ISSN: 2038-7296 POLIS Working Papers [Online] Istituto di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive – POLIS Institute of Public Policy and Public Choice – POLIS POLIS Working Papers n. 221 July 2015 Le direttive UE del 2014 in tema di appalti pubblici e concessioni Atti del convegno svolto il 23/03/2015 Piera Maria Vipiana and Matteo Timo UNIVERSITA’ DEL PIEMONTE ORIENTALE “Amedeo Avogadro” ALESSANDRIA Periodico mensile on-line "POLIS Working Papers" - Iscrizione n.591 del 12/05/2006 - Tribunale di Alessandria I LE DIRETTIVE UE DEL 2014 IN TEMA DI APPALTI PUBBLICI E CONCESSIONI Atti del convegno svoltosi il 23 marzo 2015 ad Alessandria, presso il Dipartimento di Giurisprudenza e Scienze Politiche, Economiche e Sociali dell'Università del Piemonte Orientale A cura di Piera Maria Vipiana Con il coordinamento di Matteo Timo I SOMMARIO PARTE PRIMA RELAZIONI RELAZIONE INRODUTTIVA (Piergiorgio Alberti) ............................................................................................................................... 3 ILRECEPIMENTO DELLE DIRETTIVE COME OCCASIONE PER LA RIFORMA DELLA NORMATIVA ITALIANA IN TEMA DI APPALTI PUBBLICI E CONCESSIONI (Piera Maria Vipiana) 1. 2. 3. 4. Premessa ................................................................................................................ I profili di criticità del panorama normativo italiano in tema di appalti pubblici e concessioni............................................................................................ Il recepimento delle direttive: brevi riflessioni ..................................................... La riforma in itinere: cenni ai problemi di fondo .................................................. 5 6 8 9 COMMENTO ALLA DIRETTIVA 2014/24/UE, RELATIVA AGLI APPALTI NEI SETTORI ORDINARI (Raffaello Gisondi) 1. 2. 3. 4. La Direttiva n. 24/2014 nel quadro della evoluzione degli obiettivi e dei compiti della UE .................................................................................................... Novità in tema di procedure di aggiudicazione: il nuovo ruolo delle procedure negoziate ............................................................................................... Novità relative ai criteri di aggiudicazione ........................................................... Principali novità in tema di cause di esclusione .................................................... 11 14 17 20 II COMMENTO ALLA DIRETTIVA 2014/25/UE, RELATIVA AGLI APPALTI NEI SETTORI SPECIALI (Roberto Invernizzi) 1. 2. 3. 4. 4.1. 4.2. 4.3. 4.4. 5. Generalità .............................................................................................................. Le prospettive del recepimento ............................................................................. Note sull’ambito soggettivo applicativo ................................................................ Profili di flessibilità delle procedure ex direttiva 2014/25/Ue rispetto alle regole ordinarie: tipologie di procedure di affidamento. ................................ In generale, sui criteri di aggiudicazione e sulle consultazioni preventive del mercato ............................................................................................................ Le procedure: il dialogo competitivo .................................................................... Le procedure. La procedura negoziata con previa indizione di gara: deficit di competitività nei settori speciali? .......................................................... I criteri di selezione ed esclusione dei concorrenti ................................................ Conclusioni ............................................................................................................ 25 29 30 32 32 33 34 38 38 COMMENTO ALLA DIRETTIVA 2014/23/UE, SULLE CONCESSIONI DI LAVORI E DI SERVIZI (Andrea Mozzati) 1. 2. 3. 4. 5. Introduzione ........................................................................................................... La perimetrazione della figura della concessione ................................................. La fase dell'evidenza pubblica nell'assegnazione della concessione ..................... L'incidenza dei principi concorrenziali anche nella fase esecutiva del rapporto concessorio .............................................................................................. Considerazioni finali ............................................................................................. 41 43 46 48 49 III SESSIONE POMERIDIANA IL PARTENARIATO PUBBLICO E PRIVATO (Mario Alberto Quaglia) ............................................................................................................................... 51 IL CAMPO DI APPLICAZIONE OGGETTIVO DELLE DIRETTIVE APPALTI, CON PARTICOLARE TIGUARDO ALLA NOZIONE DI APPALTO (Alberto Di Mario) ............................................................................................................................... 63 IN HOUSE PROVIDING, RINNOVI E PROROGHE (Giuseppe Franco Ferrari) …….. ..................................................................................................................... 73 CONCLUSIONI (Giuseppe Pericu) ............................................................................................................................... 87 IV PARTE SECONDA COMUNICAZIONI SOCIETÀ IN-HOUSE PROVIDING E GIURISDIZIONE DELLA CORTE DEI CONTI (Maria Pia Giracca) 1. 2. 3. 4. Considerazioni introduttive ................................................................................... L'orientamento della Corte di Cassazione sulla giurisdizione contabile in tema di “in-house” .......................................................................................................... La critica in dottrina. ............................................................................................. Considerazioni conclusive ..................................................................................... 95 98 101 103 RECENTI INDIRIZZI GIURISPRUDENZIALI IN TEMA DI APPALTI E CONCESSIONI. IN PARTICOLARE: LE INDICAZIONI DELL’ADUNANZA PLENARIA DEL CONSIGLIO DI STATO (Alessandro Paire) 1. 2. 3. 4. Premessa ................................................................................................................ La giurisprudenza dell’Adunanza Plenaria. Fattispecie (nuove ed antiche) di particolare interesse ............................................................................................... Segue ..................................................................................................................... Spunti conclusivi ................................................................................................... 107 108 114 118 LA SICUREZZA SUL LAVORO NEGLI APPALTI PUBBLICI CONSIDERAZIONI A SEGUITO DELLE DIRETTIVE UE DEL 2014 (Matteo Porricolo) 1. 2. 3. 4. 5. 6. I rapporti tra il Codice dei contratti pubblici e il Testo unico della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro .................................................................... Le principali responsabilità delle figure garanti .................................................... Il sistema sanzionatorio ......................................................................................... La sicurezza nelle fasi precedenti l’esecuzione. .................................................... Il dibattito giurisprudenziale sull’omessa indicazione degli oneri ........................ Conclusioni ............................................................................................................ 119 121 123 127 129 132 V LE CAUSE DI ESCLUSIONE FRA NORMATIVA NAZIONALE E RECEPIMENTO DELLA DIRETTIVA APPALTI 2014/24/UE (Matteo Timo) 1. 2. 3. Premessa ................................................................................................................ Cenni alla disciplina della Direttiva n. 2014/24/UE in materia di cause di esclusione .............................................................................................................. Aspetti problematici della normativa interna all’indomani del recepimento delle direttive europee del 2014 ............................................................................ 135 138 142 1 PARTE PRIMA RELAZIONI 3 RELAZIONE INTRODUTTIVA Piergiorgio Alberti (Università degli Studi di Genova) Un sentito ringraziamento, innanzitutto, alla prof. Piera Vipiana che ha organizzato il Convegno e che ci ha portato il saluto dell'Università che ci ospita. Per parte mia, non intendo sottrarre tempo ai relatori e mi limiterò, quindi, ad alcune, brevi considerazioni introduttive. Il nuovo pacchetto di direttive, pur fissando un insieme di regole comuni, consente ai Paesi dell'Unione di dotarsi di ulteriori strumenti volti, da un lato, a favorire una maggiore apertura alla concorrenza nel settore dei contratti pubblici e, dall'altro lato, a far sì che le amministrazioni aggiudicatrici dispongano di una maggiore flessibilità nell'utilizzo dei modelli più adeguati a soddisfare le proprie, specifiche esigenze. In effetti le nuove direttive, proprio per il fatto di attribuire a tali amministrazioni una notevole autonomia nella scelta delle procedure finalizzate all'affidamento degli appalti pubblici e delle concessioni, costituisce un approccio alla disciplina di settore assai diverso dal contesto normativo italiano, nel quale, mediante una regolamentazione molto puntuale, si è voluto limitare la discrezionalità delle stazioni appaltanti (soprattutto con l'intento di prevenire fenomeni di corruzione o di infiltrazioni criminali). Tuttavia, com'è noto, una siffatta regolamentazione ha prodotto notevoli incentivi al contenzioso, senza ottenere significativi risultati in termini di efficacia ed efficienza. Assai spesso, l'aggiudicazione e l'esecuzione dei contratti è stata rallentata da controversie originate dal presunto, mancato rispetto di questioni meramente formali che, frequentemente, non incidono sugli aspetti sostanziali dell'affidamento, con grave danno anche per la finanza pubblica. 4 L'orientamento del legislatore europeo, volto ad allargare e a privilegiare, in una qualche misura, nuove modalità per l'affidamento degli appalti — come la procedura competitiva con negoziazione (che affianca il dialogo competitivo) e i partenariati per l'innovazione — impone un cambio di passo anche al nostro legislatore. Le nuove direttive ritengono, infatti, che soprattutto negli appalti complessi e innovativi, le amministrazioni debbano disporre di procedure flessibili, da svolgere in più fasi, mediante un "dialogo" o una negoziazione con i concorrenti, così da individuare la soluzione e i mezzi più idonei a soddisfare, nel miglior modo possibile, le necessità delle amministrazioni stesse, ossia l'interesse pubblico. Il nostro ordinamento, finora "ingessato" al rispetto delle tradizionali procedure formali, deve quindi operare una profonda rimeditazione della fase dell'evidenza pubblica. In effetti, a fronte del rischio di essere chiamato a rispondere per danno erariale, il pubblico funzionario tenderà a privilegiare la scelta di una procedura concorsuale maggiormente rigida e formale — autolimitando, di fatto, il proprio spazio di apprezzamento discrezionale — piuttosto che modelli più efficienti, ma forieri di possibili ripercussioni in termini di responsabilità Com'è stato anche recentemente osservato1, la situazione potrebbe essere superata mediante l'introduzione di un sistema di incentivazione che consenta di "premiare" le scelte virtuose dei funzionari. Perché ciò possa avvenire, occorre al contempo riconsiderare la natura stessa dell a fase di formazione del contratto, non già come una semplice sequenza procedimentale volta all'erogazione di una spesa gravante sull'Erario, bensì come una vera e propria operazione commerciale, che necessita dell'utilizzo di schemi contrattuali più liberi, che prevedano anche ipotesi di negoziazione e rinegoziazione con il privato. Si tratta, in altri termini, dell'interessante tema della riferibilità all'Amministrazione della sfera dell'autonomia negoziale (intesa in senso civilistico) e del rapporto tra quest'ultima e l'evidenza pubblica (configurata, invece, in senso tradizionale, come rigida sequenza di atti amministrativi). Mi fermo qui. Invito, ora, i relatori della sessione mattutina a svolgere i loro interventi, cominciando dalla stessa prof. Vipiana. 1 V., in particolare: C. LACAVA, Le nuove procedure, la partecipazione e l'aggiudicazione, in Giorn. Dir. Amm., 12/2014, 1145; M. CAFAGNO, Flessibilità e negoziazione. Riflessioni sull'affidamento dei contratti complessi, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 2013, 1019 5 IL RECEPIMENTO DELLE DIRETTIVE COME OCCASIONE PER LA RIFORMA DELLA NORMATIVA ITALIANA IN TEMA DI APPALTI PUBBLICI E CONCESSIONI Piera Maria Vipiana (Università degli Studi del Piemonte Orientale) SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. I profili di criticità del panorama normativo italiano in tema di appalti pubblici e concessioni. – 3. Il recepimento delle direttive: brevi riflessioni. – 4. La riforma in itinere: cenni ai problemi di fondo. 1. Premessa Ringrazio il collega prof. Alberti per la densa introduzione, ricca di spunti interessanti per il prosieguo dei lavori di questa giornata, che si incentra sull’esame di tre recenti direttive europee: la direttiva 2014/23 sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, la direttiva 2014/24 sugli appalti pubblici (che abroga la direttiva 2004/18/CE) e la direttiva 2014/25 sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali (che abroga la direttiva 2004/17/CE). È un’iniziativa2 che vede coinvolti una serie di illustri relatori – ai quali sono molto grata, sia a titolo personale, sia a nome del Dipartimento –, noti proprio per le loro specifiche competenze in materia di diritto degli appalti pubblici: a seconda dei casi, si tratta di professori universitari che sono anche affermati avvocati, di magistrati amministrativi che hanno al loro attivo un’ampia produzione scientifica ed esperienze di docenza, nonché di avvocati amministrativisti che hanno pubblicato intensamente e hanno tenuto corsi anche a livello universitario. Il convegno è articolato, innanzi tutto, in tre relazioni che recano altrettanti commenti sui profili più salienti ed innovativi delle tre direttive citate. Seguiranno alcune relazioni che Rivolta sia agli studenti dei corsi in materie giuridiche dell’Università del Piemonte Orientale, sia al pubblico, ed in particolare agli avvocati. 2 6 prenderanno in esame aspetti particolarmente interessanti in materia, scelti per la loro rilevanza, senza alcuna pretesa di esaustività3: il partenariato pubblico privato; il campo di applicazione oggettivo delle direttive appalti, con particolare riguardo alla nozione di appalto; la disciplina del cosiddetto “in house providing”, nonché dei rinnovi e delle proroghe. In seguito sono previsti alcuni interventi programmati che, qualora non potessero svolgersi per ragioni di tempo, troveranno collocazione nella veste di comunicazioni nell’ambito della pubblicazione degli atti del convegno. La presidenza della sessione mattutina spetta al prof. Alberti, il quale ha anche introdotto la giornata, mentre al prof. Pericu sono riservate, oltre alla presidenza della sessione pomeridiana, le conclusioni. 2. I profili di criticità del panorama normativo italiano in tema di appalti pubblici e concessioni L'approvazione delle tre direttive in esame è intervenuta a fronte di un panorama normativo italiano che presenta forti criticità. In effetti, tale panorama risulta caratterizzato perlomeno da quattro fattori. Per un verso, la complessità, la scarsa chiarezza e, in taluni casi, la lacunosità di tale normativa. Massimo Severo Giannini descrisse la condizione legislativa dei lavori pubblici, alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, in termini di "enigmistica giuridica"4: in sostanza, ad un massimo di legislazione, affastellata sulla legge base del 1865, corrispondeva un massimo di inefficienza e di illegalità5. Non sembra affatto che, al momento, dopo decenni, la situazione sia migliorata: anzi, probabilmente si può riscontrare addirittura un peggioramento a livello di drafting normativo nel settore in considerazione. Per un altro verso, la normativa in materia di appalti e concessioni è caratterizzata in Italia da una formazione alluvionale, perché, nonostante l'esistenza di un articolato codice dei contratti pubblici che ha solo nove anni, continua ad interessare la materia una pletora di disposizioni continuamente introdotte in prevalenza da decreti legge, convertiti in legge 3 Visto il carattere innovativo delle direttive de quibus, che si evince dalla lettura di R. Caranta - D.D. Cosmin, La mini-rivoluzione del diritto europeo dei contratti pubblici, in Urbanistica e appalti, 2014, 5, 493 ss. 4 V. inoltre il Rapporto Giannini (Rapporto sui principali problemi della amministrazione dello Stato, trasmesso alle Camere dal Ministro per la funzione pubblica Massimo Severo Giannini il 16 novembre 1979), 3.6. 5 P. Mantini, Il dilemma di Sunstein ed il nuovo diritto europeo degli appalti, in www.giustamm.it. 7 sovente con modificazioni ed integrazioni rilevanti. Si pensi ai decreti legge 133/2014 (c.d. sblocca Italia), 90/2014 (Semplificazione delle pubbliche amministrazioni), 66/2014 (Spending review 3)6. Siffatta produzione normativa, che si connota altresì per essere fondata su una (più o meno evidente) urgenza, ha continuato ad aver luogo anche dopo l'avvento delle tre direttive in esame e sebbene la strada maestra da seguire in materia sia ormai quella del recepimento delle direttive e della riforma del disciplina di cui al codice dei contratti. Per un verso ulteriore, e conseguentemente, in materia si riscontra la formazione di un ampio contenzioso in sede giurisdizionale amministrativa. In effetti, come ha ricordato il Presidente del Consiglio di Stato Giovannini nella sua relazione alla cerimonia di inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2015 del Consiglio di Stato7, nell’anno 2014 si è avuto un consistente aumento dei ricorsi proposti dinanzi ai diversi organi della giustizia amministrativa, sia in primo grado dinanzi ai Tribunali amministrativi regionali, sia in grado di appello dinanzi al Consiglio di Stato, e tale aumento ha riguardato, in particolare, proprio la materia degli appalti. Non è solo il fenomeno quantitativo quello che interessa, ma anche quello qualitativo: fra l’altro, proprio in tale materia si nota, ogni anno, un elevato numero di pronunce dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, che non di rado incontrano l'interesse della dottrina. Per un altro verso ancora, il contenzioso dinanzi al giudice amministrativo, sebbene ampio, potrebbe esserlo ancora di più, se uno scoraggiamento non provenisse dalla normativa che rende molto oneroso l'accesso alla giustizia amministrativa in materia di appalti. Molto recentemente Franco Gaetano Scoca ha scritto: “la particolare severità dei costi economici, necessari ed eventuali, previsti per le controversie in materia di appalti pubblici” trova spiegazione soltanto alla stregua di una delle misure di politica giudiziaria, insieme alla riduzione dei termini per ricorrere e alla speciale disposizione sulla sinteticità degli atti processuali, in quanto dirette “a rendere più gravoso chiedere al giudice amministrativo di verificare la legittimità dei provvedimenti di aggiudicazione degli appalti”. Nella specie, ha L’approvazione e la pubblicazione della nuova direttiva comunitaria sugli appalti n°2014/24/UE, che dovrà essere recepita dagli Stati Membri dell’UE entro i prossimi due anni, costituisce una buona opportunità per una revisione globale del quadro normativo del settore dei lavori pubblici, oramai frammentato da una serie di interventi legislativi, con leggi omnibus, che hanno privato sia il codice dei contratti che il regolamento di attuazione della loro identità originaria (“Primo Contributo per la definizione di un nuovo quadro normativo per il settore dei lavori pubblici, in recepimento della direttiva n°2014/24/UE”. Documento condiviso dal Tavolo Tecnico “Lavori Pubblici” della RPT, nella seduta del 7 Gennaio 2015, in www.giustamm.it). 7 La relazione si può leggere, fra l’altro, sul sito www.giustizia-amministrativa.it. 6 8 ritenuto “miope (o di comodo)” la visione che intenda concentrare nella sola sede penale la verifica legittimità dei provvedimenti di aggiudicazione degli appalti, “perché non sempre la illegittima ed ingiusta aggiudicazione si colora di riflessi penali”8. Scoca ha pertanto criticato la disciplina attuale in materia di costi del processo amministrativo, ritenendo che essa costituisca un serio ostacolo all'accesso alla giustizia, con tutte le conseguenze che ne possono derivare sulla piano della legittimità costituzionale, comunitaria e internazionale9. 3. Il recepimento delle direttive: brevi riflessioni A proposito del recepimento delle direttive, il Consiglio dei Ministri del 29 agosto 2014, su proposta del Presidente e del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, ha approvato un disegno di legge delega al Governo per l’attuazione delle tre direttive attuandole in un sistema più ampio e variegato mediante la compilazione di un Codice dei contratti e delle concessioni pubbliche. Presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti è stata istituita una Commissione di studio sul recepimento delle direttive europee in esame10. Pertanto si è messa in moto la macchina per il recepimento delle direttive e, al contempo, per la riforma integrale della normativa in materia. Il disegno normativo di ampio respiro è stato già ultimato ed è divenuto operante in Gran Bretagna, con "The Public Contracts Regulations 2015", testo che include le disposizioni di recepimento della direttiva sui contratti pubblici (part 2 - rules implementing the public contracts directive). La rapidità dell'iter di approvazione del testo non è andato a detrimento della necessità di rispettare le istanze partecipative: tale iter, infatti, ha incluso le consultazioni di una pluralità di soggetti, che è avvenuta già sulla base dei progetti di direttiva. Ovviamente sarebbe interessante prendere in esame questo testo – potrebbe essere un'idea per giovani studiosi –, così come le altre normative di recepimento delle direttive, adottate da altri Stati. F. G. Scoca, Il “costo” del processo tra misura di efficienza e ostacolo all'accesso, in Dir. Proc. Amm., 2014, fasc. 4, 1414 ss., § 13. 9 Ibidem. 10 Successivamente al convegno dei quale si raccolgono gli atti in queste pagine, il Senato della Repubblica, il 18 giugno 2015, ha approvato il disegno di legge al quale si fa riferimento nel testo: la parola spetta quindi ora alla Camera dei Deputati. 8 9 In effetti, come è stato illustrato un recente saggio, l’idea di un diritto transnazionale amministrativo trova uno dei suoi terreni più fertili proprio nell’analisi del diritto dei contratti pubblici e degli accordi tra pubblico e privato11. Quindi l'esame delle tre direttive costituisce occasione per una profonda riforma della normativa italiana in tema di appalti pubblici e concessioni nell'ottica della globalizzazione in materia12. Dal punto di vista contenutistico le direttive de quibus presentano indubbiamente profili altamente innovativi, come le relazioni che seguiranno avranno modo di porre in evidenza. In particolare, Piergiorgio Alberti ci ha appena illustrato, in modo acuto ed esaustivo, che tali direttive prevedono, rispetto al quadro normativo precedente, una maggiore apertura alla concorrenza nel settore dei contratti pubblici ed una maggiore flessibilità, per le amministrazioni aggiudicatrici, nell'utilizzo dei modelli più adeguati a soddisfare le proprie esigenze specifiche. 4. La riforma in itinere: cenni ai problemi di fondo I problemi connessi con tale riforma, che trae spunto dalla necessità di attuare le direttive, sono vari. In questa sede non ne sarebbe possibile una trattazione puntuale, che presupporrebbe un’analisi compiuta di tutte le previsioni delle tre direttive: tuttavia qualche cenno sembra illustrabile. In primo luogo – ed in stretta correlazione con il tema del recepimento – si tratta di distinguere, nell'ambito delle direttive, le disposizioni cogenti e quelle non cogenti e decidere se procedere alla trasposizione anche di queste ultime. In secondo luogo, nel calibrare la disciplina italiana di prossima introduzione, occorre prendere posizione, ovviamente nell'ambito di quanto è consentito dalle direttive, tra un'alternativa di fondo: la normazione a maglie larghe, vale a dire che consenta un’ampia liberalizzazione delle forme e delle modalità di azione delle pubbliche amministrazioni (stazioni appaltanti), vincolandole però al rispetto di principi generali cogenti; oppure una 11 S. W. Schill, Transnational Legal Approaches to Administrative Law: Conceptualizing Public Contracts in Globalization, in Riv. Trim. Dir. pubbl., 2104, n. 1. 12 In tema cfr. V. H. Caroli Casavola, La globalizzazione dei contratti delle pubbliche amministrazioni, Milano, Giuffrè, 2012. 10 normazione a maglie strette, ossia rigida, che contempli procedure e moduli standardizzati e riduca la discrezionalità amministrativa13. A sua volta, l'affinamento normativo dovrebbe passare attraverso il coordinamento puntuale con normative connesse: fra l’altro, con la disciplina del codice del processo amministrativo relativa al rito in materia di appalti e, in primis, con quella in tema di prevenzione e contrasto della corruzione e con quella sulla trasparenza e sull'accesso. A quest'ultimo riguardo evidente è la stretta correlazione tra il modo in cui sono formulate le disposizioni in materia di appalti e la facilità di trovare il modo per realizzare fenomeni di corruzione o di maladministration in genere. Infine la normativa in tema di appalti e concessioni non può andar esente dalla considerazione di profili specifici o settoriali, da più punti di vista: o in base ai soggetti (ad esempio, gli enti locali) oppure per ambito oggettivo (si pensi al tema del Green Public Procurement o a quello delle attività portuali14). In proposito, sembra molto utile rileggere le considerazioni di P. Mantini, Il dilemma ..., cit.: "… ci sono due modi per realizzare la semplificazione normativa e amministrativa. Il primo modo è costituito da un’ampia liberalizzazione delle forme e delle modalità di azione delle pubbliche amministrazioni (stazioni appaltanti) che però sono vincolate al rispetto di principi generali cogenti (principio di efficienza e di efficacia, principio di imparzialità, principio di concorrenza, principio di trasparenza ecc.). Questo approccio, appena sommariamente descritto, presuppone un forte grado di competenza tecnica e di accountability delle stazioni appaltanti che sono, per usare un’espressione classica nel diritto amministrativo, più libere nei modi ma vincolate nei fini, godendo di una più ampia discrezionalità e di maggiori obblighi di risultato. Il secondo modo possibile è invece quello della più rigida normazione, attraverso procedure e moduli standardizzati, la riduzione del numero delle norme, lo sviluppo di modelli informatizzati a livello nazionale, con ciò riducendo la discrezionalità amministrativa e l’autonomia degli enti locali". 14 Con specifico riferimento alle direttive 23 e 25 v. S. M. Carbone - L. Schiano di Pepe, Competition, safety, security and environmental concerns in the emerging ports policy of the European Union, in Dir. commercio internaz., 2014, n. 4, 839 ss. e spec. 842 ss. 13 11 COMMENTO ALLA DIRETTIVA 2014/24/UE, RELATIVA AGLI APPALTI NEI SETTORI ORDINARI Raffaello Gisondi (T.A.R. Toscana) SOMMARIO: 1. La Direttiva n. 24/2014 nel quadro della evoluzione degli obiettivi e dei compiti della UE. - 2. Novità in tema di procedure di aggiudicazione: il nuovo ruolo delle procedure negoziate. - 3. Novità relative ai criteri di aggiudicazione. - 4. Principali novità in tema di cause di esclusione. 1. La Direttiva n. 24/2014 nel quadro della evoluzione degli obiettivi e dei compiti della UE Per comprendere meglio le novità apportate dalla nuova direttiva comunitaria sugli appalti ordinari di lavori, servizi e forniture dobbiamo farci una domanda: perché a distanza quasi di dieci anni dall’ultimo intervento normativo la UE ha emanato un nuovo pacchetto di direttive che innova profondamente la disciplina europea sulle procedure relative all’aggiudicazione delle commesse pubbliche? Nel 2004 l’Unione aveva compiuto un grosso sforzo di sistemazione ed organizzazione della materia unificando le discipline relative agli appalti di lavori di forniture e di servizi in un unico testo normativo e inquadrando i vari settori delle commesse pubbliche in una cornice di regole e principi unitari. 12 Si trattava, quindi, di un corpus normativo costruito per durare e che, invece, dopo un lasso di tempo relativamente breve è stato interamente abrogato e sostituito da un intervento altrettanto importante che si propone di apportare innovazioni profonde nel comparto delle procedure di affidamento. I motivi per cui la UE ha deciso di superare in toto il precedente assetto sono vari. Sicuramente v’è stata la volontà di dare veste normativa a temi di importantissimo rilievo dei quali, in precedenza, si era occupata la giurisprudenza della Corte di giustizia o la Commissione nei suoi documenti interpretativi. Si tratta di questioni spesso fondamentali al fine di stabilire il campo di applicazione delle procedure di affidamento come la precisazione della nozione di appalto, la rilevanza delle forme di cooperazione fra enti pubblici, gli affidamenti in house etc. Tuttavia, questa, pur importante, opera di aggiornamento normativo non spiega di per sé i più profondi elementi di novità delle nuove direttive il cui fondamento sta nell’esigenza di adeguare il settore degli appalti pubblici alle nuove strategie che la UE si è prefissa di perseguire. Sappiamo che lo scopo che ha caratterizzato la Comunità europea sin dalla sua nascita è stato quello della creazione di un mercato comune. Nel sistema degli appalti pubblici ciò ha comportato la elaborazione di regole volte ad assicurare a tutte le imprese appartenenti agli stati della UE la possibilità di concorrere su un piano di parità rispetto agli operatori nazionali nel conseguimento delle commesse pubbliche. Oggi, tuttavia, benché la creazione di un mercato unico costituisca ancora un obiettivo fondamentale della UE, non si può più affermare che esso esaurisca i compiti della Comunità europea in quanto la promozione della concorrenza deve coniugarsi con le esigenze di uno sviluppo sostenibile dal punto di vista ambiente e della crescita economica ed occupazionale (art. 3 del Trattato istitutivo). Le finalità di crescita economica ed occupazionale, in particolare, hanno assunto un ruolo strategico con la crisi economica che ha colpito molti degli Stati europei e si è riverberata anche sulla tenuta complessiva della UE minandone la stabilità monetaria. In quest’ottica la Commissione ha messo a punto nel 2010 un programma decennale per la crescita e l’occupazione – la cosiddetta “Strategia Europa 2020” – che mira a promuovere una crescita intelligente, sostenibile dal punto di vista ambientale e solidale in quanto volta a anche al raggiungimento di obiettivi di carattere sociale. 13 Gli obiettivi della Strategia Europa 2020, in particolare, riguardano l’occupazione, l’aumento degli investimenti in ricerca e sviluppo, riduzione delle emissioni di gas serra, aumento della soddisfazione di bisogni energetici attraverso le fonti rinnovabili, i risparmi energetici da conseguirsi attraverso un aumento dell’efficienza energetica dei prodotti, lotta alla povertà all’emarginazione e contrasto al fenomeno dell’abbandono scolastico. Le nuove direttive si inseriscono a pieno titolo nell’ambito di tale programma. Gran parte dei contenuti innovativi che le caratterizzano risultano, infatti, ispirati ad una visione che concepisce le procedure di selezione dei contraenti non più solo come strumenti di trasparenza volti alla creazione del mercato unico ma anche come leva per la crescita economica e un uso più efficiente delle risorse pubbliche. Grande attenzione è stata data al rapporto fra spesa e risultati. Uno dei problemi che la Commissione ha riscontrato sulla scorta delle consultazioni effettuate è, infatti, quello delle inefficienze provocate dalla eccessiva rigidità delle procedure di gara che non consentirebbero alle amministrazioni di modulare il processo di scelta del contraente in modo da ottenere il prodotto più confacente alle proprie esigenze e migliore sotto il rapporto qualità prezzo. Di qui la scelta di rendere più flessibili procedure e criteri di selezione del contraente attribuendo alle amministrazioni aggiudicatrici maggiori poteri di negoziazione e di modulazione dei criteri di aggiudicazione. Le procedure negoziali tendono, così, a divenire moduli ordinari di scelta del contraente tutte le volte che la stazione appaltante non possa o non voglia definire a priori le caratteristiche del prodotto che intende acquistare ed intenda avvalersi a tale scopo degli apporti che il mercato può fornirgli. Con riguardo ai criteri di aggiudicazione la direttiva guarda con sfavore al criterio finanziario del prezzo più basso (che, anzi, nominalmente è stato eliminato) e tende a sostituirlo con quello economico del costo che tiene conto degli oneri economici che deve sostenere l’amministrazione per mantenere e per smaltire un determinato prodotto durante il suo ciclo di vita. Sono stati, inoltre, introdotti nell’ambito dei parametri di scelta della offerta economicamente più vantaggiosa criteri che consentono di valorizzare non solo l’interesse specifico dell’amministrazione ma anche i costi ed i benefici sociali che possono derivare dalla preferenza accordata ad un certo prodotto, tenuto conto non solo delle sue caratteristiche 14 oggettive ma anche del suo processo produttivo (possono, ad, esempio, essere privilegiati certi processi produttivi per il fatto che comportino l’impiego di soggetti appartenenti a categorie disagiate). Si tratta di un’impostazione molto innovativa rispetto a quella che caratterizzava gli esordi di queste procedure. Altro capitolo importante della direttiva, importantissimo nel nostro Paese, è l’attenzione che è stata data a quei fenomeni anticoncorrenziali che non sono correlati alle irregolarità formali o procedurali, ma a comportamenti scorretti che operano, di regola, sotto traccia: conflitti di interesse, cartelli fra le imprese offerenti, fino ad arrivare a veri e propri comportamenti di carattere corruttivo. Si tratta di patologie che non sono correlati con il carattere formale che, muovendo da un approccio amministrativistico, siamo abituati ad attribuire al procedimento di evidenza pubblica, ma non per questo meno idonei a falsare il gioco della concorrenza. L’Unione si è data carico di affrontare, anche se non sempre in modo efficace, questa tipologia di problematiche introducendo nuove cause di esclusione e prevedendo, in determinate ipotesi, anche la possibilità dell’amministrazione aggiudicatrice di risolvere contratti che si si siano formati sotto l’influenza di questo genere di fenomeni. Nel prosieguo della relazione verranno approfonditi i temi cui si è sopra accennato con particolare riferimento alle procedure ed ai criteri di aggiudicazione ed alle cause di esclusione. 2. Novità in tema di procedure di aggiudicazione: il nuovo ruolo delle procedure negoziate La direttiva amplia sia la tipologia delle procedure negoziate sia le ipotesi in cui le amministrazioni possono avvalersene. Tale scelta si pone in controtendenza rispetto alla preferenza accordata in passato alle procedure aperte e ristrette che, riducendo gli ambiti di discrezionalità della p.a. nelle selezione dell’offerta, venivano considerate più rispondenti ai principi di imparzialità e trasparenza. 15 Per il vero già la direttiva n. 18 del 2004 aveva affiancato alle classiche procedure negoziate con bando e senza bando quella del dialogo competitivo. Tale procedura (simile al nostro “vecchio” appalto concorso) derogava al principio della separazione fra la fase di progettazione (dove si determina l’oggetto del contratto sotto il profilo tecnico) e quella della gara, consentendo e alle amministrazioni di rivolgersi direttamente al mercato non solo per acquisire offerte relative ad un prodotto già compiutamente individuato ma anche per elaborare, attraverso un dialogo con soggetti particolarmente qualificati, la soluzione progettuale più conforme alle proprie esigenze. Il Codice dei contratti aveva precisato i presupposti per ricorrere a tale procedura circoscrivendone l’esperimento ad appalti di elevatissima complessità, per i quali l’apporto creativo e progettuale dei concorrenti risultava indispensabile fin dalla fase ideativa dell’intervento ed aveva imposto alla p.a. l’onere di dar conto della sussistenza di tali circostanze nella motivazione della determina o delibera a contrarre. Il dialogo competitivo restava, quindi, una procedura negoziata esperibile in casi limitati e non metteva in discussione il primato delle procedure aperte e ristrette rispetto a quelle negoziate. La nuova direttiva erige lo schema di fondo che stava alla base del dialogo competitivo a modello generale delle procedure negoziate con bando. Tale modello si articola ora nei tre schemi procedurali del dialogo competitivo (art. 30), della procedura competitiva con negoziazione (art. 29) e del partenariato per l’innovazione (art. 31) i quali hanno come comune denominatore quello la collaborazione partecipata fra p.a. e privati nella definizione delle caratteristiche dell’offerta. Il ricorso a queste procedure negoziate è reso possibile dalla direttiva non solo nei casi in cui le caratteristiche oggettive delle prestazioni o dei prodotti richiesti non consentano all’amministrazione di definirne compiutamente l’oggetto (ad. es. prestazioni intellettuali, operazioni giuridico finanziarie complesse, progetti, innovativi etc.) ma anche nelle ipotesi in cui essa non abbia soluzioni immediatamente disponibili per soddisfare le proprie esigenze (art. 26). Quando la conoscenza tecnica del prodotto è particolarmente bassa la procedura più indicata sarà allora il dialogo competitivo (art. 30) il cui esperimento presuppone solo l’indicazione delle esigenze da soddisfare, di certi requisiti minimi e dei criteri di aggiudicazione. 16 Quando, invece, vi è un livello di conoscenza superiore ma non tale da definire tutte le specifiche del prodotto lo strumento sarà quello della procedura competitiva con negoziazione (art. 32) che presuppone un indicazione delle caratteristiche richieste delle forniture, dei servizi e dei lavori da appaltare. Nei casi in cui si tratti di acquisire prodotti innovativi che non sono ordinariamente reperibili sul mercato la procedura negoziata assumerà le forme del partenariato per l’innovazione (art. 31). Le novità rispetto al passato stanno, quindi, nello stesso modo di concepire la procedura negoziata che viene considerata come una forma di confronto partenariale plurimo finalizzato a definire il contenuto dell’offerta, nonché nel fatto che il ricorso alle procedure negoziate non sembra più essere limitato ad ipotesi tassative ed eccezionali ma viene a dipendere da una scelta ampiamente discrezionale della p.a. in ordine alla definizione delle caratteristiche tecniche del prodotto da acquistare prima della gara o attraverso la gara stessa. All’ampliarsi degli spazi applicativi delle procedure negoziate corrisponde una loro più specifica disciplina finalizzata a garantire la realizzazione dei principi di pubblicità, trasparenza e parità di trattamento. Innanzitutto risulta sempre necessaria la pubblicazione di un bando. La procedura risulta poi articolata in tre fasi: 1) prequalifica; 2) la negoziazione; 3) fase della gara nella quale avviene la selezione dell’offerta migliore. Di queste tre fasi la più complessa è sicuramente la seconda perché è quella che prevede un confronto diretto fra amministrazione ed imprese non basato su regole prestabilite. La direttiva prevede che la flessibilità che connota questa fase debba essere controbilanciata da obblighi di trasparenza quali: - assicurare a tutti i partecipanti la conoscenza delle informazioni necessarie a precisare le condizioni della propria offerta via via che l’amministrazione nel corso della procedura si forma un’idea più precisa di ciò che intende acquisire o come quello; - attenersi ai criteri previsti dal bando nelle eventuale riduzione del numero delle imprese ammesse a continuare la negoziazione nel corso della procedura. Sono facilmente intuibili i problemi applicativi di queste disposizioni. La stessa Commissione UE dimostra di esserne consapevole affermando nel Libro verde del 2011 che i possibili vantaggi derivanti da una maggiore flessibilità e dalla potenziale semplificazione devono essere ponderati con i maggiori rischi di favoritismi e, più 17 in generale, di decisioni eccessivamente soggettive derivanti dalla più ampia discrezionalità di cui godono le amministrazioni aggiudicatrici nella procedura negoziata. I problemi paventati dalla Commissiono sono particolarmente acuiti nella situazione italiana caratterizzata da un pericolo sempre incombente di corruzione e da una non sempre adeguata preparazione (soprattutto economica) dei funzionari che conducono le procedure. Il fatto che il progetto venga via via elaborato in sede di gara attraverso il confronto con gli operatori richiede, infatti, la capacità di assumere in quella sede decisioni di altissima competenza tecnica che fino ad oggi sono state compiute nella fase di progettazione. In difetto di un adeguato controllo sulle scelte progettuali che i nuovi modelli di procedura negoziata comportano vi è il rischio di accettare soluzioni che potrebbero poi comportare costi imprevisti o necessità di varianti nel corso della fase di esecuzione15. Tuttavia, senza adeguate professionalità sarà molto difficile per le amministrazioni valutare tutte le implicazioni delle soluzioni progettuali proposte e non è detto che il confronto fra una pluralità di soluzioni sia sufficiente a scongiurare i rischi connessi con questa impostazione. A ciò si aggiunga che in non pochi casi (specie ove si tratti di appalti di lavori) lo svolgimento della fase negoziata della gara secondo i dettami della direttiva comporterà anche la necessità di effettuare durante il corso della stessa scelte che esulano le competenze strettamente tecniche demandate alla commissione in quanto comportanti una valutazione di rispondenza al pubblico interesse di una delle soluzioni progettuali proposte nel corso del negoziato; scelte che dovranno essere demandate agli organi di indirizzo politico16. 3. Novità relative ai criteri di aggiudicazione Molte sono le novità introdotte dalla direttiva anche sotto questo fondamentale aspetto delle procedure di gara. Il precedente sistema basato sui due criteri della offerta economicamente più vantaggiosa e il prezzo più basso viene superato. 15 Le note vicende relative al ricorso da parte di certe amministrazioni locali ai contratti derivati di swap per ristrutturare i propri debiti dovrebbero costituire un monito da tenere in attenta considerazione. 16 Come già la giurisprudenza ha affermato a proposito della procedura di project financinng (TAR Sardegna, 1783/2008). 18 Il criterio unico ora è quello della offerta economicamente più vantaggiosa la quale, tuttavia, può assumere diverse configurazioni. Il criterio della offerta economicamente più vantaggiosa può, infatti, articolarsi in tre modi: a) può basarsi sul criterio del prezzo; b) su quello del costo; c) oppure nella combinazione di uno dei due suddetti criteri con la valutazione di aspetti qualitativi (rapporto qualità/prezzo). Combinazione che può anche risolversi nell’apprezzamento dei soli aspetti qualitativi a prezzo o costo fissi. Il criterio del prezzo più basso, quindi, non scompare ma costituisce una delle modalità in cui può articolarsi l’offerta economicamente più vantaggiosa, salva la possibilità per gli stati membri di vietare l’utilizzo del prezzo o del costo come unici criteri di aggiudicazione o di limitarne l’uso a determinate categorie di amministrazioni aggiudicatrici o a determinati tipi di appalto. La direttiva dedica una particolare attenzione al criterio del costo. Tale criterio, in particolare, tiene conto non solo dell’esborso finanziario che la p.a. deve effettuare per acquistare il prodotto ma dei costi di utilizzo che esso comporta nel corso di tutto il suo ciclo di vita come quelli di manutenzione, di trasporto, di funzionamento (consumi di energia), di smaltimento (una volta esaurito il ciclo). Fra i costi da computare nella valutazione di convenienza vi sono anche quelli riferibili alle cd. “esternalità ambientali” (come le emissioni di gas effetto serra) a condizione, però, che sussistano sistemi oggettivi e riconosciuti per determinare il loro valore monetario (parrebbe che a livello europeo una metodologia approvata per la quantificazione dei suddetti costi riguardi solo i veicoli a motore). Ancor più innovativi sono poi gli aspetti concernenti la valutazione dei profili qualitativi dell’offerta. Le novità al riguardo sono essenzialmente tre. La prima consiste nella valorizzazione delle caratteristiche “sociali” e “ambientali” dell’offerta. Viene quindi superato il concetto di convenienza puramente economica potendo la p.a. dare la prevalenza anche ad offerte che, benché più costose, realizzino obiettivi di carattere 19 sociale Questo in coerenza con le finalità della direttiva di valorizzare il mercato delle commesse pubbliche anche in una chiave sociale ed ecologica. Correlata alla prima è anche la seconda novità in tema di offerta economicamente più vantaggiosa che consiste nella possibilità di apprezzare anche profili che non attengono alla prestazione che costituisce l’oggetto dell’appalto. Il collegamento con l’oggetto dell’appalto può, infatti, non essere immediato e diretto e riguardare anche il processo produttivo, soprattutto ove ciò si leghi a criteri di valutazione di carattere sociale. Il considerando n. 99 della Direttiva afferma in proposito che “possono essere oggetto dei criteri di aggiudicazione o delle condizioni di esecuzione dell’appalto anche misure intese alla tutela della salute del personale coinvolto nei processi produttivi, alla promozione dell’integrazione sociale di persone svantaggiate o di membri di gruppi vulnerabili nel personale incaricato dell’esecuzione dell’appalto o alla formazione riguardante le competenze richieste per l’appalto, purché riguardino i lavori, le forniture o i servizi oggetto dell’appalto”. “Tali criteri o condizioni potrebbero riferirsi, tra l’altro, all’assunzione di disoccupati di lunga durata, all’attuazione di azioni di formazione per disoccupati o giovani nel corso dell’esecuzione dell’appalto da aggiudicare. Nelle specifiche tecniche le amministrazioni aggiudicatrici possono prevedere requisiti di natura sociale che caratterizzano direttamente il prodotto o servizio in questione, quali l’accessibilità per persone con disabilità o la progettazione adeguata per tutti gli utenti”. Nel considerando n. 97 si legge che i criteri e le condizioni riguardanti tale processo di produzione o fornitura possono ad esempio consistere nel fatto che la fabbricazione dei prodotti acquistati non comporti l’uso di sostanze tossiche o che i servizi acquistati siano forniti usando macchine efficienti dal punto di vista energetico. Vi rientrano anche criteri di aggiudicazione o condizioni di esecuzione dell’appalto riguardanti la fornitura o l’utilizzazione di prodotti del commercio equo nel corso dell’esecuzione dell’appalto. Il collegamento dei criteri di valutazione dell’offerta con l’oggetto dell’appalto rappresenta, quindi, un limite blando che vale solo ad escludere dall’ambito della procedura di aggiudicazione la valutazione di criteri e condizioni riguardanti la politica generale dell’impresa nella misura in cui essa non interessi il processo specifico di produzione del bene acquisito. 20 La terza novità in tema di criteri di aggiudicazione consiste nel superamento della regola relativa alla distinzione fra requisiti di qualificazione e criteri di valutazione delle offerte che la giurisprudenza della stessa Corte di giustizia aveva introdotto. I requisiti soggettivi dell’operatore economico che partecipi alla gara, come l’organizzazione e l’esperienza professionale del personale incaricato di eseguire l’appalto, possono ora giocare non solo come elementi qualificazione dei contraenti idonei ma anche come elementi da valutare nell’ambito degli aspetti qualitativi dell’offerta. 4. Principali novità in tema di cause di esclusione La direttiva prevede un ampliamento delle ipotesi che costituiscono cause di esclusione sia facoltative che obbligatorie dalle procedure. Fra le ipotesi di esclusione obbligatoria sono ora incluse anche le condanne definitive per reati di terrorismo e lavoro minorile. Molto più rilevanti sono, però, le novità che riguardano le esclusioni facoltative. Fra queste viene inclusa l’ipotesi in cui la impresa offerente non abbia osservato le normative ambientali e sociali inerenti l’esecuzione dell’appalto. Questo in coerenza con l’impronta ambientale e sociale che la direttiva ha inteso attribuire alla disciplina comunitaria delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici. Occorre sottolineare che la direttiva non considera necessario che la condotta dell’impresa sia prevista come fattispecie di reato e che lo stesso debba essere accertato da una sentenza del giudice penale. Dico questo perché nel nostro ordinamento interno le cause che determinano il venir meno della moralità professionale dell’impresa corrispondono ad ipotesi delittuose penalmente accertate. Tali ipotesi possono comprendere sicuramente la violazione di normative ambientali e sociali (ad es. sicurezza sul lavoro) ma ciò avviene solo se si tratta di violazioni penalmente sanzionate rispetto alle quali sia intervenuta una sentenza. La direttiva 24/2014 ritiene, invece, rilevante solo l’interesse protetto dalla norma (ambiente, protezione sociale di alcune categorie) e non richiede, quindi, la configurazione penalistica della condotta (l’esclusione del resto non è una sanzione accessoria ma un mezzo di tutela dell’interesse pubblico). 21 Dovrebbe, quindi, essere sufficiente ad integrare la causa di esclusione anche la commissione di un illecito amministrativo (che presumibilmente dovrà risultare accertato con provvedimento divenuto inoppugnabile). A questo proposito occorre sottolineare come sia nella direttiva sia nel nostro ordinamento interno manca l’indicazione dei mezzi di pubblicità con cui la irrogazione delle predette sanzioni dovrebbe essere resa nota alle stazioni appaltanti. L’art. 60 comma 2 della direttiva prevede che le stazioni appaltanti al fine di provare la regolarità contributiva, previdenziale e l’assenza di procedure concorsuali, debbano considerare sufficiente la produzione di certificati rilasciati da autorità pubbliche ove ciò sia previsto dalle legislazioni degli stati membri. Nulla, però, è detto sui mezzi con cui possono essere accertate le violazioni amministrative diverse da quelle anzidette (norme, ambientali, sociali, antitrust etc.). Per rendere effettivo il sistema occorrerebbe, quindi, prevedere nella normativa di recepimento l’obbligo delle amministrazioni che irrogano le sanzioni per le violazioni costituenti cause di esclusione di effettuare la comunicazione alla autorità anticorruzione ai fini dell’inserimento nella bancata dati nazionale dei contratti pubblici (AVCPass) prevista dall’art. 6 bis del D.Lgs 163/2006. In difetto di tale previsione le dichiarazioni effettuate dalle imprese di non essere incorse in violazione di obblighi attinenti la legislazione ambientale, sociale o del lavoro, difficilmente potranno essere verificabili al di fuori dei casi in cui la normativa abbia un rilievo penalistico e vi sia stata sentenza di condanna annotata sul casellario giudiziario (ciò potrà avvenire solo episodicamente). Fra le cause di esclusione facoltative la direttiva include situazioni obiettive di incompatibilità o ipotesi di comportamenti fraudolenti che potrebbero falsare il risultato della procedura quali, ad esempio, il conflitto di interessi in cui si trova un amministratore o un funzionario pubblico rispetto all’impresa partecipante, l’aver prestato una consulenza relativa all’oggetto dell’appalto, il tentativo di influenzare indebitamente il procedimento decisionale dell’amministrazione aggiudicatrice o di ottenere informazioni confidenziali, gli accordi fra operatori tesi a falsare la concorrenza (partecipazioni pilotate dirette ad influenzare le medie, spartizioni del mercato etc.). 22 Il riconoscimento che il meccanismo della concorrenza può essere falsato non solo dalla mancata osservanza delle procedure ma anche da comportamenti o situazioni non emergenti alla luce del sole è sicuramente un fatto positivo. L’impressione è, tuttavia, che la UE abbia preso coscienza del problema ma non sia riuscita ad elaborare rimedi sufficientemente efficaci. Non solo per la generosità con cui la direttiva ammette, in alcuni di questi casi, soluzioni alternative alla esclusione ma anche e soprattutto perché conflitti di interessi, collusioni e comportamenti scorretti (fino alla vera e propria corruzione) emergono solitamente in un momento successivo alla aggiudicazione a seguito di indagini di autorità penali o amministrative. L’esclusione dalla gara non appare quindi una misura sufficiente a contrastare la portata anticoncorrenziale di tali comportamenti, essendo necessari strumenti che intervengano nella fase successiva alla stipulazione del contratto. Su questo tema, tuttavia, si riscontrano gravi lacune sia nella stessa direttiva che nel nostro diritto interno. La disciplina della risoluzione contenuta nella lettera b) del comma 1 dell’art. 73 della direttiva appare, infatti, troppo timida nella parte in cui prevede che l’amministrazione possa disporre la risoluzione del contratto solo in caso di successiva scoperta circa la sussistenza di cause obbligatorie di esclusione non rilevate in corso di gara. Si tratta di una disciplina del tutto insufficiente perché non copre i casi in cui si scopra ex post che l’aggiudicazione è stata falsata da corruzione o altri comportamenti collusivi o fraudolenti accertati successivamente (anche se la direttiva spazio alla adozione di soluzioni più rigorose da parte dei singoli Stati che, specialmente nel caso italiano, appaiono assai auspicabili). Vero è che, in tali, ipotesi l’amministrazione potrebbe fare ricorso all’autotutela, tuttavia, l’incoercibilità della procedura di annullamento d’ufficio lascia scoperto il problema di quali possano essere gli strumenti di tutela delle posizioni soggettive lese dai comportamenti scorretti (corruzione, accordi anti concorrenziali, conflitto di interessi etc.) non conosciuti né conoscibili al momento della aggiudicazione (problema che, come evidente, non viene risolto dalla sanzione del commissariamento dell’impresa che il legislatore interno ha introdotto a seguito delle note vicende dell’Expo di Milano). 23 Altro aspetto da sottolineare e la flessibilità che la direttiva attribuisce alla disciplina delle cause di esclusione la quale che si traduce soprattutto nella possibilità concessa all’impresa di sanare la situazione che dovrebbe dar luogo ad esclusione adottando apposite misure. Il secondo paragrafo del comma 6 dell’art. 57 della direttiva prevede che tali misure debbano consistere: - nel risarcimento o dell’impegno a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall’illecito; - nell’aver chiarito i fatti e le circostanze in modo globale collaborando attivamente con le autorità investigative - nell’aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti (il considerando n. 102 parla, in proposito, di rottura di tutti i rapporti con le persone o con le organizzazioni coinvolte nel comportamento scorretto, in misure adeguate per la riorganizzazione del personale, nell’attuazione di sistemi di rendicontazione e controllo, nella creazione di una struttura di audit interno per verificare la conformità e nell’adozione di norme interne di responsabilità e di risarcimento). La direttiva non chiarisce se tali misure siano cumulative o anche solo una di esse possa essere sufficiente a ripristinare l’affidabilità dell’offerente. E’ dubbio, tuttavia, che si possa prescindere dal risarcimento del danno atteso che tale misura serve ad eliminare l’indebito vantaggio che l’impresa ha conseguito attraverso il mancato rispetto delle normative ambientali e sociali. Di nuovo la applicazione della direttiva chiama in causa il problema dell’elevato tasso di discrezionalità che viene attribuito alle stazioni appaltanti anche in situazioni delicatissime come quelle di condanna per corruzione o per reati di tipo mafioso. Sotto questo profilo, al fine di evitare inaccettabili disparità di trattamento, dovrebbe essere tenuto in attenta considerazione il suggerimento contenuto nel considerando 102 di demandare ad autorità diverse dalla stazione appaltante siffatto ordine di valutazioni. Altra novità di rilievo che la direttiva prevede a proposito delle cause di esclusione è la disciplina del periodo della loro durata (art. 57 paragrafo 7) la cui determinazione è demandata alle legislazioni nazionali. 24 Il comma 7 prevede, però, che se il periodo di esclusione non è stato fissato con sentenza definitiva, non può superare i cinque anni dalla data della condanna con sentenza definitiva nei casi di esclusioni obbligatorie e i tre anni dalla data del fatto in questione nei casi di esclusioni facoltative. Si tratta di una disciplina che, come è stato osservato dai primi commentatori, appare incongrua in quanto consente di reimmettere l’impresa nel mercato delle commesse pubbliche anche nel caso in cui la condanna penale abbia una durata superiore a cinque anni e nel momento della offerta sia ancora in corso. 25 COMMENTO ALLA DIRETTIVA 2014/25/UE RELATIVA AGLI APPALTI NEI SETTORI SPECIALI Roberto Invernizzi (Foro di Lecco) SOMMARIO: 1. Generalità. – 2. Le prospettive del recepimento. – 3. Note sull’ambito soggettivo applicativo. – 4. Profili di flessibilità delle procedure ex direttiva 2014/25/Ue rispetto alle regole ordinarie: tipologie di procedure di affidamento. – 4.1 In generale, sui criteri di aggiudicazione e sulle consultazioni preventive del mercato. – 4.2 Le procedure: il dialogo competitivo. – 4.3 Le procedure. La procedura negoziata con previa indizione di gara: deficit di competitività nei settori speciali? – 4.4 I criteri di selezione ed esclusione dei concorrenti. – 5. Conclusioni. 1. Generalità Primo commento alla direttiva 2014/25/Ue che si impone è quello del rilievo della sua stessa esistenza. In sede di varo delle direttive 2014/17/Ce e 2004/18/Ce fu infatti prospettata la possibilità che in sede di loro successiva revisione fosse cassata la distinzione di regole fra appalti nei settori ordinari e in quelli speciali, a favore se non dell’identità totale di regole, quanto meno a favore di una direttiva organica imperniata su di un ceppo di regole comuni e con un limitato insieme di regole specifiche per i settori speciali. Questa notazione che si impone all’evidenza nella lettura comparata dei testi delle direttive 2014/24/Ue e 2014/25/Ue detta, per inciso, l’impostazione di questa esposizione, che 26 muoverà dalla verifica della giustificazione – pur con sempre più forte consonanza di regole – della permanente distinzione formale fra le discipline dei due settori, per passare alla ratio della necessità di una disciplina degli appalti nei contratti speciali, alla valutazione su come gli elementi rivenienti dalla direttiva 2014/25/Ue si prospettino ai fini del suo recepimento, alla valutazione di alcuni profili di distinzione fra le discipline ordinaria e speciale. L’opzione formale è restata quella della separazione in due testi normativi distinti (direttive 2014/24/Ue e 2014/25/Ue). Nella sostanza le due direttive accentuano le convergenze di disciplina, proseguendo con coerenza il trend di progressivo avvicinamento delle discipline già segnato dalle direttive 2004/17/Ce e 2004/18/Ce, da ultimo, e dalle direttive 1992/50/Cee, 1993/36/Ce, 1993/37/Ce, da un lato, e 1993/38/Ce, dall’altro. La distinzione formale predetta non consente ancora di reputare chiusa la marcia partita all’epoca in cui l’affidamento di determinati appalti era tout-court sottratta alle regole concorrenziali di matrice comunitaria, passata per l’avvento dell’era dei c.d. settori esclusi (in concreto, a dispetto della dicitura ora detta, inclusi nel perimetro degli appalti regolati da norme comunitarie), sino all’odierna età dei settori speciali. Le ragioni variamente addotte in origine per la sottrazione degli appalti (esclusi) dei soggetti aggiudicatori operanti in determinati settori alle regole comunitarie della concorrenza, e indi per l’applicazione attenuata di esse, sono state varie: da vere o presunte ragioni di peculiarità tecnologica dei beni e servizi da acquisire, alla pertinenza di quegli appalti alle aree dei servizi di interesse generale; dai condizionamenti derivanti sui soggetti assegnanti – formalmente pubblici o privati – dalle regole del diritto pubblico, al fatto che quei settori sono stati storicamente pionieri nell’esperienza di partenariati (quando ancora non si chiamavano così) pubblico-privati con impieghi di capitali misti; dall’esistenza di particolari esigenze regolatorie sui mercati di riferimento, all’esistenza di politiche marcatamente diverse entro i diversi Stati membri. E così via. Ma questi settori sono effettivamente ancora “speciali”? Un abbozzo di risposta si dà a due livelli: uno di tipo materiale e l’altro di tipo normativo, direttamente facente capo, come si vedrà, alla direttiva 2014/25/Ue. Vediamo il dato materiale. Uno studio commissionato dalla Commissione dell’Unione europea nel 201117 evidenzia alcuni dati significativi: 17 PWC Public Procurement in Europe – Cost and effectiveness, 2011. 27 a. gli affidamenti ai sensi della direttiva settori speciali (allora la 2004/17/Ce) rappresentavano per numero il 10% di tutti quelli affidati in base alle due direttive 2004/17/Ce e 2004/18/Ce; b. in termini di valore percentuale rispetto al complesso degli affidamenti effettuati tramite le due direttive, quelli ex direttiva 2004/17/Ce erano però il 17% del totale; c. il valore medio dell’affidamento ex direttiva 2004/17/Ce era di 5,9 milioni di €, contro i 2,8 milioni di € del contratto medio ex direttiva 2004/18/Ce. Può riflettersi sul fatto che queste distinzioni sono state in parte frutto della stessa disciplina diversa (direttive 2004/17/Ce e 2004/18/Ce) per i due ambiti. Ma è indubbio che il dato materiale additi a una situazione per alcuni versi di tangibile differenza per i due contesti, tale da non fare di per sé reputare irragionevole una persistente, per quanto assottigliata, differenza di disciplina fra le due specie di affidamenti. Non sembra estranea a questi dati sostanziali di fondo la motivazione formale della direttiva 2014/25/Ue espressa dal suo considerando (1), in base al quale l’analisi dell’impatto applicativo delle direttive precedenti dimostra “opportuno mantenere norme riguardanti gli appalti degli enti erogatori di acqua e di energia e degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali, in quanto le autorità nazionali continuano a essere in grado di influenzare il comportamento di questi enti, anche attraverso la partecipazione al loro capitale sociale o l’inserimento di propri rappresentanti nei loro organi amministrativi, direttivi o di vigilanza.”, anche considerato che “Un ulteriore motivo che spinge a continuare a regolare normativamente gli appalti pubblici in questi settori è costituito dalla natura chiusa dei mercati in cui agiscono gli enti in tali settori, data l’esistenza di diritti speciali o esclusivi concessi dagli Stati membri in materia di alimentazione, fornitura o gestione delle reti per erogare il servizio pertinente.”. In altri termini, la permanente necessità di un insieme di regole (speciali) che assicuri la competitività degli affidamenti nei settori speciali dipende dal fatto che per quanto per lo più costituiti in forma privatistica gli appaltanti operano tuttora sotto pesante controllo e influenza pubblica (con spendita, perciò, in linea di principio di quella che resta una risorsa pubblica) e dal fatto che i soggetti assegnanti sono spesso titolari di diritti speciali, agendo quindi in mercati non soggetti ab origine a regole concorrenziali pure. In relazione a questo duplice ordine di considerazioni ciò che emerge con una certa evidenza dal (sotto questo profilo senz’altro) condivisibile considerando è la necessità che 28 assegnanti così connotati debbano operare contrattualmente con norme competitive tese a fare sì che il mercato recuperi in termini di efficienza quanto può essere ab origine perso a causa dell’interferenza del potere pubblico in attività imprenditoriali formalmente private, ovvero a causa delle logiche non concorrenziali degli affidamenti di talune delle concessioni o diritti che abilitano a operare nei settori speciali. Ciò detto, è assai meno evidente e persuasivo l’argomento che il considerando predetto vorrebbe spendere a favore (non tanto della necessità che detti appaltanti si assoggettino alla regole della competizione nella scelta dei propri contraenti, quanto) del fatto che sia a tutt’oggi giustificata una disciplina peculiare (sebbene sempre meno differente da quella odierna) degli affidamenti nei settori speciali. Sotto questo profilo, vale forse un’esigenza sostanziale, formalmente non espressa nel considerando, ma tuttavia oggettivamente evidente in molte delle attività “speciali” in questione. Si tratta, anzitutto, del fatto che ben più che nei settori ordinari (con la progressiva assunzione di rilievo dell’organismo di diritto pubblico18) i soggetti assegnanti operano in forma giuridica privata, addirittura della “impresa pubblica”19, dal che sorge la tendenziale necessità – pur sempre più ristretta – di poter operare con regole più flessibili di quelle ordinarie. Il che, in secondo luogo, appare poter assumere maggior pregnanza considerato che in molti dei settori speciali gli assegnanti nazionali debbono interloquire con soggetti imprenditoriali sovra nazionali organizzati in forme marcatamente imprenditoriali per poter reggere il passo con i quali sono necessarie regole contrattualistiche più flessibili di quelle ordinarie. È chiaro, per inciso, che la duplice (specie l’ultima) esigenza ora detta può addursi sia per giustificare la permanenza di una formalmente diversa disciplina fra i due settori, sia per modulare, in sede di dettatura della disciplina di recepimento relativa ai settori speciali, la scelta di introdurre o meno tutti i vincoli procedimentali che le direttive lasciano in alcuni punti alla discrezionalità dello Stato membro se recepire o meno. Trattando di recepimento preme per inciso una nota sul recente assunto del Consiglio di Stato in sede consultiva20 in tema di affidamenti in-house, in forza della non ancora Per il quale l’art. 3 paragrafo 4 della direttiva 2014/25/Ue conferma la definizione ordinaria. Definita ex art. 4 paragrafo 2 della direttiva 2014/25/Ue come la “impresa su cui le amministrazioni aggiudicatrici possono esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante perché ne sono proprietarie, vi hanno una partecipazione finanziaria o in virtù di norme che disciplinano l’impresa in questione.”. 20 Sez. II, 30 gennaio 2015, n. 298; ibidem, 22 aprile 2015, n. 1178. 18 19 29 recepita direttiva 2014/25/Ue che esso ritiene ex se applicabile poiché “dettagliata”, con notevole e apprezzabile slancio europeista, ma forse al di là della regola per cui l’applicazione diretta di una direttiva esige pur sempre che, oltre che chiara e precisa nel testo, essa sia “suscettibile di applicazione immediata, [e] dunque non condizionata ad alcun provvedimento formale dell’autorità nazionale.”21 come sono quelli di recepimento, sino a che il relativo termine non sia scaduto. Prima di reputare direttamente applicabili norme della direttiva 2014/25/Ue necessita quanto meno che il relativo termine vada a scadenza e che frattanto entro esso non sia intervenuto il recepimento a opera dello Stato membro22. 2. Le prospettive del recepimento La notazione appena espressa conduce al tema delle prospettive del recepimento delle disposizioni sui settori speciali. L’esame del disegno di legge governativo per la legge-delega ai fini del recepimento delle direttive presentato lo scorso novembre e quello dei lavori parlamentari disponibili, conferma un’assoluta identità di principi e criteri direttivi in vista del recepimento delle tre direttive. Ciò è consono alla spinta verso un’ulteriore omogeneizzazione delle discipline (almeno sugli appalti), ma non sta ovviamente a significare che – anche in relazione a istituti (molti) disciplinati identicamente dalle direttive 2014/24/Ue e 2014/25/Ue ci si debbano attendere discipline interne identiche per i due ambiti. Le peculiarità messe in luce in chiusura del paragrafo precedente rendono perfettamente possibile che, pur a parità di principi e criteri di recepimento formalmente identici, il recepimento non sia identico nei due settori, specie in relazione alla possibilità per il legislatore del recepimento di modulare per esempio le clausole rispetto alle quali esso acceda o meno agli ambiti di discrezionalità lasciati dal legislatore europeo. Come si G. TESAURO, Diritto dell’Unione Europea, Padova, 2012, 169. Corte di Giustizia delle Comunità europee: 8 aprile 1976 in causa 43/75; 5 aprile 1979 in causa 148/78; 19 gennaio 1982, in causa 8/81; 5 ottobre 2004, in causa C-397-403/01. 22 Per una più compiuta ed equilibrata ricostruzione – riferita al settore dei contratti pubblici dell’ampiezza degli effetti delle direttive dettagliate non ancora recepite, e per la messa a fuoco di come rispetto a esse si pongano il tema della interpretazione conforme del diritto nazionale rispetto a quello europeo e del significato e dei limiti dello stand still europeo, si veda Consiglio di Stato, Sez. VI, 26 maggio 2015, n. 2660. 21 30 accennava, una tendenziale minor introduzione di vincoli sarebbe consona alla pur fortemente ridotte peculiarità riconosciute ai settori speciali. Sotto questi profili anche il divieto di gold-plating che sia secondo il diritto dell’Unione sia secondo i principi e direttive in corso di elaborazione per la legge-delega rappresenta uno dei fili conduttori dell’operazione di recepimento, può declinarsi differentemente con riferimento allo specifico recepimento delle disposizioni afferenti ai settori speciali. 3. Note sull’ambito soggettivo applicativo È confermata la tradizionale impostazione che vede la direttiva per i settori speciali applicabile all’esito di una duplice valutazione di tipo soggettivo e oggettivo. Occorre, in altri termini, che si tratti di soggetti con peculiari caratteristiche soggettive, e che operino nel campo di svolgimento di determinate attività. Il meccanismo è più complesso di quello di cui alla direttiva sui settori ordinari, che vede definito il proprio campo di applicazione in linea di principio sulla scorta della qualificazione come latamente pubblico del soggetto assegnante. Il combinato disposto degli artt. 3 e 4 della direttiva 2014/25/Ue indica in tal senso quali enti aggiudicatori: a. le amministrazioni aggiudicatrici e le imprese pubbliche operanti nei settori speciali; b. i soggetti che, pur non essendo amministrazioni aggiudicatrici o imprese pubbliche operano nei settori speciali in virtù di diritti speciali o esclusivi concessi dal potere pubblico tramite disposizioni legislative o amministrative aventi l’effetto di riservare a uno o più soggetti le attività nei settori esclusi, e di incidere [ovviamente in negativo] sulla possibilità di altri enti di esercitare tale attività. In relazione a quest’ultima classe soggettiva, il secondo comma del paragrafo 3 dell’art. 4 della direttiva specifica non ricorrere l’ipotesi dei diritti speciali o esclusivi con riferimento al caso in cui la concessione della posizione corrispondente all’esercizio del diritto speciale o esclusivo sia stata assegnata “in virtù di una procedura in base alla quale è stata assicurata una pubblicità adeguata”. 31 In questi casi (enti aggiudicatori diversi da amministrazioni aggiudicatrici o imprese pubbliche titolari di esclusive affidate con modalità competitive) la direttiva 2014/25/Ue non si applica. La ratio sottostante appare legata a quella che connota in generale il sistema della disciplina europea del sistema di appalti e concessioni latamente pubbliche e in specie il sistema degli appalti nei settori speciali. Le norme pro competitive volgono in genere a fare sì che soggetti assegnanti in oggettive posizioni di preminenza (dovute alla soggettività pubblica e/o alla titolarità di posizioni di esclusiva ottenute in modo non competitivo) operino in maniera non discriminante e perciò efficiente sia a livello di funzionalità del sistemaordinamento sia a livello di allocazione delle risorse (più efficiente spendita di una risorsa latamente pubblica). Nel caso specificamente in esame l’evidente presunzione della direttiva è che il soggetto che si sia aggiudicato in modo competitivo l’esclusiva attività in uno dei settori speciali sia spinto dalla forza delle cose a non comportarsi in maniera discriminatoria nella sede dei suoi acquisti. Detto altrimenti, se esso ha dovuto compiere sforzi tecnico-economici per aggiudicarsi l’esclusiva in esito a una procedura competitiva (nella quale ha dovuto misurarsi con offerte omologhe e concorrenti) la presunzione è che esso non abbia più riserve di risorse per permettersi poi affidamenti non guidati da una rigorosa ricerca dell’efficienza (in termini di minori costi e di soluzioni tecniche più vantaggiose). Il tema in questione è delicato anche per la sua contiguità al campo degli aiuti di Stato (artt. 107 e ss. TFUE), dovendosi indagare con particolare severità la effettiva natura competitiva e concorrenziale della procedura all’origine dell’assegnazione dell’esclusiva in questione. 32 4. Profili di flessibilità delle procedure ex direttiva 2014/25/Ue rispetto alle regole ordinarie: le tipologie di procedure di affidamento e i criteri di aggiudicazione 4.1. In generale, sui criteri di aggiudicazione e sulle consultazioni preventive del mercato La direttiva 2014/25/Ue assume profili di forte parallelismo con la direttiva 2014/24/Ue in relazione a una serie di istituti innovativi introdottine, nonché in merito alla parimenti innovativa strutturazione dei criteri di aggiudicazione. Quanto a questi ultimi gli artt. 67 e 68 della direttiva 2014/24/Ue sono ricalcati dagli artt. 82 e 83 della direttiva 2014/25/Ue. Anche nei settori speciali è, quindi, accolta l’evoluzione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa verso il concetto della considerazione del fattore prezzo e del costo, anche nella proiezione della considerazione del ciclo di vita dei beni o servizi acquisiti, nonché con l’esasperazione della considerazione delle componenti tecniche di offerta che può oggi condurre ad affidamenti a prezzo bloccato nei quali la competizione venga a vertere sulle sole componenti tecnico-qualitative di offerta. Anche nei settori speciali si completa perciò quel ribaltamento di prospettiva che sul terreno nazionale si misura nel percorso dalla assoluta o quasi preminenza del criterio del prezzo più basso in testi come i rr.dd. 2440/1923 e 827/1924 (ma anche nelle prime formulazioni della l. 109/1994 …), attraverso il riconoscimento23 tendenziale di una legittima combinazione di fattori, sino all’odierno ribaltamento di prospettiva predetto. Ancora, le direttive 2014/24/Ue e 2014/25/Ue sono parallele nell’accogliere la disciplina dei sondaggi preliminari di mercato sottoforma delle consultazioni preliminari di mercato e della connessa disciplina della partecipazione precedente di candidati e offerenti (artt. 40 e 41 direttiva 2014/24/Ue e artt. 58 e 59 direttiva 2014/25/Ue). Si tratta di profili rilevanti, in precedenza a torto negletti – fatto salvo rispetto al dialogo tecnico di all’ottavo considerando motivazionale della direttiva 2004/18/Ce e a un paio di sentenze della CGUE, positivi perché apportatori di chiarezza nella fase dell’impostazione delle procedure, ove per Es. in taluni filoni giurisprudenziali degli anni ’90 che ancora argomentavano – per la verità in assenza sostanziale di agganci già nelle direttive dell’epoca – la necessità di quanto meno accordare al fattore economico la preminenza (più della metà del punteggio assegnabile) su quello tecnicoqualitativo. 23 33 eccellenza possono annidarsi le distorsioni che il successivo svolgimento della gara nel pedissequo rispetto delle (distorsive) regole di essa non fa che perpetuare. Parimenti analoga (art. 48 direttiva 2014/25/Ue e art. 30 direttiva 2014/24/Ue) è la conferma dello strumento del dialogo competitivo già noto alle direttive precedenti, al fine di elaborare soluzioni non ben chiare neppure all’assegnante a base della procedura, ma suscettibili di trovare nel mercato la base per la soddisfazione di esigenze dell’assegnante che il dialogo stesso concorre a porre a fuoco. E, ancora, è comune ai due testi la forte novità costituita dai partenariati per l’innovazione (artt. 31 direttiva 2014/24/Ue e art. 49 direttiva 2014/25/Ue), con il loro fondamentale obiettivo di promuovere l’innovazione nel rapporto fra assegnante e operatori economici, in vista anzitutto dell’innovazione stessa prima ancora per che l’assegnazione di un determinato contratto. Bisogna però sottolineare che questa tendenziale comunanza (fra le due direttive) di strumenti innovativi si cala in contesti diversi nei due corpora, con il risultato indiretto di accentuare i gradi di discrezionalità e libertà operativa degli assegnanti operanti nei settori speciali rispetto a quelli operanti nei settori ordinari. 4.2. Le procedure: il dialogo competitivo Proprio quanto all’in apparenza identicamente disciplinato dialogo competitivo nei due ambiti – settori esclusi e settori ordinari - occorre registrare anzitutto che la direttiva 2014/24/Ue si preoccupa con apposite disposizioni (art. 26 paragrafo 4, “Scelta delle procedure”) di disciplinare casi e modi di legittimo impiego della procedura. Ciò rimarca la preoccupazione – latente nel sistema – che le procedure più innovative e per loro natura più flessibili (si tratta di esplorare i limiti di soluzioni tecnico-economiche di mercato in rapporto a esigenze innovative degli assegnanti) siano quelle che, se non adeguatamente presidiate, possono aprire all’arbitrio la porta delle procedure. Onde, per i settori ordinari sono dettati parametri-guida normativi volti a normalizzare il ricorso a quelle procedure e, di conseguenza, a permettere un miglior controllo anche giurisdizionale, sul loro impiego da parte degli assegnanti. 34 In relazione al dialogo competitivo nei settori speciali, l’art. 44 direttiva 2014/25/Ue, in apparenza omologo all’art. 26 direttiva 2014/24/Ue, stando alla rispettiva identica rubrica (Scelta delle procedure), manca della specificazione di casi e modi nei quali debba applicarsi il dialogo competitivo. Possiamo concludere che la scelta in proposito possa essere arbitraria? Di certo no. Criteri generali come quello di proporzionalità e ragionevolezza escludono l’arbitrio. È immaginabile a livello sistematico - quanto meno entro certi limiti24 - la possibilità di appoggiare sull’analogia le valutazioni in tema di legittimo impiego del dialogo competitivo nei settori speciali. Tuttavia, la mancanza di detta prescrizione di indirizzo sull’uso del dialogo competitivo ha l’indubbio effetto di rendere più flessibile – a discrezione, non ad arbitrio, dell’assegnante – la procedura con riferimento ai settori speciali. Con conferma delle rivendicate esigenze di fondo che tuttora (primo considerando motivazionale della direttiva 2014/25/Ue) ne vogliono preservare specificità di presupposti applicativi e disciplina applicabile. 4.3. Le procedure. La procedura negoziata con previa indizione di gara: deficit di competitività nei settori speciali? Una duplice apparente dissonanza rispetto al principio dell’accentuato parallelismo di strumenti fra le due direttive si lega: a. al mantenimento nella direttiva 2014/25/Ue della figura – che era nella direttiva 2004/18/Ce ed emergeva dalla direttiva 2004/17/Ce – della procedura negoziata con previa pubblicazione di bando (o indizione di gara); b. all’assenza dalla direttiva 2014/25/Ue della peculiare figura innovativa costituita nei settori ordinari dalla Procedura competitiva con negoziazione ex art. 29 direttiva 2014/24/Ue; c. al corollario del superamento nella direttiva 2014/24/Ue della figura (già nella direttiva 2004/18/Ue) della procedura negoziata previa pubblicazione di bando. 24 Resta significativo che il legislatore europeo non abbia voluto nella direttiva 2014/25/Ue la formula che nella direttiva 2014/24/Ue delimita l’applicazione del dialogo competitivo, ma di certo da ciò non può trarsi un divieto di ricorso allo strumento analogico per valutarne la congruità applicativa anche nel campo dei settori speciali. 35 La lettura approssimativa di questa combinazione di innovazioni farebbe percepire un deficit di competitività nella disciplina dei settori speciali rispetto a quella dei settori ordinari. Colpisce in specie la formale assenza dalla direttiva 2014/25/Ue dello strumento della procedura competitiva con negoziazione, giustamente salutata come una fra le maggiori novità apportate dalla direttiva 2014/24/Ue nel settori ordinari. Al di là dei dati formali stanno però quelli sostanziali, che possiamo affrontare a partire dalla tematica della procedura negoziata con previa indizione di gara ex art. 47 direttiva 2014/25/Ue. Ciò posto, facciamo un passo indietro al regime delle direttive 2004/17/Ce e 2004/18/Ce. Esse prevedevano entrambe lo strumento della procedura negoziata previa pubblicazione di bando, ma a parità di nomen la disciplina era piuttosto differente. Anzitutto, l’art. 30 della direttiva 2004/18/Ce vincolava l’utilizzo dello strumento a casi nei quali ricorressero presupposti particolari. Per converso, il legislatore dei settori speciali (direttiva 2004/17/Ce) dettava una disciplina minimale, essenzialmente per differenza – entro l’art. 40 – rispetto al caso della procedura negoziata senza previa pubblicazione di bando. Per il resto le pochissime regole dettate erano di taglio assolutamente generale (invito simultaneo a presentare offerta, selezione di offerte e candidati sulla scorta di quanto anticipato dall’avviso o bando della procedura). Si apriva, così, nei settori speciali, un terreno amplissimo per l’uso della procedura negoziata previa pubblicazione di bando. Legittimata la quale (art. 40 direttiva 2004/17/Ue) veniva a profilarsi un ampio spazio discrezionale afferente sia all’an del ricorso alla negoziazione, sia ai contenuti e alle modalità di questa, con sostanziale libertà – nei limiti della proporzionalità, della ragionevolezza, della tutela della par condicio e della trasparenza – per l’assegnante nella strutturazione di fasi e modi della negoziazione, in relazione alle oggettive esigenze presentate dal quid di volta in volta oggetto di assegnazione25. Anche le Così, in relazione all’art. 220 d.lgs. 163/2006, basato sull’art. 40 della direttiva 2004/17/Ce, è osservato che 1.“Una prima e appariscente particolarità propria della disciplina recata dall’art. 220 (e mutuata dalla disciplina previgente), integrante una differenza sostanziale rispetto al regime ordinario, riguarda la discrezionalità di cui è investita la stazione appaltante nel prescegliere l’una piuttosto che l’altra procedura di affidamento: e infatti l’art. 220 – diversamente dall’art. 56 – non assoggetta la facoltà di aggiudicazione a mezzo di procedura negoziata previo bando a rigide e tassative condizioni, ma anzi ne attua una completa parificazione alle altre metodologie, tradizionalmente ritenute maggiormente garantistiche della concorrenza e della parità di accesso degli operatori economici. Ne consegue che alle stazioni appaltanti è lasciata la piena discrezionalità 25 36 schematiche minimali richieste di contenuto del bando a base della procedura dettate dall’apposito allegato alla direttiva non intaccavano, ma solo regolavano, quest’ampia possibilità, contrapposta ai ben più ristretti margini di impiego della procedura negoziata previo bando nei settori ordinari ex direttiva 2004/18/Ce26 27. Per inciso, il disegno di questo ambito di discrezionalità è uno dei fattori all’origine del censimento, nel 2011, della procedura negoziata previa pubblicazione di bando come la procedura standard di aggiudicazione degli appalti nei settori speciali28. E oggi? di acquisire i lavori, i servizi o le forniture sempre e comunque secondo questa procedura, senza neppure la necessità di un’analitica motivazione” (C. CACCIAVILLANI–G. BERTO, sub art. 220, in Commentario al codice dei contratti pubblici, diretto da G. F. FERRARI–G. MORBIDELLI, Milano, 2013, 189-190). In termini analoghi: “Gli enti aggiudicatori dei settori speciali possono utilizzare procedure aperte, ristrette, negoziate previo bando, e dialogo competitivo. Non sono stabiliti limiti per la procedura negoziata previo bando, che è dunque alternativa a quella aperta e a quella ristretta (art. 220, codice)” (R. DE NICTOLIS, Manuale dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, Roma, 2010, 906). 26 “Quel che interessa nella presente sede è evidenziare come nei settori speciali, contrariamente a quello che accade nei settori cc. dd. classici, il legislatore nazionale considera tutte le procedure di scelta, purché precedute dalla pubblicazione di avviso di gara, come assolutamente alternative tra loro, nel senso che gli enti aggiudicatori obbligati al rispetto della disciplina di cui alla Parte III del Codice possono ricorrere alternativamente ad una procedura aperta, ristretta, negoziata o al dialogo competitivo previa pubblicazione di bando per l’individuazione del soggetto con cui stipulare il contratto, senza alcuna limitazione o preferenza tra esse, fatte salve le ipotesi – tassativamente individuate dall’art. 221 – in cui possono avvalersi anche delle procedure negoziate senza indizione di gara.” (R. GAROFOLI–G. FERRARI, sub art. 220, in Codice degli appalti pubblici, Roma, 2010, 1972). 27 “Quest’ultima [la direttiva comunitaria 17/2004 n.d.r.], infatti, nei settori speciali considera equivalenti le procedure aperte, ristrette e negoziate con bando lasciando, quindi, piena discrezionalità e ben può il legislatore nazionale attuare detti principi applicando agli appalti di servizi di pulizia non funzionali all’attività nei settori speciali, come nel caso in esame, i maggiori limiti previsti per gli appalti di servizi nei settori ordinari che prediligono la procedura aperta o ristretta per la scelta del contraente al fine di garantire una più ampia concorrenza nei servizi non funzionali all’attività dei settori speciali.” (T.a.r. Emilia Romagna, Parma, Sez. I, 28 maggio 2007, n. 315). In termini analoghi (Consiglio di Stato, Sez. VI, 24 dicembre 2009, n. 8704) “Si osserva, inoltre, al riguardo che la pronuncia della Sesta Sezione di questo Consiglio di Stato 22 aprile 2008, n. 1856 (la quale, pure, ha enunciato in modo amplissimo e con la massima estensione di conseguenze il principio di matrice comunitaria della pubblicità nelle operazioni di gara anche con riferimento ai c.d. ‘settori speciali’), ha nondimeno avuto modo di richiamare in modo espresso le assolute peculiarità della procedura negoziata nell’ambito dei settori speciali, sottolineando (anche attraverso il rinvio alla decisione 4 novembre 2002, n. 6004) che “solo questa (…) conserva margini di snellezza e di elasticità che giustificano la sottrazione a regole formali operanti con riferimento alle gare sottoposte ad un più intenso tasso di pubblicità e di formalismo" (sentenza n. 1856, cit., punto 5.7 della motivazione)”. 28 PWC Public Procurement, cit.: “Negotiated procedure is much preferred by the Utilities Directive. It’s the de facto standard procedure and used more frequently than for the classical directive. […]”, anche a corollario del fatto che “negotiated procedures without publication are applied more frequently” nei settori speciali stante la maggior flessibilità della relative disciplina anche nella prospettiva di uso della procedura negoziata senza previa pubblicazione di bando. 37 La previsione di una disciplina ad hoc per la Procedura negoziata con previa indizione di gara concentrata nell’art. 47 della direttiva 2014/25/Ue potrebbe apparire di per sé una involuzione rispetto al più libero sistema precedente e come un deficit di competitività rispetto alla più scintillante Procedura competitiva con negoziazione ex art. 29 direttiva 2014/24/Ue. Si vede, in realtà, anzitutto che nella sua scarna portata di principio l’art. 47 direttiva 2014/25/Ue non va oltre il consolidamento testuale unitario di una serie di regole che l’omologa precedente direttiva 2004/17/Ce collocava in taluni incisi entro pochi dei suoi articoli. Si vede inoltre – e soprattutto – che il rapporto fra la disciplina ex art. 47 direttiva 2014/25/Ue e art. 29 direttiva 2014/24/Ue è di totale continenza, nel senso che una procedura con i lineamenti e contenuti di quella ex art. 29 ora detto è configurabile da un assegnante che operi nei settori speciali sulla formale scorta dell’art. 47 direttiva 2014/25/Ue. Si vede, di conseguenza, che fra i due settori, il deficit di discrezionalità (pur ampliate in assoluto rispetto al previgente sistema ex direttiva 2004/18/Ce) connota, nella relazione con la disciplina ex direttiva 2014/25/Ue, la disciplina dei settori ordinari ex direttiva 2014/24/Ue. Infatti, all’assegnante operante nei settori speciali è dato tutto quanto è dato fare all’assegnante nei settori ordinari, con l’aggiunta – nell’area fra i due cerchi concentrici costituiti all’esterno dalla disciplina ex art. 47 direttiva 2014/25/Ue e all’interno da quella ex art. 29 direttiva 2014/24/Ue – di un margine di maggior flessibilità e discrezionalità nella strutturazione di contenuti e obiettivi della negoziazione (anche in più livelli). I limiti fondamentali restano quelli di tutela della par condicio, della trasparenza, della ragionevolezza e della proporzionalità, con l’ausilio, sul piano nazionale, anche di norme come l’art. 12 l. 241/1990. Anche qui l’analogia che possa portare a strutturare una procedura ex art. 47 direttiva 2014/25/Ue alla identica stregua di una procedura competitiva con negoziazione ex art. 29 direttiva 2014/24/Ue è senz’altro ammessa. I margini di adattabilità di quest’ultima ai settori speciali sono però ampi. 38 4.4. I criteri di selezione ed esclusione dei concorrenti Una conferma del fatto che la pure tangibile maggiore assimilazione delle discipline di settori speciali e ordinari mantiene in essere differenze ben percepibili emerge dal raffronto fra la disciplina dei criteri di selezione ed esclusione di candidati od offerenti rispettivamente facenti capo agli artt. 78 e 80 della direttiva 2014/25/Ue e agli artt. 57 e 58 della direttiva 2014/24/Ue. Il paragrafo 1 dell’art. 78 della direttiva 2014/25/Ue detta una sintetica disciplina teleologica, secondo la quale “Gli enti aggiudicatori possono stabilire norme e criteri oggettivi per l’esclusione e la selezione degli offerenti o dei candidati.” esigendo solo che “Tali norme e criteri” siano “accessibili agli operatori economici interessati”. In concreto, il limite è quello della pertinenza, ragionevolezza, oggettività e proporzionalità dei criteri selettivi, ovviamente assumendo quale parametro di riferimento l’oggetto dell’affidamento di volta in volta considerato. L’art. 80 della direttiva 2014/25/Ue argina l’ampiezza della discrezionalità legata a detta amplissima formulazione assegnando29 la facoltà di fare riferimento ai ben più articolati insiemi di parametri di esclusione e selezione di cui agli artt. 57 e 58 direttiva 2014/24/Ue. Essendo significativo, in questo contesto, che solo gli enti aggiudicatori che siano amministrazioni aggiudicatrici debbono necessariamente applicare i parametri di esclusione di cui all’art. 57 nn. 1 e 2 direttiva 2014/24/Ue, ossia i casi di condanne penali impeditive. Si tratta dell’ennesima prova di flessibilità del sistema di assegnazione degli appalti nei settori speciali, che può peraltro essere governato riducendone l’ampia portata discrezionale, con ricorso ai principi generali e all’analogia. 5. Conclusioni Valgono per i settori speciali le preoccupazioni di fondo circa la capacità del legislatore del recepimento di cogliere appieno le potenzialità degli strumenti apprestati dalle nuove direttive e di tradurle in norme funzionali nel nostro ordinamento. 29 Peraltro non al legislatore del recepimento, ma, parrebbe, al gestore della singola procedura di assegnazione. Il che è elemento di ponderazione alla luce del divieto di gold-plating. 39 Valgono vieppiù i timori circa la capacità degli assegnanti nazionali di gestire procedure che hanno ormai grandi potenzialità in termini di efficacia nel perseguimento degli obiettivi tecnico-qualitativi ed economici perseguiti, ma che proprio per ciò esigono un’elevata capacità di gestione, forse non posseduta dall’assegnante medio – specie pubblico – nazionale. Quest’ultimo problema potrebbe in parte essere contenuto nei settori speciali dalla relativamente superiore preparazione tecnico-giuridica degli assegnanti, anche in omaggio alla loro strutturazione privatistica e imprenditoriale, rispetto a quelli operanti nei settori ordinari. Ulteriore fattore di contenimento può essere quello dell’accentuata spinta verso forme di acquisizione centralizzate presso grandi soggetti, articolati e strutturati più del singolo assegnante, pur se fatalmente meno in grado di cogliere le specifiche esigenze legate alla singola acquisizione, in assoluto meglio percepite dal singolo destinatario di questa. 41 COMMENTO ALLA DIRETTIVA 2014/23/UE SULLE CONCESSIONI DI LAVORI E DI SERVIZI Andrea Mozzati (Foro di Genova) SOMMARIO: 1. Introduzione. - 2. La perimetrazione della figura della concessione. 3. La fase dell'evidenza pubblica nell'assegnazione della concessione. - 4. L'incidenza dei principi concorrenziali anche nella fase esecutiva del rapporto concessorio. - 5. Considerazioni finali. 1. Introduzione Nel mio intervento intendo passare in rassegna alcuni dei punti salienti della direttiva 2014/23/UE, che contiene, per la prima volta, una disciplina completa e articolata – a livello europeo – delle concessioni di lavori e di servizi. Viene così a completamento il percorso avviato dalle istituzioni europee a partire dalla comunicazione della Commissione del 29/4/2000, che aveva introdotto una regolamentazione embrionale – tra l'altro, formalmente non vincolante – dei rapporti concessori. L'evoluzione di tale percorso non è stata certo lineare, com'è confermato dal fatto che più volte il tema delle concessioni è stato inizialmente trattato e poi stralciato nell'ambito del procedimento di adozione delle direttive sugli appalti30. Per una panoramica generale, v. A. MASSERA – G. PIZZANELLI, I contratti nei servizi pubblici a rete fra negoziazione e mercato, in Trattato dei contratti, a cura di V. Roppo, Vol. V, Milano, 2014, 1143 e A. MASSERA, Lo Stato che contratta e che si accorda. Vicende della negoziazione con le PP.AA., tra concorrenza per il mercato e collaborazione con il potere, Pisa, 2012, soprattutto 154 e ss.. 30 42 La materia si è rivelata "sensibile" in considerazione del fatto che l'istituto della concessione – anche quella di lavori – finisce per coinvolgere l'area dell'organizzazione e della gestione dei servizi pubblici e, più precisamente, dei servizi di interesse generale. Materia che tradizionalmente ha suscitato e suscita la ritrosia di alcuni Stati membri a "subire" gli interventi del legislatore europeo. Di fronte, tuttavia, alla progressiva enunciazione dei principi in materia di concessioni da parte del giudice europeo, è maturata la consapevolezza della necessità della "codificazione" mediante una direttiva quadro31. L'accordo tra i varî Stati membri si è, quindi, formato su alcuni punti di "specialità" del regime delle concessioni rispetto a quello ordinario degli appalti: sicché se, da un lato, la direttiva sancisce definitivamente l'apertura delle concessioni alla concorrenza per il mercato e, quindi, all'obbligo di indire procedure competitive per il loro affidamento, dall'altro lato, viene consentito lo svolgimento di gare ampiamente flessibili e liberamente modulabili da parte dell'Amministrazione concedente. Prima di scorrere sinteticamente i punti cardine della direttiva, preme mettere in rilievo un'opzione di metodo che diviene ormai imprescindibile a seguito della direttiva 2014/23/UE32. Non pare, infatti, più possibile confondere e sovrapporre porzioni del regime giuridico tradizionale, formatosi nell'ordinamento interno, con parti della (nuova) disciplina europea, come si vedrà, ispirata – in varî punti – a finalità ed obiettivi differenti rispetto a quella nazionale. Infatti, il regime giuridico delle concessioni – a livello sia dei principi, sia delle concrete norme da applicare – va ricostruito prendendo come riferimento preminente la direttiva 2014/23/UE e la giurisprudenza del giudice europeo. Il diritto interno, quindi, non può che assumere valore sussidiario soltanto negli spazi lasciati aperti dalla normativa europea. 31 V. R. CARANTA, The Changes to the Public Contracts Directives and the Story they tell about how EU law works, in Common market law review, 2015, 52, 429 e ss.; e R. CARANTA – D. COSMIN DRAGOS, La mini – rivoluzione del diritto europeo dei contratti pubblici, in Urb. App., 2014, 493. 32 Sull'interrelazione tra il livello europeo e quello interno nella materia amministrativa, sia consentito rinviare a A. MOZZATI, La conformità europea dei procedimenti e degli atti amministrativi interni, Torino, 2012. 43 2. La perimetrazione della figura della concessione La direttiva 2014/23/UE codifica l'approccio sostanzialistico nell'individuazione del perimetro di applicazione della nozione di concessione33. Innanzitutto, viene confermata [art. 5, par. 1, lett. a) e b)] la definizione in senso bilaterale e negoziale del rapporto concessorio, come peraltro già previsto dall'art. 1 della direttiva 2004/18/CE (sul punto si tornerà comunque più avanti). Quanto alla distinzione tra la concessione e l'appalto, viene per la prima volta disciplinato in maniera puntuale il criterio della traslazione del rischio operativo (che verrà trattato nella relazione del prof. Quaglia). La norma – contenuta nell'art. 5, punto 1 – va necessariamente integrata con le importanti indicazioni desumibili dai considerando nn. 18, 19 e 20. Nonostante alcune autorevoli opinioni discordi34, risulta confermato che l'operazione volta a distinguere tra l'appalto e la concessione si traduce in un accertamento sostanziale circa l'assetto patrimoniale ed economico del rapporto tra ente concedente e concessionario. Siffatto accertamento deve essere mirato a verificare l'effettività del trasferimento di una quota adeguata del rischio operativo in capo al concessionario, indipendentemente dal nomen juris e dalla disciplina formale del rapporto. Non può, quindi, escludersi che la gestione di un servizio pubblico in senso stretto (v. ad esempio, la raccolta e il trasporto dei rifiuti) possa essere configurata come un appalto; e che, viceversa, la prestazione di un determinato servizio, pur se non riconducibile all'area del servizio pubblico, sia qualificata e qualificabile come concessione di servizi. Sempre ai fini dell'individuazione del perimetro di applicazione della figura della concessione, va osservato che, in base al considerando n. 11, non risulta necessario il trasferimento di determinati beni in proprietà all'Amministrazione concedente. Com'è noto, costituisce, invece, un elemento tipico dei rapporti di concessione (non soltanto, di opera 33 V. M. RICCHI, La nuova direttiva comunitaria sulle concessioni e l'impatto sul Codice dei contratti pubblici, in Urb. App., 2014, 743 e ss.. 34 V. A. CARULLO, L'attuale necessità di una corretta distinzione tra appalti pubblici di servizi e concessioni di servizio pubblico. Un intricato percorso a tappe: dall'irrilevanza della gara, all'affermazione di un differente partenariato pubblico-privato, e la consapevolezza di un'occasione perduta, in Riv. Trim. App., 2014, 701 e ss. 44 pubblica, ma anche di servizi) il passaggio all'Amministrazione – quantomeno al termine della concessione – dei beni nel frattempo realizzati dal concessionario35. Ciò che, quindi, rileva ai fini della direttiva 2014/23/UE è che vi sia non tanto un trasferimento di proprietà, ma che i vantaggi derivanti dai lavori o dai servizi affidati al concessionario siano sempre di pertinenza degli enti concedenti. Si tratta, in altri termini, della necessaria sussistenza di uno o più interessi pubblici che devono innervare il rapporto concessorio, a prescindere dal regime dominicale dei beni realizzati dal concessionario (si pensi, ad esempio, alla concessione per la realizzazione e gestione di un albergo o di un centro sportivo). Viene, poi, tracciato il confine tra la concessione e l'assegnazione di finanziamenti, la quale non rientra nel campo di applicazione della direttiva (v. considerando n. 12). Il considerando n. 14 (ri)apre poi la questione della distinzione tra autorizzazione e concessione, che tradizionalmente si è imperniata nel nostro ordinamento sulla preesistenza o meno, in capo al privato, del potere giuridico di esercitare una determinata attività: così, l'autorizzazione rimuove un limite all'esercizio di un potere già presente nella sfera giuridica dell'operatore economico; per contro, la concessione si traduce nella creazione/costituzione ex novo di siffatto potere a favore del concessionario. Sul versante europeo emerge un criterio distintivo parzialmente differente. Infatti, non sono configurabili come concessioni, ma quali autorizzazioni o licenze gli atti attraverso i quali l'Amministrazione stabilisce le condizioni per l'esercizio di una determinata attività economica, rilasciati a seguito di una richiesta dell'operatore economico (e non su iniziativa dell'Amministrazione stessa) e, comunque, suscettibili di lasciare l'operatore economico libero di non eseguire le attività relative ai lavori o ai servizi. Il focus della norma europea è, dunque, non tanto sulla natura della posizione giuridica "a monte" posseduta dall'operatore economico, quanto sulla doverosità (o meno) dell'attività assentita con l'atto amministrativo. Tant'è che – puntualizza il considerando n. 14 –, a differenza delle autorizzazioni o licenze, i contratti di concessione stabiliscono obblighi reciprocamente vincolanti, in forza dei quali l'esecuzione dei lavori o dei servizi è soggetta a specifici requisiti definiti dall'ente concedente, aventi "forza esecutiva". 35 Sul punto v. D. DE PRETIS, Aspetti del regime dei beni nelle concessioni di servizi, in F. Roversi Monaco (a cura di), Le concessioni di servizi pubblici, Rimini, 1988, 133. 45 Destinato ad assumere rilevanti ricadute è poi il considerando n. 15, che intenderebbe fissare un criterio di distinzione tra le concessioni dei beni e le concessioni di lavori o servizi. Anche in questo caso lo scarto rispetto all'ordinamento interno è significativo. In effetti, si è tradizionalmente differenziata la concessione di beni da quelle di lavori o servizi facendo riferimento allo sfumato requisito dell'accessorietà (o meno) del bene rispetto al contenuto principale del rapporto. Il considerando n. 15 della direttiva pare, invece, limitare la concessione (e la locazione) di beni esclusivamente ai casi nei quali l'Amministrazione concedente "fissa unicamente le condizioni generali d'uso senza acquisire lavori o servizi specifici": pertanto, ove l'assegnazione del bene all'operatore economico sia accompagnata e collegata alla doverosa esecuzione, da parte di quest'ultimo, di lavori o servizi destinati ad essere acquisiti dall'ente concedente, allora il rapporto dovrebbe rientrare nell'area disciplinata dalla direttiva 2014/23/UE. Quanto sopra impatta, ad esempio, sul regime delle concessioni demaniali disciplinate dal codice della navigazione o dalla legge n. 84/1994 (per le concessioni portuali): così, la concessione di un'area per uno stabilimento balneare dovrebbe fuoriuscire dal campo di applicazione della direttiva; non altrettanto può dirsi per la concessione di un terminal passeggeri o per alcune concessioni terminalistiche (ex art. 18, legge n. 84/1994)36. In definitiva, anche a seguito dell'analisi degli articolati considerando (che sono imprescindibili ai fini dell'individuazione del perimetro di applicazione della direttiva), si può sinteticamente affermare che il rapporto concessorio – nella direttiva 2014/23/UE – si caratterizza: per la realizzazione, da parte del concessionario, di lavori o servizi che perseguano uno o più interessi pubblici; per la doverosità, sul versante pubblicistico, dell'esecuzione delle attività oggetto della concessione da parte del concessionario, che, dunque, non dispone di autonomia nel rinunciare o abbandonare l'intrapresa; per il trasferimento in capo al concessionario di una rilevante e determinante quota di rischio imprenditoriale; 36 Sul punto, v. M. RICCHI, op. cit., 748. 46 per la creazione di un rapporto sostanzialmente sinallagmatico, che si traduce – come previsto chiaramente dal considerando n. 14 – nella previsione di "obblighi reciprocamente vincolanti" tra le parti37. 3. La fase dell'evidenza pubblica nell'assegnazione della concessione Come si è anticipato, la direttiva ha disciplinato in maniera leggera la fase dell'evidenza pubblica per l'assegnazione delle concessioni di lavori e di servizi. Fermo restando il presupposto imprescindibile della doverosa effettuazione di un confronto concorrenziale, il segmento della gara viene sottoposto ad una regolamentazione minimale che si preoccupa di fissare i "paletti" di tale fase, piuttosto che di predeterminare, in maniera tendenzialmente pervasiva, le modalità di svolgimento della gara (come, invece, accade nei settori ordinari). In effetti, il par. 1 dell'art. 30 stabilisce che gli enti aggiudicatari "sono liberi di organizzare la procedura per la scelta del concessionario", fermo restando il necessario rispetto delle condizioni minime di concorrenzialità prescritte dalla direttiva. Al contempo l'art. 37 è significativamente rubricato "Garanzie procedurali", lasciando intendere che la disciplina europea si occupa di fissare, per sottrazione, soltanto alcune imprescindibili garanzie. Corollario di tale impostazione – che è in linea con la maggiore flessibilità richiesta dagli Stati membri e riconosciuta dalla direttiva 2014/24/UE anche negli appalti nei settori ordinari – è la previsione (par. 6, art. 37) secondo la quale l'ente aggiudicatore "può condurre liberamente negoziazioni con i candidati e gli offerenti", con l'unico limite dell'immodificabilità dell'oggetto della concessione, dei criteri di aggiudicazione e dei requisiti minimi. Si tratta di una sorta di procedura negoziata "rinforzata" per la quale appare coessenziale e imprescindibile il mantenimento in capo all'Amministrazione di un'ampia discrezionalità/autonomia nella strutturazione del confronto selettivo e nella conduzione delle negoziazioni con i concorrenti. 37 Per alcuni di tali elementi, v. C.H. BOVIS, Future Directions in Public Service Partnerships in the EU, in European Business Law Review, 2013, 24, 8. 47 Tanto che potrebbero profilarsi dubbi di illegittimità europea – per le medesime ragioni evidenziate dalla Corte di Giustizia nella sentenza Sintesi38 – ove uno Stato membro o un'Amministrazione aggiudicatrice ritenessero di adottare schemi rigidi come quelli della procedura aperta o ristretta. Anche se – analogamente a quanto accaduto per le procedure negoziate previa pubblicazione del bando nei settori speciali o per le "gare informali" di cui all'art. 30, d.lgs. n. 163/2006 – non si può escludere che si verifichi un irrigidimento della flessibilità riconosciuta dalla direttiva, attraverso l'applicazione delle regole tradizionali dell'evidenza pubblica formatesi nell'alveo della normativa sulla contabilità dello Stato (r.d. n. 2440/1923 e r.d. n. 827/1924). La vicenda della "gara informale" per l'aggiudicazione della concessione di servizi (ex art. 30, d.lgs. n. 163) è indicativa, essendosi assistito ad una progressiva formalizzazione del segmento dell'evidenza pubblica attraverso l'applicazione in via analogica delle regole ordinarie in tema di pubblicità delle sedute di apertura dei plichi (Cons. Stato, Sez. IV, 20/1/2015, n. 132), di modalità di nomina della Commissione giudicatrice (Cons. Stato, Ad. Plen., 7/5/2013, n. 13 e Sez. V, 28/4/2014, n. 2191), di operatività delle cause di esclusione (Cons. Stato, Sez. V, 9/9/2013, n. 4471), ecc.39. Coerentemente con l'impostazione "minimale" sopra evidenziata, la direttiva 2014/23/UE sancisce anche l'atipicità dei criteri di aggiudicazione delle concessioni, anche in questo caso limitandosi a prescrivere alcuni imprescindibili paletti. In ogni caso, deve essere comunque previsto – nel bando – il criterio di aggiudicazione, che ovviamente non può lasciare all'ente concedente un'incondizionata libertà di scelta e deve, altrettanto ovviamente, essere connesso all'oggetto della concessione. In secondo luogo, è necessario che i criteri di aggiudicazione assicurino una valutazione delle offerte in condizioni di concorrenza effettiva in modo che venga individuato e garantito – al termine della procedura – un vantaggio economico per lo stesso ente concedente. In terzo luogo, l'Amministrazione è tenuta soltanto ad elencare i parametri di aggiudicazione in ordine decrescente di importanza (senza, quindi, avere l'obbligo di associare un "peso" o un "punteggio" a ciascun parametro). L'ordine può essere modificato 38 Corte Giustizia, sentenza n. 7/10/2004, in causa C-247/02. Su tale indirizzo, v. L. BERIONNI, L'applicabilità delle norme del Codice dei contratti pubblici alle concessioni di servizi, in Foro Amm., 2014, 1913. 39 48 nel corso della gara (art. 41, par. 3, comma 2), qualora l'ente concedente riceva un'offerta che contenga una soluzione innovativa che non avrebbe potuto essere prevista – al momento dell'emissione del bando – con l'ordinaria diligenza. In tal caso occorre, tuttavia, un nuovo confronto tra i partecipanti alla procedura. 4. L'incidenza dei principi concorrenziali anche nella fase esecutiva del rapporto concessorio Com'è riscontrabile anche negli appalti ordinari, l'insieme dei principi relativi alla concorrenza finisce per influire e incidere anche sulla fase di esecuzione del rapporto concessorio. Nonostante l'impostazione "minimale" della direttiva 2014/23/UE, tale orientamento risulta ormai sancito da alcune norme. In primo luogo, l'ente concedente e il concessionario non sono liberi di determinare la durata dei rapporti concessori, la quale, in base al par. 1 dell'art. 18, deve essere limitata40. In effetti, ove l'ente concedente intenda assegnare una concessione ultraquinquennale, la durata massima del rapporto non può superare il periodo di tempo necessario per il recupero dell'investimento del concessionario dei lavori o dei servizi e per l'ottenimento di un ritorno sul capitale investito tenuto conto degli investimenti necessari per conseguire gli obiettivi contrattuali. Si possono già prospettare le conseguenze derivanti dalla violazione di tale limite. In effetti, potrebbe risultare illegittimo il bando della procedura competitiva, ove quest'ultimo preveda (v. punto 4 dell'allegato V della direttiva) una durata massima della concessione che non rispetti il suddetto equilibrio. Ove, invece, la durata della concessione costituisca un parametro di valutazione delle offerte dei concorrenti, l'indicazione di una durata eccessiva rischia di invalidare la proposta contrattuale. In ogni caso, il mantenimento in vita dei rapporti concessori con una durata eccessiva rispetto ai criteri indicati dal citato art. 18 può esporre l'Amministrazione concedente all'addebito di aver concesso un aiuto di Stato in contrasto con l'art. 107, T.F.U.E.41. 40 Sul punto, v. M. RICCHI, op. cit., 753 e ss.. 49 Sempre con riferimento alla fase di esecuzione del rapporto concessorio, va poi ricordato l'art. 43 della direttiva, che contiene una pervasiva e completa disciplina delle ipotesi nelle quali si ritiene ammessa la modificazione dei contenuti del rapporto dopo la stipula della convenzione di concessione. 5. Considerazioni finali La panoramica fin qui svolta circa i tratti salienti della "direttiva concessioni" induce ad alcune considerazioni conclusive. In primo luogo, emerge definitivamente e in maniera ancor più netta rispetto al passato la natura sinallagmatica del rapporto concessorio, il quale deve fondarsi su un equilibrio delle reciproche prestazioni, che – come si è detto – finisce anche per condizionare la durata del rapporto medesimo. Risulta, quindi, confermato che le concessioni di lavori e servizi presentano – nella normativa di livello europeo – un substrato ed una sostanza di tipo bilaterale e negoziale42. Il che fa dubitare della declamata neutralità del diritto europeo (v. anche art. 345, T.F.U.E.) quantomeno nel settore in questione: in effetti, l'esigenza di istituire un equilibrato rapporto tra gli obblighi di servizio, da un lato, e il doveroso riconoscimento al concessionario delle compensazioni di natura economico/patrimoniale, dall'altro lato, fanno risaltare in maniera piuttosto evidente la natura contrattuale del rapporto43. La tesi di cui sopra è avvalorata da un ulteriore fattore. Come si è visto, infatti, la direttiva 2014/23/UE amplia in massimo grado la sfera decisionale dell'Amministrazione nell'organizzare e strutturare la procedura di selezione del concessionario, al punto che l'art. 30 parla addirittura di "libertà": termine – quest'ultimo – che richiama più il concetto di autonomia negoziale, che quello di discrezionalità amministrativa. 41 V. la Comunicazione della Commissione Europea pubblicata in G.U.U.E. 11/1/2012. Per una più diffusa disamina di tale questione, sia consentito rinviare a A. MOZZATI, Il contratto di servizio: caratteri generali e Il regime giuridico del contratto di servizio, in V. ROPPO (a cura di), Trattato dei contratti, Vol. V, Milano, 2014, rispettivamente, 1205 e 1229, nonché Contributo allo studio del contratto di servizio. La contrattualizzazione dei rapporti tra le Amministrazioni e i gestori di servizi pubblici, Torino, 2010. 43 V. anche A. MOLITERNI, Il regime giuridico delle concessioni di pubblico servizio tra specialità e diritto comune, in Dir. Amm., 2012, 567. 42 50 Ovviamente, il tema è denso di ricadute sistematiche, che richiederebbero ben altro spazio di approfondimento. E' indubbio, tuttavia, che la direttiva 2014/23/UE configura le modalità di scelta del concessionario, da parte dell'Amministrazione, in maniera non dissimile dall'esercizio dell'autonomia negoziale propria di un qualsivoglia contraente privato. Ciò contribuisce a rafforzare la configurazione contrattuale dei rapporti concessori. 51 SESSIONE POMERIDANA IL PARTENARIATO PUBBLICO PRIVATO Mario Alberto Quaglia (Università degli Studi di Genova) 1. Il tema oggetto della presente relazione propone un approccio alle problematiche poste dalla direttiva 2014/23/UE muovendo dalla nozione di partenariato pubblico privato, espressione con cui non si delinea né si definisce un istituto giuridico, ma soltanto una nozione descrittiva di una pluralità di figure caratterizzate da elementi comuni. Anche nel diritto dell’Unione Europea la nozione non ha la pretesa di porsi come riferimento generale, limitandosi a descrivere un fenomeno, suscettibile di assumere varie vesti giuridiche, caratterizzate da taluni profili comuni. Infatti, sin dal Libro verde del 2004, dopo una definizione alquanto generica, il partenariato pubblico privato viene identificato come un fenomeno caratterizzato dalla presenza di taluni elementi qualificanti: una collaborazione protratta nel tempo; un finanziamento privato, con successivo recupero dell’investimento; un ruolo dell’amministrazione di coordinamento e non operativo; il trasferimento del rischio in capo al partner privato. Non troppo diversa appare la nozione del diritto interno, quale oggi è espressa nel codice dei contratti pubblici, dall’art. 3, c. 15 ter (introdotto con il correttivo del 2008 e successivamente modificato dall’art. 44 del D.L. n. 1 del 2012, convertito nella legge n. 27 del 2012), che definisce i contratti di PPP come “aventi per oggetto una o più prestazioni 52 quali la progettazione, la costruzione, la gestione o la manutenzione di un’opera pubblica o di pubblica utilità oppure la fornitura di un servizio, compreso in ogni caso il finanziamento totale o parziale a carico di privati, anche in forme diverse, di tali prestazioni, con allocazione dei rischi ai sensi delle prescrizioni e degli indirizzi comunitari vigenti. Rientrano, a titolo esemplificativo, tra i contratti di partenariato pubblico privato la concessione di lavori, la concessione di servizi, la locazione finanziaria, il contratto di disponibilità, l’affidamento di lavori mediante finanza di progetto, le società miste (...)”. E’ proprio tale riferimento alla “allocazione dei rischi ai sensi delle prescrizioni e degli indirizzi comunitari vigenti” che, finora indeterminato, trova oggi, nella direttiva 2014/23/UE un’espressa e specifica risposta, consentendo di ricostruire una definizione comunitaria della concessione di lavori e di servizi incentrata sul criterio dell’allocazione del rischio tra il concedente ed il concessionario. Tale direttiva, infatti, definisce la fattispecie sul presupposto della ripartizione dei rischi, precisando in tal modo una nozione con la quale si dovranno confrontare sia le concessioni future, sia quelle in essere. 2. La disciplina specifica delle concessioni di lavori e di servizi all’interno in un unico testo normativo – la direttiva 2014/23/UE - modifica la situazione precedente in cui, a fronte di una regolamentazione della prima, il codice dei contratti pubblici prevede la non applicazione delle proprie disposizioni per la seconda: le prime, infatti, risultano disciplinate dalla direttiva 2004/18/CE, mentre le seconde sono sottoposte soltanto ai principi desumibili dal trattato. D’altronde, la linea di demarcazione tra le due figure non è sempre netta, in quanto in ambedue è facile riscontrare lavori e servizi, ma il rapporto giudico va a qualificarsi come concessione di lavori quando il contratto riguarda “principalmente” la costruzione di un’opera per conto del concedente, anche se esiste una componente compensativa del relativo costo in forma di gestione del servizio esercitabile attraverso l’opera stessa; per contro, può parlarsi di concessioni di servizi in presenza di lavori solo a titolo accessorio della prevalente gestione. Se fino ad oggi la differente qualificazione delle due fattispecie ha comportato l’applicazione di regimi giudici radicalmente differenti, con l’attuazione della direttiva 2014/23/UE si arriverà ad una disciplina unitaria delle due figure. 53 Non sono invece sottoposte alla disciplina della direttiva 23, in quanto escluse, le concessioni traslative di beni o risorse del demanio pubblico (quali terreni o qualsiasi proprietà pubblica, in particolare nel settore dei porti marittimi o interni o degli aeroporti) (15° considerando). 3. Nell’ambito della disciplina unificante introdotta dalla direttiva 23, l’elemento che caratterizza il contratto di concessione di lavori e di servizi, in linea con la sua collocazione nell’ambito della nozione di PPP, sarà costituito dal trasferimento in capo al concessionario, oltre ad un rischio di costruzione dell’opera, del cosiddetto “rischio operativo”(art. 5, comma 1), relativamente alla gestione dei lavori e dei servizi. Peraltro, prima di descrivere le previsioni della direttiva, occorre ricordare il quadro normativo posto in merito dal codice dei contratti pubblici, dove già si configurano criteri volti ad allocare il rischio nella concessione di lavori. Infatti, già il vigente codice dei contratti pubblici, con esclusivo riferimento alla concessione di lavori - l’unica disciplinata dettagliatamente – prevede che l’affidamento in concessione di opere “destinate all’utilizzazione diretta della P.A., in quanto funzionali alla gestione di servizi pubblici”, può essere effettuata “a condizione che resti a carico del concessionario l’alea economico-finanziaria della gestione dell’opera” – art. 143, comma 9 definendo, con questa ed altre disposizioni, l’allocazione dei rischi tra concedente e concessionario nella concessione di lavori. Relativamente alla concessione di lavori, il fatto che la remunerazione del concessionario consista, anziché in una prestazione pecuniaria, nell’attribuzione del diritto di gestire l’opera realizzata non definisce i criteri del riparto dei rischi relativi al rapporto: in essa, la maggiore alea che il concessionario si accolla rispetto all’appaltatore riguarda la gestione dell’opera. Il concessionario nel momento in cui accetta che il proprio investimento venga remunerato attraverso il conferimento del diritto di sfruttare economicamente il manufatto realizzato si assume il rischio di impresa che, normalmente, grava sull’ente concedente. Invece, relativamente alla costruzione ed al relativo rischio, il contratto di concessione di lavori, in base alla sua stessa definizione normativa (sia interna, sia comunitaria), non presenta differenze rispetto a un comune contratto di appalto, con la conseguenza che tale 54 rischio assunto dal concessionario rimane nei limiti dell’alea normale tipica dell’appalto di lavori. Ciò, del resto, trova conferma nel fatto che la disciplina speciale della concessione di lavori (art. 143 del codice dei contratti) si occupa soltanto degli effetti, sull’equilibrio economico del contratto, delle sopravvenienze suscettibili di intaccare la remuneratività della gestione dell’opera (come le modifiche tariffarie) e non di quelle che incidono sui costi di costruzione. Nel contratto di concessione di lavori l’adeguamento dell’equilibrio contrattuale ai costi eccedenti l’alea normale del contratto, anche con riferimento alla costruzione dell’opera, non necessariamente deve avvenire attraverso il pagamento di una somma di denaro (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 16 dicembre 2011, n. 3200). Infatti, essendo la parte preponderante dell’investimento remunerata attraverso il diritto di gestire l’opera, appare conforme allo schema causale del contratto che l’alterazione dell’equilibrio contrattuale dovuta all’aumento dei costi di costruzione per effetto di eventi eccezionali ed imprevedibili possa avvenire anche tramite il mutamento delle condizioni della gestione previste nel piano economico finanziario (come la durata della concessione, il regime tariffario, ecc.). Le nuove condizioni di equilibrio possono essere raggiunte “anche” mediante la proroga del termine di concessione, e quindi anche mediante altre modalità, quale il riconoscimento di un prezzo, secondo quanto previsto dall’art. 3, comma 11, del codice dei contratti pubblici. 4. La novità della direttiva concessioni rispetto alle previsioni del codice dei contratti pubblici riguarda dunque l’espressa previsione di cui all’art. 5, comma 1 della direttiva stessa, secondo cui “l’aggiudicazione di una concessione di lavori o di servizi comporta il trasferimento al concessionario di un rischio operativo legato alla gestione dei lavori o dei servizi, comprendente un rischio sul lato della domanda o sul lato dell’offerta, o entrambi”. Il tema non è nuovo, dato che il rischio del privato è sempre stato considerato necessario carattere delle forme di PPP ed in particolare delle concessioni; tuttavia, sin qui, 55 non era chiaro l’ambito preciso di tale requisito, salvo affermare che si trattava di un elemento distintivo rispetto agli appalti. In sostanza, l’obbligatorietà della previsione che imponeva la traslazione del rischio era indicativa dell’indeterminatezza del criterio e del fatto che il codice si limita ad operare un generico rinvio alle prescrizioni comunitarie; prescrizioni comunitarie che soltanto la direttiva 23 ha precisato. La nuova disciplina di tale direttiva comporta che il rapporto contrattuale di concessione implica uno spostamento sostanziale del rischio di gestione, consistente nel fatto che non deve essere “garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione”, con la precisazione che “la parte del rischio trasferita al concessionario comporta una reale esposizione alla fluttuazione del mercato tale per cui ogni potenziale perdita stimata subita dal concessionario non sia puramente nominale o trascurabile”. In tal modo, il vuoto sulla previsione sostanziale di rischio a livello comunitario viene colmato da una definizione che non consente più ai concessionari di pretendere clausole contrattuali di salvaguardia, idonee ad attenuare il rischio, con spostamento dello stesso sulla pubblica amministrazione. La direttiva dispone indicazioni – di natura quantitativa e qualitativa – per identificare il rischio operativo che deve sostenere il concessionario, sgombrando preliminarmente il campo dai tentativi di assimilazione del rischio operativo alle conseguenze derivanti dalla cattiva gestione, inadempimenti o cause di forza maggiore: evenienze queste comuni anche ai contratti di appalto e inidonee a qualificare il rischio operativo nei contratti di concessione. Ai sensi dell’art. 5, comma 1, della direttiva, il rischio operativo, che deve essere trattenuto dal concessionario, ha natura economica e implica la possibilità “che non sia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione”. La direttiva precisa, dunque, il valore della potenziale perdita economica associata al rischio operativo: fino ad oggi l’indeterminatezza di questo valore ha consentito nella prassi l’elusione delle prescrizioni comunitarie. L’entità della possibile perdita, in mancanza di un parametro quantitativo di riferimento, è stata sovente limitata dal contraente privato, con maggiore competenza e specializzazione, e dunque con una forza negoziale superiore alla p.a.. 56 Esempi di pattuizione elusive dell’obbligo di trattenere il rischio operativo a carico del concessionario, limitandolo sin dall’inizio, si sono verificati nella prassi: talora prevedendo canoni da corrispondere dalla p.a. al privato non decurtabili al di sotto di minimi garantiti, ovvero in presenza di clausole contrattuali che limitino le penali a carico del concessionario, consentendo di decurtare solo l’utile. Insomma, clausole contrattuali che tendono a ridurre il rischio del concessionario secondo condizioni che le indicazioni della direttiva oggi tendono ad escludere. 5. Il rischio operativo, a cui il privato deve essere esposto, può riguardare sia il lato della domanda sia quello dell’offerta. Il rischio di domanda consiste nel fatto che la fruizione di quel servizio possa avere un calo oppure per l’insorgere nel mercato di un’offerta competitiva di altri operatori, per mancanza di appeal della gestione del concessionario, oltreché per fattori del tutto esogeni come quello di una contrazione dei consumi generata da una crisi economica. Il rischio dell’offerta – o rischio disponibilità – può riguardare, invece i contratti in cui i privati vengono “remunerati esclusivamente dall’amministrazione aggiudicatrice e dall’ente aggiudicatore .... qualora il recupero degli investimenti effettuati e dei costi sostenuti dall’operatore per eseguire il lavoro o fornire il servizio dipenda ..... dalla loro fornitura”, e ancora “per il rischio dal lato dell’offerta si intende il rischio associato all’offerta di lavori e servizi che sono oggetto del contratto, in particolare che la fornitura non corrisponda alla domanda” (così i “considerando” nn. 18, 19 e 20 della direttiva). Il criterio interpretativo – offerto dai “considerando” della direttiva – riguarda il fatto che il rischio operativo dal lato dell’offerta sia stato configurato solo per i contratti di concessione dove la p.a. paga un canone periodico a fronte della realizzazione di una struttura e la gestione di un servizio, oppure solo per la gestione di un servizio. Il riferimento è alle concessioni di lavori e di servizi c.d. “fredde”. Quando la capacità dell’offerta del concessionario, stabilita contrattualmente, si riduca per qualsiasi ragione, con conseguenze sanzionatorie di ordine economico che possono anche intaccare gli investimenti e i costi di gestione, allora queste circostanze possono configurare il rischio operativo dal lato dell’offerta. In particolare, nei contratti di concessioni “fredde” – stante la struttura bilaterale del rapporto in cui la p.a. paga un canone al concessionario a cadenza periodica – per configurare 57 il rischio operativo dal lato dell’offerta deve essere strutturato un sistema di penali idoneo a decurtare il canone versato dalla p.a. al concessionario ogni qualvolta venga rilevato il mancato soddisfacimento degli standard di servizi predeterminati in termini di volume o di qualità. La direttiva ha individuato i caratteri che possono assumere i rischi, collocandoli nel contesto della dinamica del mercato, in cui si fronteggiano domanda ed offerta ed i rischi si collocano su entrambi i versanti con la capacità di intaccare gli investimenti effettuati dal concessionario. 6. Così delineato il quadro dei rischi che la direttiva pone a carico del concessionario, restano da individuare i rischi che incombono sull’amministrazione concedente. In proposito, merita attenzione nella definizione di rischio operativo della direttiva, l’inciso dell’art. 5, comma 1, “in condizioni operative normali”, previsione che introduce una salvezza per il concessionario privato all’assunzione del rischio operativo. Viene, infatti, escluso da tale rischio quello prodotto dal rischio finanziario a fronte del quale l’operatore privato non è responsabile; si tratta di previsione certamente gradita dal sistema bancario. Probabilmente l’inciso è figlio della crisi economica, ed è destinato a traslare sulla parte pubblica i rischi relativi alle depressioni dei cicli economici. Sempre in tale prospettiva, inoltre, occorre rilevare che componente essenziale della concessione è il PEF, che costituisce un elemento inscindibile della stessa al momento della stipulazione del contratto, deve essere coerente con il contratto ed il progetto; in particolare, il PEF è il documento che rappresenta quantitativamente lo sviluppo del progetto, la realizzazione dell’opera, la gestione del servizio e la sostenibilità economico-finanziaria per la durata della concessione. La distribuzione dei rischi tra le parti deve seguire la regola di assegnazione dello specifico rischio al soggetto (concedente e concessionario) che abbia le migliori capacità di gestirlo. Così se, in termini generali, il privato deve trattenere e gestire il rischio costruzione ed il rischio domanda di mercato o quello di disponibilità, la p.a. deve trattenere e gestire i rischi 58 connessi agli adempimenti della parte pubblica sul rilascio di autorizzazioni, pareri, approvazioni, pagamenti, o normative sopravvenute. Infatti, l’art. 143 del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, al comma 9, prevede che deve restare “a carico del concessionario l’alea economico-finanziaria della gestione dell’opera”, ed al comma 8 configura espressamente l’ipotesi per la quale le modifiche dell’equilibrio del piano economico finanziario degli investimenti e della connessa gestione “comportano la sua necessaria revisione, da attuare mediante rideterminazione delle nuove condizioni di equilibrio”; “in mancanza della predetta revisione il concessionario può recedere dal contratto”. In sostanza, i presupposti e le condizioni di base dell’equilibrio economico-finanziario possono essere incisi da due ordini di cause – idonee a ridurre i margini di rischio per il concessionario -: a. le “variazioni apportate dalla stazione appaltante”, attraverso atti amministrativi; b. il sopraggiungere di nuove normative che prevedano nuovi meccanismi tariffari o nuove condizioni per lo svolgimento del servizio. Pertanto, la norma ha individuato i presupposti della revisione del contratto – e quindi l’eliminazione del rischio per il concessionario – nell’esercizio del c.d. ius variandi da parte dell’amministrazione concedente e nel c.d. factum principis; a fronte di dette cause, nessuna rilevanza sul rapporto contrattuale possono assumere altre circostanze, quali gli errori del concessionario nella stima della possibile utenza o il calo della domanda da parte della stessa. 7. L’inquadramento della fattispecie nella nozione di PPP assume rilevanza giuridica sotto due distinti profili. Da un lato, infatti, la qualificazione del rapporto contrattuale come concessione, piuttosto che come appalto, comporta l’applicazione di un distinto plesso normativo e rende le modalità di aggiudicazione meno stringenti. Pertanto, un’errata configurazione del rischio operativo comporta la vulnerabilità della procedura di affidamento da parte di operatori economici concorrenti che, sostenendo trattarsi di appalto e non di concessione, potrebbero chiedere al giudice l’annullamento della gara e la sua ripetizione con le regole dell’appalto. 59 D’altronde, taluna giurisprudenza – in tale prospettiva – è addirittura pervenuta a ritenere nulli i contratti di concessione che non assicurassero un’effettiva distribuzione dei rischi, in quanto in frode alla legge (T.A.R. Sardegna, 10 marzo 2011, n. 2013). Inoltre, la qualificazione del rapporto come concessione rileva anche in relazione al problema delle operazioni finanziarie che possono o meno rientrare nel Patto di stabilità. Infatti, già la decisione Eurostat 11.02.2004, sul deficit e sul debito, prevedeva che le operazioni in cui il privato si assume il rischio di costruzione o almeno uno dei due rischi di disponibilità e di domanda, possono non essere registrate nei bilanci delle pubbliche amministrazioni. Dalle modifiche operanti dal settembre 2014, possono considerarsi off balance le operazioni di PPP in cui il partner privato assume la maggior parte dei rischi e, allo stesso tempo, ha diritto di godere di larga parte dei benefici derivanti dall’operazione. 8. Due considerazioni infine in ordine all’influenza di quanto sin qui esposto con riferimento alla stessa nozione della concessione (di lavori e di servizi). La direttiva, unificando la definizione e la disciplina dell’affidamento delle concessioni di lavori e di servizi, ha condotto al riconoscimento delle concessioni di servizi “fredde”. La struttura di tali concessioni è quella propria di un rapporto bilaterale in cui la p.a. riveste il ruolo di soggetto che paga il concessionario per il servizio svolto e su quest’ultimo grava il rischio, operativo dal lato dell’offerta, per i servizi resi direttamente alla stessa p.a. o alla collettività. Al contrario, com’è noto, le pronunce prevalenti della Corte di giustizia, del Consiglio di Stato e dei T.A.R. – in particolare quelle che hanno esaminato la differenza tra appalti di servizi e concessioni di servizi - hanno ricostruito le concessioni di servizi come un rapporto trilatero tra la p.a., il concessionario e gli utenti precisando che questi ultimi sono i destinatari dei servizi e coloro che remunerano il concessionario con la tariffa corrispondente. I casi esaminati dalla giurisprudenza ammettono, quindi, la configurazione della concessione di servizi quando il rischio gestionale a carico del concessionario sia associato alla circostanza che i proventi derivino direttamente o, in misura consistente, dagli utenti. 60 La direttiva ha uniformato la definizione di concessioni di lavori e di servizi, specificando nell’art. 5, comma 1, come il discrimen tra ciò che è concessione e ciò che non lo è, sia solo la presenza del rischio operativo in capo al privato dal lato della domanda o dell’offerta. Poiché l’articolo citato non limita l’alternativa dei due tipi di rischio operativo alle sole concessioni di lavori, la conclusione non può che deporre per la configurabilità della concessione di servizi “fredda”, in cui il privato trattenga in modo pieno e verificabile il rischio operativo dal lato dell’offerta. Emerge dunque come la natura di una concessione dipenda dalla strutturazione delle clausole contrattuali e dal reale posizionamento a carico del privato del rischio operativo dal lato della domanda o dell’offerta, superando in tal modo anche la stessa definizione di cui all’art. 3, comma 12, del D.lgs. 12 aprile 2006, n. 163; si prescinde dalla ricostruzione bilaterale o trilaterale del rapporto concessorio e, perciò, da chi, p.a. o utenti, provenga il corrispettivo per i servizi resi. La vera determinante delle concessioni di servizi è naturalmente la strutturazione contrattuale del rischio operativo dal lato della domanda o dell’offerta, con la previsione di penali in modo che “ogni potenziale perdita stimata subita dal concessionario non sia puramente nominale o trascurabile” e che “non sia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti”. Da ultimo, il tratto caratterizzante le concessioni (di lavori e di servizi) che si è messo in rilievo ed esaminato pone un – ulteriore - profilo problematico anche con riferimento ad un altro carattere tradizionalmente attribuito alla concessione: vale a dire la traslatività con accrescimento della sfera giuridica del destinatario. Attraverso la concessione, infatti, al concessionario verrebbe trasferita una posizione di vantaggio giuridicamente propria della pubblica amministrazione. Ci si potrebbe allora chiedere se tale carattere possa ancora ritenersi presente, nel contesto di una configurazione comunitaria dell’istituto caratterizzata dal trasferimento del solo rischio economico. In realtà, in tal caso, la traslatività non riguarderebbe tanto poteri e prerogative della p.a., quanto il trasferimento del concessionario nella posizione della p.a. conseguente alla scelta di operare nell’economia, con conseguente alterazione del mercato per divenirne 61 attuatore; in sostanza, la p.a. pone il concessionario nella posizione di mercato che la caratterizza, in ragione delle peculiari modalità del suo intervento nell’economia. Anche la concessione comunitaria dunque sembra caratterizzata per un elemento di traslatività, da intendere in senso sostanziale come trasferimento di una particolare posizione nel mercato. 63 IL CAMPO DI APPLICAZIONE OGGETTIVO DELLE DIRETTIVE APPALTI, CON PARTICOLARE RIGUARDO ALLA NOZIONE DI APPALTO Alberto Di Mario (T.A.R. LOMBARDIA) Grazie. Ringrazio tutti; ringrazio la prof.ssa Vipiana per questa ottima occasione di confronto sulle direttive, sulle prospettive del diritto comunitario e del diritto nazionale in materia di appalti. L’importanza delle nuove direttive appalti sta non solo nel fatto che esse saranno la base del nuovo diritto dei contratti, in quanto porteranno alla modifica se non alla riscrittura del Codice degli appalti, ma anche nel fatto che esse svolgono una funzione interpretativa delle norme vigenti, soprattutto scaduti i termini per la loro recezione nell’ordinamento interno. Mi è stato assegnato il compito di chiarire l’ambito di applicazione delle nuove direttive ed, in particolare, la nozione di appalto contenuta nella nuova direttiva che attiene ai settori ordinari, la 24/14. Occorre rammentare che la nozione di appalto introdotta dalla direttiva 18/04 aveva prodotto notevoli scossoni nel nostro sistema, perché aveva permesso di superare completamente il sistema dell’appalto secondo le regole del codice civile, al quale eravamo legati, che era quello di un contratto con tra un’amministrazione ed un imprenditore per lo svolgimento di un’attività di impresa volta alla produzione di beni e servizi o lavori. La Direttive 18 del 2004 aveva esteso la nozione di appalto a qualsiasi forma di contrattazione con operatori economici, anche non imprenditori, per l’acquisizione con qualsiasi mezzo di beni e servizi: quindi, una nozione molto più ampia, che ha rotto i ponti che ci legavano alla normativa civilistica. L’altra grossa novità introdotta dal diritto comunitario con le direttive 2004 era stato il riconoscimento della natura contrattuale delle concessioni: quindi, l’abbandono delle teorie pubblicistiche in materia, e l’inserimento delle concessioni nell’ambito contrattuale. 64 La direttiva 24/2014 non è foriera di così grandi novità. Al considerando 4, si pone come scopo quello di cercare una definizione più chiara del concetto stesso di “appalto”, e dobbiamo dire che c’è un certo sforzo in questo senso, sforzo che, però, è affidato - più che alle norme - alla parte introduttiva della direttiva, che si estende in modo molto prolisso a cercare di individuare i caratteri dell’appalto, con lo scopo espresso di evitare che questa nozione si ampli rispetto a quella precedente. Occorre domandarsi se effettivamente vi sono stati dei passi avanti rispetto alla normativa precedente. Il problema più grosso era quello dell’ambito di applicazione della disciplina degli appalti. In merito occorre ricordare che l’ambito di applicazione della direttiva appalti era stato ampliato in sede interpretativa dalla Commissione attraverso in particolare l’individuazione di appalti che, esclusi dalle direttive, sono ritenute soggette ai principi comunitari di concorrenza in base, sostanzialmente a due mezzi interpretativi: a) l’affermazione secondo la quale l’ambito di applicazione del Trattato UE è più ampio di quello delle direttive appalti e non può essere da queste limitato; b) gli appalti esclusi dall’ambito di applicazione delle direttive, in quanto da esse contemplati, sono rilevanti per il diritto comunitario e soggette ai principi desumibili dal Trattato. Occorrerà quindi capire se il principale soggetto al quale è demandata la vigilanza sull’attuazione delle direttive, cioè la Commissione europea, continuerà in questa attività di ampliamento in via interpretativa dell’ambito di applicazione delle direttive appalti. Tornando al testo normativo, i punti di novità più interessanti sono: a) un rafforzamento del concetto di acquisizione di beni, che limita l’applicazione della direttiva ai c.d. contratti passivi; b) una disciplina più specifica degli accordi tra le PP.AA., sotto la forma della cooperazione pubblico/pubblico, che invece in passato non era disciplinata, c’era solo la disciplina dell’in house, qui invece vengono introdotte delle norme specifiche, che bisognerà vedere quali effetti avranno; c) l’eliminazione della categoria dei servizi esclusi di cui all’allegato 2b. A tali tipi di servizi la direttiva precedente diceva che si applicavano i principi, e questo era uno dei principali agganci normativi che permettevano la costruzione della categoria dei contratti soggetti solo ai principi, poi ripresa dal Codice degli appalti. Questi servizi - in particolare i servizi sociali - vengono riassorbiti in una disciplina specifica, una forma di gara semplificata. Tale modifica assume particolare importanza, soprattutto al fine di verificare se la struttura stessa del Codice degli appalti possa tenere. Oggi, infatti, il Codice De Lise si divide in 3 parti: prevede i contratti soggetti alla disciplina comunitaria, sia gli appalti sia le concessioni; i contratti esclusi, ai quali si applicano i principi; e poi, secondo la 65 terminologia introdotta dall’Adunanza Plenaria n. 16/2011 (sentenza “De Nictolis”), ci sono i contratti estranei all’ambito di applicazione del Codice. Quindi, riprendendo la struttura della direttiva n. 18/2004, il nostro legislatore ha previsto questi, diciamo, 3 livelli di applicazione della disciplina comunitaria. Oggi, dopo la trasformazione della categoria degli appalti esclusi, da contratti soggetti ad un procedimento di avvicinamento tra gli stati attraverso l’applicazione dei principi, ad una ridefinizione in termini di appalti semplificati, occorrerà verificare se questa tripartizione - appalti soggetti alla disciplina comunitaria, appalti esclusi ma ai quali si applicano i principi, appalti estranei - potrà ancora tenere, e obiettivamente io qualche dubbio ce l’ho. Passando ora alla nozione di appalto contenuta nella nuova direttiva occorre rilevare in primo luogo, che l’art. 1 dice: “La presente direttiva stabilisce norme sulle procedure per gli appalti indetti da amministrazioni aggiudicatrici per quanto riguarda appalti pubblici e concorsi pubblici di progettazione, il cui valore stimato non è inferiore alle soglie comunitarie”. Ecco, qui c’è già una novità, perché agli appalti pubblici vengono equiparati i concorsi pubblici di progettazione, che invece, nelle precedenti direttive, erano considerate una forma di gara; quindi, qui, il concorso pubblico di progettazione viene, diciamo, considerato alla pari dell’appalto, quindi un sistema di aggiudicazione, che non è riconducibile all’appalto, ma ha una sua propria struttura autonoma, e quindi questo potrà avere effetto: a) sulla interpretazione di questa figura; b) sulla individuazione della normativa applicabile, che non è necessariamente o automaticamente quella sugli appalti pubblici, proprio perché non è una species degli appalti, ma qualcosa che si pone sullo stesso piano dell’appalto. Importante anche il secondo comma, che dice: ai sensi della presente direttiva, si parla di appalto quando una o più amministrazioni aggiudicatrici acquisiscono, mediante appalto pubblico, lavori, servizi o forniture, da operatori economici scelti dalle amministrazioni aggiudicatrici stesse, indipendentemente dal fatto che i lavori, i servizi e le forniture siano considerati per una finalità pubblica o meno. Ecco, qui, diciamo, non c’è novità, nel senso che il concetto di acquisizione di prestazione di lavori, forniture e servizi c’era già nella precedente direttiva; però, viene individuato, enucleato, in un articolo specifico, diverso da quello sulla nozione di appalto, e anche - diciamo - nell’introduzione delle direttive c’è questa enfatizzazione del concetto di acquisizione, che vedremo quale effetto potrà avere. E poi, si aggiunge, la finalità pubblica o meno, quindi c’è la cancellazione della distinzione fra diritto privato funzionalizzato e diritto privato libero, che fa parte invece 66 della nostra struttura “classica” del diritto amministrativo, per cui, diciamo, ogni prestazione di lavori, servizi e forniture deve essere assoggettata a gara,indipendentemente dal fatto che sia finalizzato per perseguire un interesse pubblico o un interesse privato dell’ente. Per quanto riguarda la nozione di “appalto”, la nozione è uguale a quella precedente. La norma dice: “contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto tra uno o più operatori economici e una o più amministrazioni aggiudicatrici, avente per oggetto l’esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi”. Il primo requisito è quello dell’accordo delle parti, che - sappiamo - è un concetto fondamentale anche del diritto civile. Però, l’accordo delle parti è anche un elemento costitutivo degli accordi amministrativi, e quindi già la norma pone il problema della sovrapposizione delle due figure. L’individuazione del contratto come oggetto principale della direttiva, si lega al considerando 5, secondo il quale “nessuna disposizione della presente direttiva obbliga gli Stati ad affidare a terzi, o a esternalizzare, la prestazione dei servizi che desiderano prestare essi stessi o organizzare con strumenti diversi dagli appalti pubblici ai sensi della presente direttiva”. La prestazione dei servizi sulla base di disposizioni regolamentari o di contratti di lavoro, quindi, dovrebbe esulare dall’ambito di applicazione della presente direttiva. In alcuni Stati membri, ciò potrebbe verificarsi, ad esempio, per taluni servizi amministrativi pubblici, tra cui i servizi esecutivi o legislativi, o per la fornitura di determinati servizi alla comunità. Quindi, diciamo che viene riaffermato il principio che è la scelta contrattuale che porta l’obbligo di effettuare la gara, e non il contrario. Poi vi è la necessità della forma scritta dell’accordo, che è prevista dall’art. 2 della direttiva, e che è conforme ai nostri principi. L’altro elemento è che il contratto debba essere a titolo oneroso: e qui iniziamo a dire qualcosa di più. L’onerosità comporta, diciamo, una controprestazione e un peso anche per l’Amministrazione che intenda acquisire queste prestazioni. La giurisprudenza comunitaria, in realtà, ha esteso il concetto di onerosità fino alla sinallagmaticità; è sufficiente, cioè, che ci sia una controprestazione. Devo dire che, da questo punto di vista, la nuova direttiva non aggiunge nulla, rispetto alla disciplina precedente. Questo ampliamento ha favorito l’estensione della disciplina degli appalti agli accordi tra amministrazioni - che sono soggette non tanto al pagamento di un corrispettivo, quanto a un rimborso spese - resta aperto. Infatti, nella causa C 159-2011, con l’ASL di Lecce, l’Avvocato generale dello Stato aveva affermato un’interpretazione estensiva della nozione di “onerosità”, nel senso che essa comprende ogni tipo di remunerazione consistente 67 in un valore in denaro. Quindi, la mera assenza di profitto non conferisce carattere di gratuità al contratto; e qui, dobbiamo dire che la direttiva non ha, diciamo, comportato mutamenti. La nozione di onerosità resta generica, e sarà quindi soggetta all’interpretazione dei giudici ordinari e comunitari l’interpretazione di questo concetto. Nell’ambito dell’onerosità, si è posto il problema, in passato, dei lavori a scomputo; questo è il caso della Corte di giustizia, 12-VII-2001, causa C 399-1998; l’Ordine degli architetti milanesi contro il Comune di Milano per la realizzazione del Teatro degli Arcimboldi, nel quale la Corte ha affermato che anche le opere a scomputo degli oneri di urbanizzazione sono soggetti a gara. Quindi dobbiamo dire che novità, da questo punto di vista, non ce ne sono, in quanto questa nozione non è stata modificata. Sugli oneri di urbanizzazione il problema è stato risolto dal legislatore interno; la questione, però, rimaneva aperta, perché colui che svolge le opere a scomputo quindi, realizza questi immobili - lo fa per non pagare una tassa; quindi, anche nel caso di opere a scomputo il problema dell’onerosità si pone, e viene risolto mediante un concetto ampio di onerosità, sul quale la nuova direttiva non aggiunge nulla. Sempre sull’onerosità, invece, la direttiva fa un passo avanti al considerando 70, dicendo che la direttiva non dovrebbe applicarsi nei casi in cui le attività di centralizzazione delle committenze o le attività di committenza ausiliarie non sono effettuate attraverso un contratto a titolo oneroso, che costituisce appalto ai sensi della presente direttiva; e quindi, sembrerebbe che gli incarichi di committenza pubblica, in forma pubblica, quindi l’individuazione delle centrali di committenza e delle attività ausiliarie, se effettuate in forma privata non onerosa o in forma pubblica, non dovrebbero rientrare nell’ambito degli appalti. Quindi questo aspetto - e quindi l’affidamento dell’appalto ad un soggetto diverso - non dovrebbe costituire appalto, e quindi non dovrebbe essere soggetto a gara. Lo stesso vale, poi, per l’individuazione dei servizi economici e non economici. Anche qui, diciamo, la direttiva conferma al considerando 6 che esiste una piena libertà delle amministrazioni e degli Stati di individuare i servizi economici e non economici, e quindi anche questo elemento non è stato chiarito. Al carattere di economicità o meno del servizio si collega l’esistenza o meno dell’appalto, perché laddove il servizio è economico, ovvero venga svolto con caratteri di economicità, allora si può rientrare nell’ambito della disciplina degli appalti, in quanto si costituisce un rapporto a titolo oneroso, diversamente nel caso in cui si tratti di servizi non economici. Ecco, qui il grosso problema dell’individuazione dei servizi pubblici economici e non economici - e quindi, dell’individuazione dell’ambito di 68 applicazione della direttiva che non è stato chiarito. Anche sotto questo aspetto la Commissione europea, con la decisione del 20-XII-2011, aveva ampliato la nozione, affermando che gli incarichi di edilizia sociale, pur essendo considerati di interesse economico generale, erano soggetti agli obblighi di gara, in quanto servizi che fornivano prestazioni analoghe a quelle in materia di appalti; bisogna dire che, da questo punto di vista, non ci sono novità. Quindi, l’individuazione dei servizi economici o non economici resta un punto aperto. Torniamo alla novità costituita dalla sottolineatura del concetto di acquisizione di un bene da parte dell’Amministrazione. L’acquisizione comporta un vantaggio per l’Amministrazione. Il considerando 4 chiarisce, però, che la nozione di acquisizione deve essere intesa in senso ampio; cioè, nel senso che l’Amministrazione ottenga dei vantaggi dai lavori, dai servizi e dalle forniture in questione, senza che sia necessariamente richiesto un trasferimento della proprietà. Quindi, l’appalto non è solo quello con il quale si acquisisce la proprietà di certi beni, ma anche altre tutte le forme contrattuali che permettono all’Amministrazione di avere la disponibilità di beni per le proprie necessità o per quelle dei cittadini. Sempre il considerando 4 introduce, però, una distinzione con il finanziamento; cioè, dice che il semplice finanziamento, in particolare tramite sovvenzioni di un’attività che è spesso legata all’obbligo di rimborsare gli importi percepiti, qualora essi non siano utilizzati per gli scopi previsti, generalmente non rientra nell’ambito di applicazione degli appalti pubblici. Quindi, il semplice finanziamento di un’attività viene escluso dall’ambito di applicazione delle direttive e quindi del concetto di appalto, proprio perché in questo caso, pur essendoci una prestazione da parte dell’Amministrazione, non abbiamo un’acquisizione di un bene da parte dell’Amministrazione stessa. Quindi, la semplice restituzione, ad esempio, di beni - in questo caso, di un finanziamento - dal privato all’amministrazione non costituisce acquisizione di un bene che rientri nel concetto di appalto. Il concetto di acquisizione deve essere definito in collegamento all’art. 10, comma 1, lettera a), il quale esclude dagli appalti le prestazione di acquisto in senso proprio di terreni e fabbricati; quindi, l’acquisizione è un’entrata, diciamo, di un bene, attraverso una prestazione di beni o servizi. Quindi, vedete come i concetti sono molto complessi; e, da questo punto di vista, la direttiva non introduce, diciamo, grosse novità. Vi sono poi gli appalti sovvenzionati, mediante i quali la P.A. acquisisce un bene. Secondo l’art. 13 (“appalti sovvenzionati dall’amministrazione aggiudicatrice”) la direttiva si 69 applica all’aggiudicazione di una serie di contratti. Questo, ecco, è un concetto che c’era già nel Codice dei contratti e nella precedente direttiva. Cioè si dice: la sovvenzione non rientra nell’ambito degli appalti, perché non si acquisisce un bene; però, esistono delle forme di contratti sovvenzionati, che rientrano nell’ambito della disciplina delle direttive. Sotto questo punto di vista - cioè, della distinzione fra appalti e sovvenzione - non sono stati fatti passi avanti, perché si è voluta dare una definizione sostanziale di “acquisizione”, nella quale rientra anche il concetto di sovvenzione a certe condizioni, ritenendo che a volte dare soldi per fare una certa cosa è come farla indirettamente, e quindi il problema resta aperto. Una novità, invece, rilevante, è quella del partenariato pubblico-pubblico. L’inserimento, diciamo, il confluire degli accordi pubblicistici nell’ambito della disciplina degli appalti è una novità successiva alla disciplina della direttiva del 2004. Originariamente si è pensato, in sede di ricezione della direttiva, agli appalti che un’Amministrazione dà al privato, oppure alle concessioni che dà a un privato, e quindi alle relazioni fra l’Amministrazione e un privato. È stato con la sentenza del 2009 della Corte di giustizia, nella sentenza per la causa “Commissione c. Germania”, C-480-2006, che la Corte di giustizia ha distinto il c.d. “partenariato pubblico-pubblico” in partenariato basato su un fondamento istituzionale - cioè, con la creazione di un apposito ente, con la funzione di svolgere determinate prestazioni, in questo caso volto a effettuare servizi, forniture e lavori - dal caso in cui, invece, l’accordo avvenga su base contrattuale. E, laddove c’è questa base contrattuale, la Corte ha riconosciuto l’applicabilità delle norme in materia di appalti anche negli accordi fra PP.AA.: con quale limite? lo svolgimento di funzioni comuni. Cioè, la Corte ha detto che laddove gli Stati si accordano per svolgere funzioni comuni, allora siamo fuori dall’ambito degli appalti; laddove, invece, non esiste questa funzione di condivisione della medesima funzione, allora si rientra nell’ambito degli appalti. Qui c’è una novità importante, cioè l’art. 12, comma 4, della direttiva n. 24/2014, che diciamo, concentra l’attenzione, più che sul concetto di “contratto”, su quello di “cooperazione”. La norma dice: un contratto concluso esclusivamente fra due o più amministrazioni aggiudicatrici non rientra nell’ambito di applicazione della presente direttiva, quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni: il contratto stabilisce o realizza una cooperazione fra amministrazioni aggiudicatrici partecipanti; l’attuazione di tale cooperazione è retta soltanto da considerazioni inerenti all’interesse pubblico; le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti svolgono sul mercato aperto meno del 20% delle attività interessate dalla cooperazione. Ecco, quindi, questa è una 70 novità assoluta. Originariamente la disciplina degli appalti era pensata per i rapporti tra Amministrazione e privato; poi, si è riconosciuto che anche gli accordi tra Amministrazioni potessero rientrare nella disciplina degli appalti. L’interpretazione della Corte di giustizia molto ampia - sul concetto di onerosità ha facilitato questa interpretazione, perché di regola le relazioni tra Amministrazioni non sono onerose, ma sono fondate sul rimborso spese. Una volta che anche il rimborso spese può costituire onerosità, si è aperto questo grande spazio per l’applicazione della disciplina degli appalti anche agli accordi ex art. 15 legge n. 241/1990. Oggi, la nozione di “accordo pubblicistico” fra PP.AA. soggetto alla disciplina degli appalti viene ristretto con questo riferimento non solo alla cooperazione - come era in precedenza ma anche al fatto che le Amministrazioni svolgano sul mercato aperto più del 20% delle attività oggetto della cooperazione. Concetto non tanto facile; comunque, se un’Amministrazione, diciamo, opera sul mercato, allora sarà soggetto alla disciplina sugli appalti, gli accordi fra Amministrazioni che operano sul mercato saranno soggetti alla disciplina sugli appalti; se invece si tratta di Amministrazioni che svolgono in maniera del tutto accessoria attività che interessano il mercato, che sono aperte al mercato, allora questi accordi pubblicistici sono sottratti alla disciplina degli appalti e quindi all’obbligo di gara. C’è questa ulteriore specificazione innovativa del rapporto fra accordi pubblicistici e appalti. Per quanto riguarda, poi, i contratti esclusi, qui c’è l’altra grossa novità. Nella direttiva n. 18/2004, era prevista una serie di contratti soggetti alla disciplina comunitaria; e poi, era prevista un’altra serie di contratti, i quali non erano considerati importanti per il mercato degli appalti comunitari, che era esclusa, ed erano i servizi dell’allegato 2b. Questi servizi erano esclusi, ma si voleva un avvicinamento, e quindi era stato stabilito che dovessero essere soggetti ai principi della disciplina comunitaria. Questa categoria scompare con la nuova direttiva, la quale invece contiene una norma specifica: è il titolo III, in particolare i regimi d’appalto; l’art. 74 dice: “aggiudicazione dei servizi sociali e di altri servizi specifici - Gli appalti pubblici di servizi sociali e di altri servizi specifici di cui all’allegato 14 sono aggiudicati il conformità del presente capo, quando il valore di tali contratti sia pari o superiore alla soglia comunitaria”. E questi sono in gran parte - ma, anche qui, l’elencazione è cambiata - gli appalti del vecchio allegato 2b. Quindi, quelli che erano degli appalti che era meglio non disciplinare ma assoggettare ai principi generali si trasformano in appalti che vengono inseriti nell’ambito della disciplina comunitaria con una disciplina semplificata. Su questo passaggio, però, occorre ricordare - e questo mi permette di collegarmi a quanto ho 71 detto prima - che la Commissione europea, che è - diciamo - il terzo incomodo che ancora non è venuto alla luce, aveva fatto una comunicazione interpretativa del 2006, quindi proprio ai tempi del Codice dei contratti, nella quale aveva stabilito che per gli appalti il cui importo era inferiore alle soglie di cui alle direttive e per gli appalti di servizi di cui all’allegato 2b, aveva individuato i principi comunitari applicabili a questa disciplina; e, quindi, questa comunicazione interpretativa del 2006 aveva introdotto questa distinzione fra appalti disciplinati e appalti esclusi ma soggetti ai principi comunitari. A queste categorie, l’Adunanza plenaria n. 16/2011 - redattore De Nictolis - aveva introdotto quella degli appalti “estranei” all’ambito di applicazione del Codice, proprio per stabilire un limite all’applicazione dei principi desumibili dalla disciplina comunitaria. Ora questo aistema interpretativo perde uno dei suoi tasselli più importanti: il concetto di avvicinamento. L’eliminazione dei servizi sociali in particolare, la cancellazione dell’allegato 2b e l’inserimento dei servizi sociali e culturali che erano il centro - diciamo - dell’allegato 2b nell’ambito di una disciplina specifica e completa, pone anche il dubbio la stessa struttura del Codice De Lise, la stessa ripartizione in tre categorie che oggi regge il nostro ragionare e applicare norme in materia di appalti; e quindi questo diventa il problema, diciamo, più grande connesso alla nuova nozione di appalto, alla nuova struttura della direttiva. Volevo chiudere con un riferimento alle cc. dd. “esclusioni”, che nella nuova direttiva hanno un altro, hanno alcune, ulteriori, specificazioni. Le novità più grosse riguardano i servizi legali. Sappiamo che i servizi legali sono stati assoggettati alla disciplina comunitaria su pressione della Commissione; anche questi nell’ambito dell’allegato 2b, e oggi invece si trovano nell’art. 10 della direttiva, quindi sono stati - anche qui - inseriti nell’ambito della direttiva; sappiamo che una sentenza del Consiglio di Stato - io la chiamo sentenza “Caringella”, aveva chiarito che l’affidamento degli incarichi di difesa legale da parte delle Amministrazioni agli avvocati non era soggetta al principio di gara. Ecco, la direttiva estende esclusione dalla gara: non solo la rappresentanza legale di un cliente - esclusa dall’ambito degli appalti di servizi - nell’arbitrato o in procedimenti giudiziari, ma anche la consulenza fornita in preparazione di uno dei procedimenti di cui alla lettera precedente; quindi anche la consulenza legale, qualora vi sia un indizio concreto, una probabilità elevata che la controversia su cui verta la consulenza divenga oggetto del procedimento in questione. Quindi, non solo - diciamo - il patrocinio, ma anche la consulenza legale in preparazione di una causa, o quella in cui vi sia un indizio concreto, una probabilità che si vada in causa; 72 quindi, in sostanza, una parte della consulenza legale viene inserita nell’ambito escluso dalla direttiva. Lo stesso, è importante l’esclusione dei servizi finanziari; servizi finanziari, compresi i prestiti, che, invece, in precedenza, erano inseriti nell’ambito della direttiva. Ulteriori modificazioni minori riguardano i servizi di media, comunicazione, radiofonici, e altre piccole fattispecie minori. Comunque, a mio parere, diciamo, i punti fondamentali sono questi: l’individuazione di una nozione di appalto che resta ancora discutibile in diversi aspetti; la sottrazione degli accordi tra Amministrazioni alla disciplina degli appalti a nuove condizioni, che sono non solo quella della cooperazione, ma anche quella di Amministrazioni che non operano sul mercato, o vi operino a condizione molto limitata; l’eliminazione del richiamo ai principi nella disciplina dei servizi esclusi soggetti ai principi, sostituita da una disciplina propria e semplificata, che porrà il problema di capire se occorre ridefinire l’intera struttura del Codice De Lise, se si potrà andare ancora avanti in questo modo. 73 IN HOUSE PROVIDING, RINNOVI E PROROGHE Giuseppe Franco Ferrari (Università Bocconi di Milano) 1. L’espressione in house providing (usata per la prima volta in sede comunitaria nel Libro Bianco sugli appalti del 1998) identifica il fenomeno di "autoproduzione" di beni, servizi o lavori da parte della Pubblica Amministrazione. L’autoproduzione consiste nell’acquisire un bene o un servizio attingendolo all’interno della propria compagine organizzativa senza ricorrere a "terzi" tramite gara (cosiddetta esternalizzazione) e dunque al mercato44: l’in house rappresenta il tentativo di conciliare il principio di auto-organizzazione amministrativa (che trova corrispondenza nel più generale principio comunitario di autonomia istituzionale), con i principi di tutela della concorrenza e del mercato45. L’in house providing costituisce una parte rilevante del fenomeno delle Società Pubbliche. Più precisamente, per la particolarità della disciplina che le caratterizza, le società in house possono essere definite “società ad evidenza pubblica”46. Esse, come ogni altro tipo di società, sono soggette al diritto comune e dunque alle disposizioni dettate dal codice civile47, ma, in quanto species del genus “società pubbliche”, G. URBANO, L’evoluzione giurisprudenziale dell’istituto in house providing tra tutela della concorrenza e autorganizzazione amministrativa, in www.amministrazioneincammino.luiss.it. 45 R. GIOVAGNOLI, Gli affidamenti in house tra le lacune del codice e recenti interventi legislativi, in www.giustizia-amministrativa.it. 46 F. CINTIOLI, La pubblica amministrazione come socio, l’interesse pubblico e la tutela dei terzi, in Il nuovo Diritto Amministrativo, 2014, I, p. 7; Cass., sez. un., 25 novembre 2013, n. 26283. 47 Art. 4, comma 13, d.l. 95/2012 (l. conv. 135/2012), a mente del quale “le disposizioni del presente articolo e le altre disposizioni, anche di carattere speciale, in materia di società a totale o parziale partecipazione pubblica si interpretano nel senso che, per quanto non diversamente stabilito e salvo deroghe espresse, si applica comunque la disciplina del codice civile in materia di società di capitali”. 44 74 sono rette anche da un regime particolare48. Si pensi, ad esempio, alla responsabilità erariale degli amministratori per i danni subiti dai soggetti pubblici partecipanti al capitale sociale, alla previsione di vincoli all’oggetto sociale derivanti dalla necessità che l’attività prevalente della Società (nella misura dell’80 %, secondo le nuove direttive nn. 2014/24/UE, 20014/23/UE e 2014/25/UE) sia svolta in favore del soggetto controllante, nonché alla composizione della compagine societaria, essendo imposto il requisito della totale partecipazione pubblica (con ammissibilità, come da ultimo previsto dalle direttive del 2014, di una apertura al capitale privato, purché sia connotata dall’assenza di poteri di influenza sulla gestione della Società, e su cui più diffusamente infra). Nonostante la centralità della tematica, l’in house providing non trova (quanto meno sino alle direttive del 2014) disciplina positiva, qualificandosi piuttosto quale istituto di produzione giurisprudenziale (soprattutto comunitaria) a partire dalla sentenza Teckal49, che si è preoccupata di dettare le condizioni necessarie affinché si possa legittimamente derogare alla gara pubblica, ed identificandole in due capisaldi, ossia: i. l’esercizio da parte dell’ente committente, sul soggetto affidatario, di un “controllo analogo” a quello esercitato sui propri servizi; ii. la necessità che il soggetto affidatario realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente committente (o gli enti, se sono più di uno) che lo controlla. 2. L’individuazione del preciso contenuto semantico dell’espressione “controllo analogo” è stata oggetto di plurimi pronunciamenti della Corte di Giustizia. Già nella sentenza Teckal la Corte fornisce una prima definizione di “controllo analogo” quale “rapporto che determina da parte dell’amministrazione controllante un assoluto potere di direzione coordinamento e supervisione […] che riguarda l’insieme dei più importanti atti di gestione”. C. VOLPE, L’affidamento in house di servizi pubblici locali e strumentali: origine ed evoluzione più recente dell’istituto alla luce della normativa e della giurisprudenza europea e nazionale, in www.giustamm.it, n. 3/2014. 49 Sentenza 18 novembre 1999, Causa c-107/98, Teckal s.r.l. contro Comune di Viano e Azienda Gas – Acqua consorziale (AGAC) di Reggio Emilia. 48 75 Tale conclusione è ribadita anche nella sentenza Stadt Halle50 - oltre che nella sentenza 13 ottobre 2005, causa n. c-458/03 (c.d. Parking Brixen51) – con la quale viene affermato un ulteriore principio fondamentale (che, sino alle direttive del 2014, ha costituito un caposaldo dell’in house providing), ossia la necessaria partecipazione pubblica totalitaria al capitale della società affidataria: la presenza (pure minoritaria) di un’impresa privata nel capitale esclude in ogni caso che l’amministrazione aggiudicatrice, per quanto a sua volta in possesso di partecipazione azionaria, possa esercitare sulla società un controllo analogo a quello che essa svolge sui propri servizi52. Sul requisito del controllo analogo la giurisprudenza comunitaria è intervenuta poi a più riprese, chiarendo che la sola partecipazione pubblica totalitaria, per quanto necessaria, non poteva comunque ritenersi sufficiente a garantire la ricorrenza del requisito de quo53, occorrendo strumenti di controllo da parte dell’ente molto più pregnanti rispetto a quelli previsti dal diritto civile e tali da concentrare nelle mani dell’ente socio la gestione della società, con radicale ridimensionamento dei poteri del Consiglio di Amministrazione. L’in house dunque, nella ricostruzione fornitane dalla giurisprudenza, esclude la terzietà, poiché l’affidamento avviene a favore di un soggetto il quale, pur dotato di autonoma personalità giuridica, si trova in condizioni di soggezione nei confronti dell’ente affidante, il 50 Sentenza 11 gennaio 2005, causa C-26/03, Stadt Halle e RPL Recyclingpark Lochau GmbH contro Arbeitsgemeinschaft Thermische Restabfall- und Energieverwertungsanlage TREA Leuna. Si veda, G.F. Ferrari, Servizi pubblici locali ed interpretazione restrittiva delle deroghe alla disciplina dell’aggiudicazione concorrenziale, nota a sentenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea, 11 gennaio 2005, causa C-26/03, Stadt Halle e RPL Recyclingpark Lochau GmbH c. Arbeitsgemeinschaft Thermische Restabfall und e – nergieverwertungsanlage TREA Leuna, in Diritto Pubblico Comparato ed Europeo, n. 2/2005, pp. 834-838. 51 Si veda, G.F. FERRARI, Parking Brixen: Teckal da totem a tabù?, nota a sentenza della Corte di giustizia della Comunità europea, 13 ottobre 2005, causa C-458/03, Parking Brixen GmbH c. Gemeinde Brixen, Stadtwerke Brixen AG, in Diritto Pubblico Comparato ed Europeo, n. 1/2006, pp. 271-277. 52 C. VOLPE, In house providing, Corte di Giustizia, Consiglio di Stato e legislatore nazionale. un caso di convergenze parallele?, in www.giustizia-amministrativa.it. Si veda, La Corte di Giustizia tiene il punto sui requisiti Teckal, nota a sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (quinta sezione), 19 giugno 2014, causa C-574/14, Centro Hospitalar de Setúbal EPE, Serviço de Utilização Comum de Hospitais (SUCH) c. Eurest (Portugal) - Sociedade Europeia de Restaurantes Lda, in Diritto Pubblico Comparato ed Europeo, n. 3/2014, pp. 1373-1374. 53 Sentenza 11 maggio 2006, Causa C-340/04, Carbotermo s.p.a. e Consorzio Alisei contro Comune di Busto Arsizio e AGESP. Si veda, G. F. FERRARI, Ancora sui requisiti Teckal: la coperta è sempre più corta, nota a sentenza della Corte di giustizia della Comunità europea (prima sezione), 6 aprile 2006, causa C-410/04, Associazione Nazionale Autotrasporto Viaggiatori (ANAV) c. Comune di Bari, A.M.T.A.B. Servizio SpA, e 11 maggio 2006, causa C-340/04, Carbotermo SpA, Consorzio Alisei c. Comune di Busto Arsizio, AGESP SpA, in Diritto Pubblico Comparato ed Europeo, n. 3/2006, pp. 1367- 1372 e in Management delle utilities, La Rivista di economia e gestione dei servizi pubblici, n.3/2006, pp.59-63. 76 quale è nella posizione di determinarne le scelte, essendo l’impresa assoggettata all’influenza dominante dell’ente socio54. La società in house deve quindi qualificarsi come longa manus dell’Amministrazione aggiudicatrice: la prima si qualifica come soggetto giuridico distinto dalla seconda sul piano formale, ma non anche alla stregua di una valutazione sostanziale, attenta all’effettiva capacità decisionale; proprio l’assenza di terzietà del soggetto affidatario rispetto al soggetto affidante e, dunque, la possibilità di considerare il primo quale parte integrante e prolungamento del secondo, valgono a giustificare il mancato ricorso all’evidenza pubblica in cui si sostanza il modulo dell’in house providing55. Perché tale giudizio di unitarietà possa essere positivamente formulato è però necessario – ha aggiunto la giurisprudenza comunitaria56 - che vi sia affinità di intenti perseguiti, e affinché tale affinità ricorra occorre che la struttura societaria sia integralmente partecipata dall’ente pubblico, essendo viceversa sufficiente la presenza di un soggetto privato, anche in quota minoritaria, ad integrare il rischio che la Società devii dal perseguimento dell’interesse pubblico del socio di maggioranza (elidendo il presupposto legittimante il regime derogatorio ai principi dell’evidenza pubblica). Se dunque la totale concentrazione in mano pubblica del capitale non costituisce elemento sufficiente, a giudizio degli interpreti, a garantire la configurabilità di un’ipotesi di in house (dovendo ricorrere anche i sopra richiamati presupposti di penetrante ingerenza nella gestione della Società, da valutarsi alla stregua delle previsioni statutarie), esso costituisce sicuramente un presupposto a ciò necessario. Ecco quindi che torna di centrale rilevanza la tematica della concentrazione in mano pubblica del capitale. L’orientamento della Corte è stato fatto proprio, in termini altrettanto rigorosi, dalla giurisprudenza nazionale. Tra le altre, merita particolare attenzione la sentenza del Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, n. 1/2008, che opera una precisa ricostruzione del panorama giurisprudenziale comunitario e ne recepisce e conferma pedissequamente i contenuti. E’ nel panorama appena descritto che si inseriscono le direttive 2014/ 24/UE nei settori ordinari, 2014/25/UE sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori 54 C. VOLPE, in op. cit. R. GAROFOLI, L’affidamento diretto a società in house e a società a capitale misto: ricognizione degli indirizzi sul tappeto, in www.neldiritto.it. 56 Sentenza 11 gennaio 2005, causa C-26/03, Stadt Halle e RPL Recyclingpark Lochau GmbH contro Arbeitsgemeinschaft Thermische Restabfall- und Energieverwertungsanlage TREA Leuna 55 77 dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali (settori speciali) – che sostituiscono le direttive 2004/18/CE 2004/17/CE – e 2014/23/UE57 sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, pubblicate in GUCE in data 28 marzo 2014. Le direttive forniscono, per la prima volta, la disciplina positiva dell’in house providing, definendone i presupposti e individuando anche parametri oggettivi cui ancorare, nel concreto, la verifica di ricorrenza di un modello di gestione in house, stabilendo che l’appalto pubblico aggiudicato da un’amministrazione aggiudicatrice a una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato può essere sottratto alle regole dell’evidenza pubblica ove siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni: a) l’amministrazione aggiudicatrice esercita sulla persona giuridica di che trattasi un controllo analogo a quello da essa esercitato sui propri servizi; b) oltre l'80 % delle attività di tale persona giuridica sono effettuate nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dalle amministrazioni aggiudicatrici controllanti o da altre persone giuridiche controllate dalle amministrazioni aggiudicatrici di cui trattasi; e c) nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportino controllo o potere di veto prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, e che non esercitino un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata. Le direttive precisano altresì quando possa ritenersi che un’amministrazione aggiudicatrice eserciti su una persona giuridica un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, richiedendo a tal fine che la stessa sia titolare di un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici, sia sulle decisioni significative della persona giuridica controllata. Con le direttive del 2014 il Legislatore traduce dunque in norme le indicazioni fornite dalla giurisprudenza comunitaria, confermando, in primis, il requisito del controllo analogo. La concentrazione della totalità del capitale in mano pubblica costituisce, si è detto, secondo l’insegnamento della Corte di Giustizia, il presupposto indispensabile affinché siffatta influenza possa in concreto esplicarsi. Tale principio non è superato nemmeno dalle innovative direttive del 2014, che continuano a richiedere la partecipazione pubblica totalitaria al capitale sociale, pur introducendo una sostanziale novità: è ammessa la compatibilità con il modulo dell’in house Il riferimento normativo è all’art. 12 della direttiva appalti (2014/24/UE), all’art. 28 della direttiva settori speciali (2014/25/UE) e all’art. 17 della direttiva concessioni (2014/23/UE) 57 78 providing della presenza di capitale privato, purché operata con modalità tali da escludere che il socio privato possa esercitare un’influenza dominante sulla persona giuridica affidataria. La portata innovativa è evidente, essendo per tale via demolito il totem della concentrazione in mano pubblica del capitale sociale quale requisito assolutamente necessario – anche se non sufficiente – perché possa parlarsi di in house providing, anche se la stessa connotazione in via derogatoria dell’ipotesi di presenza di capitale privato, assoggettata peraltro a vincoli stringenti – sono ammesse solo forme di partecipazione di capitali privati che non comportino controllo o potere di veto, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, con esclusione di ipotesi di influenza determinante sulla persona giuridica controllata – porta comunque a confermare che la totale partecipazione pubblica costituisce la regola aurea dell’in house, anche se non più assistita dai connotati di imprescindibilità che le erano stati assegnati dalla giurisprudenza ormai consolidata. Fondamentale, quindi, è la valutazione, da operarsi in concreto, della dinamica societaria, che deve comunque essere nel suo complesso idonea a garantire che la gestione della società affidataria sia nella piena ed esclusiva disponibilità del socio pubblico, così da garantire quel rapporto di “delegazione interorganica” che, solo, può giustificare il superamento delle regole dell’evidenza pubblica, che continuano a costituire la via ordinaria di affidamento dei contratti della P.A., come confermato dalla circostanza che la stessa disciplina dell’in house è configurata espressamente dalle direttive in chiave derogatoria. Particolarmente significativo al riguardo è infatti il primo comma dell’art. 12, dir. 2014/24/UE sui settori ordinari (ma di identico tenore sono, altresì, l’art. 28 della direttiva settori speciali n. 2014/25/UE e l’art. 17 della direttiva concessioni n. 2014/23/UE), il quale così dispone: “Un appalto pubblico aggiudicato da un’amministrazione aggiudicatrice a una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato non rientra nell’ambito di applicazione della presente direttiva quando siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni […]”. Per quanto quindi la portata dell’innovazione delle direttive sia meno dirompente rispetto a quanto a prima vista appaia, presentando accanto ad elementi di certa discontinuità, anche evidenze della volontà di conservare e confermare i capisaldi dell’in house providing, essa ha suscitato l’interesse degli interpreti – nonché, ovviamente, degli operatori del settore – , che si sono interrogati sulla possibilità di dare immediata applicazione alle novità introdotte dal Legislatore comunitario. 79 Parte della giurisprudenza ha affermato l’impossibilità di procedere in tal senso, evidenziando come le direttive non siano ancora state recepite dagli Stati membri 58 (e il termine per provvedervi – fissato al 17 aprile 2016 – non sia spirato) e debbano ritenersi prive del carattere dell’immediata esecutività, con conseguente conferma dell’esigenza che si prosegua a dare applicazione all’orientamento che interpreta in termini assoluti il requisito della totale concentrazione in mano pubblica del capitale della società in house, tanto da ritenere censurabile anche la partecipazione non solo minoritaria, ma altresì in via indiretta (ossia di secondo grado) di capitale privato (Tar Friuli Venezia Giulia, sez. I, 4 dicembre 2014, n. 629). Di segno opposto è, però, un recente parere del Consiglio di Stato in sede consultiva, il quale, in ordine alla prescrizione innovativa dettata dal sopra richiamato art. 12, paragrafo 1, lett. c), dir. 2014/24/CE, ha affermato che “come è noto, la direttiva 2014/24 non è stata ancora recepita, essendo ancora in corso il termine per il relativo incombente, e tuttavia essa appare di carattere sufficientemente dettagliato tale da presentare pochi dubbi per la sua concreta attuazione. Non vi è dubbio quindi che nel caso in esame, se non vi è addirittura un’applicazione immediata del tipo “self executing”, non può in ogni caso non tenersi conto di quanto disposto dal legislatore europeo, secondo una dettagliata disciplina in materia, introdotta per la prima volta con diritto scritto e destinata a regolare a brevissimo la concorrenza nei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture nell’U.E.” (sezione II, parere n. 298/2015). Di minore impatto e quindi anche di più ridotta difficoltà ermeneutica e applicativa, ma certo di apprezzabile contributo a definire con maggiore certezza i contorni dell’in house providing, è anche la scelta del Legislatore comunitario di codificare con le direttive del 2014 anche il c.d. in house frazionato o pluripartecipato, delineando le modalità attraverso le quali le Amministrazioni che detengano quote di minoranza possano ritenersi titolari del controllo analogo sull’affidatario. Più in particolare, è richiesto a tali fini che 1) gli organi decisionali della persona giuridica controllata siano composti da rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti, con la precisazione che singoli rappresentanti possono rappresentare varie o tutte le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti; 2) tali amministrazioni aggiudicatrici siano in grado di esercitare congiuntamente un’influenza 58 Il ddl di recepimento è attualmente all’esame della Commissione Lavori Pubblici del Senato. 80 determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative di detta persona giuridica; e 3) la persona giuridica controllata non persegua interessi contrari a quelli delle amministrazioni aggiudicatrici controllanti (riproponendosi quindi in via espressa la necessità, già evidenziata dalla giurisprudenza, della concordanza dei fini). La disciplina positiva sostanzialmente ricalca le indicazioni della giurisprudenza, che già in passato aveva trattato la questione del controllo analogo in presenza di azionariato pubblico diffuso. In particolare, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sezione III, con la sentenza 29 novembre 2012, pronunciata nelle cause riunite C-182/11 Econord SpA contro Comune di Cagno e Comune di Varese e C-183/11 Econord S.p.A. contro Comune di Solbiate e Comune di Varese, aveva risposto alla questione sollevata dal Consiglio di Stato affermando il seguente principio: “Quando più autorità pubbliche, nella loro veste di amministrazioni aggiudicatrici, istituiscono in comune un’entità incaricata di adempiere compiti di servizio pubblico ad esse spettanti, oppure quando un’autorità pubblica aderisce ad un’entità siffatta, la condizione enunciata dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, secondo cui tali autorità, per essere dispensate dal loro obbligo di avviare una procedura di aggiudicazione di appalto pubblico in conformità alle norme del diritto dell’Unione, debbono esercitare congiuntamente sull’entità in questione un controllo analogo a quello da esse esercitato sui propri servizi, è soddisfatta qualora ciascuna delle autorità stesse partecipi sia al capitale sia agli organi direttivi dell’entità suddetta”. 3. Ulteriore requisito per il legittimo ricorso all’in house providing, si è visto, è costituito dalla c.d. attività prevalente, che si sostanzia nella necessità che l’affidatario svolga la più parte della propria attività in favore dell’ente che lo controlla. Già la giurisprudenza comunitaria59 aveva fornito i parametri di valutazione della sussistenza del requisito in esame, precisando come a tale fine occorresse tenere in considerazione tutte le attività svolte dall’affidatario, a prescindere da chi in concreto le remunerasse (se l’amministrazione aggiudicatrice o il fruitore finale della prestazione), e a nulla rilevando l’ambito territoriale in cui esse venivano svolte (sul punto, occorre però evidenziare come, per quanto sia ritenuto ininfluente ai fini della determinazione della Sentenza dell’11 maggio 2006 - causa C-340/04, Carbotermo SpA e Consorzio Alisei contro Comune di Busto Arsizio e AGESP SpA. 59 81 sussistenza del requisito dell’attività prevalente sapere su quale territorio siano erogate le prestazioni, non di meno la giurisprudenza riteneva necessario che lo sviluppo dei servizi affidati in house si svolgesse nell’ambito territoriale di riferimento dell’ente locale socio, in quanto, in difetto, non sarebbe stato possibile ipotizzarsi la ricorrenza del controllo analogo60). A giudizio degli interpreti, quindi, il requisito dell’attività prevalente poteva essere predicato sia nel caso di prestazioni svolte nei confronti dell’ente controllante, sia nel caso di prestazioni svolte per conto dello stesso, nello svolgimento diretto da parte dell’aggiudicatario delle attività istituzionali dell’ente pubblico61. La medesima giurisprudenza aveva anche chiarito che nell’ipotesi in cui diversi enti detenessero un’impresa, poteva dirsi integrato il requisito anche qualora tale impresa svolgesse la parte più importante della propria attività con tali enti complessivamente considerati62. Nel tentativo di fornire parametri di riferimento, gli interpreti avevano individuato nel fatturato il dato oggettivo su cui concentrare le valutazioni relative al requisito dell’attività, con l’importante precisazione – in linea con la tendenza sostanzialistica assunta dalla giurisprudenza nel valutare i requisiti dell’in house – che il fatturato determinante fosse rappresentato da quello che l’impresa in questione realizzava in virtù delle decisioni dell’ente controllante (ivi compreso, dunque, quello ottenuto con gli utenti, in attuazione di tali decisioni) 63, e che, più ancora che l’individuazione di una soglia percentuale, necessitasse un giudizio pragmatico fondato non solo sull’aspetto quantitativo, ma anche su quello qualitativo delle prestazioni fornite. In altri termini, la natura dei servizi, opere o beni resi al mercato privato, oltre alla sua esiguità, doveva anche dimostrare la quasi inesistente valenza nella strategia aziendale e nella collocazione dell’affidatario diretto nel mercato pubblico e privato64. Sino alle direttive del 2014 è spettato quindi agli interpreti fornire i riferimenti per il giudizio di prevalenza. Sentenza del 10 settembre 2009 – causa C-573/07, Sea Srl contro Comune di Ponte Nossa R. GAROFOLI, in op. cit. 62 C. VOLPE, in op. cit. 63 Sentenza dell’11 maggio 2006 - causa C-340/04, Carbotermo SpA e Consorzio Alisei contro Comune di Busto Arsizio e AGESP SpA. 64 Consiglio di Giustizia Amministrativa Siciliana, 4 settembre 2007, n. 719 60 61 82 Oggi è normativamente previsto che tale condizione sia da ritenersi soddisfatta ove oltre l’80% dell’attività del soggetto affidatario in house venga effettuata nello svolgimento dei compiti ad esso affidati dal soggetto controllante o da altre persone giuridiche controllate dall’Amministrazione affidante, dato da verificarsi ponendo mente al fatturato medio totale dell’affidatario o, comunque, ad un’inidonea misura alternativa dell’attività, quali i costi sostenuti dalla persona giuridica affidataria o dall’amministrazione aggiudicatrice nei campi dei servizi, delle forniture e dei lavori per i tre anni precedenti l’aggiudicazione dell’appalto. Le direttive precisano poi che, se a causa della data di costituzione o di inizio dell’attività dell’affidatario o dell’amministrazione aggiudicatrice ovvero a causa della riorganizzazione delle sue attività il fatturato, o la misura alternativa basata sull’attività, non è disponibile per i tre anni precedenti o non è più pertinente, ad integrare il requisito è sufficiente la dimostrazione, in base a proiezioni dell’attività, che la misura dell’attività in rapporto al raggiungimento della predetta soglia sia credibile. E’ interessante evidenziare come il Legislatore comunitario abbia scelto un parametro numerico per definire il requisito dell’attività prevalente, ponendosi in qualche modo in controtendenza rispetto alle indicazioni della giurisprudenza che da sempre pone l’accento sul concreto atteggiarsi dell’attività. 4. Il ricorso al modulo gestorio della Società in house costituisce dunque – con ogni evidenza – una fattispecie, se non eccezionale, certamente derogatoria all’ordinario e pacifico principio della selezione del contraente mediante gara. Nella stessa ottica possono essere analizzati altri due strumenti di gestione del contratto di appalto, ossia la proroga e il rinnovo dell’affidamento. Secondo la distinzione tradizionalmente individuata dalla giurisprudenza, la proroga del contratto sposta in avanti il solo termine di scadenza del rapporto, mentre il rinnovo comporta una nuova negoziazione con il medesimo soggetto, ossia un rinnovato esercizio dell’autonomia negoziale (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. III, 20 gennaio 2015, n. 159). Il provvedimento amministrativo che disponga la proroga dell’affidamento di un servizio (o di un lavoro, o di una fornitura), così come la firma del contratto di proroga, deve quindi intervenire prima della scadenza del contratto originario. 83 Ora, la giurisprudenza in materia di rinnovo o proroga dei contratti pubblici di appalto ha assunto una posizione di principio piuttosto chiara, evidenziando l’assenza di spazio per l’autonomia contrattuale delle parti in relazione alla normativa inderogabile stabilita dal Legislatore per ragioni di interesse pubblico, “in quanto vige il principio in forza del quale, salve espresse previsione dettate dalla legge in conformità della normativa comunitaria, l’Amministrazione, una volta scaduto il contratto, deve, qualora abbia ancora la necessità di avvalersi dello stesso tipo di prestazioni, effettuare una nuova gara” (C. Stato, sez. V, 20 agosto 2013, n. 4192). Tale statuizione di principio non ha però impedito, ferma restando l’affermazione del ricorso all’evidenza pubblica quale strumento ordinario di selezione del contraente, di dare ingresso anche ad ipotesi di proroga dei contratti dell’Amministrazione, seppur in presenza di ben precisi e tassativi presupposti. A sostegno della legittimità della proroga di contratti di appalto, il Giudice amministrativo65 ha posto la necessità che vi sia espressa previsione nella lex specialis della possibilità di procedere alla proroga del rapporto, nonché che l’esercizio di siffatta facoltà sia accompagnato dall’assunzione di puntuale motivazione da parte dell’Amministrazione, che dia conto degli elementi che conducono a disattendere il principio generale dell’evidenza pubblica. Con la sentenza della Terza Sezione del Consiglio di Stato n. 3580/2013, i Giudici evidenziano come il principio di concorrenza, più di ogni altro, garantisca la scelta del miglior contraente, sia sotto il profilo della qualificazione tecnica dell’operatore, sia della convenienza economica del contratto, ma che, allorché la possibilità della “proroga” contrattuale sia resa nota ai concorrenti sin dall’inizio delle operazioni di gara, cosicché ognuno possa formulare le proprie offerte in considerazione della durata eventuale del contratto, nessuna lesione dell’interesse pubblico alla scelta del miglior contraente sarebbe riscontrabile, né alcuna lesione dell’interesse generale alla libera concorrenza, essendo la fattispecie del tutto analoga, dal punto di vista della tutela della concorrenza, a quella nella quale si troverebbero le parti contraenti nell’ipotesi in cui l’amministrazione avesse operato, ab initio, una scelta “secca” per la più lunga durata del contratto. I Giudici aggiungono, inoltre, che la soluzione di operare un frazionamento della durata del contratto (con riserva espressa di optare per il suo prolungamento eventuale, nei 65 Consiglio di Stato, sez. IV, 24 novembre 2011, n. 6194; sez. V, 20 agosto 2013, n. 4192; sez. III, 8 luglio 2013, n. 3580. 84 termini anzidetti) meglio risponderebbe all’interesse pubblico, poiché consentirebbe di rivalutare la convenienza del rapporto dopo un primo periodo di attività, alla scadenza contrattuale, sulla base dei risultati ottenuti, senza un vincolo di lungo periodo, ed eventualmente, se ritenuta non conveniente la prosecuzione del rapporto, lascerebbe libera l’Amministrazione di reperire sul mercato condizioni migliori. Nell’affrontare la diversa tematica della possibilità per la P.A. di rinnovare in via diretta il rapporto contrattuale con l’affidatario scelto con gara, occorre in primo luogo considerare il disposto dell’art. 23, l. 18 aprile 2005, n. 62, Legge Comunitaria 2004. Attraverso siffatta disposizione il Legislatore ha inteso operare al fine di ottenere l’archiviazione di una procedura di infrazione comunitaria a carico dello Stato italiano, avente ad oggetto la previsione normativa nazionale – contenuta nell’art. 6, comma 2, l. 537/1993 – della facoltà di procedere al rinnovo espresso dei contratti delle pubbliche amministrazioni, ritenuta incompatibile con i principi di libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi cristallizzati nel Trattato CE e con la normativa europea in tema di tutela della concorrenza nell’affidamento degli appalti pubblici. Allo scopo di superare la predetta procedura di infrazione, la Legge Comunitaria 2004 è intervenuta disponendo la soppressione dell’ultimo periodo del citato art. 6, comma 2, l. 537/1993, che, nella sua lettera originaria, così recitava: “E' vietato il rinnovo tacito dei contratti delle pubbliche amministrazioni per la fornitura di beni e servizi, ivi compresi quelli affidati in concessione a soggetti iscritti in appositi albi. I contratti stipulati in violazione del predetto divieto sono nulli. Entro tre mesi dalla scadenza dei contratti, le amministrazioni accertano la sussistenza di ragioni di convenienza e di pubblico interesse per la rinnovazione dei contratti medesimi e, ove verificata detta sussistenza, comunicano al contraente la volontà di procedere alla rinnovazione”. Prima dell’intervento demolitorio del 2005 era dunque vietato espressamente il rinnovo tacito dei contratti, pur essendo consentito – se preceduto da puntuali valutazioni di convenienza e corrispondenza all’interesse pubblico – il rinnovo espresso del rapporto contrattuale. Gli interpreti hanno assegnato alla modificazione introdotta con la legge 62/2005 valenza generale e preclusiva sulle altre e contrarie disposizioni dell’ordinamento, assumendo sin da subito posizioni estremamente intransigenti (tra le altre, C. Stato, sez. IV, 31 ottobre 2006, n. 6459), e qualificando l’intervento in questione come evidentemente volto a 85 precludere non solo il rinnovo tacito (già vietato espressis verbis), ma altresì il rinnovo espresso dei contratti della P.A. (si veda, altresì, C. Stato, sezione V, 8 luglio 2008, n. 3391). Tanto posto, si osserva come una parziale apertura – limitata, invero, al caso di appalti di servizi – all’ipotesi di rinnovo espresso (e motivato) del contratto potrebbe però forse derivare dall’art. 57, d. lgs. 163/2006, che, se al comma 7 espressamente reitera il divieto di tacita rinnovazione dei contratti aventi ad oggetto forniture, servizi, lavori, sanzionando con la nullità i sinallagmi stipulati in violazione del predetto divieto, con la previsione del quinto comma ammette il ricorso alla procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara nel caso di appalti per nuovi servizi “consistenti nella ripetizione di servizi analoghi già affidati all’operatore economico aggiudicatario del contratto iniziale dalla medesima stazione appaltante, a condizione che tali servizi siano conformi a un progetto di base e che tale progetto sia stato oggetto di un primo contratto aggiudicato secondo una procedura aperta o ristretta, e con la precisazione che il ricorso alla procedura negoziata senza bando è consentito solo nei tre anni successivi alla stipulazione del contratto iniziale e deve essere indicato nel bando del contratto originario”. Tuttavia, deve osservarsi che, a stretto rigore, l’articolo è deputato a disciplinare l’ipotesi di un nuovo affidamento in via negoziata, e non il vero e proprio rinnovo in senso stretto (il quale ha una connotazione giuridica propria e distinta). Inoltre, come rilevato, si tratterebbe di una deroga al regime dell’evidenza pubblica e alla necessità di farvi ricorso alla scadenza del contratto originario (come da ultimo riaffermato dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 4192/2013) limitata al solo caso dell’appalto di servizi, e quindi non dotata di forza sufficiente a consentire di ritenere superabili le obiezioni mosse dagli interpreti, a seguito della Legge Comunitaria del 2004, circa la possibilità di ritenere ancora ammissibile nel nostro ordinamento ipotesi di rinnovo (anche espresso) del contratto di appalto. 87 CONCLUSIONI Giuseppe Pericu (Università di Milano Statale) Ringrazio il Prof. Ferrari che ha toccato con maestria un tema delicatissimo e difficile: quello delle pubbliche amministrazioni, in particolare delle amministrazioni locali, che si propongono di svolgere attività d'impresa e volendo svolgere attività d'impresa devono dotarsi di un organizzazione adeguata. Il Comune non è soltanto momento di autorità, non è soltanto un referente politico ma è anche un gestore di attività economiche, a domanda individuale o a domanda collettiva, che richiedono organizzazioni imprenditoriali anche se assumono la formula istituzionale dell' in house. Le relazioni sono state ricchissime e probabilmente hanno fornito molte risposte ai numerosi quesiti che la tematica trattata ha fatto emergere. Passo direttamente alle conclusioni che per essere apprezzate debbono essere brevi. Prima di concludere un ringraziamento. Un sincero ringraziamento alla Professoressa Vipiana per aver organizzato in modo eccellente quest'incontro, un ringraziamento a coloro che sono intervenuti e agli studenti che hanno seguito con attenzione le relazioni su temi non facili, per molti versi ostici. Abbiamo esaminato e discusso di normative comunitarie altamente complesse che vanno ad inserirsi in un insieme di regole esistenti, anche esse complesse. Una tematica ardua da impostare e da dipanare. Le mie conclusioni sono facili perché le relazioni sono state ricche, sono stati affrontati tutti i profili interpretativi; quindi io non tornerò su i temi già analizzati e discussi, ma tenterò di aggiungere al quadro interpretativo che è stato delineato qualche ulteriore considerazione anche non strettamente giuridico formale. 88 Una considerazione preliminare. I giuristi trattano ogni argomento in modo molto asettico, ed è l’approccio metodologico corretto, ma il tema degli appalti e il tema delle concessioni sono temi altamente delicati, incidono sulla qualità della vita di ciascuno, non solo perché ci consentono – se ben gestiti - di fruire di infrastrutture e servizi adeguati, ma anche perché sono l’ambiente in cui più facilmente si verificano situazioni di sperpero di denaro pubblico e fenomeni di corruzione. Nelle relazioni condotte soprattutto da chi ha una formazione di stretto diritto amministrativo il secondo profilo che ho indicato tende ad essere trascurato, appartenendo più direttamente alle competenze del penalista, ma al contrario dobbiamo considerarlo soprattutto indagando le possibili relazioni tra la fase della legislazione e l’organizzazione amministrativa di attuazione. In realtà sia la normazione che la gestione degli appalti e delle concessioni di lavori, di opere e di servizi nel nostro paese non sono ottimali. La fase della realizzazione probabilmente si atteggia e si svolge in modi molto diversificati nelle diverse parti del territorio nazionale , ma nel complesso è esperienza comune a ciascuno di noi che molte opere programmate non vengono eseguite o vengono eseguite a costi più alti e in tempi più lunghi di quelli inizialmente previsti. Purtroppo in non poche situazioni si sono anche verificati fenomeni di carattere corruttivo. Sono esperienze delle quali quasi quotidianamente deve occuparsi la stampa. Le carenze, i difetti strutturali che generano questa realtà si ritrovano sia nella legislazione, sia nella fase della gestione realizzativa. A livello normativo le direttive che stiamo commentando introducono una serie di novità: l’aver disciplinato le concessioni amministrative per la prima volta, sia pure in termini molto esili; l'aver mantenuto la distinzione tra settori ordinari e settori speciali; l'aver considerato la fase dell'esecuzione del contratto come un momento fondamentale per il raggiungimento dell’obiettivo, sono indubbiamente scelte che fanno chiarezza su molti profili di rilievo. Però a mio giudizio, andando al di là del dato letterale della norma, riprendendo anche una considerazione avanzata da Consigliere Gisondi, l'elemento fondamentale che caratterizza le direttive è costituito dal “rational” dei diversi istituti che il legislatore europeo ci propone. Noi siamo abituati a pensare, siamo sempre stati abituati a pensare, che il buon amministratore nella gestione di questo tipo di operazioni debba mirare soprattutto al rispetto del principio della legalità formale: l'appalto è corretto se sono state rispettate tutte le regole previste dalla legge, dai regolamenti sino a quelle particolari introdotte dal bando. Non ci 89 siamo mai preoccupati se in realtà l'opera venga effettivamente eseguita nei tempi e nei costi previsti o il servizio sia gestito con piena soddisfazione dei cittadini. La preoccupazione maggiore della stazione appaltante è costituita dal fatto che l'affidamento sia avvenuto nel rispetto delle formalità previste. La logica che ci propone adesso il legislatore comunitario è diversa. Ci si deve preoccupare dei principi fondamentali, della trasparenza, del confronto concorrenziale, della parità di trattamento, della buona spesa pubblica, ma si deve anche controllare e verificare che l'opera si realizzi effettivamente nei termini prefissati, che il servizio affidato sia gestito nella realtà quotidiana nell'interesse dei cittadini. Per fare questo la stazione appaltante non si deve limitare a controllare se sono state rispettate le regole che disciplinano il settore, ma deve controllare che il suo interlocutore - la parte privata cui si affida il lavoro o il servizio abbia le capacità economiche e imprenditoriali per realizzare ciò che ha promesso di fare; deve controllare anche che l’intervento programmato si situi in un contesto sociale adeguato e non sia un corpo estraneo, determinando crisi di rigetto sostanzialmente impeditive. In poche parole deve controllare che l’obiettivo che ci si è prefissi sia effettivamente raggiunto nei termini e con le modalità previste. Per fare questo non si può far altro che contrattare, occorre confrontarsi con la controparte, che è un imprenditore, in una posizione sostanzialmente paritaria per definire insieme le scelte progettuali ed esecutive più idonee nel caso di specie. Si deve avere altresì la capacità, la professionalità per controllare in continuum che ciò che è stato concordato in un confronto leale, nel quale sono stati analiticamente individuati e definiti in tutti i momenti le fasi della progettazione e della esecuzione, sia effettivamente realizzato. Ed ove si rivelino inadempienze, anche lievi, deve possedere la capacità di sanzionarle in termini non nominali. E' una logica diversa rispetto a quella che noi abbiamo conosciuto e gestito sino ad oggi. E' una logica rispetto alla quale è facile avanzare il dubbio sulla possibilità di effettivamente attuarla. Ed è su questo punto che vorrei brevemente soffermarmi ancora. La nostra pubblica amministrazione in oggi non è adeguata ad essere un interlocutore con le caratteristiche cui sommariamente ho fatto cenno. Non è adeguata in particolare perché ogni qualvolta si tratta di assumersi una precisa responsabilità operando scelte che sono sostanzialmente discrezionali ,nell’ambito dell’ineludibile confronto con l'impresa, vi è un sostanziale rifiuto di decidere che viene mascherato facendo ricorso – rifugiandosi – nel rispetto delle regole 90 formali . Per assumersi responsabilità occorre essere “forti”: avendo la disponibilità di conoscenze tecniche elevate, disponendo di un’onorabilità reale conquistata sul campo, essendo capaci nel momento in cui ci si confronta con le imprese di avere le stesse capacità, quantomeno conoscitive, cha ha l'impresa al fine di evitare di essere “catturati”. Un forte patrimonio di conoscenze tecniche e nel contempo una capacità di contrattare assumendosi le relative responsabilità sono paradigmi che non sono propri delle nostre pubbliche amministrazioni. Se vogliamo recepire le direttive di cui ci occupiamo dobbiamo dotarci di una diversa organizzazione amministrativa. Si discute quale potrebbe essere questa diversa organizzazione: si ipotizza una concentrazione delle stazioni appaltanti; Alberti ricordava l’introduzione di un sistema di incentivi/disincentivi; le soluzioni in campo sono molte e il confronto è aperto. Ogni scelta dovrà confrontarsi con una normativa parallela ed altamente condizionante: la legislazione anticorruzione. Questo insieme normativo si muove in una logica per molti versi opposta; basti un solo esempio: al fine di prevenire possibili reati si prevede un forte turn over da parte dei funzionari responsabili di contrattare per la pubblica amministrazione, al contrario occorrerebbe che chi è preposto ad ufficio possa continuare ad occuparlo per periodi sufficienti ad acquisire la professionalità richiesta, che, come si è detto, non si risolve nella mera conoscenza delle regole giuridiche. A ben vedere un frequente turn over è possibile ove la preparazione dei funzionari preposti ai diversi settori sia intercambiabile e tale è solo ed esclusivamente sotto il profilo giuridico. Sono problematiche complesse che possono essere risolte soltanto se si pone mano effettivamente alla organizzazione della pubblica amministrazione e non soltanto alla definizione di regole giuridiche. C'è un altro profilo sul quale vorrei richiamare l’attenzione; in questo caso non di carattere organizzatorio, ma strettamente giuridico. In tutti gli interventi è emersa in modo molto netto la natura contrattuale dei rapporti che si instaurano tra la pubblica amministrazione e l'appaltatore o il concessionario. Siamo in presenza di contratti. Noi siamo abituati a gestire questi contratti sulla base di una loro ricostruzione che comunemente definiamo a doppio stadio: una fase pubblicistica e una fase privatistica . Ma quali sono i perché di questa ricostruzione? La sola motivazione credibile discende dalla peculiare articolazione del nostro sistema di giustizia nei confronti delle pubbliche amministrazioni: la 91 fase pubblicistica è sostanzialmente rimessa a un giudice che può conoscere del rapporto dedotto solo sulla base di un ricorso di impugnazione, di un atto (sia il provvedimento conclusivo, sia gli atti che l’hanno preceduto, sia lo stesso bando di gara) che deve essere contestato sotto il profilo della sua legalità formale e soltanto sotto questo profilo. Un processo di impugnazione mal si coniuga con l'esistenza di rapporti contrattuali paritari per i quali la verifica giudiziaria deve inserirsi a pieno titolo sul rapporto giuridico in tutte le sue componenti. Non si tratta soltanto di verificare se la legge è stata rispettata, ma anche se le pattuizioni intervenute sono proprie e congruenti rispetto all’obiettivo perseguito, che si sostanzia nella effettiva realizzazione dell’opera; gli stessi poteri del giudice dovranno essere omogeni rispetto a questo obiettivo e non risolversi in un sterile annullamento di un atto amministrativo. La ovvia conseguenza di quanto si viene dicendo comporta una modificazione del sistema processuale. Modifiche che non mirano a sottrarre la competenza al magistrato amministrativo, del quale deve essere sempre più valorizzata la vocazione quale giudice della pubblica amministrazione, ma a indurlo ad essere il momento di verifica giudiziale non di un atto amministrativo, ma di un rapporto contrattuale. E’ problematica complessa ma ormai assai approfondita a livello scientifico e politico; le soluzioni ipotizzate sono molteplici e trovano, forse, l’espressione maggiormente operativa nell’ampliamento della giurisdizione esclusiva. Anche in questi casi tuttavia non si può non rilevare la grane “fatica” che incontra il Magistrato ammnistrativo a rinunciare alla logica dell’impugnazione. Siamo di fronte a un problema culturale di non agevole soluzione, ma essenziale per garantire ai cittadini una amministrazione legale ed efficiente. Chiudo con l'ultima considerazione. Oggi abbiamo un codice degli appalti: il codice De Lise. E’ un insieme normativo che mi pare estraneo alla logica delle nuove direttive. Si parla di un'abolizione del codice e di una ricezione delle direttive secondo un modello, come ricordava la prof.ssa Vipiana, a maglie larghe: non una normativa eccessivamente dettagliata. Recepimento che potrebbe utilmente essere accompagnato all’emanazione di circolari, suggerimenti, direttive, contratti tipo, cioè di una normazione di rango inferiore non vincolante che possa essere d'aiuto alle pubbliche amministrazioni. Non dobbiamo dimenticare che il codice De Lise non solo ha recepito le vecchie direttive comunitarie ma le ha anche aggravate. Le nuove direttive comunitarie che stiamo commentando si muovono secondo logiche del tutto diverse ed escludono espressamente un aggravamento dei vincoli , 92 privilegiando il confronto con il privato e la garanzia dell’ottenimento nella realtà concreta del risultato perseguito con l’affidamento . C’è sicuramente molto lavoro da fare: non solo in Parlamento e nel Ministero per definire le normative, ma anche nel ripensare un diverso modo di fare amministrazione e di verifica in sede giustiziale della sua correttezza . 93 PARTE SECONDA COMUNICAZIONI 95 SOCIETÀ IN-HOUSE PROVIDING E GIURISDIZIONE DELLA CORTE DEI CONTI Maria Pia Giracca (Dottore di ricerca in diritto amministrativo) SOMMARIO: 1. Considerazioni introduttive. - 2. L'orientamento della Corte di Cassazione sulla giurisdizione contabile in tema di “in-house”. - 3. La critica in dottrina. - 4. Considerazioni conclusive. 1. Considerazioni introduttive L’in-house providing costituisce una parte rilevante del fenomeno delle Società Pubbliche66. Il modello é noto anche come “affidamento diretto” e presenta varie sfaccettature: 1) si colloca nel contesto delle società pubbliche e in quanto tale incrocia discipline pubblicistiche e privatistiche, segnatamente di diritto commerciale; 2) rappresenta un'eccezione al principio della concorrenza, cardine del TFUE all'art. 106; 3) é uno dei modelli di gestione dei servizi pubblici locali quindi riveste un ruolo di primo piano nell'organizzazione amministrativa. Il fenomeno ha origine nella giurisprudenza comunitaria ove sono stati numerosi gli interventi della Corte di Giustizia dettati dall'esigenza di procedere a specifici affinamenti e limature dei principi orginariamente enucleati. Oggi la materia trova una esplicita codificazione a seguito delle nuove Direttive UE sugli appalti pubblici e sull'aggiudicazione dei contratti di concessione del 26 febbraio 2014 n. 2014/24/UE (art. 12 settori ordinari); n. 2014/23/UE (art. 17 settori speciali); n. 2014/25/UE (art. 28 concessioni) che indicano i requisiti: 1) il c.d. controllo analogo; 2) l’attività prevalente della società svolta nei confronti dell'ente pubblico socio (soggetto controllante) nella misura dell’80 % (secondo le nuove direttive); 3) la composizione della compagine societaria con il requisito della totale partecipazione pubblica (con ammissibilità, secondo le direttive del 2014, di una apertura al capitale privato, purché sia connotata dall’assenza di poteri di influenza sulla gestione della Società), per un approfondito commento si vedano: C. VOLPE, L’affidamento in house di servizi pubblici locali e strumentali: origine ed evoluzione più recente dell’istituto alla luce della normativa e della giurisprudenza europea e nazionale, in www.giustamm.it, n. 3/2014; C. CONTESSA, L'in house providing 15 anni 66 96 Come ogni altro tipo di società, le società in-house sono soggette al diritto comune e dunque alle disposizioni dettate dal codice civile67, ma, in quanto species del genus “società pubbliche”, sono rette anche da un regime particolare68. A tal proposito, uno dei profili di maggiore interesse e attualità, emerso nell'ambito del dibattito dottrinario e giurisprudenziale sui caratteri delle società in-house, pare la sottoponibilità alla responsabilità per danno erariale dei suoi amministratori (per i danni subiti dagli enti pubblici partecipanti al capitale sociale della medesima). In assenza di specifiche previsioni normative sul punto, la giurisprudenza é stata chiamata a pronunciarsi sul tema. La Corte di Cassazione ha sostanzialmente confermato l'indirizzo prevalente 69, secondo cui le società pubbliche sono soggette alla giurisdizione del Giudice ordinario e ha introdotto un'eccezione espressa per le società in-house, motivandone la soggezione alla giurisdizione della Corte dei conti, qualora si profilino ipotesi di mala gestio. In altri termini, secondo l'orientamento che sarà di seguito esaminato 70, le “società pubbliche” sono assoggettate al regime di “diritto comune” e quindi alla giurisdizione del Giudice ordinario, mentre le “società in-house”, pur appartenendo al genus delle società dopo: cosa cambia con le nuove direttive, in C. CONTESSA e D. CROCCO, Appalti e concessioni. Le nuove direttive europee, Dei, 2015. 67 Si pensi all'esplicita voluntas legis di cui all'art. 4, comma 13, d.l. 95/2012 (l. conv. 135/2012), secondo “le disposizioni del presente articolo e le altre disposizioni, anche di carattere speciale, in materia di società a totale o parziale partecipazione pubblica si interpretano nel senso che, per quanto non diversamente stabilito e salvo deroghe espresse, si applica comunque la disciplina del codice civile in materia di società di capitali”. 68 Come sottolinea G.F. FERRARI, “In House Providing, rinnovi e proroghe”, pubblicato nella presente rivista p. 73 ss., al cui contributo si rinvia per una dettagliata descrizione del fenomeno e dei caratteri. 69 Tale orientamento era stato inaugurato da Cass., sez. un., 19 dicembre 2009, 26806, su cui si rinvia al commento di C. IBBA., Responsabilità degli amministratori di società pubbliche e giurisdizione della Corte dei Conti, in Giur. Comm., 2012, I, 641 ss..; per altri contributi vedasi V. TENORE, La giurisdizione della Corte dei Conti sulle s.p.a. a partecipazione pubblica, in Foro amm. - Cds (II), fasc. 1, 2010, 92 ss.,; S. SALVAGO, La giurisdizione della Corte dei Conti in relazione alla posizione dei soggetti responsabili ed a quella degli enti danneggiati, in Giust. civ., fasc. 11, 2010, 2505 ss.; L. E. FIORANI, Le azioni di responsabilità nelle società a partecipazione pubblica, in Giur. comm., fasc. 2, 2011, 315 ss.; M. SINISI, Responsabilità amministrativa di amministratori e dipendenti di s.p.a. a partecipazione pubblica e riparto di giurisdizione: l'intervento risolutivo delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, in Foro amm. - C.d.S, II, fasc. 1, 2010, 77 ss.. 70 Cass., sez. un., 25 novembre 2013, n. 26283, in Dir. Giust., 2013, con nota di E. BRUNO, Società a partecipazione pubblica…tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione contabile; in Giur. Comm., 2014, fasc. 1, 13 ss., con nota di C. IBBA, Responsabilità erariale e società in house; in Foro amm., fasc. 10, 2014, 2498 ss., con nota di M. DI LULLO, Responsabilità degli amministratori di società a partecipazione pubblica e giurisdizione della Corte dei Conti: (soltanto) le società “in house” che gestiscono servizi pubblici sono pubbliche amministrazioni? 97 pubbliche, da questa differiscono per taluni caratteri che sono ritenuti poter fondare la giurisdizione della Corte dei conti. Tale impostazione non é unanimemente condivisa in dottrina poiché pare collidere in maniera insanabile con i principi della materia societaria che governano le società pubbliche. Nell'indagare, sia pure sinteticamente, gli argomenti offerti dalla giurisprudenza della suprema Corte, non é possibile trascurare le perplessità sollevate dalla dottrina, specie per le deroghe alle regole del diritto commerciale e in ordine all'impatto che l'interpretazione proposta dalla Corte può generare sul piano applicativo. Per meglio cogliere le ragioni della differente prospettiva, pare opportuno ricordare che l’in-house providing é fenomeno di origine giurisprudenziale (comunitaria) a partire dalla sentenza Teckal71, che si è preoccupata di dettare le condizioni necessarie affinché si possa legittimamente derogare alla gara pubblica e procedere all'affidamento diretto a soggetti facenti capo all'aggiudicatore (ossia “in-house”), attingendo dalle proprie risorse interne, senza ricorrere a terzi tramite gara, ossia senza ricorrere al mercato. In assenza di una espressa disciplina positiva72 le direttive europee indicano ora i requisiti in presenza dei quali il c.d. “affidamento diretto” é legittimo, restando impregiudicato il diverso problema delle forme giuridiche utilizzabili (il che comporta, nel diritto interno, l'applicazione delle regole del diritto societario, laddove compatibili). Si confida pertanto che il legislatore nazionale, in sede di recepimento delle direttive Ue, consideri le peculiarità del fenomeno in-house, sforzandosi di tipizzarne gli strumenti di tutela per il caso di danni cagionati al suo patrimonio. In questo modo le perplessità della dottrina civilistica potrebbero essere superate e la Corte dei conti potrebbe vedere legislativamente (e non solo in via interpretativa ad opera della Corte di Cassazione) legittimato il suo intervento per le ipotesi di mala gestio. 71 Come ricorda G. F. FERRARI, op. ult. cit., richiamando la Sentenza 18 novembre 1999, Causa c-107/98, Teckal s.r.l. contro Comune di Viano e Azienda Gas – Acqua consorziale (AGAC) di Reggio Emilia. 72 La disciplina nazionale in materia di società in house é tra le più altalenanti confuse e contraddittorie avendo mostrato incertezze e oscillazioni tra norme volte al recepimento di indirizzi comunitari e norme tese al ridimensionamento del fenomeno (specie nel contesto di interventi di riduzione della spese pubblica e di lotta agli sprechi e abusi, spesso associati al fenomeno delle società pubbliche). 98 2. L'orientamento della Corte di Cassazione sulla giurisdizione contabile in tema di “in-house” La Corte di Cassazione, sulla scorta dell'indirizzo avviato nel 200973 (che aveva ammesso la giurisdizione contabile solo se il danno fosse arrecato “direttamente” al socio pubblico mentre la aveva negata se si fosse trattato di danno arrecato ad una società con partecipazione pubblica), aveva argomentato in modo molto chiaro che, in ipotesi di danno arrecato al patrimonio di una società a partecipazione pubblica, non sussiste la giurisdizione della Corte dei conti ma quella del giudice ordinario74. A partire dalla successiva sentenza75 la Suprema Corte ha, tuttavia, evidenziato le ragioni di una evoluzione da tale impostazione con specifico riguardo alle società in-house. Si individuano nelle motivazioni due dati essenziali che connotano il rapporto inhouse: il c.d. “controllo analogo” (che implica “subordinazione gerarchica” tra enti e quindi configura un “rapporto di servizio” tra gli amministratori della società in-house e la PA) e la mancanza di “alterità tra società in house e ente pubblico socio”. In presenza di tali requisiti, il danno arrecato al patrimonio sociale della società in-house é danno arrecato direttamente all'amministrazione pubblica, ossia al patrimonio pubblico, dunque é, tecnicamente, “danno erariale”. Secondo la Corte, é irrilevante la natura del soggetto che abbia cagionato il danno poiché tali enti avrebbero della società solo la “forma esteriore”, costituendo in realtà, “articolazioni della pubblica amministrazione da cui promanano” e non “soggetti giuridici ad essa esterni e da essa autonomi”. Si specifica, inoltre, che il danno inferto al patrimonio della società in-house (per condotte illecite di amministratori, cui possa avere contribuito un colpevole difetto di vigilanza imputabile agli organi di controllo), sarebbe “arrecato ad un patrimonio (separato76, ma pur sempre) riconducibile all'ente pubblico: é quindi un danno erariale, che 73 Si rimanda alla nota n. 5 del presente contributo. Cass., sez. un., 2 settembre 2013, n. 20075, in Diritto e Giustizia on line, fasc. 0, 2013, 1202, con nota di E. VITERBO, Al Giudice Ordinario l'azione di risarcimento dei danni subiti da società pubbliche per effetto delle condotte illecite degli amministratori. 75 Cass., sez. un., 25 novembre 2013, n. 26283, in Giur. Comm., 2014, fasc. 1, 13 ss.; con nota di C. IBBA, Responsabilità erariale e società in house. 76 In realtà la separazione del patrimonio nel nostro ordinamento é fenomeno caratterizzato dal vincolo di destinazione specifico e la possibilità convenzionale di creare patrimoni separati é preclusa all'autonomia privata dall'art. 2740 c.c. che consente la deroga solo per espressa previsione legislativa. 74 99 giustifica l'attribuzione alla Corte dei conti della giurisdizione sulla relativa azione di responsabilità”. Il cuore del ragionamento delle Sezioni unite é volto a fare comprendere le ragioni della indicazione a favore della Corte dei conti delle azioni di responsabilità nelle società inhouse. Dopo avere chiarito che le società in-house, pur rivestendo la forma di società private sono, di fatto, strutturate e gestite come soggetti pubblici a tutti gli effetti, si conclude che trattasi di “articolazioni interne della PA”. Dunque non é possibile tenere nettamente distinto il patrimonio sociale privato e il patrimonio pubblico, in quanto il patrimonio sarebbe uno solo. Per effetto diretto, ogni atto gestorio si riflette sul patrimonio pubblico e ciò determina la giurisdizione della Corte dei conti77. A conferma di tale orientamento giurisprudenziale meritano di essere ricordate le sentenze successive a Sezioni unite. Una prima pronuncia78 argomentando dal dato che la società in-house non avrebbe autonomia patrimoniale, essendo gestita dall'ente pubblico socio, afferma la giurisdizione contabile solo quando possa dirsi “superata la autonomia della personalità giuridica rispetto all'ente pubblico”. Nella stessa linea, si é affermato che, se al momento della condotta illecita la società non era in-house, non rileva che lo sia divenuta dopo, e la verifica si effettua sulla base dello statuto societario79. Con l'occasione la Suprema Corte ha precisato anche un altro importante Si é così osservato che “i giudici di legittimità avrebbero così coniato in via giurisprudenziale e senza una previsione normativa una sorta di patrimonio separato, destinato ad uno specifico affare (la gestione del servizio pubblico) sulla scorta della previsione di cui all'art. 2447 bis c.c.”, così F. FIMMANÒ, Le società in house tra giurisdizione responsabilità e insolvenza in Crisi d'impresa e fallimento, 2014, 44 e in Rivista “Gazzetta Forense” n. 1, 2014, 12 ss. a cura dell'Università Telematica di Pegaso. 77 Infatti nel diritto societario il danno cagionato da organi sociali é danno al patrimonio sociale (ossia un evento interno e privato), di cui gli organi sociali rispondono ai soci, ai creditori, al terzi secondo le regole dettate dal codice civile. Il danno erariale si profila, invece, quando ad essere colpito non é il patrimonio sociale privato della società ma il patrimonio pubblico che, a tutti gli effetti, é il patrimonio di una società in house. Tale danno può derivare da mala gestio di organi sociali ma anche da singoli soci nel caso in cui omettano di esercitare diritti determinando la riduzione della quota sociale. 78 Cass., sez. un., 10 marzo 2014, n. 5491, in Dir giust. 2014 e in Foro amm, 2014, 5, 1391, (s.m.). 79 Cass., sez. un., 26 marzo 2014, n. 7177 in Foro amm. 2014, 6, 1669 e in Dir. Giust., fasc. 0, 2014, 333, con nota di .E. BRUNO, L'attività delle società in house può finire sotto la lente della Corte dei Conti, secondo cui “la Corte dei Conti ha giurisdizione sull'azione di responsabilità esercitata dalla Procura della Repubblica presso detta Corte quando tale azione sia diretta a far valere 100 profilo in ordine ai rapporti tra giurisdizione contabile e ordinaria (civile e penale) evidenziandone la “indipendenza”80. Nel caso del danno arrecato al patrimonio di Anas s.p.a.81 le Sezioni unite hanno aggiunto un ulteriore elemento di valutazione per incardinare la giurisdizione contabile, osservando che, pur non appartenendo Anas al novero delle società in-house, essa é pur sempre inquadrabile nella nozione di ente pubblico82. Recentemente, le Sezioni unite hanno nuovamente affrontato la questione relativa alla azione di risarcimento del danno subito da una società a partecipazione pubblica per effetto di condotte illecite di amministratori o dipendenti. In un primo caso83 si é ribadito che compete al Giudice ordinario la giurisdizione per le società partecipate, bastando a tale riguardo osservare che queste società non si sottraggono alla disciplina dettata dal codice civile, come può arguirsi dall'art. 2449 c.c.. e che le azioni sociali di responsabilità sono esperibili a norma degli artt. 2392 e 2393 c.c.. Ne discende l'impossibilità di configurare come “erariali” danni che restano esclusivamente della società 84. la responsabilità degli organi sociali per danni da essi cagionati al patrimonio di una società in house, per tale dovendosi intendere quella costituita da uno o più enti pubblici per l'esercizio di pubblici servizi, di cui esclusivamente tali enti possano essere soci, che statutariamente esplichi la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti e la cui gestione sia per statuto assoggettata a forme di controllo analoghe a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici”. 80 Si enuncia, infatti, che c'é “indipendenza tra giurisdizione civile e penale rispetto a quella contabile perché l'eventuale interferenza genera una questione di proponibilità dell'azione e non di giurisdizione” richiamando Cass. 26659/2014. In altri termini o la società é in house e allora c'é giurisdizione della Corte dei Conti per mala gestio non lo é e quindi la giurisdizione é del giudice ordinario. 81 Cass., sez. un., 9.07.2014, n. 15594, in www.altalex.it con nota di R. BIANCHINI, L'Anas rientra nell'ambito della giurisdizione della Corte dei Conti; per un approfondimento si veda M. DI LULLO, op. ult. cit., 82 Una serie di indici sono anche il patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, l'attribuzione di funzioni pubbliche e la chiusura ex lege alla partecipazione al capitale privato, per confermare la natura di ente pubblico che viene eretto a ulteriore fattore idoneo a incardinare la giurisdizione contabile. 83 Cass., sez. un., Ordinanza 24.03.2015, n. 5848, con nota di A. BASSO, Spetta al Giudice Ordinario l'azione di responsabilità sugli organi sociali di una s.p.a. “ordinaria” in Dir. Giust., fasc. 13, 2015, 42. Il caso riguarda l'iniziativa di un legale rappresentante pro tempore che cita in giudizio innanzi al Giudice Ordinario ex amministratori e sindaci di una s.p.a. (divenuta nel frattempo totalmente partecipata dal Comune e dunque divenuta in house a seguito di modifiche statutarie) per danni causati al patrimonio della società dalla loro condotta di mala gestio e omesso controllo sull'operato degli amministratori. 84 Le Sezioni unite puntualizzano, tuttavia, che, a diverse conclusioni, quanto alla sussistenza della giurisdizione contabile, si é pervenuti nel caso di iniziative del PM nei confronti di organi delle società in house, longa manus dell'ente pubblico in ragione dell'esistenza del controllo analogo a quello delle proprie articolazioni interne e di una attività svolta in favore prevalente dell'ente stesso. 101 In un secondo caso85 il carattere imprenditoriale e le finalità perseguite dalla società Cinecittà Holding hanno condotto ad escludere tout court che possa discorrersi di “attività amministrativa”, onde l'accertamento della responsabilità degli amministratori non può che essere devoluto al Giudice ordinario86. Tutte le argomentazioni enunciate confermano la sensazione che si sia creata, in via interpretativa, una deroga espressa alle regole del codice civile in materia societaria (così come accaduto per il caso Rai s.p.a.87) poiché nessuna norma di legge prevede le soluzioni proposte. 3. La critica in dottrina Come anticipato, la Corte di Cassazione ha sentito il dovere di intervenire a colmare una lacuna. L'obiettivo di proteggere l'erario dalla diffusa mala gestio degli organi sociali di società “strumentali” di enti pubblici ha suggerito di affidare alla Corte dei conti l'indagine su eventi dannosi compiuti da amministratori di società in-house. Stante la vicinitas tra gli amministratori di una società in-house e i soggetti pubblici che controllano (in qualità di soci) tale ente, era, infatti, prevedibile una sostanziale inerzia a fronte di danni cagionati al patrimonio sociale di una società che é, secondo l'interpretazione proposta dalla Cassazione, longa manus di un ente pubblico e quindi, di fatto, ha un patrimonio pubblico. 85 Cass., sez. un., 21 luglio 2015, n. 15199 in cui si é esclusa la giurisdizione della Corte dei conti atteso che la società Cinecittà Holding (costituita all'esito di trasformazione dell'Ente Autonomo Gestione per il Cinema ex lege 202/1995 con capitale interamente pubblico), pur soggetta a preganti atti di indirizzo e vigilanza e a pregnanti controlli sulla gestione societaria da arte del Ministero per le attività culturali e pur essendo soggetta al controllo della Corte dei conti ex art. 12 l. 259/1958 non esercitava per destinazione statutaria un'attività esclusiva o prevalente a favore della Pa, attività da definirsi pertanto d'impresa. 86 Si afferma infatti che la giurisdizione della Corte dei conti richiede l'esistenza di imprescindibili condizioni: 1) la società a totale partecipazione pubblica; 2) la destinazione statutaria volta ad operare in via esclusiva o prevalente in favore della PA partecipante; 3) l'esistenza del controllo analogo. 87 Nel caso della Rai s.p.a. (Cass. 22 dicembre 2009, n. 27092, ord., sulla quale si rinvia a PACE, La Corte di Cassazione ignora la storia, disapplica la legge e qualifica la Rai «ente pubblico», in Giur. cost., 2010, 4036 ss.) le cui peculiarità erano tali da includerla nel novero degli enti pubblici nonostante l'abito formale di s.p.a., si é ricavata la qualificabilità come erariale del danno cagionatole. Si é sottolineato che la deviazione creata per le società in house allontana dall'orientamento precedente nel quale le eccezioni erano state limitate a fattispecie bene diverse, sul punto si rinvia a C. IBBA, Responsabilità erariale e società in house in Giur. Comm., 2014, fasc. 1, 13 ss.. 102 L'impostazione della giurisprudenza (civile e contabile)88 non é condivisa dalla dottrina civilistica che rileva come le categorie concettuali e sistematiche di diritto pubblico e comunitario, che governano il fenomeno in house, non siano applicabili in maniera diretta al diritto commerciale. Vi é chi ha sostenuto che “una società di capitali – anche quando sottoposta a controllo totalitario dell'ente ed in possesso dei requisiti del c.d. in house – sia pur sempre un soggetto che svolge attività di diritto privato ed eroga servizi con la veste giuridica propria dell'imprenditore commerciale”89. Seguendo tale indirizzo, sarebbe indubitabile che la società conservi una distinta personalità giuridica che impedisce di affermare l'assenza di “alterità soggettiva tra socio e società”, come invece ha sostenuto, in via interpretativa, la Suprema Corte. Si perviene, così, alla drastica considerazione che “delle due l'una: o si trova una norma di legge espressamente legittimante tali profonde deroghe” ovvero le società in-house “sono invalide, per violazione dell'ordine pubblico societario”90. Vi é chi ha definito la società in house, come delineata dalle sezioni unite (ossia intesa come “articolazione organizzativa dell'ente”, posta in una situazione di “delegazione organica o addirittura di subordinazione gerarchica”), vero e proprio “mostro giuridico” con l'effetto di produrre la disapplicazione dei principi inderogabili del diritto commerciale. È certamente condivisibile l'osservazione che la “mancanza di alterità soggettiva” equivale a dire che la società in-house coincide con l'ente pubblico, ma tale conclusione genera conseguenze troppo rilevanti sul piano applicativo91. 88 Nel solco tracciato dalla Suprema Corte di Cassazione, si inserisce da ultimo Corte dei conti, sezione centrale d'Appello, 24.03.2015, n. 249, che ha, addirittura, affermato che che il discrimine unico per la propria giurisdizione sia la presenza di capitale pubblico in un organismo, indipendentemente dalla forma pubblica o privata che lo stesso rivesta. Ne deriva che anche nelle società “non in house” secondo la Corte dei Conti la partecipazione pubblica di per sé comporta la necessità di “tutelare l'integrità economica e complessiva del sistema paese”. 89 E. CODAZZI, Società in mano pubblica e fallimento, in Giur comm., fasc. 1, 2015, 74 ss.. 90 E. CODAZZI, op. ult. cit. 91 Le conseguenze più rilevanti sono: 1) non applicabilità dello Statuto dell'imprenditore commerciale; 2) l'esenzione ai sensi dell'art. 1 della legge fallimentare dalla sottoponibilità a fallimento e concordato preventivo; infine 3) si é osservato che “il passaggio successivo naturale é che la responsabilità delle obbligazioni sociali é dell'ente pubblico (…) inevitabilmente i creditori sociali della società in house divengono creditori dell'ente pubblico verso cui possono agire in via diretta (…) il risultato sarebbe esattamente opposto a quello che ha spinto la Corte ad intervenire”, così F. FIMMANÒ, op. ult. cit.. 103 L'interpretazione proposta dalla giurisprudenza stride in particolare considerando che il legislatore si é mosso nella direzione opposta con l'art. 4, comma 13, del d.lgs. 95/2012 convertito nella legge 135/201292. 4. Considerazioni conclusive L'orientamento della Corte di Cassazione, favorevole alla giurisdizione contabile per le società in-house, nasce dalla sollecitazione delle Procure contabili. La preoccupazione che gli enti locali non assumano iniziative, innanzi al Giudice ordinario, volte a sanzionare fenomeni di mala gestio di organi societari da questi controllati pare, in effetti, più che fondata. Altrettanto condivisibile é l'osservazione che la strada più semplice sarebbe stata la creazione di un tipo di società c.d. in-house disciplinata dalla legge, cui applicare regole, per le ipotesi di mala gestio, in deroga al diritto comune e in particolare ai principi del diritto commerciale. Invece la soluzione proposta dalla giurisprudenza (che affida come visto alla Corte dei conti la giurisdizione sulle azioni di responsabilità nelle società in-house in via interpretativa) riguarda una fattispecie che deve essere oggetto di valutazione, caso per caso, per verificare se si sia al cospetto di tutti caratteri dell'in-house93. È di tutta evidenza, nel presente contesto, il contributo offerto dalle nuove direttive Ue 2014, che indicano, per la prima volta, precisi indici normativi per identificare il fenomeno, che ora si può dire codificato, pur in assenza di una precisa definizione di società in-house94. Secondo l'art. 4, comma 13, del d.lgs. 95/2012, convertito nella legge 135/2012, “le disposizioni anche di carattere speciale, in materia di società a totale o parziale partecipazione pubblica si interpretano nel senso che, per quanto non diversamente stabilito e salvo deroghe espresse, si applica comunque alle società a partecipazione pubblica la disciplina del codice civile in materia di società di capitali”. 93 Nel caso oggetto della pronuncia a sezioni Unite n. 26283/2013 la valutazione era stata compiuta da giudice in primo grado e non é più stata contestata. 94 Le direttive UE 2014 non parlano mai esplicitamente del fenomeno “in house”, ma lo regolano nei tre casi di aggiudicazione appalti (Dir. 2014/24/UE) concessioni tra enti (Dir. 2014/23/UE) e appalti nei settori speciali (Dir. 2014/25/UE), stabilendo che non rientra nell'ambito di applicazione del nuovo corpus di regole un affidamento di servizio tra un'amministrazione aggiudicatrice e una persona di diritto pubblico o privato se sussistono i requisiti ivi indicati. 92 104 Le considerazioni sin qui svolte consentono di affrontare una questione che, con ogni probabilità, si presenterà in sede di recepimento95 e di applicazione delle nuove direttive96. Si tratta di verificare se sia possibile che il legislatore, in sede di recepimento delle direttive, definisca le forme di tutela per i danni cagionati al patrimonio da amministratori di società in-house. Viene spontaneo domandarsi se, per il legislatore nazionale, possa essere l'occasione per tradurre il principio già consolidatosi a livello giurisprudenziale, in una norma che delinei esplicitamente la Corte dei conti come giudice delle società in-house per le ipotesi di condotte illecite di amministratori, così legittimando la deroga al diritto societario comune. Peraltro un siffatto intervento pare compatibile sia con l'ordinamento comunitario (nella misura in cui non viola il canone della apertura concorrenziale) sia con l'ordinamento nazionale (che assoggetta tutte le società a totale o parziale partecipazione pubblica al Giudice ordinario) perché consente di prevedere ex ante le conseguenze per la mala gestio all'interno di società in-house. Istituzionalizzare, per così dire, l'orientamento su cui la Suprema Corte pare non più volere arretrare, contribuirebbe altresì a fare chiarezza nella giurisprudenza di merito che, sulla scorta della equiparazione con la natura di ente pubblico per la società in house97, é giunta a negarne la fallibilità in quanto sarebbero esonerate ex art. 1 della legge fallimentare 98. 95 Il ddl di recepimento é all'esame della commissione Lavori Pubblici del Senato e il termine per il recepimento é fissato al 17 aprile 2016. 96 Il Consiglio di Stato in sede consultiva (Cons. Stato, sez. II, Parere 30 gennaio 2015, n. 298) ha ritenuto che la Direttiva 2014/24/UE contiene “disposizioni di compiutezza tale darle ritenere selfexecuting, avendo indubbiamente contenuto incondizionato e preciso” (in conformità alle caratteristiche delineate ai fine di tale qualificazione da Cass. sez. un., 13676 del 25.02.2014). Il quesito aveva ad oggetto la “possibilità di affidamento “in house” di prestazioni di servizio nel campo dell'informatica per il sistema universitario, della ricerca e scolastico, da parte del Ministero dell'Università e della ricerca scientifica in via diretta al Cineca Consorzio Interuniversitario”. Si é, tuttavia, osservato in senso critico (cfr. R. INVERNIZZI, “Commento alla Direttiva 2014/25/UE relativa agli appalti nei settori speciali” pubblicato nella presente rivista p. 29) che “prima di reputare direttamente applicabili le norme delle direttive 2014/25/UE necessita quantomeno che il relativo termine vada a scadenza e che frattanto entro esso non sia intervenuto il recepimento ad opera dello Stato membro”, rinviando per una più compiuta ed equilibrata ricostruzione degli effetti delle direttive non ancora recepite a C. Stato, sez. VI, 26 maggio 2015, n. 2660. 97 Come si é osservato FIMMANO', op. cit., 56, i giudici della Cassazione, pur radicando la giurisdizione della Corte dei Conti, avevano posto un argine insuperabile alla c.d. Riqualificazione, ossia alla attribuzione alla società partecipata della qualifica di ente pubblico. 98 Trib. Napoli 9 gennaio 2014, in www.ilcaso.it, secondo cui “se é vero che gli enti pubblici sono sottratti al fallimento, ciò varrà anche per la società in house integralmente partecipata dagli stessi”; Trib. Verona, 19 dicembre 2013, in www.ilcaso.it che, ritenendo la struttura delle società in house totalmente riconducibile a quella degli enti pubblici, estende loro l'esenzione dell'art. 1 legge 105 Ne risulterebbe chiarita e valorizzata la disciplina applicabile alle società pubbliche (per le quali opera la disciplina comune), circoscrivendo, in maniera chiara, l'ipotesi di deroga (condotte illecite in società in-house). L'eccezione sarebbe condivisibile non solo in quanto proposta in via interpretativa dalla Suprema Corte ma anche perché regolata dal legislatore in sede di recepimento. fallimentare dalle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo; di segno opposto si veda Trib. Pescara 14 gennaio 2014 in www.ilcaso.it, che sancisce l'assoggettabilità a concordato preventivo delle società in house, rilevando che non mutano la loro natura di soggetto di diritto privato solo perché gli enti pubblici ne posseggono le azioni; anche Trib. Nola, 30 gennaio 2014 in www.ilcaso.it ha decretato l'ammissione a concordato preventivo di una spa interamente controllata dal Comune per mancanza di uno dei requisiti del controllo analogo; Trib. Modena 10 gennaio 2014 in www.ilcaso.it ha ammesso una srl in house a concordato preventivo ritenendo che “rimane valido il principio della assoggettabilità alle procedure concorsuali delle imprese che abbiano assunto la forma societaria iscrivendosi nell'apposito registro e quindi assumendo volontariamente la disciplina privatistica”. 107 RECENTI INDIRIZZI GIURISPRUDENZIALI IN TEMA DI APPALTI E CONCESSIONI. IN PARTICOLARE: LE INDICAZIONI DELL’ADUNANZA PLENARIA DEL CONSIGLIO DI STATO Alessandro Paire (Dottore di ricerca in diritto pubblico) SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. La giurisprudenza dell’Adunanza Plenaria. Fattispecie (nuove ed antiche) di particolare interesse. - 3. Segue. - 4. Spunti conclusivi. 1. Premessa Le presenti «minime» osservazioni si propongono di richiamare sinteticamente le indicazioni maggiormente significative rese dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nel corso dell’anno 2014, e dei primissimi mesi dell’anno 2015, in materia di appalti e concessioni. Nell’ambito di una trattazione schematica doverosamente imposta dalla natura del presente intervento, particolare attenzione sarà riservata all’evoluzione giurisprudenziale che ha interessato alcuni istituti, soffermandosi sui profili maggiormente pratici ed operativi della materia della contrattualistica pubblica recentemente interessata dalle nuove direttive europee99. Il riferimento è, ovviamente, al tema delle carenze documentali relative alle dichiarazioni di cui all’art. 38 del Codice Appalti e al connesso istituto del c.d. “soccorso istruttorio” ma anche a questioni di più ampio respiro come l’impossibilità di revocare in sede 99 Con riferimento alle direttive UE del 2015, il rinvio alle relazioni del Convegno pubblicate con questi Atti è pressoché d’obbligo. 108 di autotutela l’aggiudicazione successivamente alla stipula di un contratto ovvero l’indicazione degli oneri di sicurezza in sede di offerta economica. Trattasi, come ampiamente noto, di veri e propri spauracchi per gli operatori del settore ciclicamente interessati – talvolta anche in maniera radicale – dall’intervento del legislatore, oltre che da una giurisprudenza a dir poco alluvionale. 2. La giurisprudenza dell’Adunanza Plenaria. Fattispecie (nuove ed antiche) di particolare interesse Le sentenze in materia di appalti pubblici e concessioni tra quelle complessivamente rese nel corso dell’anno 2014 dall’Adunanza Plenaria sono particolarmente numerose e nutrite, segno evidente di una particolare litigiosità del settore: se alcune si distinguono per tratti di originalità e di novità, altre spiccano per la loro portata chiaramente conservatrice. Nondimeno, nelle varie decisioni emanate, sembra rinvenibile un vero e proprio tratto comune denominatore rappresentato dalla palpabile volontà del Supremo consesso amministrativo di “chiarire” e “ricondurre a sistema” un ambito del nostro ordinamento endemicamente interessato per molteplici ragioni (storiche e non) da episodi di corruzione e malaffare, tanto da sembrare inevitabilmente – ed, inesorabilmente – destinato alla via del cortocircuito100. Circa il proliferare della corruzione nel nostro Paese e, segnatamente, nell’ambito della contrattualistica pubblica, per tutti, si veda la relazione di “Inaugurazione dell’Anno giudiziario 2015” del Presidente della Corte dei Conti Raffaele Squitieri del 10 febbraio 2015, consultabile in internet sul sito «http://www.corteconti.it» laddove il Presidente della più alta Magistratura contabile osserva plasticamente che “Crisi economica e corruzione procedono di pari passo, in un circolo vizioso, nel quale l’una è causa ed effetto dell’altra. La ricerca, talvolta affannosa, di strategie di uscita dalla crisi e la competizione esasperata per l'accesso a risorse limitate, favoriscono, infatti, la pratica di vie illecite e di attività illegali. Ciò si riversa, naturalmente e negativamente, sull’efficienza del sistema complessivo, producendo effetti devastanti sull’allocazione delle risorse finanziarie ed umane e sulla creazione di condizioni favorevoli all’attività d’impresa e, quindi, alla crescita dell’economia. Solo un contesto istituzionale segnato da legalità, buona e contenuta legislazione, regolazione efficace delle attività economiche, pubblica amministrazione efficiente ed un “Servizio Giustizia” celere ed erogatore di tutele effettive, è in grado di favorire l’imprenditorialità e di rimuovere le rendite di posizione e le restrizioni alla concorrenza. Di qui l’esigenza, assoluta, di assicurare trasparenza e regolarità nelle varie gestioni, attraverso procedure pubbliche che garantiscano un’effettiva parità di posizione tra tutti gli operatori. Ritengo, al riguardo, negativo il fenomeno, diffuso, delle ripetute proroghe e rinnovi nell’importante settore dell’attività negoziale pubblica atteso che l’affidamento per periodi lunghi allo stesso soggetto di opere, servizi o forniture non sempre risulta corrispondere a 100 109 Di qui l’emanazione di decisioni estese ed esaustive che tentano di fare il punto sulle varie questiono giuridiche sottese alle concrete fattispecie oggetto di rimessione con un evidente spirito chiarificatore volto a soddisfare un’esigenza di certezza della materia, esigenza sempre più manifestata ed invocata dagli operatori e – finalmente – sempre più avvertita dal Supremo consesso amministrativo101. Prendendo le mosse da quelle maggiormente innovative ed evolutive, occorre anzitutto dar conto della sentenza n. 14 del 20 giugno 2014 chiamata a pronunciarsi sulla possibilità o meno per la PA di revocare l’aggiudicazione successivamente alla stipula di un contratto per sopravvenute ragioni di “inopportunità alla prosecuzione del rapporto negoziale” e sulla necessità di ricorrere al recesso ex art. 134 del DLGS n. 163 del 2006. In tale occasione l’Adunanza Plenaria, dopo avere dato conto dell’indirizzo prevalente della giurisprudenza amministrativa che riteneva legittimo il “potere di revoca degli atti amministrativi del procedimento ad evidenza pubblica anche se sia stato stipulato il contratto, con il conseguente diritto del privato all’indennizzo” e del contrario orientamento della Corte di Cassazione secondo la quale “tutte le vicende successive alla stipulazione del contratto danno luogo a questioni relative alla sua validità ed efficacia anche se dovute all’esercizio di poteri pubblicistici in autotutela”, ha reso una sentenza particolarmente interessante ed innovativa orientata a recepire le esigenze avvertite dalla Sezione rimettente di “riconsiderare l’indirizzo prevalente nella giurisprudenza amministrativa ritenendo che, intervenuta la stipulazione del contratto ad evidenza pubblica, l’amministrazione non possa esercitare il potere di revoca ma debba agire attraverso il recesso” 102 . Finalmente, una volta per tutte, con un revirement tutt’altro che di poco conto, è stato tracciato un regolamento di confini chiaro e preciso idoneo a fugare tutti i dubbi in materia che vede nella stipulazione del contratto un vero e proprio “punto di non ritorno” per l’esercizio dello strumento pubblicistico della revoca dell’aggiudicazione della PA in favore dell’esercizio del diritto potestativo regolato dall’art. 134 del DLGS n. 163 del 2006. canoni di efficienza, trasparenza ed economicità, anche generando, alterazioni del regime concorrenziale, sempre più, peraltro, tutelato dal diritto comunitario”. 101 Tra le decisioni assunte in forma di ordinanza occorre rammentare la n. 17 del 31 luglio 2014 in materia di competenza territoriale dei TAR la quale ha statuito che, nel caso di contestuale impugnativa di una informativa prefettizia interdittiva e dei conseguenti atti applicativi adottati dalla stazione appaltante, il giudice competente deve essere individuato nel TAR nella cui circoscrizione si trova la Prefettura che ha adottato l'informativa nonché l’Ordinanza n. 29 del 7 novembre 2014, entrambe consultabili in internet sul sito «http://www.giustziazia-amministrativa.it». 102 La sentenza è consultabile in Foro Amministrativo, (II), 2014, 6, 1671. 110 La portata chiarificatrice di questa prima decisione menzionata è davvero significativa, tanto per i profili sostanziali che per quelli processuali in punto di giurisdizione ad essa sottesi. Sempre in ottica processuale spicca altresì la sentenza n. 8 del 3 febbraio 2014, sia con riferimento a quanto precisato relativamente al giudizio d’appello nel rito appalti103, sia relativamente alla natura e all’intensità del sindacato del giudice amministrativo sugli atti di gara104. Tra il novero delle decisioni rese, di particolare interesse si pone il blocco delle sentenze relative al tema del c.d. ricorso incidentale “escludente” (n. 7 del 30 gennaio 2014105 e n. 9 del 25 febbraio 2014106) unitamente a quello relativo al tema delle dichiarazioni di cui all’art. 38 del Codice Appalti (n. 16 del 30 luglio 2014107) e alla connessa – e collegata – questione del c.d. soccorso istruttorio108. Con la sentenza n. 7/2014 l’AP ha ribadito che nel giudizio di primo grado avente ad oggetto una procedura di gara, solo il ricorso incidentale escludente che sollevi un’eccezione di carenza di legittimazione del ricorrente principale non aggiudicatario – in quanto soggetto In tale occasione l’AP ha precisato che l’art. 119, comma 6, del CPA, nel prevedere – nel rito per gli appalti pubblici – che il dispositivo della sentenza è atto immediatamente impugnabile, non prefigura un tertium genus di tutela cautelare – oltre quella prevista dall’art. 62 CPA nei confronti delle ordinanze cautelari e dall’art. 98 contro le sentenze del TAR – ma, senza scissione dell’azione impugnatoria, in relazione alla specificità della materia per la quale è previsto il rito abbreviato, assicura l’anticipazione delle strumento cautelare in presenza della sola pubblicazione del dispositivo. Trattandosi non già di un distinto appello rispetto ai successivi motivi aggiunti, ma di unico appello a formazione progressiva, debbono ritenersi ammissibili i motivi aggiunti anche se mancanti di una compiuta e separata esposizione dei fatti su cui si innesta la controversia, essendo possibile il parziale rinvio a considerazioni già espresse nell’impugnazione avverso il dispositivo. 104 Secondo l’Adunanza, è consentito il sindacato esterno del giudice amministrativo sull’operato dell’organo deputato all’esame delle offerte, in presenza di elementi che il ricorrente elevi a vizio di eccesso di potere in cui la stazione appaltante si assume sia incorsa per una non corretta disanima di elementi contenutistici tali da evidenziare una palese incongruità dell’offerta. Cfr. Foro Amministrativo, (II), 2014, 2, 386. 105 Cfr. Foro Amministrativo, (II), 2014, 2, 384. 106 Cfr. Foro Amministrativo, (II), 2014, 2, 387, nonché Diritto Processuale Amministrativo, 2014, 2, 544, con nota di BERTONAZZI. 107 Cfr. Foro Amministrativo, (II), 2014, 7 – 8, 1903, nonché Foro it, 2015, 1, III, 11, con nota di TRAVI. 108 In tema si veda, altresì, la sentenza n. 10 del 25 febbraio 2014 volta a statuire che l’articolo 48, 2° comma, del DLGS 12 aprile 2006, n. 163 e successive modificazioni va interpretato nel senso che l’aggiudicatario e il concorrente che lo segue in graduatoria, non compresi fra i concorrenti sorteggiati ai sensi del 1° comma del medesimo articolo, devono presentare la documentazione comprovante il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, di cui al comma primo, entro il termine perentorio di dieci giorni dalla richiesta inoltrata a tale fine dalle stazioni appaltanti. Cfr. Diritto & Giustizia, 2014, 17 marzo 2014, 5 ss. 103 111 che non ha mai partecipato alla gara, o che vi ha partecipato ma è stato correttamente escluso ovvero che avrebbe dovuto essere escluso ma non lo è stato per un errore dell’Amministrazione – deve essere esaminato prioritariamente rispetto al ricorso principale. Tale evenienze, ha puntualizzato il Plenum di Palazzo Spada, non si verifica allorquando il ricorso incidentale censuri valutazioni ed operazioni di gara svolte dall’Amministrazione nel presupposto della regolare partecipazione alla procedura del ricorrente principale109 . 109 La sentenza è consultabile in internet sul sito «http://www.lexitalia.it». La sentenza offre spunti particolarmente interessanti sotto il profilo sostanziale relativamente al tema del c.d. housing sociale. Mediante un programma di housing sociale intrapreso da un Comune viene posta in essere una iniziativa di partenariato pubblico-privato per la gestione di un servizio pubblico locale di rilievo economico e a domanda individuale, mediante lo strumento della concessione di servizio pubblico. Ha precisato la sentenza in rassegna che “l’housing sociale si sostanzia in un programma attraverso il quale si progetta di realizzare un insieme di alloggi e servizi, di eseguire azioni e strumenti, tutti rivolti a coloro che non riescono a soddisfare sul mercato il proprio bisogno abitativo, per ragioni economiche o per l’assenza di un’offerta adeguata. Tra le molteplicità di risposte offerte dall’housing sociale vi sono l’affitto calmierato, l’acquisto della casa mediante l’auto-costruzione e le agevolazioni finanziarie, nonché soluzioni integrate per le diverse tipologie di bisogni. In particolare, nella fattispecie affrontata (relativa al Comune di Roma Capitale) erano presenti tutti gli indici che sono stati ritenuti, nel tempo, come qualificanti una concessione di servizio pubblico locale, di rilievo economico e a domanda individuale. In dettaglio: a) la presenza di un autentico servizio pubblico locale rivolto alla produzione di beni e utilità per obiettive esigenze sociali – ovvero, secondo il linguaggio dell’Unione europea (artt. 16 e 86 del Trattato FUE), un servizio di interesse economico generale che viene a svolgere una funzione essenziale nell’ambito della costituzione economica di tutti i Paesi membri, dovendosi intendere per tale quello rivolto all’utenza, capace di soddisfare interessi generali e di garantire una redditività - del quale i cittadini usufruiscono uti singuli e come componenti la collettività; b) la prestazione a carico degli utenti che si riscontra tipicamente nei servizi a domanda individuale (nella specie gli utenti devono partecipare ad apposita selezione, gestita dal concessionario, per l’assegnazione degli alloggi, versando di volta in volta il corrispettivo della locazione o delle varie tipologie di vendita in base al complesso sistema tariffario individuato dalla legge di gara); c) l’assunzione a carico del concessionario del rischio economico relativo alla gestione del servizio; sul punto, deve reputarsi irrilevante che la legge di gara abbia previsto un parziale corrispettivo a carico di Roma Capitale, stante il suo carattere meramente eventuale, frutto della scelta dell’offerente finalizzata alla garanzia dell’equilibrio finanziario dell’impresa, scelta comunque penalizzante in sede di attribuzione del relativo punteggio; inoltre, la subordinazione al pagamento di un corrispettivo — rilevante nella prospettiva europea e nazionale in sede di distinzione tra la figura dell’appalto e quella della concessione — dipende dalle caratteristiche tecniche del servizio e dalla volontà «politica» dell’ente ma non incide, ex se, sulla sua qualifica di servizio pubblico e non può essere pertanto sopravalutata; d) la preordinazione dell’attività a soddisfare in modo diretto esigenze proprie di una platea indifferenziata di utenti, tendenzialmente a tempo indeterminato o comunque per un periodo di lunga durata (nella specie il rapporto concessorio ha una durata pari a 25 anni); e) la sottoposizione del gestore ad una serie di obblighi, tra i quali quelli di esercizio e tariffari, volti a conformare l’espletamento dell’attività a regole di continuità, regolarità, capacità tecnico-professionale e qualità, perché ciò che connota in modo rilevante la natura di servizio pubblico è il conseguimento di fini sociali a favore della collettività per il tramite dell’attività svolta dal gestore; f) la delega traslativa di poteri organizzatori dall’ente al privato (nella specie, non solo i compiti in materia di stazione appaltante per la 112 Con la sentenza n. 9/2014 l’AP è tornata nuovamente sul tema con una decisione di ampio respiro quasi a volere affrontare – ed esaurire – il tema una volta per tutte. Dopo avere ribadito che il giudice ha il dovere di decidere la controversia, ai sensi del combinato disposto degli artt. 76, co. 4, CPA e 276, co. 2, CPC, secondo l’ordine logico che, di regola, pone la priorità della definizione delle questioni di rito rispetto alle questioni di merito e, fra le prime, la priorità dell’accertamento della ricorrenza dei presupposti processuali rispetto alle condizioni dell’azione, il CDS ha statuito che nel giudizio di primo grado avente ad oggetto procedure di gara, deve essere esaminato prioritariamente rispetto al ricorso principale il ricorso incidentale escludente che sollevi un’eccezione di carenza di legittimazione del ricorrente principale non aggiudicatario, in quanto soggetto che non ha mai partecipato alla gara, o che vi ha partecipato ma è stato correttamente escluso ovvero che avrebbe dovuto essere escluso ma non lo è stato per un errore dell’amministrazione110. realizzazione di opera monumentale, ma soprattutto quelli organizzatori inerenti la scelta dei beneficiari, l’assegnazione degli alloggi, la gestione dei conseguenti rapporti); tale elemento deve esprimere, al di là del nomen iuris impiegato dalla legge di gara (concessione, assegnazione, affidamento, contratto di servizio, atto di incarico), la sostanza di un atto di organizzazione e, in quanto tale, ontologicamente diverso da un contratto di appalto; vi è dunque una proiezione esterna dell’utilitas perseguita con l’atto concessorio, a differenza della dimensione interna dell’utilitas che si consegue con il contratto di appalto; solo grazie al modulo concessorio è possibile esternalizzare il servizio affidandone la gestione a soggetti privati per i quali il vantaggio è costituito dalla possibilità di esigere un prezzo (tariffa) nei confronti degli utenti, donde l’importanza della durata del rapporto idonea a far conseguire un utile al concessionario (caratteristiche queste tutte presenti nella fattispecie per cui è causa); g) il contenuto del programma di housing, inoltre, si caratterizza per la sua struttura trilaterale in quanto tutte le prestazioni dei soggetti coinvolti fanno capo all’amministrazione, al gestore ed agli utenti, mentre nel contratto d’appalto, come noto, il rapporto ha carattere bilaterale (nella specie è pacifico che la gran parte delle prestazioni del concessionario sono rivolte a soddisfare esigenze dell’utenza disagiata, nel rispetto dei vincoli gestionali imposti e monitorati dall’amministrazione). Non è di ostacolo alla qualificazione della procedura in esame quale concessione di servizio pubblico, la circostanza che, nel caso di specie, il concessionario prescelto, in ossequio al contenuto del programma di housing, debba realizzare anche cospicui lavori”. Per la massima che precede nonché per una nutrita rassegna giurisprudenziale in materia, cfr. http://www.lexitalia.it/p/13/cdsap_2013-08-06.htm. 110 Nella medesima sentenza, l’AP, dopo avere ribadito che nel giudizio di primo grado avente ad oggetto procedure di gara, il ricorso incidentale non va esaminato prima del ricorso principale allorquando non presenti carattere escludente, ha poi precisato che “tale evenienza si verifica se il ricorso incidentale censuri valutazioni ed operazioni di gara svolte dall’amministrazione nel presupposto della regolare partecipazione alla procedura del ricorrente principale”. Coerentemente con l’AP 7/2014, la sentenza in parola ha altresì precisato che “nel giudizio di primo grado avente ad oggetto procedure di gara, sussiste la legittimazione del ricorrente in via principale - estromesso per atto dell’Amministrazione ovvero nel corso del giudizio, a seguito dell’accoglimento del ricorso incidentale - ad impugnare l’aggiudicazione disposta a favore del solo concorrente rimasto in gara, esclusivamente quando le due offerte siano affette da vizio afferente la medesima fase procedimentale”. 113 Nondimeno, sempre secondo l’arresto in parola, l’esame prioritario del ricorso principale è ammesso, per ragioni di economia processuale, qualora risulti manifestamente infondato, inammissibile, irricevibile o improcedibile. Nel giudizio di primo grado avente ad oggetto procedure di gara, il ricorso incidentale non va esaminato prima del ricorso principale allorquando non presenti carattere escludente; tale evenienza si verifica se il ricorso incidentale censuri valutazioni ed operazioni di gara svolte dall’amministrazione nel presupposto della regolare partecipazione alla procedura del ricorrente principale. Di estremo interesse si pongono altresì i passaggi successivi della decisione relativi alla c.d. “tassatività delle cause di esclusione” e al connesso tema del “soccorso istruttorio”. Secondo l’AP, l’art. 4, co. 2, lett. d), nn. 1 e 2, d.l. 13 maggio 2011, n. 70 – Semestre Europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia – che, come noto, ha aggiunto l’inciso “Tassatività delle cause di esclusione” nella rubrica dell'articolo 46, del Codice, e nel corpo dello stesso ha inserito il comma 1 bis – non costituisce una norma di interpretazione autentica e, pertanto, non ha effetti retroattivi e trova esclusiva applicazione alle procedure di gara i cui bandi o avvisi siano pubblicati (nonché alle procedure senza bandi o avvisi, i cui inviti siano inviati), successivamente al 14 maggio 2011, data di entrata in vigore del DL n. 70 del 2011. Il principio di tassatività delle cause di esclusione sancito dall’art. 46, co. 1 bis, codice, scrivono i Giudici, si applica unicamente alle procedure di gara disciplinate dal medesimo Codice. Sempre secondo il Consiglio, “sono legittime ai sensi dell’art. 46, co. 1-bis, codice dei contratti pubblici (d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163), le clausole dei bandi di gara che prevedono adempimenti a pena di esclusione, anche se di carattere formale, purché conformi ai tassativi casi contemplati dal medesimo comma, nonché dalle altre disposizioni del codice dei contratti pubblici, del regolamento di esecuzione e delle leggi statali”. Da ultimo, le considerazioni rese sull’istituto del soccorso istruttorio: nelle procedure di gara disciplinate dal codice dei contratti pubblici, il “potere di soccorso” sancito dall’art. 46, co. 1, del medesimo codice (DLGS 12 aprile 2006, n. 163) – sostanziandosi unicamente nel dovere della stazione appaltante di regolarizzare certificati, documenti o dichiarazioni già esistenti ovvero di completarli ma solo in relazione ai requisiti soggettivi di partecipazione, chiedere chiarimenti, rettificare errori materiali o refusi, fornire interpretazioni di clausole 114 ambigue nel rispetto della par condicio dei concorrenti – non consente la produzione tardiva del documento o della dichiarazione mancante o la sanatoria della forma omessa, ove tali adempimenti siano previsti a pena di esclusione dal codice dei contratti pubblici, dal regolamento di esecuzione e dalle leggi statali111. Nel corso dell’anno 2014 (e del 2015) a siffatta decisione hanno fatto seguito diverse altre che, in parte, ne hanno confermato i principi ed, in parte, anche in ragione dell’intervenuto mutamento normativo medio tempore, ne hanno determinato un superamento radicale. 3. Segue Con riferimento al blocco di sentenze relative alle carenze di cui all’art. 38 del Codice, tra le altre spicca la decisione n. 16 del 30 luglio 2014112 la quale, proprio con diretto riferimento alla dichiarazione sostitutiva relativa all’assenza delle condizioni preclusive previste dall’art. 38 DLGS n. 163 del 2006, ha precisato che può essere legittimamente riferita in via generale ai requisiti previsti dalla norma e non deve necessariamente indicare in modo puntuale le singole situazioni ostative previste dal legislatore: una dichiarazione sostituiva confezionata in tal modo è completa e non necessita di integrazioni o regolarizzazioni mediante l’uso dei poteri di soccorso istruttorio. Tale dichiarazione – inoltre – non deve contenere la menzione nominativa di tutti i soggetti muniti di poteri rappresentativi dell’impresa, quando questi ultimi possano essere agevolmente identificati mediante l’accesso a banche dati ufficiali o a registri pubblici. Anche una siffatta dichiarazione sostituiva, al pari di quanto detto poc’anzi, è completa e non necessita di integrazioni o regolarizzazioni mediante l’uso dei poteri di soccorso istruttorio. 111 Secondo la medesima decisione, nelle procedure di gara non disciplinate dal codice dei contratti pubblici, il “potere di soccorso” sancito dall’art. 6, co. 1, lett. b), L. 7 agosto 1990, n. 241, costituisce parametro per lo scrutinio della legittimità della legge di gara che, in assenza di una corrispondente previsione normativa, stabilisca la sanzione della esclusione; conseguentemente, è illegittima – per violazione dell’art. 6, co. 1, lett. b), L. 7 agosto 1990, n. 241, nonché sotto il profilo della manifesta sproporzione – la clausola della legge di gara che disciplina una procedura diversa da quelle di massa, nella parte in cui commina la sanzione della esclusione per l’inosservanza di una prescrizione meramente formale. 112 La sentenza è consultabile in internet sul sito «http://www.giustziazia-amministrativa.it». 115 La decisione si distingue per un notevole spirito sostanzialistico orientato a superare problemi pratici piuttosto gravosi e frequenti. Relativamente a temi già ampiamenti “arati” dalla giurisprudenza sia di prime cure che d’appello, giova poi in questa sede (almeno) menzionare la n. 27 del 28 agosto 2014 113 e la n. 34 del 10 dicembre 2014114. Con la prima il CDS, chiamato a pronunciarsi in tema di riunioni temporanee d’imprese, è tornato sul “principio della necessaria corrispondenza tra la qualificazione di ciascuna impresa e la quota della prestazione di rispettiva pertinenza” ex art. 37, commi 4 e 13 del codice dei contratti pubblici115. Con la seconda, il CDS ha statuito la legittimità della clausola, contenuta in atti di indizione di procedure di affidamento di appalti pubblici, che preveda l’escussione della cauzione provvisoria anche nei confronti di imprese non risultate aggiudicatarie, ma solo concorrenti, in caso di riscontrata assenza del possesso dei requisiti di carattere generale di cui all’art. 38 del Codice. A sostegno della predetta decisione, il Giudice pone una articolata e diffusa ricostruzione sistematica sull’istituto della cauzione provvisoria116. Cfr. Rivista Giuridica dell’Edilizia, 2014, 5, I, 1054. Cfr. Foro Amministrativo, (II) 2014, 12, 3068. 115 Secondo la sentenza in parola, ai sensi dell’art. 37, commi 4 e 13 del codice dei contratti pubblici (DLGS n. 163/2006), nel testo antecedente alle modifiche apportate dall’art. 1, comma 2 bis, lett. a), DL 6 luglio 2012 n. 95, convertito nella L 7 agosto 2012 n. 135, “negli appalti di servizi o di forniture da affidarsi a raggruppamenti temporanei di imprese non vige ex lege il principio di necessaria corrispondenza tra la qualificazione di ciascuna impresa e la quota della prestazione di rispettiva pertinenza, essendo la relativa disciplina rimessa alle disposizioni della lex specialis della gara”. 116 Scrivono i giudici: “La cauzione provvisoria assolve la funzione di garanzia del mantenimento dell’offerta in un duplice senso, giacché, per un verso, essa presidia la serietà dell’offerta e il mantenimento di questa da parte di tutti partecipanti alla gara fino al momento dell’aggiudicazione; per altro verso, essa garantisce la stipula del contratto da parte della offerente che risulti, all’esito della procedura, aggiudicataria. In questo senso, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, nella decisione n. 8 del 2005, ha affermato che la cauzione provvisoria, oltre ad indennizzare la stazione appaltante dall’eventuale mancata sottoscrizione del contratto da parte dell’aggiudicatario (funzione indennitaria), svolge (può svolgere) altresì una funzione sanzionatoria verso altri possibili inadempimenti contrattuali dei concorrenti. (…) Emerge evidente che, nella fattispecie, dalla disciplina di gara, tratta dal combinato disposto della norma primaria e della sua integrazione a mezzo del disciplinare, l’escussione della cauzione non presupponga in via esclusiva il fatto dell’aggiudicatario né si limita alle dichiarazioni sui requisiti speciali; essa, al contrario, trova spazio applicativo anche quando (come verificatosi nel caso di specie), per il concorrente (pur se non aggiudicatario), risulti non corrispondente al vero quanto dichiarato in occasione della rappresentazione di requisiti generali (in tal senso, i principi già affermati da Ad.Plen. su citata n.8 del 4 maggio 2012). Le conclusioni alle quali si perviene risultano inoltre giustificate, se non imposte, sia dalla funzione della cauzione provvisoria e dalla previsione del suo incameramento, che dalla sua natura giuridica. Secondo i principi elaborati dalla giurisprudenza e dall’Autorità di settore (cfr. 113 114 116 Corte cost., 13 luglio 2011, n. 211/ord.; Cons. St., sez. V, 24 novembre 2011, n. 6239; sez. V, 9 novembre 2010, n. 7963; sez. V, 5 agosto 2011, n. 4712; sez. V, 12 giugno 2009, n. 3746; sez. V, 8 settembre 2008, n. 4267; sez. V, 9 dicembre 2002, n. 6768; Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, determinazione n. 1 del 2010) strutturalmente la cauzione costituisce parte integrante dell’offerta e non mero elemento di corredo della stessa (che la stazione possa liberamente richiedere e quantificare). L’escussione della cauzione provvisoria si profila come garanzia del rispetto dell’ampio patto di integrità cui si vincola chi partecipa ad una gara pubblica. La sua finalità è quella di responsabilizzare i partecipanti in ordine alle dichiarazioni rese, di garantire la serietà e l’affidabilità dell’offerta, nonché di escludere da subito i soggetti privi delle richieste qualità volute dal bando. La presenza di dichiarazioni non corrispondenti al vero altera di per sé la gara quantomeno per un aggravio di lavoro della stazione appaltante, chiamata a vagliare anche concorrenti inidonei o offerte prive di tutte le qualità promesse, con le relative questioni successivamente innescabili (come verificatosi nel caso di specie, con esigenze di ricalcolo e nuovo aggiudicatario). L’escussione costituisce conseguenza della violazione dell’obbligo di diligenza gravante sull’offerente, tenuto conto che gli operatori economici, con la domanda di partecipazione, sottoscrivono e si impegnano ad osservare le regole della relativa procedura delle quali hanno piena contezza. Si tratta di una misura autonoma ed ulteriore (rispetto alla esclusione dalla gara ed alla segnalazione all’Autorità di vigilanza), che costituisce, mediante l’anticipata liquidazione dei danni subiti dall’amministrazione, un distinto rapporto giuridico fra quest’ultima e l’imprenditore (tanto che si ammette l’impugnabilità della sola escussione se ritenuta realmente ed esclusivamente lesiva dell’interesse dell’impresa). Sotto il profilo della natura giuridica, si ritiene (tra varie, Cons. Stato, VI, 3 marzo 2004, n. 1058 e Cons. Stato, V, 15 aprile 2013, n.2016) che ferma restando la generale distinzione fra l’istituto della clausola penale (1383 c.c.) avente funzione di liquidazione anticipata del danno da inadempimento e della caparra confirmatoria (art. 1385 c.c.) avente la funzione di dimostrare la serietà dell’intento di stipulare il contratto sin dal momento delle trattative o del perfezionamento dello stesso, l’istituto della cauzione provvisoria debba ricondursi alla caparra confirmatoria, sia perché è finalizzata a confermare la serietà di un impegno da assumere in futuro, sia perché tale qualificazione risulta la più coerente con l’esigenza, rilevante contabilmente, di non vulnerare l’amministrazione costringendola a pretendere il maggior danno (per altra giurisprudenza, si veda in tal senso, Cons. Stato, V, 11 dicembre 2007, n.6362, la cauzione provvisoria svolge la funzione della clausola penale, diretta a predeterminare la liquidazione forfettaria del danno, tanto che non viene prevista la possibilità del danno eventualmente non coperto dalla cauzione incamerata). In definitiva e in sostanza, si tratta di una misura di indole patrimoniale, priva di carattere sanzionatorio amministrativo nel senso proprio, che costituisce l’automatica conseguenza della violazione di regole e doveri contrattuali espressamente accettati. Per replicare alle obiezioni sollevate dalla tesi più restrittiva, si ritiene di osservare che l’invocato principio di legalità riguarda le sanzioni in senso proprio e non già le misure di indole patrimoniale liberamente contenute negli atti di indizione, accettate dai concorrenti, non irragionevoli né illogiche, rispondenti all’autonomia patrimoniale delle parti, non contrarie a norme imperative e anzi agganciate alla ratio rinvenibile nelle disposizioni del codice. Il principio di tassatività è, allo stesso modo, male invocato, essendo lo stesso riferibile alle sole cause di esclusione dalla gara (nel senso della legittimità della previsione di adempimenti a pena di esclusione, ma purchè conformi ai casi tassativi indicati dall’articolo 46 del codice dei contratti pubblici, Consiglio di Stato, ad.plen. 25 febbraio 2014, n.9) e non già ad altre misure di tipo patrimoniale contenute in clausole degli atti di indizione e riferibili a doveri di correttezza contrattuale. Si aggiunga che – oltre ad una lettura evolutiva dell’art. 75 nel senso sopra riportato di far riferimento anche ai concorrenti e non solo all’aggiudicatario e non solo ai requisiti speciali di cui all’art. 48 ma anche ai requisiti generali di cui all’art. 38 – porta e concludere nel senso sostenuto anche la previsione contenuta nell’art. 49, che, sia pure nell’ambito della disciplina dell’avvalimento, ma con valenza sistematica (ai sensi degli articoli 1362 e seguenti codice civile) dal punto di vista interpretativo, al comma 3 prevede che “nel caso di dichiarazioni mendaci, ferma restando l’applicazione dell’articolo 38, lettera h nei confronti dei sottoscrittori, la stazione appaltante esclude il concorrente (non già il solo aggiudicatario) e escute la garanzia”. Per 117 Da ultimo, proprio nell’imminenza del presente Convegno, l’AP si è espressa su un tema piuttosto noto agli operatori del settore ovverosia sulla questione della c.d. indicazione degli oneri di sicurezza, foriera di un dibattito giurisprudenziale (oltre che dottrinale) particolarmente florido e fecondo. Il riferimento è alla sentenza n. 3 del 20 marzo 2015117 volta, da un lato, a statuire che nelle procedure di affidamento di lavori i partecipanti alla gara devono indicare nell’offerta economica i costi interni per la sicurezza del lavoro, pena l’esclusione dell’offerta dalla procedura, anche se non prevista nel bando di gara e, da un altro lato, che la mancata indicazione non è non sanabile con il potere di soccorso istruttorio della stazione appaltante, non potendosi consentire di integrare successivamente un’offerta dal contenuto inizialmente carente di un suo elemento essenziale. completezza, si deve rilevare che il recente inserimento, all’articolo 38, del comma 2-bis, (inserito dall’art. 39, comma 1, del D.L. 24 giugno 2014, n.90, convertito, con modificazioni, dalla Legge 11 agosto 2014, n.114) prevede che la mancanza, incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e delle dichiarazioni sostitutive di cui al comma 2 obbliga il concorrente che vi ha dato causa al pagamento, in favore della stazione appaltante, della sanzione pecuniaria stabilita dal bando di gara, in misura non inferiore all’uno per mille e non superiore all’uno per cento del valore della gara e comunque non superiore a 50.000 euro, il cui versamento è garantito dalla cauzione provvisoria (assegnando termine per regolarizzare e prevedendo altresì che le irregolarità non essenziali non rilevino). In caso di inutile decorso del termine il concorrente è escluso dalla gara. Il legislatore, inoltre, proprio al fine di evitare gli inconvenienti determinati da “mancanze, falsità o incompletezze delle dichiarazioni”, prevede, in modo innovativo, che ogni variazione che intervenga, anche in conseguenza di una pronuncia giurisdizionale, successivamente alla fase di ammissione, regolarizzazione o esclusione delle offerte, non debba rilevare ai fini del calcolo di medie nella procedura, né per la individuazione della soglia di anomalia delle offerte. Al di là della irrilevanza ratione temporis, in virtù della disposizione intertemporale del comma 3 del su menzionato art. 39 (per il quale le nuove disposizioni si applicano solo alle procedure di affidamento indette successivamente al 24 giugno 2014), ciò che rileva per l’interprete, ove mai ve ne fosse bisogno, è la conferma della legittimità (della previsione nei bandi della “sanzione”) dell’incameramento della cauzione provvisoria in caso di mancanze relative ai requisiti generali di cui all’art. 38, riferibili a tutti i concorrenti e non al solo aggiudicatario. (…) Ritenendo pertanto di decidere nel merito per intero la controversia sottoposta all’esame, sulla base delle sopra esposte considerazioni, va accolto ai sensi di cui in motivazione il ricorso in appello proposto dal Comune di Erice e, in riforma dell’appellata sentenza, va respinto il ricorso originario, con la enunciazione dei seguenti principi di diritto:«E’ legittima la clausola, contenuta in atti di indizione di procedure di affidamento di appalti pubblici, che preveda l’escussione della cauzione provvisoria anche nei confronti di imprese non risultate aggiudicatarie, ma solo concorrenti, in caso di riscontrata assenza del possesso dei requisiti di carattere generale di cui all’art. 38 del codice dei contratti pubblici»”. 117 Cfr. Foro Amministrativo, (II) 2015, 3, 696. 118 4. Spunti conclusivi Queste, in estrema sintesi, le sentenze maggiormente significative rese dall’AP negli ultimi mesi in materia di contratti pubblici. Dalla fugace rassegna che precede, lungi dal poter pervenire a considerazioni sistematiche di sintesi financo approssimative, due sono i profili che balzano immediatamente all’attenzione. In primo luogo, ad emergere con tutta evidenza è la particolare complessità delle questioni trattate, complessità dovuta pressoché esclusivamente all’affastellamento normativo succedutosi caoticamente e disorganicamente negli (ultimi) anni. Secondariamente, è la crescente esigenza della funzione nomofilattica del Supremo Giudice amministrativo a destare attenzione e a suscitare interrogativi: teorizzata come funzione “straordinaria” e, sino ad un recente passato, caratterizzatasi per un ruolo storicamente “debole”, la giurisprudenza dell’Adunanza Plenaria si connota oggi come una costante sistemica fondamentale del nostro ordinamento, soprattutto nella materia dei contratti pubblici, confermando appieno la tendenza generale che vede le alte Magistrature della Repubblica sempre più cariche di lavoro118. Se la formulazione di cui all’art. 99 del Codice del processo amministrativo ha indubbiamente rafforzato il ruolo dell’Adunanza secondo il modello della Cassazione, lo spazio oggi concretamente assunto dal Plenum nella materia dei contratti pubblici non sembra potersi ascrivere – solo e soltanto – all’intervenuta riforma del rito del deferimento119. La sensazione è che tra (continue) novelle legislative, orientamenti giurisprudenziali contraddittori, disposizioni ANAC120 non sempre intelligibili, l’Adunanza venga via via ad assumere un ruolo di certazione – inteso proprio nel senso più pieno del termine ovvero quello di “produrre certezza” – in assenza del quale il sistema sarebbe già imploso da tempo. 118 Il fenomeno del c.d. sovraccarico dei ruoli della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione rappresenta oramai un dato ampiamente noto, non solo agli operatori del settore. 119 Circa il rafforzamento del ruolo dell’Adunanza Plenaria nel “nuovo” CPA, per tutti, E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, XV edizione, Milano, 2013, p. 835 ss.; C. MIGNONE – PM VIPIANA, Manuale di giustizia amministrativa, Padova, 2013, p. 11 ss. 120 Emblematico si pone il caso dei “Criteri interpretativi in ordine alle disposizioni dell’artt. 38, comma 2-bis, e 46, comma 1-ter, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163” di cui alla Determinazione n. 1, dell’8 gennaio 2015 e successivo Comunicato del Presidente del 25 marzo 2015. 119 LA SICUREZZA SUL LAVORO NEGLI APPALTI PUBBLICI CONSIDERAZIONI A SEGUITO DELLE DIRETTIVE UE DEL 2014 Matteo Porricolo (Dottorando Università degli Studi del Piemonte Orientale) SOMMARIO: 1. I rapporti tra il Codice dei contratti pubblici e il Testo unico della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. - 2. Le principali responsabilità delle figure garanti. - 3. Il sistema sanzionatorio - 4. La sicurezza nelle fasi precedenti l’esecuzione. - 5. Il dibattito giurisprudenziale sull’omessa indicazione degli oneri. - 6. Conclusioni 1. Per quanto la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro siano esigenze da tempo sentite e tutelate a livello comunitario121, le tre recenti direttive UE122 non dettano particolari disposizioni in materia123; né allo stato attuale a riguardo si rinviene altro nel d.d.l. italiano per il recepimento di tali direttive (A.S. 1678, nel momento in cui si scrive all’esame in Commissione). Con tale legge si intende delegare il Governo ad adottare un decreto 121 Già il previgente D. lgs. 19 settembre 1994, n. 626 recepiva una serie di direttive CEE riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori. 122 Si tratta della direttiva 2014/23/UE del 26 febbraio 2014 del Parlamento europeo e del Consiglio sull'aggiudicazione dei contratti di concessione; della direttiva 2014/24/UE del 26 febbraio 2014 del Parlamento europeo e del Consiglio sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE e della direttiva 2014/25/UE del 26 febbraio 2014 del Parlamento europeo e del Consiglio sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali. 123 La direttiva appalti al 41° considerando stabilisce: «Nessuna disposizione della presente direttiva dovrebbe vietare di imporre o di applicare misure necessarie alla tutela dell’ordine, della moralità e della sicurezza pubblici, della salute, della vita umana […]». Al 99°: «Possono essere oggetto dei criteri di aggiudicazione o delle condizioni di esecuzione dell’appalto anche misure intese alla tutela della salute del personale coinvolto nei processi produttivi […]». 120 legislativo che assuma le forme di un testo normativo denominato “Codice degli appalti pubblici e delle concessioni”, andando così a superare il vigente Decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163. Invero, l’attuale “Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi” (di seguito, breviter, anche “Codice appalti” o “il Codice”) non rappresenta ovviamente la sedes materiae della disciplina della sicurezza sul lavoro, essendo questa posizione ricoperta dal Testo unico di cui al d. lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (di seguito “Testo unico” o “il T.U.”). Per quanto esuli, quindi, tale materia dall’ambito applicativo delle direttive, sarà comunque opportuno che il legislatore coordini le due fonti tenendo presente che il T.U. 81/2008 fa espressi riferimenti al d. lgs. 163/2006 laddove, al Titolo IV, detta “Misure per la salute e sicurezza nei cantieri temporanei o mobili”. La portata globale dell’applicazione delle norme (e quindi anche agli appalti pubblici), oltre a evincersi da specifiche disposizioni iniziali124, si desume nella parte in cui vengono fornite la definizioni di “Committente” e “Responsabile dei lavori”, due fra i principali soggetti interni alla stazione appaltante che il T.U. individua per l’addebito degli obblighi in tema di sicurezza. In particolare «Nel caso di appalto di opera pubblica, il committente è il soggetto titolare del potere decisionale e di spesa relativo alla gestione dell'appalto» (art. 89, c.1, l. b, secondo periodo).125 E «Nel campo di applicazione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni, il responsabile dei lavori è il responsabile unico del procedimento»126 (art. 89, c.1, l. c, secondo periodo). Cfr. l’art. 2 - “Definizioni” e l’art. 3, c. 1, secondo cui: «Il presente decreto legislativo si applica a tutti i settori di attività, privati e pubblici, e a tutte le tipologie di rischio». Si tratta del cd. “principio della circolarità della sicurezza sul lavoro”. Cfr. CHIARA TRULLI, La sicurezza sul lavoro nella pubblica amministrazione, DEI, Roma, 2012, p. 251. 125 Diversamente dal caso della nomina a datore di lavoro, che può far risorgere la responsabilità dei vertici politici in caso di omessa individuazione o di individuazione non conforme (ex art. 2, c.1, l. b, ult. periodo, T.U.), manca qui un’espressa garanzia del genere. E’ stato però correttamente osservato che, onde evitare illegittime responsabilità da posizione, è corretto ritenere la disposizione estendibile a questo caso, ad es., per culpa in eligendo o vigilando su dirigenti o funzionari cui è stato affidato il potere decisionale o qualora non siano state disposte risorse necessarie per rendere effettivo il potere di spesa relativo alla gestione dell'appalto. Cfr. CARINCI, CESTER, MATTAROLO, SCARPELLI, Tutela e sicurezza del lavoro negli appalti privati e pubblici: inquadramento giuridico ed effettività, Utet, Torino, 2011, pp. 411 ss. 126 Si ricordi che ai sensi dell’art. 10 c. 1 del Codice: «Per ogni singolo intervento da realizzarsi mediante un contratto pubblico, le amministrazioni aggiudicatrici nominano, ai sensi della legge 7 124 121 A tali disposizioni fa eco il D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 – Regolamento applicativo del codice – stabilendo che «Il responsabile del procedimento assume il ruolo di responsabile dei lavori, ai fini del rispetto delle norme sulla sicurezza e salute dei lavoratori sui luoghi di lavoro» (art. 10, c. 2), oltre una lunga serie di specifiche incombenze. Il legislatore della riforma dovrà altresì tener presente che il T.U. del 2008 fa ulteriori richiami all’attuale Codice appalti. Prima fra tutti, la clausola dell’art. 26, c. 7: «Per quanto non diversamente disposto dal decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, come da ultimo modificate dall'articolo 8, comma 1, della legge 3 agosto 2007, n. 123, trovano applicazione in materia di appalti pubblici le disposizioni del presente decreto», che individua, così, una competenza residuale a favore del Testo unico rispetto al Codice appalti.127 2. Com’è noto, allontanandosi da quel concetto di “gestione a proprio rischio” in capo all’appaltatore (di cui all’art. 1655 c.c.), il legislatore non ha voluto esonerare del tutto i soggetti interni all’amministrazione (o il committente privato) dall’assolvimento dei compiti in materia di salute e sicurezza, individuando un complesso sistema di riparto tra i suddetti e quelli appartenenti all’azienda titolare del rapporto di lavoro. Si è venuto così a creare un triplice sistema di garanzie, che coinvolge “sia le fasi antecedenti l'affidamento, con la agosto 1990, n. 241, un responsabile del procedimento, unico per le fasi della progettazione, dell'affidamento, dell'esecuzione». 127 Altri sono i richiami. Ad esempio, in tema di rapporti tra committenti, responsabili dei lavori, datori delle imprese affidatarie e datore delle imprese in subappalto l’art. 100, c. 6 bis, del T.U. stabilisce che : «Nel campo di applicazione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni, si applica l’articolo 118, comma 4, secondo periodo, del medesimo decreto legislativo». E’una norma che istituisce una responsabilità solidale tra affidatario e subappaltatore anche relativamente agli adempimenti degli obblighi di sicurezza. O ancora, all’art 26 (Obblighi connessi ai contratti d'appalto o d'opera o di somministrazione): «Il datore di lavoro committente promuove la cooperazione e il coordinamento […] elaborando un unico documento di valutazione dei rischi [D.U.V.R.I. N.d.R] che indichi le misure adottate per eliminare o, ove ciò non è possibile, ridurre al minimo i rischi da interferenze […]. Nell'ambito di applicazione del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 , tale documento è redatto, ai fini dell'affidamento del contratto, dal soggetto titolare del potere decisionale e di spesa relativo alla gestione dello specifico appalto». (comma 3). «Nei casi in cui il contratto sia affidato dai soggetti di cui all’articolo 3, comma 34, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 [la "centrale di committenza", N.d.R], o in tutti i casi in cui il datore di lavoro non coincide con il committente, il soggetto che affida il contratto redige il documento di valutazione dei rischi da interferenze recante una valutazione ricognitiva dei rischi standard relativi alla tipologia della prestazione che potrebbero potenzialmente derivare dall’esecuzione del contratto. Il soggetto presso il quale deve essere eseguito il contratto, prima dell’inizio dell’esecuzione, integra il predetto documento riferendolo ai rischi specifici da interferenza presenti nei luoghi in cui verrà espletato l’appalto […] » (comma 3 ter). 122 cosiddetta verifica di idoneità tecnico-professionale delle imprese esterne, sia la fase contrattuale, con nuovi adempimenti in materia di valutazione dei rischi interferenziali e di definizione dei costi connessi alla gestione della sicurezza nello specifico appalto”; sia infine la fase esecutiva, “con la definizione di precisi obblighi per il committente e gli appaltatori in tema di cooperazione e di coordinamento”.128 L’art. 90 individua gli “Obblighi del committente o del responsabile dei lavori”: l’alternativa che vi si legge è data dal fatto che il secondo è il «soggetto che può essere incaricato dal committente per svolgere i compiti ad esso attribuiti dal presente decreto» (art. 89, c.1, l. c, primo periodo), facoltà consentita qualora il committente non disponga delle competenze necessarie ad onorare tali funzioni. Di fatti, ai sensi dell’art. 93, c. 1, «Il committente è esonerato dalle responsabilità connesse all'adempimento degli obblighi limitatamente all'incarico conferito al responsabile dei lavori», di modo che quest’ultimo diventa l’alter ego del committente ai fini della sicurezza in cantiere. 129 Nell’ambito degli appalti pubblici, si è però discusso della natura di tale nomina: una corrente ha sostenuto che si tratti di una nomina facoltativa, salvo che, una volta designato il responsabile dei lavori, questi non possa essere che il Responsabile unico del procedimento di cui al “Codice appalti”, stante il precitato secondo periodo dell’art. 89, c.1, l. c.130 IVAN PIETROLUONGO, GIUSEPPE SARTORIO, L’omessa indicazione degli oneri di sicurezza negli appalti pubblici, in Urbanistica e appalti, 2013, 2, 222. Sul riparto di responsabilità, GIULIO BENEDETTI, Gli adempimenti di sicurezza sul lavoro nel contratto di appalto pubblico e privato, in ISL - Igiene & Sicurezza del Lavoro, 10, 2011, pp. 696-700. Pre riforma, ADRIANA MORGANTE, Le posizioni di garanzia nella prevenzione antinfortunistica in materia di appalto, in Riv. it. dir. e proc. pen., fasc.1, 2001, pagg. 88 e ss. 129 Per un inquadramento sui compiti e responsabilità del R.U.P. in materia di sicurezza sul lavoro: MARCO MASI, Contratti per lavori pubblici: responsabile del procedimento anche per la tutela in cantiere, in Ambiente & Sicurezza, 2011, 4, pp. 12-18 E C. TRULLI, La sicurezza sul lavoro nella pubblica amministrazione, cit., p. 286 ss. Sull’esonero di responsabilità del committente che nomina il Responsabile dei lavori v. ELENA CARUSO in LUIGI MONTUSCHI (a cura di), La nuova sicurezza sul lavoro: commento al D. lgs. 9 aprile 2008, n. 81 e successive modifiche, Zanichelli, Bologna, 2011, (vol. III, norme penali e processuali, a cura di GAETANO INSOLERA), pp. 158-162. 130 Così VALENTINA PASQUARELLA, La valorizzazione della dimensione prevenzionistica degli appalti pubblici tra vecchie e nuove fonti normative, in Lavoro nelle p.a., fasc.2, 2009, pp. 285 e ss., che scrive: “L'espressione che identifica il responsabile dei lavori con il RUP, in virtù della facoltatività di tale ruolo, va intesa nel senso che, laddove il committente ritenga di nominarlo, il responsabile dei lavori può essere soltanto il RUP; in caso contrario, il committente adempierà personalmente a tutti gli obblighi prevenzionistici, e di conseguenza il RUP, che rimane una figura obbligatoria nei lavori pubblici, sarà tenuto solo allo svolgimento dei compiti connessi alle fasi di progettazione, di affidamento e di esecuzione di lavori, servizi e forniture. 128 123 A questa impostazione si è contrapposta la visione di chi ha ritenuto l’automatismo della nomina a responsabile dei lavori in capo al R.U.P., a prescindere da qualsivoglia incarico espresso da parte del committente.131 Gli altri due soggetti responsabili interni alla stazione appaltante sono il “coordinatore in materia di sicurezza e di salute durante la progettazione dell'opera”, definito come «soggetto incaricato, dal committente o dal responsabile dei lavori, dell'esecuzione dei compiti di cui all'articolo 91» (art. 89, c.1, l. e) e il “coordinatore in materia di sicurezza e di salute durante la realizzazione dell'opera”, ovvero il «soggetto incaricato, dal committente o dal responsabile dei lavori, dell'esecuzione dei compiti di cui all'articolo 92, che non può essere il datore di lavoro delle imprese affidatarie ed esecutrici o un suo dipendente o il responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) da lui designato» (art. 89, c.1, l. f).132 Va tenuto conto, però, che, anche a seguito di tali designazioni, la legge non esonera il committente o il responsabile dei lavori da una serie di responsabilità, precisate con rimando dall’art. 93, c. 2. A tali figure di garanti, come si è detto, si affiancano senza sostituirli, i datori di lavoro, i dirigenti e i preposti delle imprese affidatarie e delle imprese esecutrici, ossia i reali titolari del rapporto con il lavoratore, nonché i loro incaricati. 3. A seguire il complesso di prescrizioni specifiche da adottarsi nei cantieri, il Titolo IV del decreto termina col Capo III, dedicato alle sanzioni e, nello specifico si annoverano gli articoli da 157 a 160 disciplinanti rispettivamente le sanzioni per i committenti e i La figura del RUP è quindi obbligatoria - facoltativa - obbligatoria: è obbligatoria nell'ambito della regolamentazione degli appalti pubblici; è facoltativa quale responsabile di lavori, perché potrebbe non essere nominato dal committente pubblico; diventa di nuovo obbligatoria, in caso di nomina del responsabile di lavori, in quanto tale ruolo deve essere obbligatoriamente ricoperto dal RUP”. 131 Aderisce a quest’ultima tesi MIRKO TRAPÈ, Sicurezza sul lavoro: i compiti del RUP, in www.altalex.com, 9 luglio 2014. Per l’automatismo anche C. TRULLI, La sicurezza sul lavoro nella pubblica amministrazione, cit., p. 278. Cfr. anche CARINCI, CESTER, MATTAROLO, SCARPELLI, Tutela e sicurezza del lavoro negli appalti privati e pubblici: inquadramento giuridico ed effettività, cit., pp. 419 ss. 132 Sui compiti e responsabilità dei coordinatori, v. C. TRULLI, La sicurezza sul lavoro nella pubblica amministrazione, cit., pp. 310 e ss. 124 responsabili dei lavori, le sanzioni per i coordinatori, quelle per i datori di lavoro e dirigenti e, infine, quelle per i lavoratori autonomi.133 Il d.lgs. 81/2008 nella parte sanzionatoria adopera un sistema di non agevole lettura, stabilendo ivi la pena e facendo rinvio per l’individuazione della fattispecie agli articoli precedenti che enucleano l’obbligo. Lo “statuto penale” della sicurezza sul lavoro ha optato per un doppio binario134: ossia certe condotte vengono punite a titolo di contravvenzione (con sola ammenda, ammenda e arresto o solo arresto), mentre altre violazioni, dal disvalore inferiore, comportano l’applicazione di sole sanzioni amministrative. Le disposizioni generali in materia penale e di procedura penale si trovano al Titolo XII, che si apre con una disposizione per quanto forse superflua, di grande aiuto per l’interprete per muoversi nel complesso di norme del T.U.: «Quando uno stesso fatto è punito da una disposizione prevista dal titolo I e da una o più disposizioni previste negli altri titoli, si applica la disposizione speciale» (art. 298). Il che significa che per la risoluzione del conflitto apparente di norme, conformemente all’art. 15 c.p., rispetto alle violazioni contenute nella parte generale prevalgono quelle dei titoli seguenti che dettano una disciplina particolare per i vari settori di rischio. Ne è un esempio la sicurezza nei cantieri temporanei o mobili, qui analizzata. L’accertamento delle violazioni in oggetto è retto da un sistema particolare, che la vale la pena sintetizzare: le contravvenzioni in materia di igiene, salute e sicurezza sul lavoro previste dal decreto o contenute in altra fonte legislativa, per le quali sia prevista la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda ovvero la pena della sola ammenda, giovano, in ragione dell’art. 301, della procedura di prescrizione ed estinzione del reato contenuta nel Capo II del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758. In base all’art. 20 del testo normativo da ultimo indicato, una volta accertata la violazione «l'organo di vigilanza, nell'esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria di cui all'art. 55 del codice di procedura penale, impartisce al contravventore prescrizione, un'apposita fissando per la regolarizzazione un termine non eccedente il periodo di tempo tecnicamente necessario. Tale termine è prorogabile a richiesta del contravventore, Per un’analisi nel dettaglio dei vari illeciti, v. PIERLUIGI RAUSEI, Illeciti e sanzioni : il diritto sanzionatorio del lavoro, Ipsoa, Milanofiori – Assago, 2013, pp. 592 ss. 134 Cfr. ELENA CARUSO in LUIGI MONTUSCHI (a cura di), cit. (vol. III, norme penali e processuali, a cura di GAETANO INSOLERA), p. 158. 133 125 per la particolare complessità o per l'oggettiva difficoltà dell'adempimento. In nessun caso esso può superare i sei mesi. […] Con la prescrizione l'organo di vigilanza può imporre specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro. Resta fermo l'obbligo dell'organo di vigilanza di riferire al pubblico ministero la notizia di reato inerente alla contravvenzione ai sensi dell'art. 347 del codice di procedura penale». L’art. 22 prende in considerazione il caso inverso, ossia quando sia il pubblico ministero a prendere notizia di una contravvenzione di propria iniziativa ovvero la riceva da terzi, dovendo esso darne immediata comunicazione all'organo di vigilanza. In ogni caso, il procedimento penale resta sospeso dal momento dell'iscrizione della notizia di reato nel registro di cui all'art. 335 c.p.p. fino al momento in cui il pubblico ministero riceve la comunicazione dell’adempimento o dell’inadempimento (art. 23, c.1). L’art. 21 regola i due casi: «Entro e non oltre sessanta giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, l'organo di vigilanza verifica se la violazione è stata eliminata secondo le modalità e nel termine indicati dalla prescrizione. Quando risulta l'adempimento alla prescrizione, l'organo di vigilanza ammette il contravventore a pagare in sede amministrativa, nel termine di trenta giorni, una somma pari al quarto del massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione commessa. Entro centoventi giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, l'organo di vigilanza comunica al pubblico ministero l'adempimento alla prescrizione, nonché l'eventuale pagamento della predetta somma. Quando risulta l'inadempimento alla prescrizione, l'organo di vigilanza ne dà comunicazione al pubblico ministero e al contravventore entro novanta giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione». In breve, si aprono quindi due vie: l’estinzione del reato se il contravventore adempie alla prescrizione impartita dall'organo di vigilanza nel termine fissato e provvede al pagamento previsto in via amministrativa; in caso contrario si riattiva il procedimento penale per l’accertamento della contravvenzione. 126 Gli atti dell’organo di vigilanza, costituendo esercizio di funzioni di polizia giudiziaria, si ritengono non impugnabili in sede amministrativa o giudiziaria con ricorso al T.A.R. L’eventuali doglianze dovranno essere risolte all’interno del procedimento penale.135 Sul tema è intervenuta a più riprese la Corte Costituzionale dichiarando infondata la questione di legittimità costituzionale di taluni articoli del Capo II del decreto legislativo 19 dicembre 1994, laddove il rimettente aveva trascurato che, «nel caso in cui le conseguenze dannose o pericolose del reato risultino eliminate per effetto di una regolarizzazione spontanea o a seguito dell'osservanza di prescrizioni irritualmente impartite, non vi sono ostacoli a che il contravventore venga ammesso al pagamento della somma determinata a norma dell'art. 21 del D.Lgs. n. 758 del 1994, così da poter usufruire dell'estinzione del reato disciplinata dall'art. 24 del medesimo decreto».136 Ciò in ossequio alla duplice ratio cui tendono le norme in questione: assicurare l'effettività dell'osservanza delle misure di prevenzione e di protezione e conseguire una consistente deflazione processuale. Sin qui si è analizzata la procedura estintiva per le contravvenzioni punite con la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda ovvero la pena della sola ammenda; ma il T.U. prevede sistemi ripristinatori anche per gli illeciti amministrativi e per le contravvenzioni punite col solo arresto. Nel primo caso, l’art. 301 bis dispone: «In tutti i casi di inosservanza degli obblighi puniti con sanzione pecuniaria amministrativa il trasgressore, al fine di estinguere l’illecito amministrativo, è ammesso al pagamento di una somma pari alla misura minima prevista dalla legge qualora provveda a regolarizzare la propria posizione non oltre il termine assegnato dall’organo di vigilanza mediante verbale di primo accesso ispettivo». Mentre, secondo l’art. 302, per le contravvenzioni punite con la sola pena dell’arresto, il giudice può, su richiesta dell’imputato, sostituire la pena irrogata nel limite di dodici mesi con il pagamento di una somma determinata secondo i criteri di ragguaglio di cui all’articolo 135 c.p.. La sostituzione può avvenire solo quando siano state eliminate tutte le fonti di rischio e le conseguenze dannose del reato e la somma non può essere comunque inferiore a 2.000 €. La conversione non è consentita quando la violazione ha prodotto un infortunio da 135 MANUEL FORMICA in LUIGI MONTUSCHI (a cura di), cit. (vol. III, norme penali e processuali, a cura di GAETANO INSOLERA), pp. 315-316. 136 C. Cost. Ord. 4.6.2003, n. 192. Conformi: Ord. 28.5.1999, n. 205; Ord. 16.12.1998, n. 416; Sent.18.2.1998, n. 19. 127 cui sia derivata la morte ovvero una lesione personale che abbia comportato l’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo superiore ai quaranta giorni. Decorso un periodo di tre anni dal passaggio in giudicato della sentenza che ha operato la sostituzione senza che l’imputato abbia commesso ulteriori reati tra quelli previsti dal T.U., ovvero i reati di omicidio colposo o lesioni personali colpose commesse con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, il reato si estingue. 4. La rilevanza della sicurezza nei luoghi di lavoro spicca, comunque, anche nella fasi precedenti dell’aggiudicazione, essendo approntato un insieme di norme atte a evitare che gli oneri per la sicurezza, che gravano sulle aziende, rientrino nel gioco a ribasso dei prezzi.137 Tali oneri sono stati definiti come “quei costi che l'impresa sostiene per predisporre le misure preventive e protettive necessarie per l'eliminazione o riduzione dei rischi da interferenze delle lavorazioni individuate nel DUVRI (il Documento Unico per la Valutazione dei Rischi), o nel Piano di sicurezza e di coordinamento.”138 Innanzitutto, fra i principi generali si stabilisce che il principio di economicità possa essere subordinato, entro i limiti in cui sia espressamente consentito dalle norme vigenti e dal codice, ai criteri, previsti dal bando, ispirati a esigenze sociali, nonché alla tutela della salute e dell'ambiente e alla promozione dello sviluppo sostenibile (art. 2, c. 2, Codice appalti). In particolare «Nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell’anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici, di servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all’entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture. Ai fini del presente comma il costo del lavoro è determinato periodicamente, in apposite tabelle, dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale […]» (art. 86, c. 3 bis, del Codice, poi recepito dall’art. 26, c. 6, del T.U.). 137 Per una riflessione in proposito, cfr. ad es. FRANCO SCARPELLI, Regolarità del lavoro e regole della concorrenza: il caso degli appalti pubblici, in Riv. giur. del lavoro e della prev. soc., 2006, 4, 761-773. E VALENTINA PASQUARELLA, La valorizzazione della dimensione prevenzionistica degli appalti pubblici tra vecchie e nuove fonti normative, cit. 138 IVAN PIETROLUONGO, GIUSEPPE SARTORIO, L’omessa indicazione degli oneri di sicurezza negli appalti pubblici, cit. 128 «Il costo relativo alla sicurezza non può essere comunque soggetto a ribasso d’asta». (art. 86, c. 3 ter). Dal tenore delle suesposte disposizioni deriva che “nella predisposizione della gara […], i costi relativi alla sicurezza derivanti dalla valutazione delle interferenze devono essere specificamente indicati […] separatamente dall'importo dell'appalto posto a base d'asta, con preclusione di qualsivoglia facoltà di ribasso dei costi stessi […], in virtù della preclusione legale di indisponibilità di detti oneri da parte dei concorrenti, trattandosi di costi necessari, finalizzati con tutta evidenza alla massima tutela del bene costituzionalmente rilevante dell'integrità dei lavoratori”.139 L’art. 38 del D. Lgs. 163/2006 regola i requisiti di ordine generale delle imprese concorrenti, stabilendo, tra l’altro, che «Sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti: […] che hanno commesso gravi infrazioni debitamente accertate alle norme in materia di sicurezza e a ogni altro obbligo derivante dai rapporti di lavoro […]» (c. 1, l. e). Circa i criteri di valutazione delle offerte anormalmente basse, l’art. 87, c. 4 non ammette giustificazioni in relazione agli oneri di sicurezza, nonché al piano di sicurezza e coordinamento, e richiede , nella valutazione dell'anomalia, la stazione appaltante tenga conto dei costi relativi alla sicurezza, che devono essere specificamente indicati nell'offerta e risultare congrui rispetto all'entità e alle caratteristiche dei servizi o delle forniture. Nel Regolamento attuativo (D.P.R. 207/2010) sono poi individuati, all’art. 39, il “Piano di sicurezza e di coordinamento” e il “Quadro di incidenza della manodopera”140 I. PIETROLUONGO, G. SARTORIO, L’omessa indicazione degli oneri di sicurezza negli appalti pubblici, cit. 140 «Il piano di sicurezza e di coordinamento è il documento complementare al progetto esecutivo, finalizzato a prevedere l'organizzazione delle lavorazioni più idonea, per prevenire o ridurre i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, attraverso l'individuazione delle eventuali fasi critiche del processo di costruzione, e la definizione delle relative prescrizioni operative. Il piano contiene misure di concreta fattibilità, e' specifico per ogni cantiere temporaneo o mobile ed e' redatto secondo quanto previsto nell'allegato XV al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81. La stima dei costi della sicurezza derivanti dall'attuazione delle misure individuate rappresenta la quota di cui all'articolo 16, comma 1, punto a.2). 2. I contenuti del piano di sicurezza e di coordinamento sono il risultato di scelte progettuali ed organizzative conformi alle misure generali di tutela di cui all'articolo 15 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, secondo quanto riportato nell'allegato XV al medesimo decreto in termini di contenuti minimi. In particolare la relazione tecnica, corredata da tavole esplicative di progetto, deve prevedere l'individuazione, l'analisi e la valutazione dei rischi in riferimento all'area e 139 129 5. Si osservi in chiusura il dibattito giurisprudenziale che ha riguardato la questione se fosse ugualmente obbligo per i concorrenti partecipanti ad una gara segnalare l'importo degli oneri economici imputati esclusivamente alle misure di sicurezza sul lavoro, anche se ciò non fosse previsto espressamente dal bando. L’inciso che ha dato adito ai dubbi è stato il secondo periodo dell’art. 87, c. 4 del Codice: «Nella valutazione dell'anomalia la stazione appaltante tiene conto dei costi relativi alla sicurezza, che devono essere specificamente indicati nell'offerta e risultare congrui rispetto all'entità e alle caratteristiche dei servizi o delle forniture», non trattando apparentemente degli appalti di lavori. Circoscrivendo l’analisi alle pronunce degli ultimi anni, secondo un primo orientamento l'inosservanza delle norme del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici) che impongono l'indicazione preventiva dei costi di sicurezza avrebbe implicato - anche in assenza di espressa comminatoria del bando di gara - la sanzione dell'esclusione, in quanto avrebbe reso l'offerta incompleta sotto un profilo particolarmente rilevante alla luce della natura costituzionalmente sensibile degli interessi protetti e avrebbe inoltre impedito alla stazione appaltante un adeguato controllo sull'affidabilità dell’offerta stessa.141 Di altro avviso fu il Supremo Consesso Amministrativo l’anno successivo, nella pronuncia in cui, onerando le amministrazioni aggiudicatrici, in sede di predisposizione dei bandi di gara, di indicare i costi relativi alla sicurezza derivanti dalla valutazione delle interferenze (i quali, a pena d'illegittimità, vanno specificamente separati dall'importo dell'appalto posto a base d'asta), dichiarò l’annullamento degli atti di gara impugnati. 142 Si ritornò in seguito nel filone della prima sentenza analizzata, stabilendo che la mancata indicazione, nel disciplinare di gara, dell'obbligo per le imprese partecipanti di far luogo alla indicazione dei costi per la sicurezza da rischio specifico o aziendale non esimeva il concorrente dalla specificazione di tale elemento. Sulla scorta del dato normativo di cui agli all'organizzazione dello specifico cantiere, alle lavorazioni interferenti ed ai rischi aggiuntivi rispetto a quelli specifici propri dell'attività delle singole imprese esecutrici o dei lavoratori autonomi. 3. Il quadro di incidenza della manodopera e' il documento sintetico che indica, con riferimento allo specifico contratto, il costo del lavoro di cui all'articolo 86, comma 3-bis, del codice. Il quadro definisce l'incidenza percentuale della quantità di manodopera per le diverse categorie di cui si compone l'opera o il lavoro.» Cfr. anche l’art. 131 del Codice (“Piani di sicurezza”) e l’art. 100 del T.U. “Piano di sicurezza e coordinamento”. 141 C.d.S. sez. V, 23-7-2010, n. 4849. 142 C.d.S. Sez. III, 3-10-2011, n. 5421. 130 artt. 86 e 87, comma quarto, del Codice degli appalti (D.Lgs. n. 163 del 2006) e dell'art. 26, comma sesto, D.Lgs. n. 81 del 2008, invero, doveva attribuirsi ai costi suddetti la valenza di un elemento essenziale dell'offerta a norma dell'art. 46, comma primo bis, Codice dei contratti, la cui mancanza rendeva la stessa incompleta e come tale, già di per solo, suscettibile di determinare la esclusione del concorrente che l'avesse in tal modo formulata.143 Il forte contrasto giurisprudenziale veniva evidenziato da una pronuncia poco successiva, con la quale i Giudici di Palazzo Spada riconoscevano in via generale l’obbligatorietà dell'indicazione dei costi per la sicurezza nell'offerta economica pur in assenza di indicazioni nella legge di gara; salvo però rilevare che, laddove le indicazioni al riguardo nel bando di gara fossero tali da portare obbiettivamente ad errare in buona fede o addirittura idonee ad orientare verso una interpretazione legittimante la non esposizione nell'offerta economica dei costi in questione, doveva essere dichiarata l’illegittimità dell’esclusione dell'impresa concorrente che, vista tale obiettiva ambiguità, avesse presentato l'offerta senza l'esposizione dei detti costi.144 Si contraddistingueva nuovamente di segno contrario a quella che l’aveva preceduta la sentenza, per la quale, essendo la legge la fonte dell’obbligo di indicazione degli oneri per la sicurezza, sarebbe stata irrilevante la circostanza che la lex specialis di gara non avesse richiesto la medesima indicazione, rendendosi altrimenti scusabile una ignorantia legis.145 La giurisprudenza amministrativa continuava sul suo percorso altalenante facendo poi un distinguo: l'obbligo di indicare nell'offerta di gara gli oneri per la sicurezza aziendale sarebbe valso solo per gli appalti di servizi e forniture, in quanto per gli appalti di lavori sarebbe occorso fare riferimento alla quantificazione ad opera della stazione appaltante.146 Il Consiglio di Stato rimaneva su questa tesi anche nel 2014. La motivazione sarebbe stata dovuta alla ragione per cui nelle gare d'appalto l'obbligo di indicazione, in sede di offerta, del costo relativo alla sicurezza sarebbe imposto dal legislatore, ex art. 87, comma 4, d.lgs. 163/2006 (Codice degli appalti), esclusivamente per le procedure relative agli appalti di servizi e forniture mentre in materia di lavori pubblici la quantificazione sarebbe rimessa al piano di sicurezza e coordinamento ex art. 100 d.lgs. n. 81/2008, predisposto dalla stazione appaltante ai sensi dell'art. 131 d.lgs. 163/2006; fermo restando l'obbligo di verifica 143 C.d.S. Sez. III, 28-08-2012, n. 4622. C.d.S. Sez. VI, 20-09-2012, n. 4999. 145 C.d.S. Sez. III, 03-07-2013, n. 3565. 146 C.d.S. Sez. V, 09-10-2013, n. 4964. 144 131 dell'adeguatezza degli oneri per tutti i contratti pubblici in forza dell'art. 86, comma 3 bis del Codice degli appalti.147 Due sentenze di poco successive, però, propendevano per la legittimità dell’aggiudicazione di una gara di appalto di lavori in favore di un'impresa che non avesse indicato specificamente, nell'offerta economica, gli oneri per la sicurezza aziendale148. A fine anno contribuiva anche il Consiglio di Giustizia amministrativa149. I giudici siciliani, in ragione delle più recenti sentenze, hanno reputato che la giurisprudenza appaia attualmente orientata nel senso di ritenere illegittima l'esclusione dagli appalti di servizi dei concorrenti che non abbiano preventivamente indicato i costi per la sicurezza aziendale. «Nella specie» scrivono «l'omessa indicazione dei costi della sicurezza ("aziendale", o "interna") non è stata prevista dal bando di gara quale causa di esclusione del concorrente; e ciò essenzialmente in quanto la recente giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. C.G.A., ord. 26 settembre 2014, n. 475) si è andata sempre più orientando nel senso della condivisione per la tesi che la violazione di adempimenti non espressamente previsti (né specificamente sanzionati con l'esclusione) dal bando di gara, né dalla legge, non sia "legittimamente sanzionabile con l'esclusione, ... dovendosi accordare prevalenza, rispetto al meccanismo di eterointegrazione, al principio di affidamento. […] A supporto della soluzione interpretativa cui questo Consiglio aderisce si rileva che l'obbligo di indicare i costi per la sicurezza interna viene ricavato dagli articoli 86 e 87 del codice dei contratti pubblici; senonché, tali norme riguardano la verifica di anomalia delle offerte e, d'altra parte, neppure la legge prevede espressamente alcuna conseguenza in termini di esclusione dell'offerente (dell'incongruenza di ricavare in via interpretativa fattispecie escludente sia già trattato sopra)». Sulla questione è intervenuta finalmente l’Adunanza Plenaria del 20 marzo 2015, su rimessione della V Sezione «per l’esame della questione di diritto attinente alla corretta interpretazione dell’art. 87, comma 4, del Codice, che il primo giudice ha ritenuto norma da cui discende l’obbligo per le imprese partecipanti di indicare, a pena di esclusione, gli oneri relativi alla sicurezza in maniera analitica sin dal momento di presentazione delle offerte.» All’esito dell'udienza pubblica del giorno 25 febbraio 2015 è stato espresso tale principio di diritto: «Nelle procedure di affidamento di lavori i partecipanti alla gara devono 147 C.d.S. Sez. V, 07-05-2014, n. 2343. C.d.S Sez. V, 17-06-2014, n. 3056 e C.d.S. Sez. III, 24-06-2014, n. 3195. 149 C.G.A., ud. 10-12-2014; dep. 24-03-2015, n. 305. 148 132 indicare nell’offerta economica i costi interni per la sicurezza del lavoro, pena l’esclusione dell’offerta dalla procedura anche se non prevista nel bando di gara». È stata pertanto accolta l’impostazione più gravosa per le imprese, ma senz’altro di maggior tutela per i lavoratori. Si dice nella sentenza «Non appare coerente, infatti, imporre alle stazioni appaltanti di tenere espresso conto nella determinazione del valore economico di tutti gli appalti dell’insieme dei costi della sicurezza, che devono altresì specificare per assicurarne la congruità, e non imporre ai concorrenti, per i soli appalti di lavori, un identico obbligo di indicazione nelle offerte dei loro costi specifici, il cui calcolo, infine, emergerebbe soltanto in via eventuale, nella non indefettibile fase della valutazione dell’anomalia; così come non si rinviene la ratio di non prescrivere la specificazione dei detti costi per le offerte di lavori, nella cui esecuzione i rischi per la sicurezza sono normalmente i più elevati.» Secondo l’Adunanza Plenaria, una lettura differente delle norme si porrebbe in contrasto coi principi superiori di tutela dei lavoratori, di rango costituzionale. «Per evitare» prosegue «una soluzione ermeneutica irragionevole e incompatibile con le coordinate costituzionali si deve allora accedere ad una interpretazione degli articoli 26, comma 6, del d.lgs. n. 81 del 2008 e 86, comma 3-bis, del Codice, nel senso che l’obbligo di indicazione specifica dei costi di sicurezza aziendali non possa che essere assolto dal concorrente, unico in grado di valutare gli elementi necessari in base alle caratteristiche della realtà organizzativa e operativa della singola impresa […]». «Consegue che, ai sensi dell’art. 46, comma 1-bis, del Codice, l’omessa specificazione nelle offerte per lavori dei costi di sicurezza interni configura un’ipotesi di “mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente codice” idoneo a determinare “incertezza assoluta sul contenuto dell’offerta” per difetto di un suo elemento essenziale, e comporta perciò, anche se non prevista nella lex specialis l’esclusione dalla procedura dell’offerta difettosa per l’inosservanza di un precetto a carattere imperativo […]» 6. Si è tentato qui di mostrare come la normativa sugli appalti e quella della sicurezza sul lavoro siano intensamente intrecciate. 133 Si auspica allora che il legislatore, tenuto conto di ciò, riformi la materia dei contratti pubblici avendo ben presente, tra l’altro, come l’igiene, la salute e la sicurezza siano obiettivi imprescindibili. Visti i dibattiti giurisprudenziali sul tema forse non ancora sopiti e le incertezze che colgono spesso gli operatori del settore, l’intervento cui l’Unione ci invita dovrà essere l’occasione anche per rendere più chiara questa materia per sua natura complessa. 135 LE CAUSE DI ESCLUSIONE FRA NORMATIVA NAZIONALE E RECEPIMENTO DELLA DIRETTIVA APPALTI 2014/24/UE Matteo Timo (Dottorando Università di Genova) SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. Cenni alla disciplina della Direttiva n. 2014/24/UE in materia di cause di esclusione. - 3. Aspetti problematici della normativa interna all’indomani del recepimento delle direttive europee del 2014. 1. Premessa Il pacchetto di direttive adottato dall’Unione Europea150, come già è stato chiarito in apertura del presente convegno151, è in grado di offrire l’occasione per un generale ripensamento della normativa italiana di disciplina degli appalti e delle concessioni così come elaborata nel recepimento delle precedenti direttive del 2004152. Questa considerazione non solo si impone come necessaria alla luce delle consistenti innovazioni di cui le nuove direttive del 2014 sono foriere, ma si rende essenziale anche con esclusivo riferimento alla normativa nazionale. Il legislatore italiano procedette al recepimento delle disposizioni comunitarie redigendo un unico testo normativo costituito dal D.Lgs. n. 163 del 12.04.2006 cosiddetto 150 Direttive nn. 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014. In proposito si veda N. TORCHIO, Le nuove direttive europee in materia di appalti e concessioni, in www.lineeavcp.it, 2014. 151 Si veda, in questo convegno, il contributo di P.M. VIPIANA, Il recepimento delle direttive come occasione per la riforma della normativa italiana in tema di appalti pubblici e concessioni. 152 Direttive nn. 2004/17/CE e 2004/18/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004. 136 “Codice De Lise” o “Codice dei contratti pubblici”: questo ampio corpus di regole è, infatti, stato oggetto di ampie critiche concernenti sia la tecnica redazionale sia la difficoltà interpretativa, ma, ad ogni modo, appare oggi inadeguato a sostenere il recepimento delle direttive del 2014. Con maggior attenzione all’oggetto del presente contributo, appare doveroso premettere che la disciplina interna delle cause di esclusione costituisce un interessante campo di prova delle considerazioni che sono state formulate poco sopra e più in generale nei primi contributi di questo convegno153: infatti, benché la Direttiva 2014/24/UE (relativa agli appalti nei settori ordinari) non introduca – come meglio sarà indicato nel proseguio – una disciplina radicalmente innovativa, la regolamentazione contenuta nel D.Lgs. 163/2006 e inerente ai requisiti di partecipazione è stata oggetto di critiche, poiché ritenuta frammentaria e di difficoltosa interpretazione e, conseguentemente, ha alimentato l’incertezza degli operatori economici e delle stazioni appaltanti, accrescendo il contenzioso amministrativo. Si tratta di considerazioni di lampante evidenza confermate dal numero di interventi, in questa materia, del giudice amministrativo, degli studiosi di diritto ma anche dell’Autorità di settore e dello stesso legislatore. Proprio in ordine a quest’ultimo, si deve rilevare come i recenti interventi154 sulla normativa nazionale possano in certo senso ritenersi un’anticipazione del diritto europeo, ma appaiono ancora gravati da pesanti dubbi di conformità ai canoni di flessibilità155 e di semplificazione che sono tipici delle scelte compiute dall’Unione Europea. Infatti, dalla lettura delle disposizioni della direttiva appalti concernenti gli obiettivi strategici perseguiti dall’Unione156 emerge un’attenzione alla flessibilità, intesa come maggiore libertà per le amministrazioni nella scelta della procedura concorsuale (con evidente invito al maggior impiego delle procedure negoziate157), accompagnata da un palese stimolo alla semplificazione amministrativa e normativa158, del quale l’Esecutivo italiano, in sede di 153 Ci si riferisce alla relazione di P.M. VIPIANA, cit. e a quella di R. GISONDI, Commento alla direttiva 2014/24/UE relativa agli appalti nei settori ordinari. 154 Con ciò si intendono le modifiche apportate alla disciplina interna delle cause di esclusione nel 2011 e nel 2014, di cui sarà ampiamente trattato nel paragrafo 3. 155 F. DINI, La nuova direttiva appalti nel segno della flessibilità e della negoziazione, in www.lineeavcp.it, 2014. 156 H.C. CASAVOLA, Le regole e gli obiettivi strategici per le politiche Ue 2020, in Gior. dir. amm., 2014, pp. 1135 ss. 157 Considerando n. 42, Direttiva 2014/24/UE. 158 Sulla differenza fra le varie figure di semplificazione: P.M. VIPANA, I procedimenti amministrativi. La disciplina attuale ed i suoi aspetti problematici, Padova, 2012, pp. 137 ss; F. SATTA Liberalizzare e 137 redazione del disegno di legge delega per il recepimento delle nuove direttive, ha colto appieno la portata proponendo l’abrogazione dell’attuale codice dei contratti pubblici e la redazione di un nuovo ed unico codice ispirato, per quanto in questa sede ci concerne, alla certezza giuridica, alla riduzione degli oneri documentali e alla semplificazione procedimentale159. Gli elementi indicati assumono significativo rilievo in tema di cause di esclusione ove la normativa italiana, benché racchiusa nei suoi profili generali in soli due articoli160, sembra non aver mai preso in considerazione le direttrici oggi dettate esplicitamente dal legislatore europeo (e dall’Esecutivo italiano) ma che, in ogni caso, costituiscono principi generali, precedentemente già conosciuti ma raramente applicati, di buona tecnica redazionale degli atti normativi. Le indicate disposizioni legislative sulle cause di esclusione, non a caso, sono state ritenute partecipi dei seguenti gruppi di problemi che affliggono il sistema italiano degli appalti: a) incertezza, aumento del contenzioso161, difficoltà nel raggiungimento della naturale conclusione degli appalti, maldestro o inadeguato impiego dei fondi a disposizione della pubblica amministrazione e conseguente spreco di risorse162; b) stratificazione della normativa ed impiego disinvolto della decretazione d’urgenza; c) difficoltà per le stazioni appaltanti di rendere concretamente operativa nelle procedure di aggiudicazione la normativa semplificare, in Dir. amm., 2012, 1-2, pp. 184 ss. e G. VESPERINI, Semplificazione amministrativa, in S. Cassese (diratto da), Dizionario di diritto pubblico, Milano, 2006, Vol. VI, pp. 5479 ss. 159 Si veda Atto Senato n. 1678, presentato dal Presidente del Consiglio dei Ministri alla seduta del 18 novembre 2014, recante Disegno di legge delega per l’attuazione delle direttive 23, 24 e 25 del 26 febbraio 2014, disponibile in www.senato.it: in particolare, già la relazione governativa di accompagnamento, a pagina 3, evidenzia la direttrice della certezza giuridica «secondo un approccio alla disciplina degli appalti e delle concessioni di tipo sostanzialmente diverso da quello previsto nell’attuale contesto normativo, caratterizzato da una regolamentazione troppo puntuale». Inoltre l’art. 1 D.D.L., lettere c) ed f), esplicitamente parlano di certezza del diritto, semplificazione dei procedimenti e riduzione degli oneri documentali. 160 Artt. 38 e 46, D.Lgs. 163/2006. Peraltro, accogliendo pienamente le osservazioni di attenta dottrina (B.G. MATTARELLA, La trappola delle leggi. Molte, oscure, complicate, Bologna, 2011), si osserva come problemi di incertezza giuridica non discendano solo dall’ipertrofia normativa ma anche dalla presenza di poche disposizioni redatte in modo non chiaro o contraddittorio. 161 Relazione governativa all’Atto Senato N. 1678/2014, p. 3. 162 N. TORCHIO, op. cit., nonché P. SESTITO (Capo del Servizio di Struttura economica della Banca d’Italia), Recepimento delle direttive europee in materia di contratti pubblici, redatta per Commissione 8a della Camera dei Deputati, 16 giugno 2014, disponibile in wwwbancaditalia.it. In quest’ultimo contributo si evidenzia, da un lato, come la carenza di finanziamenti sia una tipicità italiana successiva al 2009 e, dall’altro lato, come le risorse stanziate per investimenti pubblici a partire dagli anni ’90 fossero conformi alla media europea: l’Autore, pertanto, desume la presenza di un inefficiente utilizzo delle risorse dovuto anche alla «disorganicità della normativa di riferimento». 138 del codice dei contratti pubblici (e, nello specifico, quella concernente le cause di esclusione e i requisiti di partecipazione). La molteplicità di aspetti problematici cui si è fatto brevemente cenno amplifica il già vivo interesse163 degli studiosi di diritto in ordine ai requisiti generali di partecipazione e alle cause di esclusione: si rende, quindi, necessario un attento esame della materia in sede di recepimento delle nuove direttive al fine di non incorrere nuovamente nelle incognite della regolamentazione attuale. La circostanza, per la quale il legislatore delegato dovrà porre significativa attenzione al tema che ci occupa, si desume dal rilievo in forza del quale gli articoli 38 e 46 del codice dei contratti pubblici sono stati interessati, nel corso del solo ultimo anno, da una novella legislativa, da tre pronunce dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato e da due chiarimenti dell’Autorità di settore164. Si ritiene opportuna, pertanto, una sintetica individuazione delle principali criticità della normativa italiana che si auspica possano trovare rimedio nel futuro “codice degli appalti pubblici e delle concessioni”165. 2. Cenni alla disciplina della Direttiva n. 2014/24/UE in materia di cause di esclusione All’esame delle complessità scaturenti dall’attuale codice dei contratti pubblici, giova premettere una sintetica trattazione delle cause di esclusione così come disciplinate dalla Direttiva n. 24 del 2014 inerente agli appalti nei settori ordinari. La suddetta direttiva reca la disciplina dei cosiddetti “requisiti generali” di partecipazione nell’art. 57 rubricato, non a caso, “motivi di esclusione”. L’art. 57 della Direttiva n. 24166 si pone in parziale continuità con la precedente disciplina comunitaria contenuta nell’art. 45 della Direttiva 2004/18/CE. Assimilabile è, F. APERIO BELLA, Riflessioni sul requisito di “moralità professionale”: vecchi dubbi e nuove soluzioni alla luce del “Decreto sviluppo” n. 70 del 2011, convertito nella L. n. 106 del 2011, in A. LEONI, Sull’applicazione del Codice dei contratti pubblici coordinato da Maria Alessandra Sandulli e Francesco Cardarelli, in Foro amm. TAR, 2011, 10, pp. 1067 ss. 164 Ci si riferisce, come sarà chiarito nel proseguio, rispettivamente al D.L. n. 90 del 24 giugno 2014, convertito nella L. 11 agosto 2014, n. 114; sentenze dell’Adunanza Plenaria n. 9 del 25 febbraio 2014, n. 16 del 30 luglio 2014 e n. 3 del 20 marzo 2015; Determinazione A.N.AC. n. 1 dell’8 gennaio 2015 e Comunicato del Presidente A.N.AC. del 25 marzo 2015. 165 Denominazione desunta dall’art. 1, comma 1, lett. b, D.D.L. A.S. 1678. 163 139 infatti, la struttura di fondo dei due articoli: così come l’art. 45 Direttiva n. 18 prevedeva una contrapposizione fra cause di esclusione “obbligatorie” (paragrafo 1) e cause di esclusione “facoltative” (paragrafo 2), così il nuovo art. 57 Direttiva n. 24 dispone, ricorrendo le ipotesi di cui al primo paragrafo, che «le amministrazioni aggiudicatrici escludono un operatore economico dalla partecipazione […]» e, verificandosi le evenienze di cui al paragrafo 4, che «le amministrazioni aggiudicatrici possono escludere […]» riproponendo, in tal modo, la distinzione fra cause di esclusione obbligatorie e facoltative. Tuttavia, si ha ragione di credere che il medesimo paragrafo 4 dell’art. 57 consenta che gli Stati membri, ricorrendo le stesse ipotesi di esclusione facoltativa, impongano alla stazione appaltante l’esclusione del concorrente, così equiparando le cause facoltative a quelle obbligatorie167: la nuova Direttiva appare allora più precisa della precedente, il cui art. 45 si limitava all’elencazione delle ipotesi riferibili alle due tipologie di esclusione, senza precisare la possibilità per lo Stato membro di rendere vincolante la causa di esclusione facoltativa. La maggiore analiticità dell’art. 57 si percepisce anche nella previsione di un’apposita “micro disciplina” della causa di esclusione inerente alla violazione della normativa tributaria e previdenziale: appositamente, il paragrafo 2 introduce l’obbligatorietà dell’esclusione dell’operatore economico che non abbia «ottemperato agli obblighi relativi al pagamento di imposte o contributi previdenziali» qualora tale inottemperanza sia stata accertata con provvedimento vincolante e definitivo in conformità alla legislazione vigente del paese di stabilimento dell’operatore o del paese di appartenenza dell’amministrazione aggiudicatrice. La disciplina specifica sull’esclusione per il mancato pagamento di imposte e di mancato versamento di contributi previdenziali, assume particolare valenza se letta in raffronto con il primo paragrafo dello stesso articolo 57: infatti, mentre quest’ultimo richiede espressamente che la condanna – rilevante ai fini dell’esclusione obbligatoria – sia stata pronunciata con sentenza passata in giudicato, il paragrafo secondo al secondo comma introduce un quid pluris, prevedendo una fattispecie di esclusione facoltativa (ma che può diventare obbligatoria su previsione dello Stato membro) qualora l’amministrazione aggiudicatrice abbia a propria disposizione mezzi adeguati per provare l’inadempimento. C. LACAVA, Le nuove procedure, la partecipazione e l’aggiudicazione, in Gior. dir. amm., 2014, 12, pp. 1141 ss. 167 Scelta, peraltro, seguita dal legislatore italiano nel recepimento della precedente direttiva 2004/18/CE. 166 140 In altri termini, mentre la causa di esclusione obbligatoria del paragrafo 1 richiede sempre l’accertamento con efficacia di cosa giudicata, la causa si esclusione di cui al paragrafo 2 richiede la definitività dell’accertamento solo per l’esclusione obbligatoria, ma permette – al secondo comma – di giungere all’esclusione facoltativa (rectius obbligatoria su scelta dello Stato membro) per gli stessi motivi sulla scorta dell’apprezzamento ad opera della stazione appaltante di qualunque adeguato mezzo: ad avviso di scrive, si tratta di una disposizione sulla quale il legislatore nazionale dovrà, in sede di recepimento, fornire opportune precisazioni, atteso che non solo gli stessi motivi possono condurre simultaneamente all’esclusione obbligatoria e a quella facoltativa, ma anche che l’operatore economico potrebbe trovarsi a giustificare il proprio operato in una materia, quale quella tributaria, nella quale il nostro ordinamento appronta rigide garanzie amministrativoprocedimentali e giurisdizionali a tutela del contribuente168. Tali considerazioni si fanno maggiormente stringenti alla luce della tradizione italiana di assimilare le previsioni di esclusione nell’unica categoria delle cause obbligatorie: una conferma di questa scelta legislativa interna condurrebbe sempre all’obbligatorietà dell’esclusione del partecipante qualora la stazione appaltante ritenga dimostrabile l’inottemperanza al pagamento di imposte o contributi previdenziali senza che sia necessaria l’intermediazione delle amministrazioni e dell’autorità giudiziaria preposta a tale accertamento. In ogni caso, un limite a tali disposizioni si desume dallo stesso paragrafo 2 169, il quale all’ultimo comma dispone l’inapplicabilità dei due periodi precedenti qualora l’operatore abbia adempiuto o si sia impegnato al versamento: in ogni caso, all’accertamento della fattispecie di cui al secondo comma del paragrafo 2 dovrebbe riconoscersi sempre un’ampia possibilità di soccorso istruttorio alla stazione appaltante al fine di mettere l’operatore economico nella condizione di dimostrare il rispetto della normativa fiscale e previdenziale170. Garanzie tipiche di un sistema incentrato sulla riserva di legge di cui all’art. 23 Cost. Anche il successivo paragrafo 3, comma 2, invita gli Stati membri ad evitare la sanzione dell’esclusione, in virtù del principio di proporzionalità, qualora le somme non versate siano esigue ovvero nei casi in cui l’operatore economico non avrebbe potuto ottemperare prima della formulazione della presentazione della domanda di partecipazione o dell’offerta. 170 Un’interpretazione del genere peraltro risulta coerente con il sempre maggior spazio che la legislazione tributaria riconosce al contraddittorio endoprocedimentale fra Pubblica amministrazione e contribuente nella formazione dell’atto di accertamento fiscale. 168 169 141 Ulteriori innovazioni rilevabili nel testo dell’art. 57 attengono, in primo luogo, alla previsione – al paragrafo 3 – di una disciplina maggiormente dettagliata171 della possibilità di derogare in via eccezionale alle cause di esclusione obbligatorie e a quelle del paragrafo 2, qualora sussistano «esigenze imperative connesse ad un interesse generale», fra le quali, per tabulas, sono annoverate la tutela dell’ambiente172 e la salute pubblica. Con maggiore rigore l’art. 57, Direttiva n. 24, estende a tutte le fasi della procedura la doverosità – ovvero la possibilità ove prevista – di esclusione dell’operatore che si trovi in una delle condizioni di cui ai paragrafi 1, 2 e 4. Di verso opposto sono, invece, le previsioni di cui al paragrafo 6, le quali introducono le cosiddette “self-cleaning measures”173 manifestamente ispirate al principio di massima partecipazione alla procedura di aggiudicazione. Il favor partecipationis espresso dalla norma in esame consente di superare il dato formale della presenza di una pertinente causa di esclusione (anche quando la stessa derivi da una pronuncia di condanna penalmente rilevante e munita dell’efficacia della res iudicata174, a meno che nei confronti dell’operatore non sia stata pronunciata una sentenza definitiva, che ai sensi del comma 3, paragrafo 6, lo escluda espressamente dalla partecipazione agli appalti), ammettendo la partecipazione, qualora l’operatore sufficientemente dimostri la sua affidabilità. La disposizione costituisce qualcosa in più del semplice principio di collaborazione procedimentale o del dovere di soccorso istruttorio175, in quanto non è volta all’eliminazione di errori o carenze meramente formali che impediscono all’amministrazione di verificare la reale sussistenza dei requisiti richiesti: infatti, il paragrafo 6 concerne casi in cui l’operatore non dispone dei requisiti generali di partecipazione in quanto rientra nelle situazioni disciplinate dai paragrafi 1 e 4 (rispettivamente cause di esclusione obbligatorie e facoltative). L’art. 45 della Direttiva 2004/14/CE si limitava, al paragrafo 1, a statuire la possibilità per gli Stati membri di preveder deroghe per esigenze imperative di interesse generale. 172 La previsione di deroghe alle cause di esclusione obbligatorie al fine di tutelare aspetti sociali ed ambientali rientra nella più ampia volontà, espressa dal legislatore europeo nelle Direttive del 2014, di affiancare alle regole pro-competitive e concorrenziali anche la garanzia di determinati standard ambientali e sociali in linea con la strategia “Europa 2020”. In proposito, si vedano H.C. CASAVOLA, op. cit. e N. TORCHIO, op. cit. 173 C. LACAVA, op. cit. e F. DI CRISTINA, La prevenzione dell’illegalità e l’interazione tra le amministrazioni, in Gior. dir. amm., 2014, 12, pp. 1160 ss., il quale parla di «ravvedimento procedimentale» (p. 1161). 174 Ciò si desume dal tenore letterale della disposizione che prevede l’applicazione della previsione del paragrafo 6 a tutti gli operatori che si trovino nelle situazioni di cui ai precedenti paragrafi 1 e 4. 175 In tal senso si pone come ulteriore a quanto già previsto dalla normativa italiana agli artt. 38, comma 2-bis e 46, commi 1 e 1-ter, c.c.p. 171 142 Tuttavia, il citato paragrafo si pone in un’ottica “supersostanziale”, permettendo all’aspirante aggiudicatario di dimostrare di essersi redento dai motivi di esclusione, ancorché derivanti dalla sanzione penale176: in proposito, al comma 2, il paragrafo 6 esemplifica gli elementi di “prova” a disposizione dell’operatore quali il risarcimento del danno, la collaborazione con l’Autorità giudiziaria e l’adozione di provvedimenti volti alla prevenzione di futuri illeciti o reati. Il paragrafo da ultimo esaminato introduce, pertanto, un elemento di forte innovazione nella regolamentazione delle cause di esclusione delle procedure di aggiudicazione che non trova un omologo nel diritto interno e che, conseguentemente, dovrà essere recepito dal legislatore delegato: la trasposizione dell’art. 57, Direttiva n. 24, nel diritto nazionale impone dunque, da un lato, un ripensamento delle attuali previsioni concepite dal codice dei contratti pubblici e, dall’altro lato, offre l’occasione per addivenire ad una complessiva semplificazione e razionalizzazione della medesima normativa. È opportuno, di conseguenza, mettere in risalto quelle complessità che il legislatore delegato – si auspica – avrà l’opportunità di rimuovere. 3. Aspetti problematici della normativa interna all’indomani del recepimento delle direttive europee del 2014 In virtù delle disposizioni contenute nel codice dei contratti pubblici, la stazione appaltante, in linea generale, può procedere ad escludere dalla gara un operatore economico allorché il medesimo si riveli privo dei requisiti di ammissione e di partecipazione richiesti dalle disposizioni di legge vigenti177. La disciplina italiana delle cause di esclusione, come è stato ricordato poco sopra, si articola fondamentalmente in due disposizioni rinvenibili nel D.Lgs. 163/2006: le suddette disposizioni sono l’art. 38, concernente i “requisiti di ordine generale”, e l’art. 46 oggi rubricato “documenti e informazioni complementari – tassatività delle cause di esclusione”. 176 La Direttiva potrebbe, benché sotto il profilo economico, essere tramite di una interpretazione estensiva dell’art. 27 Cost. e della funzione rieducativa della pena: pare, infatti, desumersi un orientamento del Legislatore europeo a non rendere di per sé vincolante la sanzione penale quale causa di esclusione, allorché l’operatore economico si sia sostanzialmente riabilitato. 177 L. DE GREGORIIS, A lo parlare agi mesura: potere di soccorso istruttorio e non tassatività del principio di tassatività delle cause di esclusione dalle gare di appalto, in Foro amm., 2014, 9, pp. 2268 ss. 143 La prima delle due disposizioni indicate costituisce recepimento dell’art. 45, Direttiva n. 2004/18/CE, e rappresenta la disposizione sulla quale il legislatore delegato dovrà concentrarsi maggiormente al momento del recepimento dell’art. 57 della nuova Direttiva n. 24 del 2014. In ordine alla disposizione in parola, possono, in linea generale, articolarsi alcune osservazioni: a) in primo luogo, è doveroso ricordare che, nella compilazione dell’art. 38, il legislatore del 2006178 ha optato per la redazione di un’unica elencazione di cause di esclusione tutte qualificate come obbligatorie, nonostante l’art. 45 della Direttiva 18 prevedesse la distinzione fra ipotesi obbligatorie e facoltative. Benché la scelta normativa italiana possa ricondursi alla volontà di ridurre al minimo la discrezionalità della Pubblica amministrazione, tutelando in misura crescente sia la partecipazione degli operatori economici, sia la stessa stazione appaltante dall’eventuale aggiudicazione a soggetto privo delle opportune caratteristiche, occorre ribadire che anche la nuova direttiva del 2014 ripropone la distinzione – pur riconoscendo agli Stati membri la possibilità di tributare valenza obbligatoria alle cause facoltative – fra carenze che comportano necessariamente l’esclusione e quelle che non impongono tale conseguenza: peraltro, come riportato, il legislatore delegato potrà rinnovare la scelta del 2006, ma tale scelta dovrà coordinarsi con la pressante domanda di flessibilità formulata nella nuova direttiva e con la necessità di chiarire definitivamente il rapporto fra unica elencazione e istituti della tassatività e del soccorso istruttorio di cui si dirà poco oltre; b) si deve rimarcare, altresì, la presenza già nell’attuale art. 38 di strumenti di semplificazione quali le dichiarazioni sostitutive ex D.P.R. n. 445 del 28 dicembre 2000, previste dal comma 2, e gli strumenti sanatori di cui al recentissimo comma 2-bis179. La seconda delle disposizioni indicate, vale a dire l’art. 46 codice dei contratti pubblici, permette di addentrarsi immediatamente nell’analisi dell’argomento che occupa questo ultimo paragrafo e relativo agli aspetti problematici del combinato disposto degli artt. 38 e 46. Preliminarmente non ci si può esimere da una considerazione inerente la tecnica legislativa impiegata dal nostro legislatore: se, originariamente, in ognuno dei due articoli poteva essere riconosciuta una regolamentazione autonoma ancorché coordinata, oggi 178 P.L. PELLEGRINO, Le procedure concorsuali nel codice dei contratti pubblici ex D.LG. 12 aprile 2006, n. 163, in Giur. merito, 2008, 6, pp. 1203 ss. 179 Del quale si tratterà nel proseguio del presente paragrafo. 144 l’impiego, quantomeno disinvolto, della decretazione d’urgenza impone una difficoltosa operazione di esegesi delle norme, che indubbiamente si pone in contrasto con le finalità di semplificazione amministrativa e normativa desumibili tanto dalla Direttiva n. 24, quanto dal D.D.L. delega A.S. 1678/2014. Non a caso, nonostante due significativi interventi operati con il cosiddetto “decreto sviluppo” del 2011180 e con il D.L. 90/2014181 - quest’ultimo, si ricordi, intervenuto posteriormente alle nuove direttive – permangono ancora significativi dubbi interpretativi in ordine a due profili: da un lato, il principio di tassatività; dall’altro lato, il dovere di soccorso istruttorio. A) Il cosiddetto “principio di tassatività delle cause di esclusione” è stato disciplinato nel corpus dell’art. 46 codice dei contratti pubblici mediante l’inserimento di un comma 1-bis ad opera dell’art. 4 del citato D.L. 70/2011. Il nuovo comma, ex lege qualificato come principio di tassatività182, dispone che la stazione appaltante debba procedere all’esclusione nel caso in cui i candidati abbiano violato le prescrizioni previste dal codice degli appalti medesimo, dal regolamento o da altre norme di legge, ovvero nel caso in cui si verifichino circostanze tali da far ritenere violati i principi di segretezza e di corretta individuazione del contenuto e della provenienza delle domande e delle offerte. Con regola innovativa, il comma 1-bis dispone, altresì, che i bandi e le lettere di invito non possano contenere ulteriori previsioni a pena di esclusione e che, in ogni caso, eventuali previsioni di siffatto tenore sono viziate di nullità. La ratio sottesa a tale elaborazione normativa si identifica nella volontà, tipica della tradizione italiana, di circoscrivere la discrezionalità della pubblica amministrazione nella disciplina delle procedure concorsuali183 e, di converso, di eliminare la funzione di lex specialis di gara riconosciuta al bando in grado precedentemente di prescrivere, a pena di esclusione, requisiti e condizioni ulteriori a quelli voluti dalla legge: questo orientamento si 180 D.L. n. 70 del 13 maggio 2011, convertito in L. n. 106 del 12 luglio 2011, in proposito A. LEONI, op. cit. 181 D.L. n. 90 del 24 giugno 2014 recante “misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari”, convertito nella L. 11 agosto 2014, n. 114, si veda P. PROVENZANO, Brevi considerazioni a margine della disciplina sugli oneri dichiarativi ex art. 38 D.Lgs. 163/2006 contenuta nell’art. 39 del Decreto Legge n. 90/2014, in www.giustamm.it, 2014 e, più in generale, M.A. SANDULLI, Il D.L. 24 giugno 2014 n. 90 e suoi effetti sulla giustizia amministrativa. Osservazioni a primissima lettura, in www.federalismi.it, 2014, 14. 182 Il D.L. 70/2011 ha infatti provveduto alla sostituzione della rubrica dell’art. 46 c.c.p. inserendovi l’esplicito riferimento al principio di tassatività. 183 P.L. PELLEGRINO, op. cit. 145 identifica nella concezione “classica” del diritto italiano degli appalti pubblici184 volto a identificare nella normativa concorsuale lo strumento di tutela non tanto della concorrenza e della partecipazione dei candidati, quanto espediente per impedire che la Pubblica amministrazione, facendo massiccio ricorso alla propria discrezionalità, maldestramente impieghi le risorse pubbliche o, addirittura, adotti comportamenti collusivi o corruttivi. Come è stato efficacemente assodato in una delle relazioni di apertura del convegno185, l’adesione della Repubblica Italiana alla Comunità europea prima e all’Unione successivamente ha imposto il superamento della normativa di contabilità pubblica degli anni ’20 del secolo scorso al fine del perseguimento dell’obiettivo di massima concorrenzialità insito nel mercato unico: obiettivo, quest’ultimo, che oggi è affiancato dai più volte annoverati fini di flessibilità, semplificazione, sostenibilità ed innovazione degli appalti. La disposizione in esame dovrebbe, quindi, essere interpretata sì come delimitazione della discrezionalità, ma orientandola al fine della tutela del favor partecipationis e dell’esclusione quale extrema ratio – principio questo d’altra parte già studiato anche nell’ordinamento interno186 – impedendo alla Stazione appaltante di usufruire della discrezionalità per raggiungere scopi che non siano riconducibili all’individuazione dell’offerente più qualificato. Si deve, peraltro, precisare che il principio di tassatività, così come formulato dal legislatore d’urgenza, è risultato di difficile applicazione, nonché di complicata integrazione all’interno del sistema delle clausole di esclusione previsto dal codice degli appalti pubblici, tanto che la Sesta Sezione del Consiglio di Stato187 ha ritenuto opportuno investire l’Adunanza Plenaria di alcune questioni di diritto attinenti tanto all’ambito di applicazione temporale quanto a quello oggettivo del principio in parola: in particolar modo, i quesiti elaborati dalla Sezione remittente erano tesi a comprendere se alla nuova disciplina fosse attribuibile valore retroattivo, quali fossero i rapporti con il dovere di soccorso di cui al primo comma dello stesso articolo 46 c.c.p. e se le clausole esclusive della legge di gara, prive di base normativa, fossero illegittime. 184 P. CERBO, La scelta del contraente negli appalti pubblici fra concorrenza e tutela della «dignità umana», in Foro amm. TAR, 2010, 5, pp. 1875 ss. G. CORSO, Manuale di diritto amministrativo,, 2013, pp. ss. 185 R. GISONDI, cit. 186 N. MACCABENI, L’esclusione dalla partecipazione alla gara come ultima ratio, in www.giustamm.it. 187 Ordinanza n. 2681 del 17 maggio 2013 annotata da G. CAPUTI, Il soccorso istruttorio al vaglio della Plenaria. “Una buona idea” ed una “chiara traiettoria”?, in www.giustamm.it, 2013 146 L’organo di vertice della giustizia amministrativa, nella nota pronuncia n. 9 del 2014188, ha fornito significativi chiarimenti che non solo hanno permesso di superare le incertezze che parevano desumersi dalle precedenti statuizioni della Plenaria medesima 189, ma che possono fornire un utile supporto per il recepimento delle direttive del 2014. L’Adunanza Plenaria, che in prima battuta ha escluso l’applicazione retroattiva della tassatività, ha preso posizione nel senso di riconoscere al principio di tassatività un valore “sostanziale”190, riferibile all’attribuzione di rilevanza esclusivamente a quelle cause di esclusione significative per gli interessi in gioco e inderogabili tanto per la stazione appaltante quanto per il concorrente: si ricordi che la stessa Plenaria afferma che la suddetta rilevanza è frutto del bilanciamento effettuato aprioristicamente e direttamente dal legislatore per il tramite della legge e discende non solo dall’espressa previsione della pena dell’esclusione, ma da qualsiasi prescrizione normativa di carattere imperativo imposta a pena di decadenza, inammissibilità, irricevibilità e simili191. Il Collegio, infine, giunge ad affermare che la clausola del bando che introduca una clausola di esclusione innovativa non prevista dalla normativa vigente è nulla e dunque disapplicabile autonomamente dalla stazione appaltante o, successivamente, dal giudice. I principi di diritto espressi dalla Plenaria ci permettono di formulare una delimitazione dell’ambito di operatività delle clausole di esclusione nell’ordinamento italiano: esse vengono circoscritte alle sole ipotesi espressamente previste dalla legge, permettendo una identificazione della tassatività con il più generico principio della riserva di legge 192. Ne consegue la neutralizzazione di qualsivoglia discrezionalità dell’amministrazione nella disciplina delle cause di esclusione. Richiamata la normativa vigente e la consolidata elaborazione giurisprudenziale193, occorre soffermarsi brevemente sulla compatibilità della normativa interna con il portato della 188 Adunanza Plenaria sentenza n. 9 del 25 febbraio 2014: si ricorda che nella stessa sentenza la Plenaria ha anche affrontato l’annosa questione del cosiddetti “ricorsi reciprocamente escludenti”; in proposito si rinvia a L. FERRARA, L’Adunanza plenaria ritorna sul ricorso incidentale escludente. Un errore di fondo?, in Gior. dir. amm., 2014, 10, pp. 918 ss. 189 In proposito, nonostante ripetuti interventi della Plenaria nel corso degli anni, permaneva una significativa problematicità nell’applicazione della disciplina generale delle cause di esclusione: si veda L. BERTONAZZI, Le sentenze della plenaria nn. 10 e 20 del 2012: alcune perplessità a prima lettura, in www.giustamm.it, 2012. 190 Ad. Pl. 9/2014, paragrafo 6.1.5. 191 Ad. Pl. 9/2014, paragrafo 6.1.4. 192 DE GREGORIIS, cit. 193 Il dettato della Plenaria n. 9/2014 in ordine agli articoli 38 e 46 è ribadito dalle successive Adunanze Plenarie nn. 16 del 30 luglio 2014 e 3 del 20 marzo 2015. 147 Direttiva n. 24 del 2014: quest’ultima – lo si desume dai numerosi riferimenti alle procedure negoziate – pare richiedere agli Stati membri una maggiore fiducia nelle scelte discrezionali194 e la predisposizione di un contesto normativo meno dettagliato195, il quale potrebbe identificarsi nella previsione di disposizioni legislative generali specificate da provvedimenti vincolanti dell’Autorità di settore, alla quale potrebbe attribuirsi una autonoma legittimazione a ricorrere all’Autorità giudiziaria – sul modello di quanto previsto per l’AGCM dall’art. 21-bis, L. 287/1990 – avverso gli atti distortivi delle regole concorsuali196. In tale contesto, il principio di tassatività, se interpretato nella sua valenza sostanziale, come assodato dalla Plenaria, non pare porsi in contrasto con le finalità dell’Unione europea, ma richiederebbe al massimo uno sforzo chiarificatore del legislatore delegato in ordine ad una più analitica individuazione delle cause di esclusione: ciò consentirebbe di evitare il continuo ricorso all’analisi giurisprudenziale per identificare le disposizioni normative munite di forza escludente, ma non esplicitamente indicate dalla legge. Significativi dubbi sulla compatibilità con i principi della Direttiva n. 24 – almeno nell’ottica della semplificazione normativa – emergono, invece, dal combinato disposto fra il principio di tassatività e il dovere di soccorso, come di seguito sarà immediatamente esposto. B) Il principio del soccorso istruttorio, disciplinato dall’art. 46 c.c.p., attiene, fondamentalmente, alla disciplina delle conseguenze dell’omessa o irregolare produzione di certificati, documenti e dichiarazioni nella procedura di gara197: la finalità dell’istituto, almeno nella sua configurazione generale, è tesa ad attribuire irrilevanza alle mere violazioni formali della normativa concorsuale e a garantire la partecipazione alla gara dell’operatore che sia incorso nella violazione medesima. Tuttavia, l’esegesi della norma in esame ha condotto a diverse modalità applicative, le quali sono state influenzate dallo stratificarsi di interventi normativi sull’originario art. 46 c.c.p.: in un primo momento, il già esaminato “decreto sviluppo” del 2011 aggiungendo il comma 1-bis, ha previsto il principio di tassatività delle cause di esclusione e, in un secondo momento, il D.L. 90/2014 198 è intervenuto introducendo 194 P. SESTITO, op. cit. Di divieto di “goldplanting” parla anche la relazione al D.D.L. delega A.S. 1678/2014, p. 3. 196 È quanto viene consigliato dal Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione in sede di audizione presso la Commissione lavori pubblici del Senato della Repubblica il 18 febbraio 2015 in sede di esame del D.D.L. delega A.S. 1678/2014, disponibile in www.anticorruzione.it. 197 A. LEONI, op. cit. 198 R. DE NICTOLIS, Le novità dell’estate 2014 in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, in www.federalismi.it, 2014. 195 148 una disciplina di dettaglio del soccorso istruttorio, manipolando contestualmente gli artt. 38 e 46 c.c.p. Una prima considerazione di ordine generale può nuovamente esporsi in riferimento alla cattiva tecnica legislativa consistente nell’intervento ripetuto sulla normativa vigente attraverso lo strumento della decretazione d’urgenza. L’incertezza che scaturisce da una siffatta metodologia è espressa in modo cristallino dalla disposizione in esame: il legislatore d’urgenza ha alterato l’essenzialità della normativa originaria dell’art. 46 c.c.p. inserendovi in successione i commi 1-bis e 1-ter. Emblematica è, peraltro, l’interpolazione del comma 1-ter il quale, in forza del D.L. 90/2014, ha significativamente modificato la natura del soccorso istruttorio quando, da un lato, questa era appena stata chiarita dall’Adunanza Plenaria n. 9/2014 e, dall’altro lato, erano già pendenti i termini per il recepimento della direttiva n. 24 del 2014. Ciò esposto, occorre una sintetica disamina della natura del soccorso istruttorio con lo scopo di chiarire la consistenza della normativa italiana all’indomani del recepimento delle nuove direttive europee. Come indicato poche righe più in alto, la disciplina italiana del soccorso istruttorio di cui al primo comma dell’art. 46 c.c.p. e, conseguentemente, la sua interpretazione, sono state sostanzialmente immutate sino al 2011, quando il D.L. n. 70 ha inserito nello stesso articolo 46 c.c.p. il principio di tassatività al nuovo comma 1-bis. L’Adunanza Plenaria n. 9/2014199, interrogata sui rapporti sussistenti fra i due istituti200, ha specificato la loro separatezza, pur rilevando che entrambi sono volti al soddisfacimento di esigenze di certezza, speditezza e semplificazione dell’azione amministrativa: tale interpretazione veniva rafforzata dal rilievo che il D.L.70/2011 si era limitato all’inserimento di un nuovo comma senza novellare la restante parte dell’articolo. La Plenaria201 addiveniva all’elaborazione di un principio di diritto che accoglieva la tradizionale distinzione fra “regolarizzazione” e “integrazione”202 della documentazione di gara: la prima consentita, a meno che l’adempimento non fosse previsto a pena di esclusione, la seconda sempre vietata, risolvendosi in una violazione della par condicio dei concorrenti. Peraltro, si osserva che la Plenaria, nell’elaborare il principio di diritto, pare ricondurre il 199 Paragrafo 7.4.5. G. CAPUTI, op. cit. 201 Paragrafo 7.5. 202 M. MONTEDURO, Dichiarazioni non conformi a clausole del bando sanzionate con l’esclusione: il labile “discrimen” tra «integrazione» e «modificazione», in Foro amm. TAR, 2007, 12, pp. 3667 ss. 200 149 divieto di integrazione alla espressa previsione della clausola escludente 203, lasciando aperta la strada per un’interpretazione sostanziale che permetta l’integrazione ove la carenza documentale sia ascrivibile a prescrizioni non comportanti l’esclusione. Nonostante sia intercorso un breve lasso di tempo dalla pronuncia n. 9/2014, il ragionamento della Plenaria deve oggi essere ampiamente rimodulato, in seguito al sopraggiungere del D.L. 90/2014, sia in ordine alla separatezza fra tassatività e soccorso istruttorio204 sia in merito alla distinzione fra regolarizzazione ed integrazione. La “riforma” del 2014 ha proceduto, in primo luogo all’inserimento di un nuovo comma 2-bis all’interno dell’art. 38205, il quale si qualifica come previsione “speciale” di soccorso istruttorio in ordine alle carenze degli elementi e delle dichiarazioni sostitutive con i quali il candidato attesta il possesso dei requisiti richiesti a pena di esclusione (ovviamente “obbligatoria”). La specialità del comma 2-bis, rispetto alla previsione generale di cui all’art. 46 comma 1, si identifica in una sorta di “rivoluzione” del diritto italiano, ispirato fino a pochi mesi prima (Plenaria n. 9/2014) alla netta distinzione fra regolarizzazione consentita ed integrazione vietata. Il nuovo comma dell’art. 38, infatti, esplicitamente parla di «mancanza, incompletezza, ed ogni altra irregolarità essenziale», alle quali consegue l’obbligo per il concorrente di versare una sanzione pecuniaria e il dovere206 della stazione appaltante di attivare il subprocedimento di soccorso, assegnando un termine al concorrente perché siano «rese, integrate o regolarizzate le dichiarazioni necessarie». Dal tenore letterale della norma emerge che non solo l’irregolarità della dichiarazione, ma anche la radicale mancanza possa essere sanata: il concorrente – continua il medesimo comma 2-bis – potrà essere escluso solo qualora non ottemperi alla produzione documentale entro i termini assegnati dall’amministrazione. A queste regole si aggiunge, sempre nel comma 2-bis, la totale 203 Si legge infatti nel paragrafo 7.5. alla lettera a): «nelle procedure di gara disciplinate dal codice dei contratti pubblici, il "potere di soccorso" sancito dall'art. 46, co.1, del medesimo codice (d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163) - sostanziandosi unicamente nel dovere della stazione appaltante di regolarizzare certificati, documenti o dichiarazioni già esistenti ovvero di completarli ma solo in relazione ai requisiti soggettivi di partecipazione, chiedere chiarimenti, rettificare errori materiali o refusi, fornire interpretazioni di clausole ambigue nel rispetto della par condicio dei concorrenti - non consente la produzione tardiva del documento o della dichiarazione mancante o la sanatoria della forma omessa, ove tali adempimenti siano previsti a pena di esclusione dal codice dei contratti pubblici, dal regolamento di esecuzione e dalle leggi statali». 204 Lo stretto legame fra la nuova disciplina del soccorso istruttorio e quella della tassatività è evidenziata dalla Determinazione n. 1 dell’8 gennaio 2015 dell’A.N.AC., disponibile in www.anticorruzione.it. 205 R. DE NICTOLIS, op. cit. 206 Doverosità riconosciuta dall’Adunanza Plenaria n. 16 del 30 luglio 2014. 150 irrilevanza delle irregolarità non essenziali e delle dichiarazioni non indispensabili, per le quali è fatto divieto alla stazione appaltante di applicare alcuna sanzione pecuniaria o di richiedere alcuna regolarizzazione. Il comma in esame non si limita ad una procedimentalizzazione del soccorso istruttorio, ma incide anche sulla disciplina dei requisiti di ordine generale, la carenza documentale dei quali non potrà comportare l’esclusione automatica in conseguenza degli accertamenti della stazione appaltante, ma sarà sempre subordinata, se essenziale, all’esperimento del soccorso istruttorio. Tuttavia, come rilevato dall’Adunanza Plenaria nella sentenza n. 16 del 30 luglio 2014, la scelta del legislatore d’urgenza potrebbe rivelarsi infelice nel momento in cui si dovesse concretamente distinguere fra irregolarità “essenziale” e “non essenziale”: l’Autorità Nazionale Anticorruzione207, in proposito, ha chiarito che sarebbe essenziale ogni carenza, mancanza o irregolarità che non consenta di stabilire se il singolo requisito contemplato dal comma 1 dell’art. 38 sia posseduto o meno da un certo soggetto. Ciò nonostante, l’esegesi fornita dall’Autorità di settore pare permette una corretta applicazione del “nuovo soccorso istruttorio” nei limiti dell’art. 38 c.c.p.: maggiori perplessità potrebbero, invece, desumersi dalla generalizzazione della medesima disciplina, compiuta dal D.L. 90/2014, con l’inserimento del comma 1-ter all’art. 46 c.c.p. Non a caso, il legislatore delegato, nell’estendere il nuovo soccorso istruttorio alla generalità delle carenze documentali desumibili dal codice dei contratti pubblici, non ha ritenuto opportuno modificare né il primo né il comma 1-bis dello stesso articolo 46 c.c.p.: da ciò si potrebbe desumere che il comma 1-ter si ponga in rapporto di genere a specie, quantomeno, con il comma 1208. Ne consegue che, al di fuori dalle ipotesi specificamente Determinazione n. 1 dell’8 gennaio 2015 dell’A.N.AC., cit., p. 6. In ordine, invero, al comma 1-bis e al principio di tassatività non paiono sussistere particolari perplessità. La tassatività delle cause di esclusione continua ad essere interpretata così come statuito dalla Plenaria nella sentenza n. 9 del 2014: ne consegue che solo le cause di esclusione desumibili dalla legge possono ritenersi legittime, ma per la loro applicazione sarà necessario attivare, se le relative irregolarità o carenze sono essenziali, il nuovo soccorso istruttorio, a maggior ragione per tutte le cause di esclusione che disciplinate direttamente dall’art. 38 rientrano nel suo comma 2-bis. Qualche incertezza, per il vero, potrebbe desumersi per tutte quelle cause di esclusione non esplicite che sono desumibili (Ad. Pl. n. 9/2014) da prescrizioni imperative, le quali, non rientrando nell’art. 38 c.c.p., non potrebbero usufruire dei benefici del suo comma 2-bis: per queste ultime potrebbe profilarsi un dubbio sull’applicabilità dell’art. 46, comma 1 oppure comma 1-ter c.c.p., anche se, con un’interpretazione ispirata al principio di proporzionalità e di massima partecipazione, potrebbero ritenersi assimilate alla cause ex art. 38 e dunque rientrare nel comma 1-ter dell’art. 46 avendo così più numerose possibilità di sanatoria. 207 208 151 riconducibili all’art. 38 – il quale attualmente per tabulas prevede uno specifico soccorso istruttorio – in tutte le altre eventualità non ci si potrebbe esimere da una interpretazione conforme al disposto generale del primo comma dell’art. 46 c.c.p. Il comma da ultimo citato prevede che le stazioni appaltanti, solo ove necessario, provvedano a chiedere al concorrente di fornire chiarimenti – da cui la tradizionale ammissione di sole regolarizzazioni – il contenuto di certificati, documenti e dichiarazioni presentati: dal tenore letterale del nuovo articolo 46, appare che il primo comma sia derogato dal comma 1-ter, quantomeno per tutto quello che concerne le dichiarazioni presentate dal concorrente e da soggetti terzi, posto che espressamente il medesimo comma 1-ter le richiama. Se ne desume che ogni tipo di carenza o mancanza inerente alle dichiarazioni richieste dalla normativa vigente potrà essere sanata, prima che si addivenga ad una esclusione del concorrente. Di più articolata complessità appare invece il riferimento del primo comma a certificati e documenti che, invece, non sono annoverati nell’ultimo comma dell’art. 46 c.c.p.: in questo caso, potrebbe profilarsi la soluzione di ritenerli in ogni caso sanabili qualora dispongano del requisito di “elemento essenziale” (ex art. 38 comma 2-bis per il tramite dell’art. 46, comma 1-ter); in caso contrario, almeno per una interpretazione strettamente letterale, dovrebbero permanere nella disciplina del primo comma ed essere sanabili esclusivamente mediante lo strumento della regolarizzazione. Delineata per sommi capi la recente normativa nazionale, sono di tutta evidenza tanto i fini perseguiti dal legislatore, quanto le difficoltà applicative. Da un lato appare, infatti, palese l’intenzione del legislatore d’urgenza – come riconosciuto dal giudice amministrativo e dall’Autorità di settore209 – di porre rimedio ad una propensione eccessivamente formalistica del diritto italiano degli appalti e di perseguire invece un approccio sensibilmente più sostanziale teso all’accertamento in concreto della sussistenza dei requisiti di partecipazione. Elementi, questi, che sono in linea con le due seguenti tendenze: in primo luogo, con i criteri cui si ispira in generale il procedimento amministrativo italiano nell’ottica della collaborazione210 fra amministrazione (o meglio responsabile del procedimento) e cives, ma anche di progressiva dequotazione, nella 209 Come esplicitamente affermato dalla Plenaria nelle due sentenze del 2014 che sono state precedentemente citate e dall’A.N.AC. nelle Determinazione 1/2015. 210 S. TARULLO, Il responsabile del procedimento tra amministrazione solidale e collaborazione procedimentale, in www.giustamm.it, 2009. 152 disciplina della legge generale sul procedimento amministrativo, del vizio formale sin dal 2005211; in secondo luogo, con i principi della nuova Direttiva n. 24 del 2014 la quale impone un minor peso agli aspetti formali212, semplificando gli oneri a carico dell’operatore213. D’altra parte, l’intervento legislativo del 2014 sembra porsi in continuità con la crescente complicazione della normativa italiana, proprio per gli aspetti interpretativi prima evidenziati. Il legislatore delegato del recepimento dovrà quindi prendere coscienza dell’allontanamento della Direttiva n. 24 non solo dalla teoria formalistica delle cause di esclusione, ma anche dalla complessità normativa e amministrativa in genere, quali elementi che si pongono in contrasto con il principio di concorrenza. Non a caso, l’articolata disciplina italiana delle cause di esclusione dovrà essere necessariamente confrontata con alcuni istituti radicalmente innovativi della Direttiva n. 24: in primo luogo, la possibilità di sanare eventuali irregolarità senza riferimenti l’assoggettamento a sanzione pecuniaria214 e, in secondo luogo, il già indicato “selfcleaning” che, superando il mero diritto all’integrazione documentale, permette una concreta dimostrazione dell’affidabilità dell’operatore anche in costanza di causa di esclusione. In proposito R. CHIEPPA, Il regime dell’invalidità del provvedimento amministrativo, in R. Chieppa e R. Giovagnoli (a cura di), Manuale breve di diritto amministrativo, Milano, 2009, disponibile in www.giustamm.it; 212 P. SESTITO, op. cit. 213 Chiaramente esemplifica questa tendenza la previsione del documento di gara unico europeo – DGUE. 214 Art. 59, Direttiva 2014/24/UE, in proposito Comunicato del Presidente A.N.AC. del 25 marzo 2015, in www.anticorruzuione.it. 211 153 Recent working papers The complete list of working papers is can be found at http://polis.unipmn.it/index.php?cosa=ricerca,polis *Economics Series Q **Political Theory and Law Al.Ex Series Quaderni CIVIS 2015 n.221** Piera Maria Vipiana and Matteo Timo: Le direttive UE del 2014 in tema di appalti pubblici e concessioni 2015 n.220 Gianna Lotito, Matteo Migheli and Guido Ortona: Competition and its effects on cooperation – An experimental test 2015 n.219 Marco Novarese and Viviana Di Giovinazzo: Not Through Fear But Through Habit. Procrastination, cognitive capabilities and self-confidence 2014 n.218** Nicola Dessì et al. (DRASD): OPAL – Osservatorio per le autonomie locali N.5/2014 2014 n.217* Roberto Ippoliti: Efficienza tecnica e geografia giudiziaria 2014 n.216** Elena Ponzo et al. (DRASD): OPAL – Osservatorio per le autonomie locali N.5/2014 2014 n.215 Gianna Lotito, Anna Maffioletti and Marco Novarese: Are better students really less overconfident? - A preliminary test of different measures 2014 n.214* Gloria Origgi, Giovanni B. Ramello and Francesco Silva: Publish or Perish. Cause e conseguenze di un paradigma 2014 n.213** Andrea Patanè et al. (DRASD): OPAL – Osservatorio per le autonomie locali N.4/2014 2014 n.212** Francesco Ingravalle et al.: L’evento. Aspetti e problemi 2013 n.211** Massimo Carcione: La garanzia dei diritti culturali: Recepimento delle norme internazionali, sussidarietà e sistema dei servizi alla cultura . Case study: La valorizzazione della Cittadella di Alessandria e del sito storico di Marengo. 2013 n.210** Massimo Carcione: La garanzia dei diritti culturali: Recepimento delle norme internazionali, sussidarietà e sistema dei servizi alla cultura 2013 n.209** Maria Bottigliero et al. (DRASD): OPAL – Osservatorio per le autonomie locali N.3/2013 2013 n.208** Joerg Luther, Piera Maria Vipiana Perpetua et. al.: Contributi in tema di semplificazione normativa e amministrativa 2013 n.207* Roberto Ippoliti: Efficienza giudiziaria e mercato forense 2013 n.206* Mario Ferrero: Extermination as a substitute for assimilation or deportation: an economic approach 2013 n.205* Tiziana Caliman and Alberto Cassone: The choice to enrol in a small university: A case study of Piemonte Orientale 2013 n.204* Magnus Carlsson, Luca Fumarco and Dan-Olof Rooth: Artifactual evidence of discrimination in correspondence studies? A replication of the Neumark method 2013 n.203** Daniel Bosioc et. al. (DRASD): OPAL – Osservatorio per le autonomie locali N.2/2013 2013 n.202* Davide Ticchi, Thierry Verdier and Andrea Vindigni: Democracy, Dictatorship and the Cultural Transmission of Political Values 2013 n.201** Giovanni Boggero et. al. (DRASD): OPAL – Osservatorio per le autonomie locali N.1/2013