opposte sessili e lanceolate, foglie adulte alterne picciolate allungate, infiorescenze a tre fiori con
opercolo a forma conica.
Eucalyptus amygdalina, l'albero più alto del genere, superando in Australia i 100 metri di altezza; in
Italia raggiunge i 25-30 metri. I caratteri distintivi
sono: corteccia liscia, foglie adulte brevemente picciolate ed a nervatura irregolare, infiorescenze in
ombrelle ascellari portate da peduncoli subcilindrici, opercoli emisferici appiattiti.
Eucalyptus botryoides, specie diffusa nelle piantagioni forestali della Sardegna e della Pianura Pontina
nella formazioni di barriere frangivento, adattabile
alle più disparate condizioni pedoclimatiche.
Eucalyptus gomphocephala, specie, originaria di
zone caratterizzate da scarse precipitazioni atmosferiche, che ha dato buoni risultati in Sicilia e nell'Agro
Pontino.
Il valore degli eucalipti è legato alla loro capacità di
valorizzare terreni a reddito scarso, non altrimenti
utilizzabili; è questa la ragione che ne ha garantito la
diffusione sulle dune sabbiose lungo le coste della
Toscana e del Lazio.
Tuttavia circa un terzo delle specie di eucalipto contengono nelle foglie oli essenziali richiesti in diverse
industrie,profumeria ed in particolare in farmacia.La
droga secca fornisce dall'1,5 al 3% di un olio il cui
principale costituente è l’eucaliptolo (o cineolo): da
esso si ricavano prodotti che hanno funzioni calmanti della tosse, antisettico, balsamico, antiparassitario.
Diverse specie di eucalipto contengono, sia nel
legno sia nella corteccia, tannino usato nell'industria
conciaria.
Infine particolarmente alcune specie hanno un indiscusso valore decorativo.
LA SCHEDA
Il miele di eucalipto
La fioritura dell’eucalipto è lunga: in particolare
E. globulus fiorisce tra inverno e primavera ed E.
camaldulensis in estate. I fiori delle diverse specie di eucalipto producono abbondante nettare
dove prevale il fruttosio. In Italia gli eucalipti
sono bottinati sia per il nettare sia per il polline;
E. globulus ha scarsa importanza apistica sia
per la sua scarsa diffusione sia per il periodo in
cui fiorisce, mentre E. camaldulensis nell'Italia
centro-meridionale garantisce la produzione di
mieli uniflorali. Il polline è presente in misura
superiore al 90%. La classe di rappresentatività
è la III. In Italia mieli uniflorali di eucalipto sono
comuni nelle regioni centro-meridionali, soprattutto nelle aree dove questi alberi sono stati
piantati per favorire la bonifica dei terreni paludosi. Il miele di eucalipto ha sempre un'umidità molto bassa (anche dell'ordine del 14%) e
risulta per questo molto denso.
Aspetti organolettici
STATO FISICO: cristallizza velocemente generalmente con cristalli fini o medi.
COLORE: ambrato, con la cristallizzazione
diviene beige tendente al grigio.
ODORE: è di tipo legnoso, ricorda i funghi secchi, il dado da brodo, oppure il curry, la liquirizia, l'elicriso.
SAPORE: normalmente dolce, a volte leggermente salato.
AROMA: di caramella mou alla liquirizia.
La descrizione fatta si riferisce essenzialmente
al miele di Eucalyptus camaldulensis, specie a
fioritura principalmente estiva (luglio). In
Calabria, nel crotonese, in settembre si produce un miele uniflorale anche da E. globulus.
Questo miele ha tendenzialmente un colore più
scuro ed un aroma più forte rispetto al miele
estivo di E. camaldulensis e questo ne rende la
commercializzazione più difficile.
Eucalipto
BOTANICA
Al genere Eucalyptus appartengono specie in massima parte arboree e facilmente di dimensioni eccezionali; le specie di aspetto arbustivo sono limitate.
Due sono le caratteristiche peculiari del genere: il
20
Eucalipto
dimorfísmo fogliare e l'opercolo fiorale. Nelle piantine ancora in semenzaio le foglie sono orizzontali,
opposte, sessili (senza peduncolo) e cordate (a
forma di cuore, come quelle dell'edera); nelle piante
adulte le foglie assumono una posizione verticale,
sono alterne e picciolate e la forma varia dal rotondato al lanceolato-acuminato. I fiori sono comunemente raggruppati in infiorescenze differenti e si
compongono di due parti saldate lungo una linea
visibile: la parte inferiore corrisponde al calice e la
superiore, detta opercolo, alla corolla; con la maturazione del fiore l'opercolo si stacca lasciando apparire sia gli stami che il pistillo. L’opercolo differisce di
forma da specie a specie ed ha valore diagnostico. I
fiori sono usualmente bianchi, con numerosi
stami dalle piccole antere ed uno stilo indiviso.
Il frutto è una capsula legnosa racchiusa nel tubo
del calice che contiene numerosi semi normalmente piccoli e spigolosi.
resse per l'uso degli oli vegetali quali carburanti
alternativi per i motori diesel; in una azienda
agricola moderna il 10% della superficie destinata a colture oleaginose garantirebbe l'autosufficienza energetica. Le proposte di politica comunitaria prevedono anche la riconversione verso
produzioni non alimentari e non eccedentarie.
BOTANICA
Il girasole è una pianta erbacea annuale. Il fusto
è eretto e può superare i tre metri di altezza. La
radice è a fittone con numerose radici secondarie. Le foglie sono opposte in basso ed alterne in
alto, cuoriformi, seghettate e con un lungo picciolo. I fiori, detti flosculi, sono riuniti in gran
numeri (anche oltre mille) in capolini molto
grandi (fino a trenta centimetri di diametro),
dette calatidi. Si suddividono in due gruppi: i fiori
periferici sterili, sono forniti di un vistoso petalo
giallo; i fiori interni fertili, piccoli, si aprono in
successione verso il centro. L'ovario (organo
riproduttore femminile) si allunga in uno stilo
che si suddivide in due stimmi. Gli stami (organi
riproduttori maschili) sono cinque ed hanno le
antere fuse in una sorta di tubo che racchiude lo
stilo.
La fioritura avviene in modo tale da impedire
l'autoimpollinazione: durante il primo giorno di
fioritura le antere si aprono e liberano i granuli di
polline; nel secondo giorno lo stilo si allunga fuoriuscendo e aprendo gli stimmi (le parti recettive
del polline) al di sopra delle antere.
La calatide, durante la fioritura, mediante movimenti di rotazione tende a mantenersi costante-
GIRASOLE
(HELIANTHUS ANNUUS L.)
I
l girasole è una delle più importanti piante oleifere erbacee; la buona qualità dell'olio e la
capacità di adattamento a climi diversi ne
hanno garantita la diffusione rapida in ambito
internazionale.
Originario del Centro America, sembra che si sia
diffuso in epoche remote nei territori attualmente
facenti parte dell'Arizona e del Nuovo Messico,
estendendosi poi verso le aree settentrionali degli
attuali Stati Uniti e precedendo la domesticazione
del mais.
In Italia la coltura è diffusa specialmente in
Toscana, Umbria, Marche, Puglia, Molise e Lazio.
Fino ad ora gli usi degli oli vegetali in ambito
industriale (saponi, vernici, smalti, lubrificanti,
ecc.) sono stati limitati dai più alti costi rispetto
ai derivati dal petrolio. Ma le migliori caratteristiche ed i progressi della chimica, della biologia e
delle biotecnologie aprono interessanti prospettive all'uso degli oli vegetali, facendo prevedere
un graduale passaggio dalla petrolchimica alla
botanochimica.Ad un sempre più diffuso utilizzo
degli oli vegetali spinge anche il problema delle
eccedenze (particolarmente pesante proprio
relativamente ai grassi vegetali) e la necessità di
ridurre la dipendenza energetica.
Si fa sempre meno curioso e più realistico l'inte-
Girasole
21
Girasole
mente perpendicolare con la direzione dei raggi
del sole. Durante la notte, per un breve periodo,
la calatide assume posizione orizzontale. L’epoca
di fioritura va da Luglio a Ottobre.
I frutti sono acheni di forma circa ovale, di colore variabile dal bianco al nero con striature e
contengono il seme ricco di olio. I nettarii si trovano sul fondo dei fiori. Il polline è costituito da
granuli quasi tondi con spine ovunque e diametro variabile attorno ai 30 millesimi di millimetro. Il colore varia dal giallo vivo all'arancione.
Al genere Eucalyptus appartengono specie in
massima parte arboree e facilmente di dimensioni eccezionali; le specie di aspetto arbustivo
sono limitate. Due sono le caratteristiche peculiari del genere: il dimorfísmo fogliare e l'opercolo fiorale.
Nelle piantine ancora in semenzaio le foglie sono
LA SCHEDA
Il miele di girasole
La percentuale zuccherina del nettare è del
35-50% e la produzione giornaliera per fiore è
di 0,2-0,5 milligrammi di zucchero.
Il girasole è visitato da molti insetti, ma le api
rappresentano oltre l’80% dell'entomofauna
utile. Le api vi raccolgono anche discrete
quantità di polline.
La raccolta del nettare, a causa della sua elevata concentrazione zuccherina, è favorita da
una elevata umidità atmosferica; in condizioni
di siccità il raccolto può essere scarso. A
causa del meccanismo di fioritura prima
descritto, ed a causa dell'autoincompatibilità
esistente tra la maggioranza delle cultivar di
girasole, gli insetti pronubi ed, in particolare, le
api, sono assolutamente indispensabili ai fini
di una buona fecondazione, in assenza di
insetti pronubi la produzione di semi è irrisoria
e la concentrazione di olio irrilevante.
L’INTERVISTA
Massimo Carpinteri: “Tutte le volte che scendo
in Maremma controllo lo sviluppo delle piante
e l'estensione dei campi. Il mare d'oro dovrebbe darci un buon raccolto. E' uno spettacolo
meraviglioso vedere la pianura intera brillare
con i suoi fiori dorati che, a timida imitazione del sole, lo seguono lungo il suo percorso
sino a chinare il capo la sera, quando scompare.
Ho indebolito le famiglie e preparato un buon
numero di sciami fatti in economia: un favo
di covata ed uno di miele con le api, una cella
e tre fogli cerei che verranno costruiti con la
generosa produzione di nettare.
E piano piano, con l'aprirsi dei primi fiori, la
pianura si riempie di api.
E' un raccolto abbondante e lungo per la scalarità della fioritura, le famiglie producono
fino a stremarsi, bloccano la covata e si riducono al minimo, ma accumulano, in compenso, tanto miele da superare bene l'estate siccitosa ed il mite inverno che le porta a consumare moltissimo.
A fine raccolto gli sciami hanno costruito bene
la cera e riempito i favi di scorte preziose; le
famiglie davano, una volta, un prodotto
abbondante ma di scarso valore commerciale;
ci si ricorda, ancora, dei molti melari prodotti
per alveare. Oggi medie produttive superiori ai
20/25 Kg per alveare sono ben rare. Questo
mare quindi riempirà d'oro gli occhi e le speranze degli apicoltori. Non certo le loro tasche”.
Aspetti organolettici
STATO FISICO: cristallizzazione rapida con
formazione di una massa compatta, generalmente con cristalli fini.
COLORE: ambrato nel miele liquido, giallo
intenso con tonalità dorate quando cristallizza.
ODORE: debole, vegetale.
SAPORE: debolmente dolce, caratteristico.
AROMA: poco persistente.
Girasole
22
Girasole
orizzontali, opposte, sessili (senza peduncolo) e
cordate (a forma di cuore, come quelle dell'edera);
nelle piante adulte le foglie assumono una posizione verticale, sono alterne e picciolate e la forma
varia dal rotondato al lanceolato-acuminato.
I fiori sono comunemente raggruppati in infiorescenze differenti e si compongono di due parti saldate lungo una linea visibile: la parte inferiore corrisponde al calice e la superiore, detta opercolo,
alla corolla; con la maturazione del fiore l'opercolo si stacca lasciando apparire sia gli stami che il
pistillo. L’opercolo differisce di forma da specie a
specie ed ha valore diagnostico. I fiori sono usualmente bianchi, con numerosi stami dalle piccole
antere ed uno stilo indiviso.
Il frutto è una capsula legnosa racchiusa nel tubo
del calice che contiene numerosi semi normalmente piccoli e spigolosi.
LUPINELLA
(ONOBRYCHIS VICIIFOLIA SCOP.)
L
a lupinella assieme ad un centinaio di specie
dello stesso genere, spontanee e coltivate,
utili all’uomo, porta la denominazione generica di Onobrychis, un vocabolo utilizzato da
Dioscoride oltre due mila anni fa e successivamente da Plinio che nella sua etimologia sembra indicare un foraggio gradito in particolare agli asini.
Originarie della regione mediterranea, le specie
del genere Onobrychis si sono diffuse nell’Europa
centrale e nell’Asia temperata. Alcune di esse cre-
Lupinella
scono spontanee anche in Italia e tra esse la lupinella, avendo un elevato valore alimentare, si è diffusa nella formazione di prati avvicendati di breve
durata sia in pianura che in montagna.
BOTANICA
In Italia sono presenti otto specie appartenenti al
genere Onobrychis, do cui la principale è
Onobrychis viciifolia Scop. (= sativa Lam.).
Lupinella da foraggio.
È pianta perenne cespitosa. Ha un apparato radicale profondo con una lunga radice fittonante.
Il fusto è legnoso, bruno-scuro, con rami ascendenti o eretti, striati, subglabri in basso, pubescenti in alto, alti 40-60 cm e non di rado anche 100 cm.
Le foglie sono composte ed imparipennate, formate da 13-25 foglioline, le inferiori ellittiche, le superiori strette. Sono inserite per paia e quindi opposte sul rachide, ad eccezione della terminale e presentano la pagina inferiore pubescente. I fiori sono
riuniti in infiorescenze portate da lunghi peduncoli. Ogni fiore è composto da cinque sepali fusi
insieme e dotato di alcuni denti lunghi 3-4 mm; la
corolla, di un purpureo intenso, è composta da cinque petali: il vessillo largo, due ali disposte lateralmente e più brevi dei rispettivi denti calicini e
carena assai sviluppata, lunga quanto il vessillo e
formata da due petali fusi tra loro a contenere gli
23
Lupinella
organi riproduttivi. Gli stami sono 10, di cui nove
uniti a formare un tubo in mezzo al quale c’è il
pistillo. Il nettario si trova in fondo al fiore, tra l’ovario e la base degli stami, all’interno del tubo composto dagli stami. Il frutto è un legume compresso, più o meno rotondo, con creste sul dorso, spesso spinoso, con un solo seme reniforme.
La lupinella fiorisce in maggio-giugno nelle zone
calde; in montagna la fioritura inizia in giugno e
prosegue fino in agosto. Il polline della lupinella è
raggiungibile dagli insetti per tutta la giornata. Di
colore marroncino chiaro, ha un alto contenuto di
azoto (5%).
L’INTERVISTA
Ci siamo indirizzati alla zona apistica per
eccellenza dell’Abruzzo: a Tornareccio e dintorni, là, ove nel raggio di pochi chilometri si
trova un numero di aziende apistiche e di
alveari superiore a quello di intere regioni
Italiane.
Nicola Tieri, giovane apicoltore professionale,
gestisce, insieme ai familiari, un’azienda con
un ragguardevole parco alveari ed in continua evoluzione. Il raggio di azione dell’azienda, come per svariati altri apicoltori della
zona, copre diverse regioni ed arriva sino alla
Calabria.
Ci dice Nicola: “Fino alla chiusura delle stalle
la lupinella veniva coltivata quale foraggiera
nella zona dell’alta collina e della montagna
dagli 800 metri s.l.m. in su, limite estremo
della Sulla.
Negli ultimi decenni, cessando progressivamente la coltivazione, la si ritrova in quantità
significativa spontanea nei prati da sfalcio. Le
produzioni non sono quantitativamente enormi: negli anni migliori si aggira intorno ai
20/25 Kg per arnia.
Ovviamente a quella quota l’andamento climatico è determinante: un ritorno di freddo o
se tira forte il vento caldo da sud est chiamato
Garbino si compromette la produzione.
Gli apiari collocati su agrumi sovente sono
debilitati se non compromessi da avvelenamenti e fitofarmaci. Al ritorno dagli agrumi,
la lupinella e le essenze di campo, anche se
non riempiono i melari, consentono di superare agevolmente la situazione di stress; con
risultati evidenti quando poi portiamo le api
su girasole ed eucalipto”.
LA SCHEDA
Il miele di lupinella
La lupinella è bottinata dalle api sia per il nettare sia per il polline; è forse la leguminosa più
ricercata dalle api per il nettare concentrato
(42-55% di zuccheri). Soprattutto nelle zone
appenniniche dell’Italia Centrale la lupinella è
un importantissima fornitrice di polline.
Se in passato i mieli uniflorali di lupinella
erano abbastanza comuni, in Italia come in
altri paesi d’Europa, oggi rappresentano
quasi una rarità. Questo è dovuto alla notevole riduzione o addirittura all’abbandono
della coltura di questa foraggiera.
Aspetti organolettici
STATO FISICO: tendenza a cristallizzare nella
media.
COLORE: colore molto chiaro, quasi bianco,
una volta cristallizzato.
ODORE: molto leggero.
SAPORE: delicato, spesso leggermente fruttato.
AROMA: debole, non caratteristico.
In Italia la produzione attuale è molto frammentata e limitata all’area appenninica di
Umbria, Abruzzo e Molise. I testi di melissopolinologia suggeriscono che una percentuale del 35-40% di polline di questa specie sia
sufficiente per considerarne uniflorale il miele.
Nei mieli italiani la lupinella è sempre associata ad altre leguminose, in particolare alla
sulla, che è tendenzialmente iperrappresentata: è probabile che in questo caso la percentuale minima accettabile per definizione
di unifloralità possa essere leggermente
abbassata.
Lupinella
24
Lupinella
RODODENDRO
(RHODODENDRON SPP)
I
l termine rododendro deriva da due vocaboli
greci, "rhodon", rosa e "dendron", albero, con
evidente allusione alle numerose specie arboree dai caratteristici fiori color rosa.
Le due specie tipiche delle Alpi, R. ferrugineum
diffuso nella zona del granito e della silice e R.
hirsutum presente nelle zone calcaree, permisero a Linneo di fondare, nel 1753, il genere
Rhododendron, destinato a diventare con le
esplorazioni fuori dall'Europa uno dei generi più
affollati ed uno dei più importanti per il giardinaggio.
I rododendri occupano ogni possibile ambiente:
il sottobosco forestale, le rive dei ruscelli, le radure, le catene montuose, le paludi, le macchie, i
prati, i dirupi, le pietraie, la base e la cima delle
montagne e spesso gli alberi stessi come epifite.
La classificazione del genere Rhododendron rappresenta un incubo per i tassonomi: oltre ad essere uno dei più grandi nel regno vegetale, presenta specie strettamente affini al punto che sono
più numerose le specie che si confondono tra di
loro rispetto a quelle che chiaramente si distinguono.
In Italia, tre sono le specie spontanee diffuse:
Rhododendron ferrugineum L.
Cespuglio sempreverde con rami fragili, generalmente ascendenti. Foglie ellittiche, intere ed arrotondate all'apice, glabre ed inferiormente ferruginee per le dense squame ghiandolari. I fiori sono
riuniti in racemi brevi, con peduncoli lunghi 1-2
cm, a calice brevissimo, corolla rosso-purpurea
con tubo di 7-8 mm. Il profumo è resinoso ed
intenso. Questa specie è caratteristica della fascia
subalpina delle Alpi e cresce nelle brughiere su
suolo acido. Sale oltre i 2.300 metri, di solito sterile, ed in Val d'Aosta raggiunge i 3.000 metri.
Nella zona insubrica scende nei fondovalle (nel
Canton Ticino fino a 230 metri). In queste posizioni è presente nei castagneti fitti e raggiunge le
massime dimensioni. Sull'Appennino è rarissima e
limitata alle vette più alte dell'Appennino ToscoEmiliano.
Rhododendron hirsutum L.
Simile alla specie precedente si distingue per le
foglie che hanno sul bordo lunghe ciglia e nella
parte inferiore sono verdi e con sparse ghiandole
LA SCHEDA
Il miele di rododendro
I rododendri spontanei in Italia fioriscono in
giugno-luglio. Questa pianta offre abbondante
nettare e polline alle api, ma i mieli uniflorali
sono piuttosto rari. Per questo i mieli definiti
abitualmente di rododendro presentano un
aroma più intenso rispetto a quello descritto,
dovuto alla presenza di altre specie, quali il
lampone (aroma floreale fruttato) e il timo
(odore pungente). Il polline, raccolto in pallottoline bianchicce, è presente in percentuale
superiore al 20% (classe di rappresentatività: I)
Aspetti organolettici
STATO FISICO: cristallizza spontaneamente
dopo alcuni mesi, formando cristalli da fini a
grossi.
COLORE: da incolore a giallo paglierino quando è liquido, bianco-beige il cristallizzato.
ODORE: molto debole, vegetale, fruttato
SAPORE: normalmente dolce
AROMA: molto debole e poco persistente.
Esistono mieli dannosi. La letteratura, da
Senofonte ai giorni nostri, ha riportato casi di
avvelenamenti. Tra le specie botaniche citate
come produttrici di nettare tossico, e tutte
appartenenti alla famiglia delle Ericacee, cinque sono rododendri. Sono endemici in
Turchia, in particolare R. ponticum e R. flavum,
e popolano le foreste del Nord dell'Anatolia. R.
ponticum si è diffuso in Inghilterra ed in altre
regioni europee.
Rododendro Rododendro
25
puntiformi, inizialmente bianche e successivamente brune. Inoltre la corolla è roseo sbiadita e
quasi priva di odore. A differenza della precedente è abbondantissima sulle Alpi calcaree, ove si
comporta spesso da pianta pioniera ed è facilmente rintracciabile su ghiaioni e macerati appena consolidati. Sale fino a 2.200 metri, raramente
a 2.600, diffusa in arbusteti nani ed in boscaglie di
Pino mugo e Pino silvestre. Nella Valle dell'Adige
scende fin quasi al piano, ma, a differenza della
precedente, sempre in zone soleggiate.
Rhodothamnus chamaecistus (L.) Rchb.
Secondo alcuni botanici questa specie è considerata un genere a parte, mentre per altri forma una
sezione del genere. Comunque la si consideri si
tratta di un suffrutice con fusti legnosi, prostrati
od ascendenti. Le foglie sono ellittiche, sempreverdi. I fiori sono all'apice dei rami, a corolla
rosea. La principale esigenza dei rododendri è un
terreno umifero subacido (pH 6), terra d'erica o
di castagno o di bosco, mescolata a torba. Il terreno deve anche essere leggero, aggiungendo
sabbia e stallatico ben consumato. Pochissime
sono le specie che si adattano a terreni alcalini. Il
sistema radicale, fitto e piuttosto superficiale,
non richiede un terreno profondo; 30-50 cm
sono sufficienti. Importante il drenaggio e, pertanto, il dissodamento del sottosuolo. A sud i
rododendri esigono luoghi ombreggiati, mentre
oltre gli 800 metri l'esposizione soleggiata diventa una necessità. Generalmente sia le specie che
gli ibridi resistono bene a - 6°C.
I rododendri esotici (R. ponticum e R. luteum),
introdotti in Europa nella seconda metà del
1700, sono sfruttati in floricoltura. Un utilizzo
LA SCHEDA
Solo una parte dei rododendri, quindi, produce tossine. Gli ibridi di rododendro presentano gradi di tossicità in modo imprevedibile. Ad
esempio l'ibrido R. "redwing", non tossico, è
stato ottenuto dall'incrocio di quattro specie,
di cui tre tossiche. Il rododendro delle Alpi, R.
ferrugineum, ha foglie tossiche per il bestiame. Le tossine sono presenti nelle foglie, nei
fiori e nel loro nettare. L'intossicazione può
avvenire per ingestione dei fiori, delle foglie
(tisane per curare l'artrite) e del miele contaminato. I rischi di intossicazione si riducono se
il miele viene riscaldato (ma questa notizia
necessita di conferme), oppure se è miscelato
con altre partite di miele non tossico.
Sono stati identificati nel miele tossico idrocarburi ciclici polidrossili (diterpenoidi) battezzati grayanotosine o andromedotossine, o
ancora rodotossine.
La letteratura mette a disposizione l'analisi di
23 casi di tossicità sull’uomo, tra il 1963 e il
1986, a Trabzon sul Mar Nero orientale e a
Inebolu sul Mar Nero centrale. La quantità di
miele ingerita dagli intossicati variava da due
cucchiaini di caffè a cinque da minestra
(media 50 grammi). In tutti i campioni analizzati vennero trovati pollini di rododendro. I sintomi comparvero da 30 minuti a due ore dopo
l'ingestione, in relazione alla dose assunta. Tra
gli effetti si segnalavano: ipersalivazione,
respirazione difficoltosa, formicolio attorno
alla bocca ed alle estremità degli arti, debolezza e convulsioni. Un prelievo di sangue
mostrava un aumento di enzimi nel fegato.
Fortunatamente il miglioramento avvenne tra
trenta minuti e sei ore, e la guarigione completa dopo uno o due giorni. La mortalità è
rarissima per non dire nulla. La terapia consiste nella somministrazione di sostanze vasopressori e per il controllo degli eventuali disturbi cardiocircolatori. Nel 1959 un'epidemia
da intossicazione distrusse gli alveari dell'isola
di Colonsay. I ricercatori dell'Università di
Glasgow riprodussero i sintomi osservati fornendo ad api sane nettare di rododendro.
Queste diventarono letargiche, poi inerti, volarono per piccoli tratti, caddero al suolo posandosi sui fianchi o sul dorso, girarono in tondo
sbattendo le ali senza riuscire ad alzarsi. Una
prostrazione crescente precedette la morte.
Rododendro Rododendro
26
BOTANICA
marginale è legato alle proprietà curative delle
foglie, che contengono arbutina, ericolina, acido
rodotannico, altri acidi, cere ed un olio essenziale con una composizione ritenuta velenosa, e che
in infuso o per estrazione a mezzo dell'olio, sono
usate contro le malattie della pelle, le malattie
dei reni ed i dolori reumatici. Inoltre le galle che
si formano sulle piante, se raccolte fra giugno ed
agosto, posseggono proprietà vulnerarie che permettono l'estrazione di un olio per uso esterno.
Infine, nel cosiddetto "tè svizzero" entrano tra le
altre foglie anche quelle di R. ferrugineum, meno
velenose di quelle dell'altra specie.
I rododendri sono arbusti eleganti, talvolta alberi.
Le foglie sono alterne, spesso ravvicinate alla sommità dei rami, intere, a ciclo annuale o biennale e,
pertanto,le piante presentano fogliame persistente.
I fiori sono di solito grandi, da bianchi a rossi a gialli, riuniti in corimbi od in falsi grappoli terminali,
raramente solitari. Il calice è variabile, generalmente con cinque sepali a coppa che formano altrettanti denti. La corolla è irregolare, talvolta ad imbuto altrimenti tubulosa, con un lembo più o meno
obliquo che si manifesta in cinque lobi. Gli stami
sono da otto a dieci, l'ovario presenta uno stilo sottile. L’adattamento a climi tanto differenti hanno
selezionato forme e dimensioni disparate. Le foglie
variano da pochi millimetri ad un metro di lunghezza, i fiori passano dalle enormi trombette profumate e lunghe fino a 12 cm di R. nuttallii e dai
grandi fiori composti di R. sinogrande, entrambi
nativi dell'Asia Sud Orientale, fino ai piccoli fiori di
alcune specie d'alta montagna della sottosezione
Lapponica. Dai rododendri striscianti si arriva ai
rododendri arborei dell'Himalaya. Ricordiamo che i
rododendri appartengono alla famiglia delle
Ericacee e che le numerose specie vengono suddivise in due sottogeneri: Eurhododendron, a cui
appartengono le specie a foglie raramente caduche; Azalea, caratterizzato da specie le cui foglie
sono caduche, raramente persistenti.
L’INTERVISTA
Ci dice Ezio Poletti, apicoltore professionista
che gestisce una bella azienda nel Novarese:
“Parlando di miele di rododendro posso
affermare che si tratta di una produzione
non costante, costosa e rischiosa, in quanto
in alta quota le condizioni meteorologiche
sono molto instabili”. Le aree da me visitate
sono rappresentate dai pendii del Monte
Rosa, Val Sesia e Val Formazza. Gli alveari
che destino al trasporto a queste quote sono
i più popolosi poiché, vista la difficoltà di
collocamento, è un’inutile perdita di tempo
portarvi quelli deboli.Il periodo consigliato
va da metà giugno a fine luglio. Ho notato
che si ottengono raccolti migliori se durante
l’inverno precedente ci sono state abbondanti nevicate che hanno protetto i germogli dal gelo.
Durante questa produzione gli alveari
vanno incontro ad un notevole aumento
della deposizione e a volte la covata, se non
si interviene con l’escludiregina, si spinge
fino al secondo melario. Quindi al rientro
sarà necessario mettere a disposizione di
questi alveari nuovi raccolti per reintegrare
le scorte. Altra caratteristica di questi alveari è la tendenza a sciamare in quanto, a
causa delle condizioni climatiche, le api si
sentono quasi riportate in una specie di
seconda primavera.
Il miele ottenuto, almeno per quanto riguarda la nostra zona, raramente è purissimo
perché inquinato da altre fioriture di prato e
molte volte da colpi di melata. Comunque, se
l’annata è favorevole, si ottengono ottimi
raccolti arrivando a 30 Kg per alveare”
Rododendro
SULLA
(HEDYSARUM
CORONARIUM
L.)
È
una specie poliennale, originaria e diffusa
nell’area mediterranea. È diffusa principalmente nel Sud Italia e trova la sua massima
diffusione nella regione Marche.
Predilige terreni calcareo-argillosi, ma profondi.
Non sopporta ristagni idrici ma piuttosto la siccità (coltura non irrigua).
Fiorisce a maggio-giugno.
BOTANICA
Si tratta di una specie a radice fittonante. Gli
steli, semplici o ramificati, sono vuoti e fistolosi. Le foglie sono composte, alterne, imparipennate con 2-12 paia di foglioline. I fiori sono
riuniti in racemi ascellari e sono di colore rosso
porpora.
27
Sulla
I frutti sono amenti costituiti da 5-7 articoli
contenenti ognuno un seme subreniforme di
colore giallo o brunastro.
TARASSACO
(TARAXACUM spp.)
S
econdo alcuni autori al genere Taraxacum
appartengono 25 specie, secondo altri oltre
60. Una tale discrepanza nasce dal fatto che
all’interno delle singole “specie” è possibile
distinguere numerose “stirpi”, caratterizzate da
caratteri costanti, per quanto localizzate territorialmente.
La causa di questo fenomeno è l’apogamia, che
si manifesta sostanzialmente a causa dei processi di poliploidizzazione. Nelle nicchie ecologiche fortemente compromesse dall’azione dell’uomo l’apogamia si presenta con maggior frequenza che non negli ambienti naturali.
In Italia l’unica specie presente diploide, con
normale riproduzione sessuale, è T glaciale,
pianta endemica solo sull’Appennino abruzzese
e rarissima.Tutte le altre specie sono polipoidi.
Per meglio precisare la complessità consideriamo la specie più diffusa in Italia, T. officinale:
non viene classificata in realtà come una specie
unitaria, ma piuttosto come un aggregato comprendente numerose stirpi apogame (agamospecie), non ancora completamente note.
Il genere Taraxacum è diffusissimo; il centro di
origine è l’Asia Centrale ed Occidentale e attualmente si trova in tutte le regioni temperate degli
emisferi settentrionale e meridionale, fino al
limite artico, dal livello del mare al piano montano.
In Italia il genere è diffuso ovunque, particolarmente negli incolti e nei prati stabili e ben concimati. E’ una discreta foraggiera, ma è considerata infestante a causa della bassa resa alla fienagione.
LA SCHEDA
Il miele di sulla
Una volta dalla sulla si otteneva un miele uniflorale su tutto l’Appennino fino alla Sicilia.
Oggi la produzione uniflorale è circoscritta alle
zone collinari di Abruzzo, Molise, Calabria e
Sicilia. Fuori dell’Italia, la sulla si produce solo
in Nord Africa. Per questo motivo, insieme
all’alta presenza del polline (classe di raprresentatività II), si può utilizzare l’analisi melissopalinologica per la determinazione della provenienza italiana di alcuni mieli.
Il polline è di colore grigio
Aspetti organolettici
STATO FISICO: cristallizza spontaneamente
dopo alcuni mesi, con formazione di cristalli
medio-fini.
COLORE: da quasi incolore a giallo paglierino
se liquido, da bianco a beige con la cristallizzazione.
ODORE: debole, di paglia.
SAPORE: mediamente dolce.
AROMA: vegetale, a volte con componente
fruttata, comunque debole e poco persistente.
All’analisi organolettica questo miele si presenta simile a quello di altre leguminose come
la lupinella, i trifogli e il ginestrino. Per questo
motivo raramente il miele di sulla viene commercializzato come uniflorale, più spesso
invece come millefiori o entra in miscele o
ancora viene utilizzato per la cristallizzazione
guidata, grazie alla formazione di cristalli
abbastanza fini.
Sulla
BOTANICA
Le piante, perenni e rustiche, si adattano a condizioni ambientali variabili e ad ogni tipo di terreno.
Dispongono di una grossa radice a fittone contenente abbondante latice amarognolo.
Le foglie intere, dentate o sinuate e di differente
forma sono disposte a rosetta.
I fiori, generalmente gialli, sono riuniti in infiorescenze alla estremità di uno scapo cavo, privo
di foglie.
Il frutto è un achenio allungato che si prolunga
28
Tarassaco
in un rostro aperto superiormente in numerose
setole originanti la tipica infruttescenza.
Il nettario (nel T. officinale) è posto sopra l’ovario, attorno alla base dello stilo. Il nettare prodotto è ricco di zuccheri (18-51%), e tra essi prevale il glucosio (45,4%).
Le antere formano, saldate tra loro, una sorta di
tubo attraverso il quale lo stilo allungandosi
sospinge il polline, rendendolo fruibile agli
insetti.
LA SCHEDA
tarassaco, salice, crucifere e fruttiferi che si
considerano uniflorali in quanto fortemente
caratterizzati sia dal punto di vista organolettico che compositivo.
Il nettare di tarassaco possiede, infatti, un
forte odore ed è molto comune ritrovarne
traccia nei primi mieli primaverili e anche in
quelli di smelatura più tardiva, dove spesso
costituisce un difetto (per esempio nei mieli
uniflorali di robinia).
Una delle caratteristiche più evidenti è la rapida cristallizzazione, dovuta all’alto contenuto
in glucosio. Come in altri mieli primaverili è
frequente un eccesso d’acqua e presenta
quindi una elevata probabilità di fermentazione: è uno dei mieli per i quali può essere consigliabile una deumidificazione con circolazione di aria calda o con deumidificatore. Il fatto
che la cristallizzazione avvenga in modo rapido porta quasi sempre a una consistenza
pastosa/cremosa nei mieli che hanno circa il
18 - 19 % d’acqua o compatta/dura nei mieli
deumidificati.
Aspetti organolettici
STATO FISICO: cristallizzato, generalmente a
grana grossa.
COLORE: giallo limone quando puro, beige
quando in miscela con crocifere, beige rosato
quando prevale il salice.
ODORE: è molto forte, ammoniacale o vinoso/marsalato.
SAPORE: non eccessivamente dolce.
AROMA: percepito spesso come fresco, saturante, simile all’infuso di camomilla, persistente.
Come tutti i mieli fortemente aromatici deve
essere destinato a un pubblico di amatori, che
peraltro esistono. Meno facile il tentativo di
mascherarne l’aroma miscelandolo con altri
mieli.
Il tarassaco è raccomandato per le virtù eccitanti epatobiliari ed anticolesterolo della sua
radice e delle sue foglie. L’uso della decozione
(bollitura per l’ottenimento di un decotto) della
radice al 5% esercita azione colagoga (contrazione della cistifellea e svuotamento della bile,
in essa contenuta, nel duodeno) in grado di
alleviare la cirrosi in fase iniziale; in tal senso
se ne può bere una tazza poco prima dei pasti
anche per parecchio tempo. Lo stesso effetto,
più blando, si ottiene con le foglie.
LA SCHEDA
Il miele di tarassaco
Il polline è presente in percentuale superiore al
5% (classe di rappresentatività: II-III).
Il polline di tarassaco, di colore arancione
vivace, viene liberato prevalentemente nelle
ore del mattino. Il tarassaco è ricercato dalle
api sia per il nettare sia per il polline, è spesso
competitivo nei confronti dei fiori dei fruttiferi
e ne limita l’impollinazione. I fiori del tarassaco
si chiudono alle prime ore del pomeriggio,
riaprendosi solo la mattina successiva. In
annate favorevoli si possono ottenere discreti
raccolti di miele di tarassaco.
Indipendentemente dalla produzione di miele
la fioritura di tarassaco rappresenta un importante fattore per lo sviluppo primaverile delle
famiglie di api. Allo stato uniflorale il miele di
tarassaco si produce molto raramente in Italia,
limitatamente ad alcune regioni del Nord:
relativamente più comuni sono i mieli misti di
Tarassaco
29
Tarassaco
L’INTERVISTA
TIGLIO
(TILIA SPP. L.)
Chi punta alla massima produzione di miele
deve impostare per tempo la preparazione delle
famiglie, cominciando con l’invernamento
(alveari con almeno 7-8 favi coperti di api),
scegliendo la postazione ideale e, quindi, prevedendo in primavera la nutrizione stimolante. Non è difficile, in tale situazione, arrivare a
porre il secondo e, spesso, il terzo melario. A
questo punto quasi tutte le famiglie sciamano
o, comunque, entrano in febbre sciamatoria.
In entrambe le situazioni il raccolto successivo
è compromesso, perché per esso non risultano
pronte spesso neppure la metà delle famiglie
dell’apiario; il raccolto principale risulterà poi
essere il castagno o l’alta montagna.
Attualmente va sempre più assottigliandosi il
numero degli apicoltori che cercano questo
indirizzo produttivo, perché l’acacia ha assunto tale importanza commerciale da soppiantare anche i più pregiati mieli di alta montagna.
Il tarassaco si rivela, dunque, fondamentale
per la preparazione delle famiglie. Questo fatto
non vuol dire che si rinunci a priori alla produzione di miele, ma che essa passa in secondo piano rispetto alla formazione/sviluppo di
nuclei e famiglie. La situazione ottimale si
verifica quando pressoché tutte le famiglie sono
in grado di immagazzinare miele nei melari,
anche se la produzione si limita a 5-10 kg per
cassa. La posa di molti doppi o terzi melari
spesso si accompagna ad una più difficile
gestione della sciamatura.
Il raccolto, infatti, molto ricco sia in nettare
che in polline stimola la produzione di covata
e anche le regine giovani possono entrare in
febbre sciamatoria. Durante tutto il raccolto
del tarassaco è, quindi, essenziale l’intervento
dell’apicoltore che cerca di pareggiare le famiglie e, con la covata e le api in esubero, produce sciami artificiali. Anche le annate più sfortunate con piogge e nevicate sul raccolto, consentono comunque lo sviluppo ottimale delle
famiglie. Poche ore di sole permettono la
riapertura dei fiori ed un improvviso abbondante raccolto.
La gestione dell’apiario sul tarassaco è, quindi,
molto delicata ed è il trampolino di lancio per
tutta la stagione. Il raccolto successivo sulla
robinia, provocando un più o meno parziale
blocco di covata, potrà semplificare il lavoro
dell’apicoltore”.
Tarassaco
I
tigli sono distribuiti in tutte le regioni temperate
dell'emisfero settentrionale e sono utilizzati a
scopo ornamentale. Rappresentano in tutta
Europa un elemento fondamentale del paesaggio
urbano in quanto oltre al loro indiscutibile valore
ornamentale, risultano affetti da parassiti poco virulenti. Attualmente, specie nel Nord Europa, i tigli
sono,però,facilmente colpiti dal marciume radicale,
soprattutto nelle zone ad alto inquinamento atmosferico. Questo fatto è oltremodo preoccupante in
quanto questi alberi si sono dimostrati ottimi controllori dell'inquinamento, trattenendo le polveri ed
accumulando elevate quantità di piombo nelle
foglie e nei fiori (fino a 250 ppm).
Dai tigli si ottiene un legno ricercato; non è, tuttavia,
particolarmente apprezzato dai forestali in quanto
incapace di formare popolamenti puri.Altri svantaggi dei tigli, nelle piantumazioni urbane, sono la notevole capacità pollonifera, la presenza di afidi e, quindi, di melata e fumaggini, e l'intenso profumo in fioritura che richiama numerosi insetti melliferi.
BOTANICA
Le piante che appartengono al genere Tilia presentano alcune caratteristiche comuni: altezza da 25 a
40 metri; apparato radicale espanso e profondo;
chioma largamente ovoidale, ramosa e folta; corteccia dapprima liscia, poi fessurata; foglie semplici,
alterne, lungamente picciolate; fiori ermafroditi, di
30
Tiglio
presa ansia, isteria, ipocondria; indigestioni, spasmi
gastrici nervosi; arteriosclerosi; tossi spasmodiche
ed asma. La conservazione va attuata in luoghi
asciutti, freschi e scuri, in cassette di latta o di
legno. La droga deve conservare il colore giallo verdastro, altrimenti va scartata.Tra le varietà di tiglio
sono da preferirsi quelle a fiore semplice come:
Tilia platyphillos Scop, Tilia x vulgaris Hayne,
Tilia cordata Mill.
L’INTERVISTA
Ci siamo rivolti a Nino Scacchi, apicoltore professionale del novarese:
“La sempre crescente richiesta di miele di tiglio
promuove questo raccolto come estremamente
importante, da molti preferito al miele di alta
montagna. Le rese produttive sono abbondanti,
nell’ordine anche di 30-35 Kg per alveare, in
media solo di poco inferiori alle medie ottenibili sul castagno in questi areali particolarmente
vocati. La variabilità produttiva dipende soprattutto dalla possibilità di ottenere miele in purezza. La fioritura del tiglio è, come già visto, quasi
concomitante a quella del castagno e forse lievemente in ritardo rispetto ad essa (2-3 giorni). Le
api sembrano raccogliere prevalentemente nettare, dirigendosi sul castagno per ottenere il polline. Le famiglie di api raggiungono il massimo
dello sviluppo ed appaiono abbastanza mansuete, senza il nervosismo tipico della fioritura
del castagno. Il raccolto è solitamente scalare e,
quindi, sufficientemente lungo da concludersi
quando anche la fioritura del castagno è ultimata.
Al momento della smelatura si ha la soddisfazione più grande: un miele giallo come l’oro,
con talora lievi riflessi verdastri, cola denso dai
favi ed aromatizza ogni cosa con il suo fresco
profumo di mentolo. Il gusto è pieno, intenso,
così marcato da poter essere identificato anche
se presente solo in piccole quantità in una
miscela. Pertanto, meno del 10% del miele di
tiglio può conferire ad un “tuttifiori”, o ad un
delicato miele di montagna un senso di freschezza ed un lieve sapore mentolato, molto
gradito al consumatore.
In purezza, invece, il tiglio può avere un profumo sin troppo intenso per il consumatore non
avvezzo ai gusti più forti. Miscelato al castagno,
poi, anche se meno qualificato dal punto di
vista commerciale, è l’ideale per gli amanti del
gusto balsamico e dei profumi e sapori più
pieni”.
colore bianco giallastro, generalmente molto odorosi, riuniti in cima alle estremità di un lungo peduncolo aderente ad una brattea membranosa di colore
meno intenso di quello della foglia (ha dato il nome
al genere: dal greco ptilon = piuma, da cui il latino
tilia); il frutto è una piccolo noce detta "carcerulo",
completamente chiusa da un pericarpo molto spesso e quasi impermeabile all'acqua; il seme contiene
da due a cinque ovuli, uno solo dei quali si sviluppa
in un normale embrione. La fioritura è tardiva. Le singole specie appartenenti al genere Tilia possono
incrociarsi facilmente tra di loro; la classificazione
non è semplice ed il numero variabile di specie classificate (da 18 a 65) nasce dalla differente individuazione degli ibridi come specie autonome oppure no.
Le specie spontanee in Italia sono: Tilia cordata
Mill. (tiglio selvatico), diffuso in quasi tutta Europa,
Tilia platyphyllos Scop. (tiglio nostrano), spontaneo
nell'Europa centrale e meridionale, l'ibrido Tilia
intermedia DC (T. europea L. x T. vulgaris Hayne),
generalmente sterile e non diffuso spontaneamente, Tilia argentea DC, spontaneo in Grecia e
Turchia, Tilia americana L., utilizzato nei parchi e
Tilia x euchlora C. Koch, o tiglio di Crimea, resistente agli afidi. In erboristeria si utilizzano le infiorescenze ancora chiuse, raccolte assieme alle brattee al momento della fioritura in giugno-luglio.I fiori
di tiglio hanno proprietà sedative, antispasmodiche,
diuretiche, sudorifere ed anticatarrali.
Sono indicati: contro insonnia, emicranie, vomiti
nervosi ed ogni altra manifestazione nervosa com-
Tiglio
31
Tiglio
LA SCHEDA
LA SCHEDA
Il miele di tiglio
spesso rallentata e si attua allora con granuli
molto grossi, tondeggianti, agglomerati e a
disposizione irregolare
COLORE: chiaro, con tonalità giallo brillante,
nei mieli più puri di nettare; via via più scuro
quando è presente una quantità crescente di
melata. Colore crema quando cristallizza.
ODORE: fresco, mentolato, balsamico; ricorda il profumo dei fiori solo nei mieli più puri, o
quello della sua tisana, l'odore "di farmacia”.
SAPORE: normalmente dolce, leggermente
amaro quando inquinato da castagno.
AROMA: molto persistente, ricorda quello
della menta, dei medicinali, oppure il sapore
delle noci fresche.
I tigli sono intensamente visitati dalle api; in
Italia sono diffusi irregolarmente e solo in
Piemonte, Lombardia ed Emilia Romagna si
produce miele monoflora di tiglio; saltuariamente si raccoglie da essi una melata dalle
spiccate caratteristiche. Importanti produttori
sono i Paesi dell'Europa centro-orientale.
Il polline è presente in percentuale variabile,
ma quasi sempre molto bassa, anche in relazione ai forti inquinamenti da polline di
Castanea (classe di rappresentatività: I-II).
Alcune varietà di tiglio coltivato non producono polline e, di conseguenza, alcuni mieli di
tiglio di pianura non contengono, addirittura,
polline della specie. L’analisi pollinica quindi
non sempre dà indicazioni utili alla diagnosi di
unifloralità. Ugualmente le caratteristiche fisico-chimiche non forniscono, in questo caso,
informazioni probanti, in quanto i mieli di tiglio
non costituiscono un gruppo strettamente
omogeneo. Ne consegue che spesso l'analista chiamato a stabilire se per un certo campione è lecita o meno la denominazione "di
tiglio" deve decidere solo sulla base dell'analisi organolettica.
Il nettare è molto aromatico e marca fortemente i mieli che ne contengono anche piccole percentuali. Per questo, mieli considerati uniflorali di tiglio spesso non lo sono e ciò
crea differenze ancora più marcate rispetto
ad altri mieli uniflorali di diversa provenienza.
In Italia produzioni abbondanti di tiglio si possono ottenere su tutto l'arco alpino: in molte
località però non è possibile tener separato
questo raccolto da quello del castagno, ottenendo così un prodotto scuro che rimane
liquido a lungo. Nella pianura padana si
riescono a produrre mieli di tiglio dagli alberi
coltivati nei parchi e lungo i viali. In questo
caso la flora di accompagnamento, più o
meno abbondante (trifogli, erba medica, meliloto e altre leguminose), non interferisce aromaticamente, eccezion fatta per l’ailanto.
Sono invece uniflorali puri, mieli di tiglio provenienti dall'Europa dell'est, dall'ex Unione
Sovietica e dalla Cina.
TIMO
(THYMUS
T
imo è il nome italiano delle piante, circa
venti, del genere Thymus, in particolare
del Thymus vulgaris, specie indigena dei
paesi del Mediterraneo che cresce su pendici
assolate, rocciose e luoghi aridi dal mare alla
zona montana e viene spesso coltivata negli orti
come pianta aromatica.
Le specie appartenenti al genere Thymus hanno
solitamente portamento cespuglioso, fusto più o
Aspetti organolettici
Tiglio
SPP.)
STATO FISICO: cristallizzazione variabile, ma
32
Timo
meno lignificato.
Del timo si utilizzano la pianta fiorita o le foglie.
Il contenuto in essenza è massimo nelle prime
ore del pomeriggio e nelle piante al secondo
taglio. L'essenza contiene dal 20% al 40% di fenoli, principalmente timolo il cui contenuto ne stabilisce il valore, poi da carvacrolo, linalolo, geraniolo, ecc.
Noto fin dall'antichità il timo deve la sua importanza alla presenza dell'essenza e trova impiego
come stimolante, coleretico, balsamico, anticatarrale, antispasmodico, antibatterico per via
interna. Inoltre Th. vulgaris e Th. serpyllum
sono utilizzati per conferire gusto ai cibi.
BOTANICA
Il genere Thymus è di difficilissima classificazione: le 17 specie presenti in Italia risultano, ad un
esame superficiale, quasi uguali. Le specie principalmente presenti in Italia sono:
Th. vulgaris L. - Timo maggiore. Fusti generalmente eretti, ramosissimi, con corteccia bruna,
alti da uno a tre decimetri. Foglie minute, di
forma ovale, con margini ripiegati in sotto e
tomentose nella pagina inferiore, più larghe nei
rami fioriferi. I fiori minuscoli, di colore rosa pallido, sono riuniti in apicastri formati da diversi
verticilli. Diffuso tipicamente nelle zone vicine
al mare, su terreni aridi e rocce, prevalentemente in ambienti collinari, spesso coltivato.
Gruppo di Th. serpyllum. A questo gruppo
appartengono 13 specie fra di loro assai simili e
che spesso vengono confuse. Tutte le specie
hanno fusti legnosi alla base, più o meno prostrati o striscianti e spesso radicanti in nodi, con
apici fioriferi eretti. Foglie coriacee, da arrotondate a lineari. Infiorescenze dense, sferiche,
ovali, più o meno allungate. Calice di 3-4 mm.
Corolla purpurea o rosea. Diffusione nei prati
aridi steppici, pietraie e rupi soleggiate.
Th. capitatus (L.) Hofmgg et Lk. - Timo arbustivo. Rami legnosi con corteccia biancastra, portamento a pulvino. Foglie molto fitte picchettate
di ghiandole puntiformi, carenate ed un po’
revolute sui margini. Infiorescenze ovoidali.
Corolla roseo purpurea. Piccolo arbusto diffuso
nelle aree più aride del Mediterraneo, con prevalenza nella zona orientale. Costituisce cenosi
estese, nelle quali predomina. Spesso associato a
piante xerofile ed arbusti di piccole dimensioni
(Mirto e Cisti).
Th. Striatus Vahl - Timo bratteato. Fusti legnosi,
Timo
striscianti o radicanti ai nodi, con rami ascendenti. Foglie lineari con fitte ghiandole puntiformi. Infiorescenze subsferiche. Corolla generalmente biancastra o rosea. Si tratta di un gruppo
polimorfo: il timo bratteato descritto corrisponde con la forma diffusa nel meridione d'Italia,
dal Napoletano al Pollino; più a Nord, dal Lazio
alla Romagna, prevale una forma a foglie più sottili; in Toscana ed Emilia esiste poi una terza
forma endemica delle rocce serpentinose.
Th. spinulosus Ten. - Timo spinosetto. Fusti
legnosi suberetti o striscianti. Foglie lineari o
lineari-spatolate. Infiorescenze subsferiche.
Specie diffusa sui pendii aridi pietrosi dell'Italia
Meridionale e Sicilia.
Th. herba-barona Loisel - Timo erba-barona. Fusti
legnosi suberetti o striscianti. Foglie linaeri-lanceolate. Infiorescenze ovoidali. Diffuso sui pendii
aridi ventosi della Sardegna e della Corsica.
Th. richardii Pers. Timo di Marettimo. Fusti
legnosi ascendenti pelosi tutt'attorno. Foglie lanceolate. Infiorescenze subsferiche. Corolla purpurea. Diffuso sulle rupi calcaree dell'isola di
Marettimo.
Th. vulgaris ha fioritura precoce tra marzo e
giugno, Th. serpyllum fiorisce in epoche diverse
in base all'altitudine, tra maggio e settembre,
mentre Th. capitatus e Th. striatus fioriscono
nei mesi estivi.
Il tessuto nettarifero si trova sotto l'ovario, da
cui sporge un poco lateralmente.
33
Timo
LA SCHEDA
TRIFOGLIO
(TRIFOLIUM SPP.)
Il miele di timo
Delle diverse specie del genere Thymus solo
alcune possono dare origine a raccolti uniflorali. Di questi il più conosciuto in Italia è senz’altro
quello di Thymus capitatus, specie diffusa nelle
zone più aride del mediterraneo orientale, all’origine delle produzioni di miele di timo in Sicilia
(sui monti Iblei) e in altre piccole zone delle
estreme propaggini meridionali della penisola.
Nell’antichità il miele ibleo godeva di grande
fama, seconda solo a quella del miele del
Monte Imetto (in Grecia): per entrambi questi
mieli l’origine botanica prevalente era la stessa:
il timo.
I
l genere Trifolium appartiene alla famiglia
della Papilionacee e ne rappresenta una delle
unità più numerose e più caratteristiche a
causa dei fiori piccoli - a differenza di quelli delle
altre papilionacee vistosi e di maggiori dimensioni - riuniti in capolini o in corte spighe. I trifogli si
possono trovare ovunque, dal livello del mare fino
a 3000 metri di altezza, nei luoghi boscosi e negli
incolti, su terreni acidi ed alcalini.
Trifolium si compone delle due radici latine, "tres"
e "folium", per indicare la caratteristica più appariscente di queste piante, le cui foglie sono composte da "tre foglioline" in disposizione digitata.
Il genere venne istituito da Linneo e ad esso,
attualmente, si attribuiscono circa trecento specie
distribuite essenzialmente nelle regioni temperate
e subtropicali dell'emisfero nord; poche specie
vivono spontanee sulle Ande e nell'Africa meridionale.
La flora spontanea dell'Italia è ricca di specie di
Trifolium. Il valore dei trifogli risiede nel loro diffuso utilizzo come piante foraggere in ogni parte
del mondo.
Le specie più diffuse in Italia sono:
T. subterraneum L., specie annua a radice fittonante, stelo eretto, tomentoso e che tende ad indurirsi
alla fine della fioritura. Infiorescenza a capolino
Aspetti organolettici
STATO FISICO: cristallizzazione lenta.
COLORE: da ambrato chiaro ad ambrato.
ODORE: intenso caratteristico, tra il floreale o lo
speziato, che può ricordare i chiodi di garofano,
il vin brulè, il legno aromatico, piuttosto pungente.
SAPORE: discreta acidità.
AROMA: intenso, con le stesse connotazioni
descritte per l’odore, ma con una nota di tipo
“olio essenziale” (timolo) più netta, che lo rende
un miele non adatto al gusto di tutti.
Sia sulle Alpi che sugli Appennini sono comuni
mieli in cui la presenza di timo serpillo, seppur
non dominante a livello di origine, risulta caratterizzante a livello aromatico. In questo caso
l’odore e l’aroma possono essere definiti come
generalmente non graditi, in quanto le note di
tipo “animale” sono prevalenti. L’odore, particolarmente pungente, può ricordare quello di
acido acetico, oppure, secondo i casi, la stalla
ovina. In Sardegna può essere prodotto un
miele uniflorale dal timo locale (Thimus herbabarona), le cui caratteristiche non sono sufficientemente conosciute per essere qui descritte. In Spagna i mieli di timo, da specie ancora
diverse da quelle sin qui nominate, sono relativamente comuni: si tratta di mieli con aroma
molto forte, a connotazione “animale” o “chimica”, e non incontrano molto, quindi, il gusto del
consumatore del resto d’Europa. Infine, il prodotto conosciuto come “miele di timo” in
Abruzzo dovrebbe essere più correttamente
indicato “di santoreggia”, in quanto da questa
specie (Satureja montana) deriva.
Timo
34
Trifoglio
composta da fiori sessili di colore bianco o leggermente roseo o giallastro che tende a sgranare alla
maturazione. Zone di produzione tipiche sono la
Toscana, il Lazio e la Puglia. Spontaneo si trova da 0
a 1200 metri s.l.m. negli incolti aridi in tutta Italia.
T. incarnatum L., specie annuale ad uno sfalcio, ha
infiorescenza a capolino composta da fiorellini
rosso purpurei, stelo pieno, morbido, foglie pelose, radice fittonante, non molto profonda. Si utilizza solitamente come componente del miscuglio
Landsberg con loietto italico e veccia, e con
avena, veccia ed altri trifogli.Viene coltivato anche
in purezza, sebbene la diffusione dell'erbaio di
incarnato si stia riducendo. Preferisce il clima temperato-fresco, ma vegeta bene anche in Italia meridionale. Spontaneo in Italia è diffuso negli incolti
e nei campi in tutto il territorio.
T. alexandrinum L., specie annuale con fusti eretti, ramificati e scarsamente pelosi; foglioline grandi e bislunghe; capolini emisferici, composti da
piccoli fiori bianchi. Adatto ai ripetuti sfalci (2-5),
predilige i terreni fertili, sia sciolti che argillosi e
clima temperato-caldo. Sensibile ai cali di temperatura, specialmente nei primi stadi di vegetazione. Si trova spontaneo in Italia negli incolti, da 0 a
800 metri s.l.m., nella provincia di Vercelli, nel
Teramano, Brindisino ed in provincia di Palermo.
T. pratense L., trifoglio pratense, o violetto, è una
tra le più diffuse leguminose foraggere. É una pianta perenne, anche se di longevità limitata e la sua
durata, in genere, non supera i due anni. La radice
è robusta, fittonante e può approfondirsi notevolmente. Sia sulla radice principale che sulle branche laterali sono inseriti numerosi tubercoli (più
che nella medica) di forma cilindrica e della lunghezza di qualche millimetro dovuti alla presenza
del rizobio specifico (Rhizobium trifolii) in grado
di fissare l'azoto atmosferico (anche tutte le altre
specie di trifoglio dispongono dei tubercoli radicali per la fissazione dell'azoto atmosferico). Gli
steli possono raggiungere i 70 cm. Le foglie sono
caratterizzate dal tipico disegno biancastro a
forma di "V". I fiori, di colore rosato o viola pallido, sono numerosi - da 50 a 250 - e riuniti in capolini globosi. In Italia è tipico delle regioni centrosettentrionali nelle quali può sostituirsi alla medica in virtù della maggior tolleranza nei confronti
del pH e, grazie alla minore durata, può inserirsi in
avvicendamenti brevi (tri o quadriennali). Resiste
molto bene al freddo e preferisce terreni argillosi.
Spesso entra nei prati artificiali in consociazione
con fleolo, erba mazzolina, loietto inglese ecc. Il
Trifoglio
trifoglio violetto è un gruppo polimorfo, composto da tre sottospecie: pratense, il tipo più comune in tutto il territorio; nivale, presente nei pascoli subalpini delle Alpi orientali; semipurpureum,
diffusa nei pascoli subalpini sull'Appennino centro-meridionale ed in Sicilia.
T. fragiferum L., chiamato "trifoglio fragolino" è
una pianta prostrata, cespugliosa, con foglie di
forma molto variabile. I capolini sono ascellari e la
corolla bianco-rosata. In Australia è oggetto di selezione per i prati falciabili. In Italia si trova spontaneo in incolti e pascoli, per lo più umidi, pressoché ovunque.
T. hybridum L., specie perenne, a radice fittonante, glabra, alta da 20 a 50 cm, con stelo prostrato
nella parte inferiore, poi eretto, di colore verde o
rosso. Le foglie hanno la pagina inferiore di colore
verde-grigio. Fiori di colore rosa chiaro, lungamente peduncolati, riuniti in capolini inizialmente sferici, poi appiattiti. In Italia si trova quasi esclusivamente nel Veneto, in aree di fondovalle o montane
fresche. Si semina in monocoltura, o in consociazione con graminacee perenni per prati polifiti
(fleolo, festuca pratense, loietti). Si trova spontaneo in Italia sulle Alpi, gli Appennini e la Pianura
Padana.
T. repens L., conosciuto come trifoglio bianco,
oppure ladino, è una specie bi-triennale in condizioni non umide, mentre è perenne nelle zone irrigue-umide della Lombardia. La pianta ha fusti striscianti, per lo più stoloniferi, solo in alcuni casi
cespugliosi. Le foglioline sono denticolate sui margini e spesso vagamente chiazzate di bianco.
35
Trifoglio
L'infiorescenza è a capolino, composta da fiori pedicellati di colore bianco-roseo. Viene seminato in
monocoltura, o in consociazione con loietto inglese
ed italico, fleolo, festuca pratense, ecc.Tollera bene i
freddi e non sopporta le alte temperature estive.
Nella flora italiana è alquanto comune, lo si ritrova
lungo le strade campestri, nei prati, in qualsiasi tipo
di terreno tranne in quelli troppo compatti o, all'opposto, troppo sabbiosi. In montagna si spinge fino a
2.000 metri. Nella specie T. repens si distinguono le
varietà sylvestre, hollandicum, poco diffusa in Italia
e giganteum (trifoglio ladino), varietà gigante selezionatasi nelle zone del Cremonese e del Lodigiano
T. resupinatum L., specie annua, ramificata, a stelo
vuoto molto lungo, infiorescenza a capolino molto
profumato,composta da fiori azzurro-roso-purpurei.
Predilige il clima temperato-caldo, ma non arido, terreni ricchi sia leggermente sciolti che argillosi. La
pianta è di notevoli dimensioni, dà produzioni elevatissime, con ricacci non molto abbondanti. Allo
stato spontaneo si trova negli incolti erbosi umidi da
0 a 1000 metri pressoché in tutta la Penisola.
T.vesiculosum Savi, conosciuto come trifoglio Ruffo
di Calabria è una specie annua, ramificata, cespugliosa a stelo semivuoto, infiorescenza a capolino
composta da 15-20 fiori sessili di colore biancoroseo tendenti al porporino verso la fine della fioritura. Spontaneo si rintraccia negli incolti erbosi da 0
a 800 metri nella Penisola a partire dalla Toscana ed
in Sicilia.
T. squarrosum L., specie annua, a stelo eretto,
tomentoso e che tende ad indurirsi alla fine della fioritura. Infiorescenza a capolino composto da fiori
sessili di colore bianco o leggermente roseo o giallastro. Preferisce i terreni di medio impasto e neutri;
sopporta sia i terreni pesanti che sciolti, mentre non
si adatta a quelli umidi.Vegeta bene nel clima mediterraneo-caldo, non eccessivamente arido. Si coltiva
in alcuni comprensori dell'Italia centrale e meridionale. Spontaneo si incontra nei pascoli aridi della
Penisola e delle isole.
LA SCHEDA
Il miele di trifogio
Le specie appartenenti al genere Trifolium
rappresentano un'ottima fonte sia di nettare
sia di polline per le api.
In alcune località il polline di trifoglio si può
raccogliere allo stato monoflora e nei mesi di
maggio giugno e luglio rappresenta l'unica
fonte nettarifera. Inoltre il nettare dei trifogli
favorisce il prolungarsi dell'ovideposizione,
predisponendo adeguatamente le api per la
stagione fredda.
Il polline è presente sui fiori per tutto il giorno,
massimamente nelle ore centrali. Viene raccolto in pallottole di colore marroncino.
Nell'Italia centrale in estate è importante quale
fonte di nettare e polline il trifoglio violetto il
cui miele può essere confuso con quello della
medica.
In realtà, potendo scegliere tra due appezzamenti contigui di medica e di trifoglio, le api
scelgono quasi esclusivamente il trifoglio.
Sempre nell'Italia centrale e meridionale si
possono ottenere discrete quantità di miele di
trifoglio incarnato.
Sul nostro territorio sono descritte più di 60
specie di trifoglio ma solo tre danno origine
con relativa frequenza a mieli uniflorali: il bianco, l’incarnato e l’alessandrino.
I mieli di trifoglio bianco erano in passato
molto comuni nella pianura padana, ma oggi,
pur restando questa specie una delle principali sorgenti di nettare di queste zone, trovare
mieli uniflorali puri è decisamente raro.
I mieli di trifoglio puri, all’analisi organolettica,
non sono distinguibili l’uno dall’altro, né dai
mieli di altre leguminose (di sulla, per esempio, o anche di acacia, quando ancora liquidi).
Aspetto organolettici
STATO FISICO: cristallizza spontaneamente
dopo alcuni mesi, formando cristalli grossi.
COLORE: chiaro, con la cristallizzazione è
beige chiaro, nocciola.
ODORE: molto delicato, di erba.
SAPORE: dolce, acido, astringente.
AROMA: vegetale (di fieno), ma molto leggero.
Trifoglio
BOTANICA
Si tratta di piante erbacee, annuali o perenni, a
foglie composte da tre foglioline (raramente cinque-sette).
I fiori sono riuniti in infiorescenze a capolino, o
spiga, raramente in ombrelle o solitari, sessili o
peduncolati. Il calice è persistente, campanulato o
gibboso. La corolla è a petali che avvizziscono
senza cadere. Il frutto è un legume di forma ovale
e compressa.
36
Trifoglio
zione di nettare è molto variabile.
S. canadensis e S. serotina differiscono da S. virgaurea per le ridotte dimensioni dei capolini (5
mm) e per la disposizione dei fiori in grappoli
molto arcuati e formanti una pannocchia. In S.
canadensis il fusto è coperto di peli, mentre in S.
serotina i peli coprono il fusto nella parte superiore.
VERGA D’ORO
(SOLIDAGO VIRGAUREA L.)
I
l genere Solidago venne fondato nel 1735 da
Linneo, individuando la forma tipica in
Solidago virgaurea, unica specie del genere
originaria dell'Europa e conosciuta fin dall'antichità per le sue proprietà curative. Il termine
solidago, infatti, deriva dal latino "rendere forte,
rendere valido".
Le numerose specie del genere, circa ottanta,
sono originarie dell'America settentrionale;
alcune di esse furono introdotte in Europa per
scopi ornamentali, adattandosi ai diversi climi e
terreni.
Due di esse, Solidago canadensis L. e Solidago
serotina Ait. si sono diffuse spontaneamente
lungo i fiumi, negli incolti, ai bordi delle strade e
nei pioppeti del Nord Italia e vengono facilmente confuse con l'autentica verga d'oro molto
meno diffusa.
Solidago virgaurea possiede fondamentali virtù
diuretiche ed astringenti ed esercita una complessa azione sull'apparato escretore e sul fegato.
Ridà limpidezza all'urina carica di sedimenti, disinfetta ed allevia l'ipertrofia prostatica e facilita
l'eliminazione dell'acido urico.
Le proprietà astringenti la indicano nella cura
delle diarree in generale.
LA SCHEDA
Il miele di solidago
I mieli cosiddetti di "verga d'oro" sono invece
da attribuirsi, dal punto di vista fiorale, alle
due specie nord americane, in particolare a S.
serotina, in quanto S. virgaurea è abbastanza
rara. Le grandi estensioni incolte sono normalmente fittamente occupate da S. serotina
e S. canadensis.
Il miele di solidago è prodotto in estate nelle
zone adiacenti i fiumi della pianura padana.
Il miele di solidago si trova allo stato uniflorale in maniera occasionale, in quanto non si
tratta di una produzione particolarmente
ricercata. Presenta una certa tendenza alla
fermentazione e viene utilizzato come miele
da taglio nei millefiori e nei mieli per l'industria.
Aspetto organolettici
STATO FISICO: cristallizza rapidamente spesso con granuli abbastanza grossi.
COLORE: giallo ambrato-giallo aranciato.
ODORE, SAPORE E AROMA: piuttosto aromatico, caratteristico, di tipo vegetale, non a
tutti gradito.
BOTANICA
Solidago è pianta erbacea perenne. Il fusto fiorifero eretto misura da pochi centimetri ad oltre
un metro. Prende origine da un fusto sotterraneo
orizzontale e provvisto di numerose radici avventizie.
Le foglie sono di forma ovale-lanceolata, semplici, a disposizione alterna, a margini più o meno
dentati. Le foglie inferiori sono peduncolate,
mentre le superiori sono sessili.
I fiori, di colore giallo, sono riuniti, da 6 a 12, in
capolini lunghi 7-10 cm e larghi 8-15 cm.
All'interno di ciascun capolino, i fiori periferici
sono femminili (dotati di pistillo), mentre i centrali sono ermafroditi. L'involucro dei capolini è
formato da brattee lanceolate disposte in più
serie. I capolini formano un racemo (grappolo)
composto e sono mescolati a foglie.
La fioritura avviene da metà luglio ad ottobre.
I nettarii si trovano attorno all'ovario. La produ-
Verga d’oro Verga d’oro
37
Le melate
L
e melate sono escreti di insetti fitomizi che
attaccano le pareti delle pianti da cui suggono il flusso floematico per trarne le sostanze
nutritive. Gli insetti che producono melata sono
soprattutto Rincoti.
Le api traggono grande vantaggio da queste melate
per la produzione di ingenti quantità di miele, spesso ricercate dal mercato. La produzione è tuttavia
condizionata dalla dinamica di popolazione di questi insetti e si ha produzione solo quando la densità di popolazione raggiunge valori molto elevati,
sempre che condizioni meteorologiche avverse
non ne compromettano completamente la produzione. Le melate vengono definite col nome della
pianta su cui gli insetti si nutrono (abete, acero,
larice, tiglio, ecc.).
LA SCHEDA
La Melata di metcalfa
(Metcalfa pruinosa Say)
Il miele di melata di metcalfa è una produzione
relativamente nuova per l’Italia, poiché questo
parassita, appartenente alla famiglia dei Flatidi,
fu introdotto accidentalmente in Italia solo nel
1979 per, poi, diffondersi rapidamente in tutta
la penisola. La melata viene raccolta dalle api in
un periodo che va da luglio a settembre. La lotta
contro questo parassita, che ha creato danni su
diverse coltivazioni, sta portando alla sua scomparsa in alcuni areali.
LA SCHEDA
La Melata di abete
Aspetto organolettici
La melata di abete è considerata tra le migliori
esistenti in Europa. In Italia si produce prevalentemente sull’Arco alpino e sull’Appennino
tosco-emiliano.
STATO FISICO: allo stato puro si mantiene liquido a lungo.
COLORE: da ambrato scuro a nero.
ODORE: abbastanza intenso, di frutta cotta,
passata di pomodoro.
SAPORE: non molto dolce.
AROMA: di media intensità, ricorda il sapore
delle melasse e della frutta essiccata.
Contrariamente ad altre melate, quella di metcalfa viene distinta per l’insetto che lo produce
anziché per la pianta. Ciò è dovuto alla polifagia
di M. pruinosa.
Per il suo gusto particolare, questo miele è particolarmente gradito dai consumatori del centro-europa, motivo per cui la maggior parte di
questo miele viene esportato in Germania.
Aspetto organolettici
STATO FISICO: liquido e molto viscoso.
COLORE: da ambrato scuro a quasi nero.
ODORE: balsamico, di resina.
SAPORE: non molto dolce.
AROMA: di caramello, di malto. Abbastanza
persistente.
Rispetto alla melata di metcalfa, quella di abete
è più aromatica e gradevole.
La melata di abete, per le sue caratteristiche, è
molto apprezzata dal consumatore ed ha un
elevato valore commerciale.
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Qualsiasi riproduzione, noleggio, prestito, utilizzo in rete, rappresentazione
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