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ISSN: 2038-7296
POLIS Working Papers
[Online]
Istituto di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive – POLIS
Institute of Public Policy and Public Choice – POLIS
POLIS Working Papers n. 221
July 2015
Le direttive UE del 2014 in tema di
appalti pubblici e concessioni
Atti del convegno svolto il 23/03/2015
Piera Maria Vipiana and Matteo Timo
UNIVERSITA’ DEL PIEMONTE ORIENTALE “Amedeo Avogadro” ALESSANDRIA
Periodico mensile on-line "POLIS Working Papers" - Iscrizione n.591 del 12/05/2006 - Tribunale di Alessandria
I
LE DIRETTIVE UE DEL 2014 IN TEMA DI APPALTI
PUBBLICI E CONCESSIONI
Atti del convegno svoltosi il 23 marzo 2015 ad Alessandria, presso il
Dipartimento di Giurisprudenza e Scienze Politiche, Economiche e
Sociali
dell'Università del Piemonte Orientale
A cura di Piera Maria Vipiana
Con il coordinamento di Matteo Timo
I
SOMMARIO
PARTE PRIMA
RELAZIONI
RELAZIONE INRODUTTIVA
(Piergiorgio Alberti)
...............................................................................................................................
3
ILRECEPIMENTO DELLE DIRETTIVE COME OCCASIONE PER LA RIFORMA
DELLA NORMATIVA ITALIANA IN TEMA DI APPALTI PUBBLICI E CONCESSIONI
(Piera Maria Vipiana)
1.
2.
3.
4.
Premessa ................................................................................................................
I profili di criticità del panorama normativo italiano in tema di appalti
pubblici e concessioni............................................................................................
Il recepimento delle direttive: brevi riflessioni .....................................................
La riforma in itinere: cenni ai problemi di fondo ..................................................
5
6
8
9
COMMENTO ALLA DIRETTIVA 2014/24/UE,
RELATIVA AGLI APPALTI NEI SETTORI ORDINARI
(Raffaello Gisondi)
1.
2.
3.
4.
La Direttiva n. 24/2014 nel quadro della evoluzione degli obiettivi e dei
compiti della UE ....................................................................................................
Novità in tema di procedure di aggiudicazione: il nuovo ruolo delle
procedure negoziate ...............................................................................................
Novità relative ai criteri di aggiudicazione ...........................................................
Principali novità in tema di cause di esclusione ....................................................
11
14
17
20
II
COMMENTO ALLA DIRETTIVA 2014/25/UE,
RELATIVA AGLI APPALTI NEI SETTORI SPECIALI
(Roberto Invernizzi)
1.
2.
3.
4.
4.1.
4.2.
4.3.
4.4.
5.
Generalità ..............................................................................................................
Le prospettive del recepimento .............................................................................
Note sull’ambito soggettivo applicativo ................................................................
Profili di flessibilità delle procedure ex direttiva 2014/25/Ue rispetto
alle regole ordinarie: tipologie di procedure di affidamento. ................................
In generale, sui criteri di aggiudicazione e sulle consultazioni preventive
del mercato ............................................................................................................
Le procedure: il dialogo competitivo ....................................................................
Le procedure. La procedura negoziata con previa indizione di gara:
deficit di competitività nei settori speciali? ..........................................................
I criteri di selezione ed esclusione dei concorrenti ................................................
Conclusioni ............................................................................................................
25
29
30
32
32
33
34
38
38
COMMENTO ALLA DIRETTIVA 2014/23/UE,
SULLE CONCESSIONI DI LAVORI E DI SERVIZI
(Andrea Mozzati)
1.
2.
3.
4.
5.
Introduzione ...........................................................................................................
La perimetrazione della figura della concessione .................................................
La fase dell'evidenza pubblica nell'assegnazione della concessione .....................
L'incidenza dei principi concorrenziali anche nella fase esecutiva del
rapporto concessorio ..............................................................................................
Considerazioni finali .............................................................................................
41
43
46
48
49
III
SESSIONE POMERIDIANA
IL PARTENARIATO PUBBLICO E PRIVATO
(Mario Alberto Quaglia)
...............................................................................................................................
51
IL CAMPO DI APPLICAZIONE OGGETTIVO DELLE DIRETTIVE APPALTI,
CON PARTICOLARE TIGUARDO ALLA NOZIONE DI APPALTO
(Alberto Di Mario)
...............................................................................................................................
63
IN HOUSE PROVIDING, RINNOVI
E PROROGHE
(Giuseppe Franco Ferrari)
…….. .....................................................................................................................
73
CONCLUSIONI
(Giuseppe Pericu)
...............................................................................................................................
87
IV
PARTE SECONDA
COMUNICAZIONI
SOCIETÀ IN-HOUSE PROVIDING E GIURISDIZIONE DELLA CORTE DEI CONTI
(Maria Pia Giracca)
1.
2.
3.
4.
Considerazioni introduttive ...................................................................................
L'orientamento della Corte di Cassazione sulla giurisdizione contabile in tema
di “in-house” ..........................................................................................................
La critica in dottrina. .............................................................................................
Considerazioni conclusive .....................................................................................
95
98
101
103
RECENTI INDIRIZZI GIURISPRUDENZIALI IN TEMA DI APPALTI E CONCESSIONI.
IN PARTICOLARE: LE INDICAZIONI DELL’ADUNANZA PLENARIA DEL
CONSIGLIO DI STATO
(Alessandro Paire)
1.
2.
3.
4.
Premessa ................................................................................................................
La giurisprudenza dell’Adunanza Plenaria. Fattispecie (nuove ed antiche) di
particolare interesse ...............................................................................................
Segue .....................................................................................................................
Spunti conclusivi ...................................................................................................
107
108
114
118
LA SICUREZZA SUL LAVORO NEGLI APPALTI PUBBLICI
CONSIDERAZIONI A SEGUITO DELLE DIRETTIVE UE DEL 2014
(Matteo Porricolo)
1.
2.
3.
4.
5.
6.
I rapporti tra il Codice dei contratti pubblici e il Testo unico della salute
e della sicurezza nei luoghi di lavoro ....................................................................
Le principali responsabilità delle figure garanti ....................................................
Il sistema sanzionatorio .........................................................................................
La sicurezza nelle fasi precedenti l’esecuzione. ....................................................
Il dibattito giurisprudenziale sull’omessa indicazione degli oneri ........................
Conclusioni ............................................................................................................
119
121
123
127
129
132
V
LE CAUSE DI ESCLUSIONE FRA NORMATIVA NAZIONALE E RECEPIMENTO
DELLA DIRETTIVA APPALTI 2014/24/UE
(Matteo Timo)
1.
2.
3.
Premessa ................................................................................................................
Cenni alla disciplina della Direttiva n. 2014/24/UE in materia di cause di
esclusione ..............................................................................................................
Aspetti problematici della normativa interna all’indomani del recepimento
delle direttive europee del 2014 ............................................................................
135
138
142
1
PARTE PRIMA
RELAZIONI
3
RELAZIONE INTRODUTTIVA
Piergiorgio Alberti
(Università degli Studi di Genova)
Un sentito ringraziamento, innanzitutto, alla prof. Piera Vipiana che ha organizzato il
Convegno e che ci ha portato il saluto dell'Università che ci ospita.
Per parte mia, non intendo sottrarre tempo ai relatori e mi limiterò, quindi, ad alcune,
brevi considerazioni introduttive.
Il nuovo pacchetto di direttive, pur fissando un insieme di regole comuni, consente ai
Paesi dell'Unione di dotarsi di ulteriori strumenti volti, da un lato, a favorire una maggiore
apertura alla concorrenza nel settore dei contratti pubblici e, dall'altro lato, a far sì che le
amministrazioni aggiudicatrici dispongano di una maggiore flessibilità nell'utilizzo dei modelli
più adeguati a soddisfare le proprie, specifiche esigenze.
In effetti le nuove direttive, proprio per il fatto di attribuire a tali amministrazioni una
notevole autonomia nella scelta delle procedure finalizzate all'affidamento degli appalti pubblici e
delle concessioni, costituisce un approccio alla disciplina di settore assai diverso dal contesto
normativo italiano, nel quale, mediante una regolamentazione molto puntuale, si è voluto limitare
la discrezionalità delle stazioni appaltanti (soprattutto con l'intento di prevenire fenomeni di
corruzione o di infiltrazioni criminali).
Tuttavia, com'è noto, una siffatta regolamentazione ha prodotto notevoli incentivi al
contenzioso, senza ottenere significativi risultati in termini di efficacia ed efficienza. Assai spesso,
l'aggiudicazione e l'esecuzione dei contratti è stata rallentata da controversie originate dal presunto,
mancato rispetto di questioni meramente formali che, frequentemente, non incidono sugli aspetti
sostanziali dell'affidamento, con grave danno anche per la finanza pubblica.
4
L'orientamento del legislatore europeo, volto ad allargare e a privilegiare, in una qualche
misura, nuove modalità per l'affidamento degli appalti — come la procedura competitiva con
negoziazione (che affianca il dialogo competitivo) e i partenariati per l'innovazione — impone un
cambio di passo anche al nostro legislatore.
Le nuove direttive ritengono, infatti, che soprattutto negli appalti complessi e innovativi,
le amministrazioni debbano disporre di procedure flessibili, da svolgere in più fasi, mediante un
"dialogo" o una negoziazione con i concorrenti, così da individuare la soluzione e i mezzi più
idonei a soddisfare, nel miglior modo possibile, le necessità delle amministrazioni stesse, ossia
l'interesse pubblico.
Il nostro ordinamento, finora "ingessato" al rispetto delle tradizionali procedure formali,
deve quindi operare una profonda rimeditazione della fase dell'evidenza pubblica.
In effetti, a fronte del rischio di essere chiamato a rispondere per danno erariale, il
pubblico funzionario tenderà a privilegiare la scelta di una procedura concorsuale maggiormente
rigida e formale — autolimitando, di fatto, il proprio spazio di apprezzamento discrezionale —
piuttosto che modelli più efficienti, ma forieri di possibili ripercussioni in termini di responsabilità
Com'è stato anche recentemente osservato1, la situazione potrebbe essere superata
mediante l'introduzione di un sistema di incentivazione che consenta di "premiare" le scelte
virtuose dei funzionari.
Perché ciò possa avvenire, occorre al contempo riconsiderare la natura stessa dell a fase di
formazione del contratto, non già come una semplice sequenza procedimentale volta
all'erogazione di una spesa gravante sull'Erario, bensì come una vera e propria operazione
commerciale, che necessita dell'utilizzo di schemi contrattuali più liberi, che prevedano anche
ipotesi di negoziazione e rinegoziazione con il privato.
Si tratta, in altri termini, dell'interessante tema della riferibilità all'Amministrazione della
sfera dell'autonomia negoziale (intesa in senso civilistico) e del rapporto tra quest'ultima e
l'evidenza pubblica (configurata, invece, in senso tradizionale, come rigida sequenza di atti
amministrativi).
Mi fermo qui.
Invito, ora, i relatori della sessione mattutina a svolgere i loro interventi, cominciando
dalla stessa prof. Vipiana.
1
V., in particolare: C. LACAVA, Le nuove procedure, la partecipazione e l'aggiudicazione, in Giorn.
Dir. Amm., 12/2014, 1145; M. CAFAGNO, Flessibilità e negoziazione. Riflessioni sull'affidamento dei
contratti complessi, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 2013, 1019
5
IL RECEPIMENTO DELLE DIRETTIVE COME OCCASIONE PER LA RIFORMA
DELLA NORMATIVA ITALIANA
IN TEMA DI APPALTI PUBBLICI E CONCESSIONI
Piera Maria Vipiana
(Università degli Studi
del Piemonte Orientale)
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. I profili di criticità del panorama normativo italiano
in tema di appalti pubblici e concessioni. – 3. Il recepimento delle direttive: brevi riflessioni. –
4. La riforma in itinere: cenni ai problemi di fondo.
1.
Premessa
Ringrazio il collega prof. Alberti per la densa introduzione, ricca di spunti interessanti
per il prosieguo dei lavori di questa giornata, che si incentra sull’esame di tre recenti direttive
europee: la direttiva 2014/23 sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, la direttiva
2014/24 sugli appalti pubblici (che abroga la direttiva 2004/18/CE) e la direttiva 2014/25
sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti
e dei servizi postali (che abroga la direttiva 2004/17/CE).
È un’iniziativa2 che vede coinvolti una serie di illustri relatori – ai quali sono molto
grata, sia a titolo personale, sia a nome del Dipartimento –, noti proprio per le loro specifiche
competenze in materia di diritto degli appalti pubblici: a seconda dei casi, si tratta di
professori universitari che sono anche affermati avvocati, di magistrati amministrativi che
hanno al loro attivo un’ampia produzione scientifica ed esperienze di docenza, nonché di
avvocati amministrativisti che hanno pubblicato intensamente e hanno tenuto corsi anche a
livello universitario.
Il convegno è articolato, innanzi tutto, in tre relazioni che recano altrettanti commenti
sui profili più salienti ed innovativi delle tre direttive citate. Seguiranno alcune relazioni che
Rivolta sia agli studenti dei corsi in materie giuridiche dell’Università del Piemonte Orientale, sia al
pubblico, ed in particolare agli avvocati.
2
6
prenderanno in esame aspetti particolarmente interessanti in materia, scelti per la loro
rilevanza, senza alcuna pretesa di esaustività3: il partenariato pubblico privato; il campo di
applicazione oggettivo delle direttive appalti, con particolare riguardo alla nozione di appalto;
la disciplina del cosiddetto “in house providing”, nonché dei rinnovi e delle proroghe. In
seguito sono previsti alcuni interventi programmati che, qualora non potessero svolgersi per
ragioni di tempo, troveranno collocazione nella veste di comunicazioni nell’ambito della
pubblicazione degli atti del convegno. La presidenza della sessione mattutina spetta al prof.
Alberti, il quale ha anche introdotto la giornata, mentre al prof. Pericu sono riservate, oltre
alla presidenza della sessione pomeridiana, le conclusioni.
2.
I profili di criticità del panorama normativo italiano in tema di appalti
pubblici e concessioni
L'approvazione delle tre direttive in esame è intervenuta a fronte di un panorama
normativo italiano che presenta forti criticità. In effetti, tale panorama risulta caratterizzato
perlomeno da quattro fattori.
Per un verso, la complessità, la scarsa chiarezza e, in taluni casi, la lacunosità di tale
normativa. Massimo Severo Giannini descrisse la condizione legislativa dei lavori pubblici,
alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, in termini di "enigmistica giuridica"4: in
sostanza, ad un massimo di legislazione, affastellata sulla legge base del 1865, corrispondeva
un massimo di inefficienza e di illegalità5. Non sembra affatto che, al momento, dopo
decenni, la situazione sia migliorata: anzi, probabilmente si può riscontrare addirittura un
peggioramento a livello di drafting normativo nel settore in considerazione.
Per un altro verso, la normativa in materia di appalti e concessioni è caratterizzata in
Italia da una formazione alluvionale, perché, nonostante l'esistenza di un articolato codice dei
contratti pubblici che ha solo nove anni, continua ad interessare la materia una pletora di
disposizioni continuamente introdotte in prevalenza da decreti legge, convertiti in legge
3
Visto il carattere innovativo delle direttive de quibus, che si evince dalla lettura di R. Caranta - D.D.
Cosmin, La mini-rivoluzione del diritto europeo dei contratti pubblici, in Urbanistica e appalti, 2014,
5, 493 ss.
4
V. inoltre il Rapporto Giannini (Rapporto sui principali problemi della amministrazione dello Stato,
trasmesso alle Camere dal Ministro per la funzione pubblica Massimo Severo Giannini il 16 novembre
1979), 3.6.
5
P. Mantini, Il dilemma di Sunstein ed il nuovo diritto europeo degli appalti, in www.giustamm.it.
7
sovente con modificazioni ed integrazioni rilevanti. Si pensi ai decreti legge 133/2014 (c.d.
sblocca Italia), 90/2014 (Semplificazione delle pubbliche amministrazioni), 66/2014
(Spending review 3)6. Siffatta produzione normativa, che si connota altresì per essere fondata
su una (più o meno evidente) urgenza, ha continuato ad aver luogo anche dopo l'avvento delle
tre direttive in esame e sebbene la strada maestra da seguire in materia sia ormai quella del
recepimento delle direttive e della riforma del disciplina di cui al codice dei contratti.
Per un verso ulteriore, e conseguentemente, in materia si riscontra la formazione di un
ampio contenzioso in sede giurisdizionale amministrativa. In effetti, come ha ricordato il
Presidente del Consiglio di Stato Giovannini nella sua relazione alla cerimonia di
inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2015 del Consiglio di Stato7, nell’anno 2014 si è avuto
un consistente aumento dei ricorsi proposti dinanzi ai diversi organi della giustizia
amministrativa, sia in primo grado dinanzi ai Tribunali amministrativi regionali, sia in grado
di appello dinanzi al Consiglio di Stato, e tale aumento ha riguardato, in particolare, proprio la
materia degli appalti. Non è solo il fenomeno quantitativo quello che interessa, ma anche
quello qualitativo: fra l’altro, proprio in tale materia si nota, ogni anno, un elevato numero di
pronunce dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, che
non di rado incontrano
l'interesse della dottrina.
Per un altro verso ancora, il contenzioso dinanzi al giudice amministrativo, sebbene
ampio, potrebbe esserlo ancora di più, se uno scoraggiamento non provenisse dalla normativa
che rende molto oneroso l'accesso alla giustizia amministrativa in materia di appalti. Molto
recentemente Franco Gaetano Scoca ha scritto: “la particolare severità dei costi economici,
necessari ed eventuali, previsti per le controversie in materia di appalti pubblici” trova
spiegazione soltanto alla stregua di una delle misure di politica giudiziaria, insieme alla
riduzione dei termini per ricorrere e alla speciale disposizione sulla sinteticità degli atti
processuali, in quanto dirette “a rendere più gravoso chiedere al giudice amministrativo di
verificare la legittimità dei provvedimenti di aggiudicazione degli appalti”. Nella specie, ha
L’approvazione e la pubblicazione della nuova direttiva comunitaria sugli appalti n°2014/24/UE, che
dovrà essere recepita dagli Stati Membri dell’UE entro i prossimi due anni, costituisce una buona
opportunità per una revisione globale del quadro normativo del settore dei lavori pubblici, oramai
frammentato da una serie di interventi legislativi, con leggi omnibus, che hanno privato sia il codice
dei contratti che il regolamento di attuazione della loro identità originaria (“Primo Contributo per la
definizione di un nuovo quadro normativo per il settore dei lavori pubblici, in recepimento della
direttiva n°2014/24/UE”. Documento condiviso dal Tavolo Tecnico “Lavori Pubblici” della RPT,
nella seduta del 7 Gennaio 2015, in www.giustamm.it).
7
La relazione si può leggere, fra l’altro, sul sito www.giustizia-amministrativa.it.
6
8
ritenuto “miope (o di comodo)” la visione che intenda concentrare nella sola sede penale la
verifica legittimità dei provvedimenti di aggiudicazione degli appalti, “perché non sempre la
illegittima ed ingiusta aggiudicazione si colora di riflessi penali”8. Scoca ha pertanto criticato
la disciplina attuale in materia di costi del processo amministrativo, ritenendo che essa
costituisca un serio ostacolo all'accesso alla giustizia, con tutte le conseguenze che ne possono
derivare sulla piano della legittimità costituzionale, comunitaria e internazionale9.
3.
Il recepimento delle direttive: brevi riflessioni
A proposito del recepimento delle direttive, il Consiglio dei Ministri del 29 agosto
2014, su proposta del Presidente e del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, ha
approvato un disegno di legge delega al Governo per l’attuazione delle tre direttive attuandole
in un sistema più ampio e variegato mediante la compilazione di un Codice dei contratti e
delle concessioni pubbliche. Presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti è stata
istituita una Commissione di studio sul recepimento delle direttive europee in esame10.
Pertanto si è messa in moto la macchina per il recepimento delle direttive e, al
contempo, per la riforma integrale della normativa in materia.
Il disegno normativo di ampio respiro è stato già ultimato ed è divenuto operante in
Gran Bretagna, con "The Public Contracts Regulations 2015", testo che include le
disposizioni di recepimento della direttiva sui contratti pubblici (part 2 - rules implementing
the public contracts directive). La rapidità dell'iter di approvazione del testo non è andato a
detrimento della necessità di rispettare le istanze partecipative: tale iter, infatti, ha incluso le
consultazioni di una pluralità di soggetti, che è avvenuta già sulla base dei progetti di
direttiva.
Ovviamente sarebbe interessante prendere in esame questo testo – potrebbe essere
un'idea per giovani studiosi –, così come le altre normative di recepimento delle direttive,
adottate da altri Stati.
F. G. Scoca, Il “costo” del processo tra misura di efficienza e ostacolo all'accesso, in Dir. Proc.
Amm., 2014, fasc. 4, 1414 ss., § 13.
9
Ibidem.
10
Successivamente al convegno dei quale si raccolgono gli atti in queste pagine, il Senato della
Repubblica, il 18 giugno 2015, ha approvato il disegno di legge al quale si fa riferimento nel testo: la
parola spetta quindi ora alla Camera dei Deputati.
8
9
In effetti, come è stato illustrato un recente saggio, l’idea di un diritto transnazionale
amministrativo trova uno dei suoi terreni più fertili proprio nell’analisi del diritto dei contratti
pubblici e degli accordi tra pubblico e privato11. Quindi l'esame delle tre direttive costituisce
occasione per una profonda riforma della normativa italiana in tema di appalti pubblici e
concessioni nell'ottica della globalizzazione in materia12.
Dal punto di vista contenutistico le direttive de quibus presentano indubbiamente
profili altamente innovativi, come le relazioni che seguiranno avranno modo di porre in
evidenza. In particolare, Piergiorgio Alberti ci ha appena illustrato, in modo acuto ed
esaustivo, che tali direttive prevedono, rispetto al quadro normativo precedente, una maggiore
apertura alla concorrenza nel settore dei contratti pubblici ed una maggiore flessibilità, per le
amministrazioni aggiudicatrici, nell'utilizzo dei modelli più adeguati a soddisfare le proprie
esigenze specifiche.
4.
La riforma in itinere: cenni ai problemi di fondo
I problemi connessi con tale riforma, che trae spunto dalla necessità di attuare le
direttive, sono vari. In questa sede non ne sarebbe possibile una trattazione puntuale, che
presupporrebbe un’analisi compiuta di tutte le previsioni delle tre direttive: tuttavia qualche
cenno sembra illustrabile.
In primo luogo – ed in stretta correlazione con il tema del recepimento – si tratta di
distinguere, nell'ambito delle direttive, le disposizioni cogenti e quelle non cogenti e decidere
se procedere alla trasposizione anche di queste ultime.
In secondo luogo, nel calibrare la disciplina italiana di prossima introduzione, occorre
prendere posizione, ovviamente nell'ambito di quanto è consentito dalle direttive, tra
un'alternativa di fondo: la normazione a maglie larghe, vale a dire che consenta un’ampia
liberalizzazione delle forme e delle modalità di azione delle pubbliche amministrazioni
(stazioni appaltanti), vincolandole però al rispetto di principi generali cogenti; oppure una
11
S. W. Schill, Transnational Legal Approaches to Administrative Law: Conceptualizing Public
Contracts in Globalization, in Riv. Trim. Dir. pubbl., 2104, n. 1.
12
In tema cfr. V. H. Caroli Casavola, La globalizzazione dei contratti delle pubbliche amministrazioni,
Milano, Giuffrè, 2012.
10
normazione a maglie strette, ossia rigida, che contempli procedure e moduli standardizzati e
riduca la discrezionalità amministrativa13.
A sua volta, l'affinamento normativo dovrebbe passare attraverso il coordinamento
puntuale con normative connesse: fra l’altro, con la disciplina del codice del processo
amministrativo relativa al rito in materia di appalti e, in primis, con quella in tema di
prevenzione e contrasto della corruzione e con quella sulla trasparenza e sull'accesso. A
quest'ultimo riguardo evidente è la stretta correlazione tra il modo in cui sono formulate le
disposizioni in materia di appalti e la facilità di trovare il modo per realizzare fenomeni di
corruzione o di maladministration in genere.
Infine la normativa in tema di appalti e concessioni non può andar esente dalla
considerazione di profili specifici o settoriali, da più punti di vista: o in base ai soggetti (ad
esempio, gli enti locali) oppure per ambito oggettivo (si pensi al tema del Green Public
Procurement o a quello delle attività portuali14).
In proposito, sembra molto utile rileggere le considerazioni di P. Mantini, Il dilemma ..., cit.: "… ci
sono due modi per realizzare la semplificazione normativa e amministrativa. Il primo modo è
costituito da un’ampia liberalizzazione delle forme e delle modalità di azione delle pubbliche
amministrazioni (stazioni appaltanti) che però sono vincolate al rispetto di principi generali cogenti
(principio di efficienza e di efficacia, principio di imparzialità, principio di concorrenza, principio di
trasparenza ecc.). Questo approccio, appena sommariamente descritto, presuppone un forte grado di
competenza tecnica e di accountability delle stazioni appaltanti che sono, per usare un’espressione
classica nel diritto amministrativo, più libere nei modi ma vincolate nei fini, godendo di una più ampia
discrezionalità e di maggiori obblighi di risultato. Il secondo modo possibile è invece quello della più
rigida normazione, attraverso procedure e moduli standardizzati, la riduzione del numero delle norme,
lo sviluppo di modelli informatizzati a livello nazionale, con ciò riducendo la discrezionalità
amministrativa e l’autonomia degli enti locali".
14
Con specifico riferimento alle direttive 23 e 25 v. S. M. Carbone - L. Schiano di Pepe, Competition,
safety, security and environmental concerns in the emerging ports policy of the European Union, in
Dir. commercio internaz., 2014, n. 4, 839 ss. e spec. 842 ss.
13
11
COMMENTO ALLA DIRETTIVA 2014/24/UE, RELATIVA AGLI APPALTI NEI
SETTORI ORDINARI
Raffaello Gisondi
(T.A.R. Toscana)
SOMMARIO: 1. La Direttiva n. 24/2014 nel quadro della evoluzione degli obiettivi e
dei compiti della UE. - 2. Novità in tema di procedure di aggiudicazione: il nuovo ruolo delle
procedure negoziate. - 3. Novità relative ai criteri di aggiudicazione. - 4. Principali novità in
tema di cause di esclusione.
1. La Direttiva n. 24/2014 nel quadro della evoluzione degli obiettivi e dei compiti
della UE
Per comprendere meglio le novità apportate dalla nuova direttiva comunitaria sugli
appalti ordinari di lavori, servizi e forniture dobbiamo farci una domanda: perché a distanza
quasi di dieci anni dall’ultimo intervento normativo la UE ha emanato un nuovo pacchetto di
direttive che innova profondamente la disciplina europea sulle procedure relative
all’aggiudicazione delle commesse pubbliche?
Nel 2004 l’Unione aveva compiuto un grosso sforzo di sistemazione ed
organizzazione della materia unificando le discipline relative agli appalti di lavori di forniture
e di servizi in un unico testo normativo e inquadrando i vari settori delle commesse pubbliche
in una cornice di regole e principi unitari.
12
Si trattava, quindi, di un corpus normativo costruito per durare e che, invece, dopo un
lasso di tempo relativamente breve è stato interamente abrogato e sostituito da un intervento
altrettanto importante che si propone di apportare innovazioni profonde nel comparto delle
procedure di affidamento.
I motivi per cui la UE ha deciso di superare in toto il precedente assetto sono vari.
Sicuramente v’è stata la volontà di dare veste normativa a temi di importantissimo
rilievo dei quali, in precedenza, si era occupata la giurisprudenza della Corte di giustizia o la
Commissione nei suoi documenti interpretativi. Si tratta di questioni spesso fondamentali al
fine di stabilire il campo di applicazione delle procedure di affidamento come la precisazione
della nozione di appalto, la rilevanza delle forme di cooperazione fra enti pubblici, gli
affidamenti in house etc.
Tuttavia, questa, pur importante, opera di aggiornamento normativo non spiega di per
sé i più profondi elementi di novità delle nuove direttive il cui fondamento sta nell’esigenza di
adeguare il settore degli appalti pubblici alle nuove strategie che la UE si è prefissa di
perseguire.
Sappiamo che lo scopo che ha caratterizzato la Comunità europea sin dalla sua nascita
è stato quello della creazione di un mercato comune. Nel sistema degli appalti pubblici ciò ha
comportato la elaborazione di regole volte ad assicurare a tutte le imprese appartenenti agli
stati della UE la possibilità di concorrere su un piano di parità rispetto agli operatori nazionali
nel conseguimento delle commesse pubbliche.
Oggi, tuttavia, benché la creazione di un mercato unico costituisca ancora un obiettivo
fondamentale della UE, non si può più affermare che esso esaurisca i compiti della Comunità
europea in quanto la promozione della concorrenza deve coniugarsi con le esigenze di uno
sviluppo sostenibile dal punto di vista ambiente e della crescita economica ed occupazionale
(art. 3 del Trattato istitutivo).
Le finalità di crescita economica ed occupazionale, in particolare, hanno assunto un
ruolo strategico con la crisi economica che ha colpito molti degli Stati europei e si è
riverberata anche sulla tenuta complessiva della UE minandone la stabilità monetaria.
In quest’ottica la Commissione ha messo a punto nel 2010 un programma decennale
per la crescita e l’occupazione – la cosiddetta “Strategia Europa 2020” – che mira a
promuovere una crescita intelligente, sostenibile dal punto di vista ambientale e solidale in
quanto volta a anche al raggiungimento di obiettivi di carattere sociale.
13
Gli obiettivi della Strategia Europa 2020, in particolare, riguardano l’occupazione,
l’aumento degli investimenti in ricerca e sviluppo, riduzione delle emissioni di gas serra,
aumento della soddisfazione di bisogni energetici attraverso le fonti rinnovabili, i risparmi
energetici da conseguirsi attraverso un aumento dell’efficienza energetica dei prodotti, lotta
alla povertà all’emarginazione e contrasto al fenomeno dell’abbandono scolastico.
Le nuove direttive si inseriscono a pieno titolo nell’ambito di tale programma.
Gran parte dei contenuti innovativi che le caratterizzano risultano, infatti, ispirati ad
una visione che concepisce le procedure di selezione dei contraenti non più solo come
strumenti di trasparenza volti alla creazione del mercato unico ma anche come leva per la
crescita economica e un uso più efficiente delle risorse pubbliche.
Grande attenzione è stata data al rapporto fra spesa e risultati.
Uno dei problemi che la Commissione ha riscontrato sulla scorta delle consultazioni
effettuate è, infatti, quello delle inefficienze provocate dalla eccessiva rigidità delle procedure
di gara che non consentirebbero alle amministrazioni di modulare il processo di scelta del
contraente in modo da ottenere il prodotto più confacente alle proprie esigenze e migliore
sotto il rapporto qualità prezzo.
Di qui la scelta di rendere più flessibili procedure e criteri di selezione del contraente
attribuendo alle amministrazioni aggiudicatrici maggiori poteri di negoziazione e di
modulazione dei criteri di aggiudicazione.
Le procedure negoziali tendono, così, a divenire moduli ordinari di scelta del
contraente tutte le volte che la stazione appaltante non possa o non voglia definire a priori le
caratteristiche del prodotto che intende acquistare ed intenda avvalersi a tale scopo degli
apporti che il mercato può fornirgli.
Con riguardo ai criteri di aggiudicazione la direttiva guarda con sfavore al criterio
finanziario del prezzo più basso (che, anzi, nominalmente è stato eliminato) e tende a
sostituirlo con quello economico del costo che tiene conto degli oneri economici che deve
sostenere l’amministrazione per mantenere e per smaltire un determinato prodotto durante il
suo ciclo di vita.
Sono stati, inoltre, introdotti nell’ambito dei parametri di scelta della offerta
economicamente più vantaggiosa criteri che consentono di valorizzare non solo l’interesse
specifico dell’amministrazione ma anche i costi ed i benefici sociali che possono derivare
dalla preferenza accordata ad un certo prodotto, tenuto conto non solo delle sue caratteristiche
14
oggettive ma anche del suo processo produttivo (possono, ad, esempio, essere privilegiati
certi processi produttivi per il fatto che comportino l’impiego di soggetti appartenenti a
categorie disagiate).
Si tratta di un’impostazione molto innovativa rispetto a quella che caratterizzava gli
esordi di queste procedure.
Altro capitolo importante della direttiva, importantissimo nel nostro Paese, è
l’attenzione che è stata data a quei fenomeni anticoncorrenziali che non sono correlati alle
irregolarità formali o procedurali, ma a comportamenti scorretti che operano, di regola, sotto
traccia: conflitti di interesse, cartelli fra le imprese offerenti, fino ad arrivare a veri e propri
comportamenti di carattere corruttivo.
Si tratta di patologie che non sono correlati con il carattere formale che, muovendo da
un approccio amministrativistico, siamo abituati ad attribuire al procedimento di evidenza
pubblica, ma non per questo meno idonei a falsare il gioco della concorrenza.
L’Unione si è data carico di affrontare, anche se non sempre in modo efficace, questa
tipologia di problematiche introducendo nuove cause di esclusione e prevedendo, in
determinate ipotesi, anche la possibilità dell’amministrazione aggiudicatrice di risolvere
contratti che si si siano formati sotto l’influenza di questo genere di fenomeni.
Nel prosieguo della relazione verranno approfonditi i temi cui si è sopra accennato con
particolare riferimento alle procedure ed ai criteri di aggiudicazione ed alle cause di
esclusione.
2. Novità in tema di procedure di aggiudicazione: il nuovo ruolo delle procedure
negoziate
La direttiva amplia sia la tipologia delle procedure negoziate sia le ipotesi in cui le
amministrazioni possono avvalersene.
Tale scelta si pone in controtendenza rispetto alla preferenza accordata in passato alle
procedure aperte e ristrette che, riducendo gli ambiti di discrezionalità della p.a. nelle
selezione dell’offerta, venivano considerate più rispondenti ai principi di imparzialità e
trasparenza.
15
Per il vero già la direttiva n. 18 del 2004 aveva affiancato alle classiche procedure
negoziate con bando e senza bando quella del dialogo competitivo.
Tale procedura (simile al nostro “vecchio” appalto concorso) derogava al principio
della separazione fra la fase di progettazione (dove si determina l’oggetto del contratto sotto il
profilo tecnico) e quella della gara, consentendo e alle amministrazioni di rivolgersi
direttamente al mercato non solo per acquisire offerte relative ad un prodotto già
compiutamente individuato ma anche per elaborare, attraverso un dialogo con soggetti
particolarmente qualificati, la soluzione progettuale più conforme alle proprie esigenze.
Il Codice dei contratti aveva precisato i presupposti per ricorrere a tale procedura
circoscrivendone l’esperimento ad appalti di elevatissima complessità, per i quali l’apporto
creativo e progettuale dei concorrenti risultava indispensabile fin dalla fase ideativa
dell’intervento ed aveva imposto alla p.a. l’onere di dar conto della sussistenza di tali
circostanze nella motivazione della determina o delibera a contrarre.
Il dialogo competitivo restava, quindi, una procedura negoziata esperibile in casi
limitati e non metteva in discussione il primato delle procedure aperte e ristrette rispetto a
quelle negoziate.
La nuova direttiva erige lo schema di fondo che stava alla base del dialogo
competitivo a modello generale delle procedure negoziate con bando.
Tale modello si articola ora nei tre schemi procedurali del dialogo competitivo (art.
30), della procedura competitiva con negoziazione (art. 29) e del partenariato per
l’innovazione (art. 31) i quali hanno come comune denominatore quello la collaborazione
partecipata fra p.a. e privati nella definizione delle caratteristiche dell’offerta.
Il ricorso a queste procedure negoziate è reso possibile dalla direttiva non solo nei casi
in cui le caratteristiche oggettive delle prestazioni o dei prodotti richiesti non consentano
all’amministrazione di definirne compiutamente l’oggetto (ad. es. prestazioni intellettuali,
operazioni giuridico finanziarie complesse, progetti, innovativi etc.) ma anche nelle ipotesi in
cui essa non abbia soluzioni immediatamente disponibili per soddisfare le proprie esigenze
(art. 26).
Quando la conoscenza tecnica del prodotto è particolarmente bassa la procedura più
indicata sarà allora il dialogo competitivo (art. 30) il cui esperimento presuppone solo
l’indicazione delle esigenze da soddisfare, di certi requisiti minimi e dei criteri di
aggiudicazione.
16
Quando, invece, vi è un livello di conoscenza superiore ma non tale da definire tutte le
specifiche del prodotto lo strumento sarà quello della procedura competitiva con negoziazione
(art. 32) che presuppone un indicazione delle caratteristiche richieste delle forniture, dei
servizi e dei lavori da appaltare.
Nei casi in cui si tratti di acquisire prodotti innovativi che non sono ordinariamente
reperibili sul mercato la procedura negoziata assumerà le forme del partenariato per
l’innovazione (art. 31).
Le novità rispetto al passato stanno, quindi, nello stesso modo di concepire la
procedura negoziata che viene considerata come una forma di confronto partenariale plurimo
finalizzato a definire il contenuto dell’offerta, nonché nel fatto che il ricorso alle procedure
negoziate non sembra più essere limitato ad ipotesi tassative ed eccezionali ma viene a
dipendere da una scelta ampiamente discrezionale della p.a. in ordine alla definizione delle
caratteristiche tecniche del prodotto da acquistare prima della gara o attraverso la gara stessa.
All’ampliarsi degli spazi applicativi delle procedure negoziate corrisponde una loro
più specifica disciplina finalizzata a garantire la realizzazione dei principi di pubblicità,
trasparenza e parità di trattamento.
Innanzitutto risulta sempre necessaria la pubblicazione di un bando.
La procedura risulta poi articolata in tre fasi: 1) prequalifica; 2) la negoziazione; 3)
fase della gara nella quale avviene la selezione dell’offerta migliore.
Di queste tre fasi la più complessa è sicuramente la seconda perché è quella che
prevede un confronto diretto fra amministrazione ed imprese non basato su regole prestabilite.
La direttiva prevede che la flessibilità che connota questa fase debba essere
controbilanciata da obblighi di trasparenza quali:
- assicurare a tutti i partecipanti la conoscenza delle informazioni necessarie a
precisare le condizioni della propria offerta via via che l’amministrazione nel corso della
procedura si forma un’idea più precisa di ciò che intende acquisire o come quello;
- attenersi ai criteri previsti dal bando nelle eventuale riduzione del numero delle
imprese ammesse a continuare la negoziazione nel corso della procedura.
Sono facilmente intuibili i problemi applicativi di queste disposizioni.
La stessa Commissione UE dimostra di esserne consapevole affermando nel Libro
verde del 2011 che i possibili vantaggi derivanti da una maggiore flessibilità e dalla
potenziale semplificazione devono essere ponderati con i maggiori rischi di favoritismi e, più
17
in generale, di decisioni eccessivamente soggettive derivanti dalla più ampia discrezionalità di
cui godono le amministrazioni aggiudicatrici nella procedura negoziata.
I problemi paventati dalla Commissiono sono particolarmente acuiti nella situazione
italiana caratterizzata da un pericolo sempre incombente di corruzione e da una non sempre
adeguata preparazione (soprattutto economica) dei funzionari che conducono le procedure.
Il fatto che il progetto venga via via elaborato in sede di gara attraverso il confronto
con gli operatori richiede, infatti, la capacità di assumere in quella sede decisioni di altissima
competenza tecnica che fino ad oggi sono state compiute nella fase di progettazione.
In difetto di un adeguato controllo sulle scelte progettuali che i nuovi modelli di
procedura negoziata comportano vi è il rischio di accettare soluzioni che potrebbero poi
comportare costi imprevisti o necessità di varianti nel corso della fase di esecuzione15.
Tuttavia, senza adeguate professionalità sarà molto difficile per le amministrazioni
valutare tutte le implicazioni delle soluzioni progettuali proposte e non è detto che il
confronto fra una pluralità di soluzioni sia sufficiente a scongiurare i rischi connessi con
questa impostazione.
A ciò si aggiunga che in non pochi casi (specie ove si tratti di appalti di lavori) lo
svolgimento della fase negoziata della gara secondo i dettami della direttiva comporterà anche
la necessità di effettuare durante il corso della stessa scelte che esulano le competenze
strettamente tecniche demandate alla commissione in quanto comportanti una valutazione di
rispondenza al pubblico interesse di una delle soluzioni progettuali proposte nel corso del
negoziato; scelte che dovranno essere demandate agli organi di indirizzo politico16.
3. Novità relative ai criteri di aggiudicazione
Molte sono le novità introdotte dalla direttiva anche sotto questo fondamentale aspetto
delle procedure di gara.
Il precedente sistema basato sui due criteri della offerta economicamente più
vantaggiosa e il prezzo più basso viene superato.
15
Le note vicende relative al ricorso da parte di certe amministrazioni locali ai contratti derivati di
swap per ristrutturare i propri debiti dovrebbero costituire un monito da tenere in attenta
considerazione.
16
Come già la giurisprudenza ha affermato a proposito della procedura di project financinng (TAR
Sardegna, 1783/2008).
18
Il criterio unico ora è quello della offerta economicamente più vantaggiosa la quale,
tuttavia, può assumere diverse configurazioni.
Il criterio della offerta economicamente più vantaggiosa può, infatti, articolarsi in tre
modi:
a)
può basarsi sul criterio del prezzo;
b)
su quello del costo;
c)
oppure nella combinazione di uno dei due suddetti criteri con la valutazione di
aspetti qualitativi (rapporto qualità/prezzo). Combinazione che può anche risolversi
nell’apprezzamento dei soli aspetti qualitativi a prezzo o costo fissi.
Il criterio del prezzo più basso, quindi, non scompare ma costituisce una delle
modalità in cui può articolarsi l’offerta economicamente più vantaggiosa, salva la possibilità
per gli stati membri di vietare l’utilizzo del prezzo o del costo come unici criteri di
aggiudicazione o di limitarne l’uso a determinate categorie di amministrazioni aggiudicatrici
o a determinati tipi di appalto.
La direttiva dedica una particolare attenzione al criterio del costo.
Tale criterio, in particolare, tiene conto non solo dell’esborso finanziario che la p.a.
deve effettuare per acquistare il prodotto ma dei costi di utilizzo che esso comporta nel corso
di tutto il suo ciclo di vita come quelli di manutenzione, di trasporto, di funzionamento
(consumi di energia), di smaltimento (una volta esaurito il ciclo).
Fra i costi da computare nella valutazione di convenienza vi sono anche quelli
riferibili alle cd. “esternalità ambientali” (come le emissioni di gas effetto serra) a condizione,
però, che sussistano sistemi oggettivi e riconosciuti per determinare il loro valore monetario
(parrebbe che a livello europeo una metodologia approvata per la quantificazione dei suddetti
costi riguardi solo i veicoli a motore).
Ancor più innovativi sono poi gli aspetti concernenti la valutazione dei profili
qualitativi dell’offerta.
Le novità al riguardo sono essenzialmente tre.
La prima consiste nella valorizzazione delle caratteristiche “sociali” e “ambientali”
dell’offerta.
Viene quindi superato il concetto di convenienza puramente economica potendo la p.a.
dare la prevalenza anche ad offerte che, benché più costose, realizzino obiettivi di carattere
19
sociale Questo in coerenza con le finalità della direttiva di valorizzare il mercato delle
commesse pubbliche anche in una chiave sociale ed ecologica.
Correlata alla prima è anche la seconda novità in tema di offerta economicamente più
vantaggiosa che consiste nella possibilità di apprezzare anche profili che non attengono alla
prestazione che costituisce l’oggetto dell’appalto.
Il collegamento con l’oggetto dell’appalto può, infatti, non essere immediato e diretto
e riguardare anche il processo produttivo, soprattutto ove ciò si leghi a criteri di valutazione di
carattere sociale.
Il considerando n. 99 della Direttiva afferma in proposito che “possono essere oggetto
dei criteri di aggiudicazione o delle condizioni di esecuzione dell’appalto anche misure intese
alla tutela della salute del personale coinvolto nei processi produttivi, alla promozione
dell’integrazione sociale di persone svantaggiate o di membri di gruppi vulnerabili nel
personale incaricato dell’esecuzione dell’appalto o alla formazione riguardante le competenze
richieste per l’appalto, purché riguardino i lavori, le forniture o i servizi oggetto dell’appalto”.
“Tali criteri o condizioni potrebbero riferirsi, tra l’altro, all’assunzione di disoccupati di lunga
durata, all’attuazione di azioni di formazione per disoccupati o giovani nel corso
dell’esecuzione dell’appalto da aggiudicare. Nelle specifiche tecniche le amministrazioni
aggiudicatrici possono prevedere requisiti di natura sociale che caratterizzano direttamente il
prodotto o servizio in questione, quali l’accessibilità per persone con disabilità o la
progettazione adeguata per tutti gli utenti”.
Nel considerando n. 97 si legge che i criteri e le condizioni riguardanti tale processo di
produzione o fornitura possono ad esempio consistere nel fatto che la fabbricazione dei
prodotti acquistati non comporti l’uso di sostanze tossiche o che i servizi acquistati siano
forniti usando macchine efficienti dal punto di vista energetico. Vi rientrano anche criteri di
aggiudicazione o condizioni di esecuzione dell’appalto riguardanti la fornitura o
l’utilizzazione di prodotti del commercio equo nel corso dell’esecuzione dell’appalto.
Il collegamento dei criteri di valutazione dell’offerta con l’oggetto dell’appalto
rappresenta, quindi, un limite blando che vale solo ad escludere dall’ambito della procedura di
aggiudicazione la valutazione di criteri e condizioni riguardanti la politica generale
dell’impresa nella misura in cui essa non interessi il processo specifico di produzione del bene
acquisito.
20
La terza novità in tema di criteri di aggiudicazione consiste nel superamento della
regola relativa alla distinzione fra requisiti di qualificazione e criteri di valutazione delle
offerte che la giurisprudenza della stessa Corte di giustizia aveva introdotto.
I requisiti soggettivi dell’operatore economico che partecipi alla gara, come
l’organizzazione e l’esperienza professionale del personale incaricato di eseguire l’appalto,
possono ora giocare non solo come elementi qualificazione dei contraenti idonei ma anche
come elementi da valutare nell’ambito degli aspetti qualitativi dell’offerta.
4. Principali novità in tema di cause di esclusione
La direttiva prevede un ampliamento delle ipotesi che costituiscono cause di
esclusione sia facoltative che obbligatorie dalle procedure.
Fra le ipotesi di esclusione obbligatoria sono ora incluse anche le condanne definitive
per reati di terrorismo e lavoro minorile.
Molto più rilevanti sono, però, le novità che riguardano le esclusioni facoltative.
Fra queste viene inclusa l’ipotesi in cui la impresa offerente non abbia osservato le
normative ambientali e sociali inerenti l’esecuzione dell’appalto. Questo in coerenza con
l’impronta ambientale e sociale che la direttiva ha inteso attribuire alla disciplina comunitaria
delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici.
Occorre sottolineare che la direttiva non considera necessario che la condotta
dell’impresa sia prevista come fattispecie di reato e che lo stesso debba essere accertato da
una sentenza del giudice penale.
Dico questo perché nel nostro ordinamento interno le cause che determinano il venir
meno della moralità professionale dell’impresa corrispondono ad ipotesi delittuose
penalmente accertate. Tali ipotesi possono comprendere sicuramente la violazione di
normative ambientali e sociali (ad es. sicurezza sul lavoro) ma ciò avviene solo se si tratta di
violazioni penalmente sanzionate rispetto alle quali sia intervenuta una sentenza.
La direttiva 24/2014 ritiene, invece, rilevante solo l’interesse protetto dalla norma
(ambiente, protezione sociale di alcune categorie) e non richiede, quindi, la configurazione
penalistica della condotta (l’esclusione del resto non è una sanzione accessoria ma un mezzo
di tutela dell’interesse pubblico).
21
Dovrebbe, quindi, essere sufficiente ad integrare la causa di esclusione anche la
commissione di un illecito amministrativo (che presumibilmente dovrà risultare accertato con
provvedimento divenuto inoppugnabile).
A questo proposito occorre sottolineare come sia nella direttiva sia nel nostro
ordinamento interno manca l’indicazione dei mezzi di pubblicità con cui la irrogazione delle
predette sanzioni dovrebbe essere resa nota alle stazioni appaltanti.
L’art. 60 comma 2 della direttiva prevede che le stazioni appaltanti al fine di provare
la regolarità contributiva, previdenziale e l’assenza di procedure concorsuali, debbano
considerare sufficiente la produzione di certificati rilasciati da autorità pubbliche ove ciò sia
previsto dalle legislazioni degli stati membri.
Nulla, però, è detto sui mezzi con cui possono essere accertate le violazioni
amministrative diverse da quelle anzidette (norme, ambientali, sociali, antitrust etc.).
Per rendere effettivo il sistema occorrerebbe, quindi, prevedere nella normativa di
recepimento l’obbligo delle amministrazioni che irrogano le sanzioni per le violazioni
costituenti cause di esclusione di effettuare la comunicazione alla autorità anticorruzione ai
fini dell’inserimento nella bancata dati nazionale dei contratti pubblici (AVCPass) prevista
dall’art. 6 bis del D.Lgs 163/2006.
In difetto di tale previsione le dichiarazioni effettuate dalle imprese di non essere
incorse in violazione di obblighi attinenti la legislazione ambientale, sociale o del lavoro,
difficilmente potranno essere verificabili al di fuori dei casi in cui la normativa abbia un
rilievo penalistico e vi sia stata sentenza di condanna annotata sul casellario giudiziario (ciò
potrà avvenire solo episodicamente).
Fra le cause di esclusione facoltative la direttiva include situazioni obiettive di
incompatibilità o ipotesi di comportamenti fraudolenti che potrebbero falsare il risultato della
procedura quali, ad esempio, il conflitto di interessi in cui si trova un amministratore o un
funzionario pubblico rispetto all’impresa partecipante, l’aver prestato una consulenza relativa
all’oggetto dell’appalto, il tentativo di influenzare indebitamente il procedimento decisionale
dell’amministrazione aggiudicatrice o di ottenere informazioni confidenziali, gli accordi fra
operatori tesi a falsare la concorrenza (partecipazioni pilotate dirette ad influenzare le medie,
spartizioni del mercato etc.).
22
Il riconoscimento che il meccanismo della concorrenza può essere falsato non solo
dalla mancata osservanza delle procedure ma anche da comportamenti o situazioni non
emergenti alla luce del sole è sicuramente un fatto positivo.
L’impressione è, tuttavia, che la UE abbia preso coscienza del problema ma non sia
riuscita ad elaborare rimedi sufficientemente efficaci.
Non solo per la generosità con cui la direttiva ammette, in alcuni di questi casi,
soluzioni alternative alla esclusione ma anche e soprattutto perché conflitti di interessi,
collusioni e comportamenti scorretti (fino alla vera e propria corruzione) emergono
solitamente in un momento successivo alla aggiudicazione a seguito di indagini di autorità
penali o amministrative.
L’esclusione dalla gara non appare quindi una misura sufficiente a contrastare la
portata anticoncorrenziale di tali comportamenti, essendo necessari strumenti che
intervengano nella fase successiva alla stipulazione del contratto.
Su questo tema, tuttavia, si riscontrano gravi lacune sia nella stessa direttiva che nel
nostro diritto interno.
La disciplina della risoluzione contenuta nella lettera b) del comma 1 dell’art. 73 della
direttiva appare, infatti, troppo timida nella parte in cui prevede che l’amministrazione possa
disporre la risoluzione del contratto solo in caso di successiva scoperta circa la sussistenza di
cause obbligatorie di esclusione non rilevate in corso di gara.
Si tratta di una disciplina del tutto insufficiente perché non copre i casi in cui si scopra
ex post che l’aggiudicazione è stata falsata da corruzione o altri comportamenti collusivi o
fraudolenti accertati successivamente (anche se la direttiva spazio alla adozione di soluzioni
più rigorose da parte dei singoli Stati che, specialmente nel caso italiano, appaiono assai
auspicabili).
Vero è che, in tali, ipotesi l’amministrazione potrebbe fare ricorso all’autotutela,
tuttavia, l’incoercibilità della procedura di annullamento d’ufficio lascia scoperto il problema
di quali possano essere gli strumenti di tutela delle posizioni soggettive lese dai
comportamenti scorretti (corruzione, accordi anti concorrenziali, conflitto di interessi etc.)
non conosciuti né conoscibili al momento della aggiudicazione (problema che, come evidente,
non viene risolto dalla sanzione del commissariamento dell’impresa che il legislatore interno
ha introdotto a seguito delle note vicende dell’Expo di Milano).
23
Altro aspetto da sottolineare e la flessibilità che la direttiva attribuisce alla disciplina
delle cause di esclusione la quale che si traduce soprattutto nella possibilità concessa
all’impresa di sanare la situazione che dovrebbe dar luogo ad esclusione adottando apposite
misure.
Il secondo paragrafo del comma 6 dell’art. 57 della direttiva prevede che tali misure
debbano consistere:
- nel risarcimento o dell’impegno a risarcire qualunque danno causato dal reato o
dall’illecito;
- nell’aver chiarito i fatti e le circostanze in modo globale collaborando attivamente
con le autorità investigative
- nell’aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi
al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti (il considerando n. 102 parla, in
proposito, di rottura di tutti i rapporti con le persone o con le organizzazioni coinvolte nel
comportamento scorretto, in misure adeguate per la riorganizzazione del personale,
nell’attuazione di sistemi di rendicontazione e controllo, nella creazione di una struttura di
audit interno per verificare la conformità e nell’adozione di norme interne di responsabilità e
di risarcimento).
La direttiva non chiarisce se tali misure siano cumulative o anche solo una di esse
possa essere sufficiente a ripristinare l’affidabilità dell’offerente.
E’ dubbio, tuttavia, che si possa prescindere dal risarcimento del danno atteso che tale
misura serve ad eliminare l’indebito vantaggio che l’impresa ha conseguito attraverso il
mancato rispetto delle normative ambientali e sociali.
Di nuovo la applicazione della direttiva chiama in causa il problema dell’elevato tasso
di discrezionalità che viene attribuito alle stazioni appaltanti anche in situazioni delicatissime
come quelle di condanna per corruzione o per reati di tipo mafioso.
Sotto questo profilo, al fine di evitare inaccettabili disparità di trattamento, dovrebbe
essere tenuto in attenta considerazione il suggerimento contenuto nel considerando 102 di
demandare ad autorità diverse dalla stazione appaltante siffatto ordine di valutazioni.
Altra novità di rilievo che la direttiva prevede a proposito delle cause di esclusione è la
disciplina del periodo della loro durata (art. 57 paragrafo 7) la cui determinazione è
demandata alle legislazioni nazionali.
24
Il comma 7 prevede, però, che se il periodo di esclusione non è stato fissato con
sentenza definitiva, non può superare i cinque anni dalla data della condanna con sentenza
definitiva nei casi di esclusioni obbligatorie e i tre anni dalla data del fatto in questione nei
casi di esclusioni facoltative.
Si tratta di una disciplina che, come è stato osservato dai primi commentatori, appare
incongrua in quanto consente di reimmettere l’impresa nel mercato delle commesse pubbliche
anche nel caso in cui la condanna penale abbia una durata superiore a cinque anni e nel
momento della offerta sia ancora in corso.
25
COMMENTO ALLA DIRETTIVA 2014/25/UE RELATIVA AGLI APPALTI NEI
SETTORI SPECIALI
Roberto Invernizzi
(Foro di Lecco)
SOMMARIO: 1. Generalità. – 2. Le prospettive del recepimento. – 3. Note
sull’ambito soggettivo applicativo. – 4. Profili di flessibilità delle procedure ex direttiva
2014/25/Ue rispetto alle regole ordinarie: tipologie di procedure di affidamento. – 4.1 In
generale, sui criteri di aggiudicazione e sulle consultazioni preventive del mercato. – 4.2 Le
procedure: il dialogo competitivo. – 4.3 Le procedure. La procedura negoziata con previa
indizione di gara: deficit di competitività nei settori speciali? – 4.4 I criteri di selezione ed
esclusione dei concorrenti. – 5. Conclusioni.
1. Generalità
Primo commento alla direttiva 2014/25/Ue che si impone è quello del rilievo della sua
stessa esistenza.
In sede di varo delle direttive 2014/17/Ce e 2004/18/Ce fu infatti prospettata la
possibilità che in sede di loro successiva revisione fosse cassata la distinzione di regole fra
appalti nei settori ordinari e in quelli speciali, a favore se non dell’identità totale di regole,
quanto meno a favore di una direttiva organica imperniata su di un ceppo di regole comuni e
con un limitato insieme di regole specifiche per i settori speciali.
Questa notazione che si impone all’evidenza nella lettura comparata dei testi delle
direttive 2014/24/Ue e 2014/25/Ue detta, per inciso, l’impostazione di questa esposizione, che
26
muoverà dalla verifica della giustificazione – pur con sempre più forte consonanza di regole –
della permanente distinzione formale fra le discipline dei due settori, per passare alla ratio
della necessità di una disciplina degli appalti nei contratti speciali, alla valutazione su come
gli elementi rivenienti dalla direttiva 2014/25/Ue si prospettino ai fini del suo recepimento,
alla valutazione di alcuni profili di distinzione fra le discipline ordinaria e speciale.
L’opzione formale è restata quella della separazione in due testi normativi distinti
(direttive 2014/24/Ue e 2014/25/Ue). Nella sostanza le due direttive accentuano le
convergenze di disciplina, proseguendo con coerenza il trend di progressivo avvicinamento
delle discipline già segnato dalle direttive 2004/17/Ce e 2004/18/Ce, da ultimo, e dalle
direttive 1992/50/Cee, 1993/36/Ce, 1993/37/Ce, da un lato, e 1993/38/Ce, dall’altro.
La distinzione formale predetta non consente ancora di reputare chiusa la marcia
partita all’epoca in cui l’affidamento di determinati appalti era tout-court sottratta alle regole
concorrenziali di matrice comunitaria, passata per l’avvento dell’era dei c.d. settori esclusi (in
concreto, a dispetto della dicitura ora detta, inclusi nel perimetro degli appalti regolati da
norme comunitarie), sino all’odierna età dei settori speciali.
Le ragioni variamente addotte in origine per la sottrazione degli appalti (esclusi) dei
soggetti aggiudicatori operanti in determinati settori alle regole comunitarie della
concorrenza, e indi per l’applicazione attenuata di esse, sono state varie: da vere o presunte
ragioni di peculiarità tecnologica dei beni e servizi da acquisire, alla pertinenza di quegli
appalti alle aree dei servizi di interesse generale; dai condizionamenti derivanti sui soggetti
assegnanti – formalmente pubblici o privati – dalle regole del diritto pubblico, al fatto che
quei settori sono stati storicamente pionieri nell’esperienza di partenariati (quando ancora non
si chiamavano così) pubblico-privati con impieghi di capitali misti; dall’esistenza di
particolari esigenze regolatorie sui mercati di riferimento, all’esistenza di politiche
marcatamente diverse entro i diversi Stati membri. E così via.
Ma questi settori sono effettivamente ancora “speciali”?
Un abbozzo di risposta si dà a due livelli: uno di tipo materiale e l’altro di tipo
normativo, direttamente facente capo, come si vedrà, alla direttiva 2014/25/Ue.
Vediamo il dato materiale. Uno studio commissionato dalla Commissione dell’Unione
europea nel 201117 evidenzia alcuni dati significativi:
17
PWC Public Procurement in Europe – Cost and effectiveness, 2011.
27
a.
gli affidamenti ai sensi della direttiva settori speciali (allora la 2004/17/Ce)
rappresentavano per numero il 10% di tutti quelli affidati in base alle due direttive
2004/17/Ce e 2004/18/Ce;
b.
in termini di valore percentuale rispetto al complesso degli affidamenti
effettuati tramite le due direttive, quelli ex direttiva 2004/17/Ce erano però il 17% del totale;
c.
il valore medio dell’affidamento ex direttiva 2004/17/Ce era di 5,9 milioni di €,
contro i 2,8 milioni di € del contratto medio ex direttiva 2004/18/Ce.
Può riflettersi sul fatto che queste distinzioni sono state in parte frutto della stessa
disciplina diversa (direttive 2004/17/Ce e 2004/18/Ce) per i due ambiti. Ma è indubbio che il
dato materiale additi a una situazione per alcuni versi di tangibile differenza per i due contesti,
tale da non fare di per sé reputare irragionevole una persistente, per quanto assottigliata,
differenza di disciplina fra le due specie di affidamenti.
Non sembra estranea a questi dati sostanziali di fondo la motivazione formale della
direttiva 2014/25/Ue espressa dal suo considerando (1), in base al quale l’analisi dell’impatto
applicativo delle direttive precedenti dimostra “opportuno mantenere norme riguardanti gli
appalti degli enti erogatori di acqua e di energia e degli enti che forniscono servizi di
trasporto e servizi postali, in quanto le autorità nazionali continuano a essere in grado di
influenzare il comportamento di questi enti, anche attraverso la partecipazione al loro
capitale sociale o l’inserimento di propri rappresentanti nei loro organi amministrativi,
direttivi o di vigilanza.”, anche considerato che “Un ulteriore motivo che spinge a continuare
a regolare normativamente gli appalti pubblici in questi settori è costituito dalla natura
chiusa dei mercati in cui agiscono gli enti in tali settori, data l’esistenza di diritti speciali o
esclusivi concessi dagli Stati membri in materia di alimentazione, fornitura o gestione delle
reti per erogare il servizio pertinente.”.
In altri termini, la permanente necessità di un insieme di regole (speciali) che assicuri
la competitività degli affidamenti nei settori speciali dipende dal fatto che per quanto per lo
più costituiti in forma privatistica gli appaltanti operano tuttora sotto pesante controllo e
influenza pubblica (con spendita, perciò, in linea di principio di quella che resta una risorsa
pubblica) e dal fatto che i soggetti assegnanti sono spesso titolari di diritti speciali, agendo
quindi in mercati non soggetti ab origine a regole concorrenziali pure.
In relazione a questo duplice ordine di considerazioni ciò che emerge con una certa
evidenza dal (sotto questo profilo senz’altro) condivisibile considerando è la necessità che
28
assegnanti così connotati debbano operare contrattualmente con norme competitive tese a fare
sì che il mercato recuperi in termini di efficienza quanto può essere ab origine perso a causa
dell’interferenza del potere pubblico in attività imprenditoriali formalmente private, ovvero a
causa delle logiche non concorrenziali degli affidamenti di talune delle concessioni o diritti
che abilitano a operare nei settori speciali.
Ciò detto, è assai meno evidente e persuasivo l’argomento che il considerando
predetto vorrebbe spendere a favore (non tanto della necessità che detti appaltanti si
assoggettino alla regole della competizione nella scelta dei propri contraenti, quanto) del fatto
che sia a tutt’oggi giustificata una disciplina peculiare (sebbene sempre meno differente da
quella odierna) degli affidamenti nei settori speciali.
Sotto questo profilo, vale forse un’esigenza sostanziale, formalmente non espressa nel
considerando, ma tuttavia oggettivamente evidente in molte delle attività “speciali” in
questione. Si tratta, anzitutto, del fatto che ben più che nei settori ordinari (con la progressiva
assunzione di rilievo dell’organismo di diritto pubblico18) i soggetti assegnanti operano in
forma giuridica privata, addirittura della “impresa pubblica”19, dal che sorge la tendenziale
necessità – pur sempre più ristretta – di poter operare con regole più flessibili di quelle
ordinarie. Il che, in secondo luogo, appare poter assumere maggior pregnanza considerato che
in molti dei settori speciali gli assegnanti nazionali debbono interloquire con soggetti
imprenditoriali sovra nazionali organizzati in forme marcatamente imprenditoriali per poter
reggere il passo con i quali sono necessarie regole contrattualistiche più flessibili di quelle
ordinarie.
È chiaro, per inciso, che la duplice (specie l’ultima) esigenza ora detta può addursi sia
per giustificare la permanenza di una formalmente diversa disciplina fra i due settori, sia per
modulare, in sede di dettatura della disciplina di recepimento relativa ai settori speciali, la
scelta di introdurre o meno tutti i vincoli procedimentali che le direttive lasciano in alcuni
punti alla discrezionalità dello Stato membro se recepire o meno.
Trattando di recepimento preme per inciso una nota sul recente assunto del Consiglio
di Stato in sede consultiva20 in tema di affidamenti in-house, in forza della non ancora
Per il quale l’art. 3 paragrafo 4 della direttiva 2014/25/Ue conferma la definizione ordinaria.
Definita ex art. 4 paragrafo 2 della direttiva 2014/25/Ue come la “impresa su cui le amministrazioni
aggiudicatrici possono esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante perché ne
sono proprietarie, vi hanno una partecipazione finanziaria o in virtù di norme che disciplinano
l’impresa in questione.”.
20
Sez. II, 30 gennaio 2015, n. 298; ibidem, 22 aprile 2015, n. 1178.
18
19
29
recepita direttiva 2014/25/Ue che esso ritiene ex se applicabile poiché “dettagliata”, con
notevole e apprezzabile slancio europeista, ma forse al di là della regola per cui l’applicazione
diretta di una direttiva esige pur sempre che, oltre che chiara e precisa nel testo, essa sia
“suscettibile di applicazione immediata, [e] dunque non condizionata ad alcun provvedimento
formale dell’autorità nazionale.”21 come sono quelli di recepimento, sino a che il relativo
termine non sia scaduto. Prima di reputare direttamente applicabili norme della direttiva
2014/25/Ue necessita quanto meno che il relativo termine vada a scadenza e che frattanto
entro esso non sia intervenuto il recepimento a opera dello Stato membro22.
2. Le prospettive del recepimento
La notazione appena espressa conduce al tema delle prospettive del recepimento delle
disposizioni sui settori speciali.
L’esame del disegno di legge governativo per la legge-delega ai fini del recepimento
delle direttive presentato lo scorso novembre e quello dei lavori parlamentari disponibili,
conferma un’assoluta identità di principi e criteri direttivi in vista del recepimento delle tre
direttive.
Ciò è consono alla spinta verso un’ulteriore omogeneizzazione delle discipline
(almeno sugli appalti), ma non sta ovviamente a significare che – anche in relazione a istituti
(molti) disciplinati identicamente dalle direttive 2014/24/Ue e 2014/25/Ue ci si debbano
attendere discipline interne identiche per i due ambiti.
Le peculiarità messe in luce in chiusura del paragrafo precedente rendono
perfettamente possibile che, pur a parità di principi e criteri di recepimento formalmente
identici, il recepimento non sia identico nei due settori, specie in relazione alla possibilità per
il legislatore del recepimento di modulare per esempio le clausole rispetto alle quali esso
acceda o meno agli ambiti di discrezionalità lasciati dal legislatore europeo. Come si
G. TESAURO, Diritto dell’Unione Europea, Padova, 2012, 169. Corte di Giustizia delle Comunità
europee: 8 aprile 1976 in causa 43/75; 5 aprile 1979 in causa 148/78; 19 gennaio 1982, in causa 8/81;
5 ottobre 2004, in causa C-397-403/01.
22
Per una più compiuta ed equilibrata ricostruzione – riferita al settore dei contratti pubblici dell’ampiezza degli effetti delle direttive dettagliate non ancora recepite, e per la messa a fuoco di
come rispetto a esse si pongano il tema della interpretazione conforme del diritto nazionale rispetto a
quello europeo e del significato e dei limiti dello stand still europeo, si veda Consiglio di Stato, Sez.
VI, 26 maggio 2015, n. 2660.
21
30
accennava, una tendenziale minor introduzione di vincoli sarebbe consona alla pur fortemente
ridotte peculiarità riconosciute ai settori speciali.
Sotto questi profili anche il divieto di gold-plating che sia secondo il diritto
dell’Unione sia secondo i principi e direttive in corso di elaborazione per la legge-delega
rappresenta uno dei fili conduttori dell’operazione di recepimento, può declinarsi
differentemente con riferimento allo specifico recepimento delle disposizioni afferenti ai
settori speciali.
3. Note sull’ambito soggettivo applicativo
È confermata la tradizionale impostazione che vede la direttiva per i settori speciali
applicabile all’esito di una duplice valutazione di tipo soggettivo e oggettivo. Occorre, in altri
termini, che si tratti di soggetti con peculiari caratteristiche soggettive, e che operino nel
campo di svolgimento di determinate attività. Il meccanismo è più complesso di quello di cui
alla direttiva sui settori ordinari, che vede definito il proprio campo di applicazione in linea di
principio sulla scorta della qualificazione come latamente pubblico del soggetto assegnante.
Il combinato disposto degli artt. 3 e 4 della direttiva 2014/25/Ue indica in tal senso
quali enti aggiudicatori:
a. le amministrazioni aggiudicatrici e le imprese pubbliche operanti nei settori speciali;
b. i soggetti che, pur non essendo amministrazioni aggiudicatrici o imprese pubbliche
operano nei settori speciali in virtù di diritti speciali o esclusivi concessi dal potere pubblico
tramite disposizioni legislative o amministrative aventi l’effetto di riservare a uno o più
soggetti le attività nei settori esclusi, e di incidere [ovviamente in negativo] sulla possibilità
di altri enti di esercitare tale attività.
In relazione a quest’ultima classe soggettiva, il secondo comma del paragrafo 3
dell’art. 4 della direttiva specifica non ricorrere l’ipotesi dei diritti speciali o esclusivi con
riferimento al caso in cui la concessione della posizione corrispondente all’esercizio del
diritto speciale o esclusivo sia stata assegnata “in virtù di una procedura in base alla quale è
stata assicurata una pubblicità adeguata”.
31
In questi casi (enti aggiudicatori diversi da amministrazioni aggiudicatrici o imprese
pubbliche titolari di esclusive affidate con modalità competitive) la direttiva 2014/25/Ue non
si applica.
La ratio sottostante appare legata a quella che connota in generale il sistema della
disciplina europea del sistema di appalti e concessioni latamente pubbliche e in specie il
sistema degli appalti nei settori speciali. Le norme pro competitive volgono in genere a fare sì
che soggetti assegnanti in oggettive posizioni di preminenza (dovute alla soggettività pubblica
e/o alla titolarità di posizioni di esclusiva ottenute in modo non competitivo) operino in
maniera non discriminante e perciò efficiente sia a livello di funzionalità del sistemaordinamento sia a livello di allocazione delle risorse (più efficiente spendita di una risorsa
latamente pubblica).
Nel caso specificamente in esame l’evidente presunzione della direttiva è che il
soggetto che si sia aggiudicato in modo competitivo l’esclusiva attività in uno dei settori
speciali sia spinto dalla forza delle cose a non comportarsi in maniera discriminatoria nella
sede dei suoi acquisti. Detto altrimenti, se esso ha dovuto compiere sforzi tecnico-economici
per aggiudicarsi l’esclusiva in esito a una procedura competitiva (nella quale ha dovuto
misurarsi con offerte omologhe e concorrenti) la presunzione è che esso non abbia più riserve
di risorse per permettersi poi affidamenti non guidati da una rigorosa ricerca dell’efficienza
(in termini di minori costi e di soluzioni tecniche più vantaggiose).
Il tema in questione è delicato anche per la sua contiguità al campo degli aiuti di Stato
(artt. 107 e ss. TFUE), dovendosi indagare con particolare severità la effettiva natura
competitiva e concorrenziale della procedura all’origine dell’assegnazione dell’esclusiva in
questione.
32
4. Profili di flessibilità delle procedure ex direttiva 2014/25/Ue rispetto alle regole
ordinarie: le tipologie di procedure di affidamento e i criteri di aggiudicazione
4.1. In generale, sui criteri di aggiudicazione e sulle consultazioni preventive del
mercato
La direttiva 2014/25/Ue assume profili di forte parallelismo con la direttiva
2014/24/Ue in relazione a una serie di istituti innovativi introdottine, nonché in merito alla
parimenti innovativa strutturazione dei criteri di aggiudicazione.
Quanto a questi ultimi gli artt. 67 e 68 della direttiva 2014/24/Ue sono ricalcati dagli
artt. 82 e 83 della direttiva 2014/25/Ue. Anche nei settori speciali è, quindi, accolta
l’evoluzione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa verso il concetto della
considerazione del fattore prezzo e del costo, anche nella proiezione della considerazione del
ciclo di vita dei beni o servizi acquisiti, nonché con l’esasperazione della considerazione delle
componenti tecniche di offerta che può oggi condurre ad affidamenti a prezzo bloccato nei
quali la competizione venga a vertere sulle sole componenti tecnico-qualitative di offerta.
Anche nei settori speciali si completa perciò quel ribaltamento di prospettiva che sul terreno
nazionale si misura nel percorso dalla assoluta o quasi preminenza del criterio del prezzo più
basso in testi come i rr.dd. 2440/1923 e 827/1924 (ma anche nelle prime formulazioni della l.
109/1994 …), attraverso il riconoscimento23 tendenziale di una legittima combinazione di
fattori, sino all’odierno ribaltamento di prospettiva predetto.
Ancora, le direttive 2014/24/Ue e 2014/25/Ue sono parallele nell’accogliere la
disciplina dei sondaggi preliminari di mercato sottoforma delle consultazioni preliminari di
mercato e della connessa disciplina della partecipazione precedente di candidati e offerenti
(artt. 40 e 41 direttiva 2014/24/Ue e artt. 58 e 59 direttiva 2014/25/Ue). Si tratta di profili
rilevanti, in precedenza a torto negletti – fatto salvo rispetto al dialogo tecnico di all’ottavo
considerando motivazionale della direttiva 2004/18/Ce e a un paio di sentenze della CGUE,
positivi perché apportatori di chiarezza nella fase dell’impostazione delle procedure, ove per
Es. in taluni filoni giurisprudenziali degli anni ’90 che ancora argomentavano – per la verità in
assenza sostanziale di agganci già nelle direttive dell’epoca – la necessità di quanto meno accordare al
fattore economico la preminenza (più della metà del punteggio assegnabile) su quello tecnicoqualitativo.
23
33
eccellenza possono annidarsi le distorsioni che il successivo svolgimento della gara nel
pedissequo rispetto delle (distorsive) regole di essa non fa che perpetuare.
Parimenti analoga (art. 48 direttiva 2014/25/Ue e art. 30 direttiva 2014/24/Ue) è la
conferma dello strumento del dialogo competitivo già noto alle direttive precedenti, al fine di
elaborare soluzioni non ben chiare neppure all’assegnante a base della procedura, ma
suscettibili di trovare nel mercato la base per la soddisfazione di esigenze dell’assegnante che
il dialogo stesso concorre a porre a fuoco.
E, ancora, è comune ai due testi la forte novità costituita dai partenariati per
l’innovazione (artt. 31 direttiva 2014/24/Ue e art. 49 direttiva 2014/25/Ue), con il loro
fondamentale obiettivo di promuovere l’innovazione nel rapporto fra assegnante e operatori
economici, in vista anzitutto dell’innovazione stessa prima ancora per che l’assegnazione di
un determinato contratto.
Bisogna però sottolineare che questa tendenziale comunanza (fra le due direttive) di
strumenti innovativi si cala in contesti diversi nei due corpora, con il risultato indiretto di
accentuare i gradi di discrezionalità e libertà operativa degli assegnanti operanti nei settori
speciali rispetto a quelli operanti nei settori ordinari.
4.2. Le procedure: il dialogo competitivo
Proprio quanto all’in apparenza identicamente disciplinato dialogo competitivo nei
due ambiti – settori esclusi e settori ordinari - occorre registrare anzitutto che la direttiva
2014/24/Ue si preoccupa con apposite disposizioni (art. 26 paragrafo 4, “Scelta delle
procedure”) di disciplinare casi e modi di legittimo impiego della procedura. Ciò rimarca la
preoccupazione – latente nel sistema – che le procedure più innovative e per loro natura più
flessibili (si tratta di esplorare i limiti di soluzioni tecnico-economiche di mercato in rapporto
a esigenze innovative degli assegnanti) siano quelle che, se non adeguatamente presidiate,
possono aprire all’arbitrio la porta delle procedure. Onde, per i settori ordinari sono dettati
parametri-guida normativi volti a normalizzare il ricorso a quelle procedure e, di
conseguenza, a permettere un miglior controllo anche giurisdizionale, sul loro impiego da
parte degli assegnanti.
34
In relazione al dialogo competitivo nei settori speciali, l’art. 44 direttiva 2014/25/Ue,
in apparenza omologo all’art. 26 direttiva 2014/24/Ue, stando alla rispettiva identica rubrica
(Scelta delle procedure), manca della specificazione di casi e modi nei quali debba applicarsi
il dialogo competitivo. Possiamo concludere che la scelta in proposito possa essere arbitraria?
Di certo no. Criteri generali come quello di proporzionalità e ragionevolezza escludono
l’arbitrio. È immaginabile a livello sistematico - quanto meno entro certi limiti24 - la
possibilità di appoggiare sull’analogia le valutazioni in tema di legittimo impiego del dialogo
competitivo nei settori speciali.
Tuttavia, la mancanza di detta prescrizione di indirizzo sull’uso del dialogo
competitivo ha l’indubbio effetto di rendere più flessibile – a discrezione, non ad arbitrio,
dell’assegnante – la procedura con riferimento ai settori speciali. Con conferma delle
rivendicate esigenze di fondo che tuttora (primo considerando motivazionale della direttiva
2014/25/Ue) ne vogliono preservare specificità di presupposti applicativi e disciplina
applicabile.
4.3. Le procedure. La procedura negoziata con previa indizione di gara: deficit di
competitività nei settori speciali?
Una duplice apparente dissonanza rispetto al principio dell’accentuato parallelismo di
strumenti fra le due direttive si lega:
a. al mantenimento nella direttiva 2014/25/Ue della figura – che era nella direttiva
2004/18/Ce ed emergeva dalla direttiva 2004/17/Ce – della procedura negoziata con previa
pubblicazione di bando (o indizione di gara);
b. all’assenza dalla direttiva 2014/25/Ue della peculiare figura innovativa costituita nei
settori ordinari dalla Procedura competitiva con negoziazione ex art. 29 direttiva 2014/24/Ue;
c. al corollario del superamento nella direttiva 2014/24/Ue della figura (già nella
direttiva 2004/18/Ue) della procedura negoziata previa pubblicazione di bando.
24
Resta significativo che il legislatore europeo non abbia voluto nella direttiva 2014/25/Ue la formula
che nella direttiva 2014/24/Ue delimita l’applicazione del dialogo competitivo, ma di certo da ciò non
può trarsi un divieto di ricorso allo strumento analogico per valutarne la congruità applicativa anche
nel campo dei settori speciali.
35
La lettura approssimativa di questa combinazione di innovazioni farebbe percepire un
deficit di competitività nella disciplina dei settori speciali rispetto a quella dei settori ordinari.
Colpisce in specie la formale assenza dalla direttiva 2014/25/Ue dello strumento della
procedura competitiva con negoziazione, giustamente salutata come una fra le maggiori
novità apportate dalla direttiva 2014/24/Ue nel settori ordinari.
Al di là dei dati formali stanno però quelli sostanziali, che possiamo affrontare a
partire dalla tematica della procedura negoziata con previa indizione di gara ex art. 47
direttiva 2014/25/Ue.
Ciò posto, facciamo un passo indietro al regime delle direttive 2004/17/Ce e
2004/18/Ce. Esse prevedevano entrambe lo strumento della procedura negoziata previa
pubblicazione di bando, ma a parità di nomen la disciplina era piuttosto differente.
Anzitutto, l’art. 30 della direttiva 2004/18/Ce vincolava l’utilizzo dello strumento a
casi nei quali ricorressero presupposti particolari.
Per converso, il legislatore dei settori speciali (direttiva 2004/17/Ce) dettava una
disciplina minimale, essenzialmente per differenza – entro l’art. 40 – rispetto al caso della
procedura negoziata senza previa pubblicazione di bando. Per il resto le pochissime regole
dettate erano di taglio assolutamente generale (invito simultaneo a presentare offerta,
selezione di offerte e candidati sulla scorta di quanto anticipato dall’avviso o bando della
procedura).
Si apriva, così, nei settori speciali, un terreno amplissimo per l’uso della procedura
negoziata previa pubblicazione di bando. Legittimata la quale (art. 40 direttiva 2004/17/Ue)
veniva a profilarsi un ampio spazio discrezionale afferente sia all’an del ricorso alla
negoziazione, sia ai contenuti e alle modalità di questa, con sostanziale libertà – nei limiti
della proporzionalità, della ragionevolezza, della tutela della par condicio e della trasparenza
– per l’assegnante nella strutturazione di fasi e modi della negoziazione, in relazione alle
oggettive esigenze presentate dal quid di volta in volta oggetto di assegnazione25. Anche le
Così, in relazione all’art. 220 d.lgs. 163/2006, basato sull’art. 40 della direttiva 2004/17/Ce, è
osservato che 1.“Una prima e appariscente particolarità propria della disciplina recata dall’art. 220
(e mutuata dalla disciplina previgente), integrante una differenza sostanziale rispetto al regime
ordinario, riguarda la discrezionalità di cui è investita la stazione appaltante nel prescegliere l’una
piuttosto che l’altra procedura di affidamento: e infatti l’art. 220 – diversamente dall’art. 56 – non
assoggetta la facoltà di aggiudicazione a mezzo di procedura negoziata previo bando a rigide e
tassative condizioni, ma anzi ne attua una completa parificazione alle altre metodologie,
tradizionalmente ritenute maggiormente garantistiche della concorrenza e della parità di accesso
degli operatori economici. Ne consegue che alle stazioni appaltanti è lasciata la piena discrezionalità
25
36
schematiche minimali richieste di contenuto del bando a base della procedura dettate
dall’apposito allegato alla direttiva non intaccavano, ma solo regolavano, quest’ampia
possibilità, contrapposta ai ben più ristretti margini di impiego della procedura negoziata
previo bando nei settori ordinari ex direttiva 2004/18/Ce26 27.
Per inciso, il disegno di questo ambito di discrezionalità è uno dei fattori all’origine
del censimento, nel 2011, della procedura negoziata previa pubblicazione di bando come la
procedura standard di aggiudicazione degli appalti nei settori speciali28.
E oggi?
di acquisire i lavori, i servizi o le forniture sempre e comunque secondo questa procedura, senza
neppure la necessità di un’analitica motivazione” (C. CACCIAVILLANI–G. BERTO, sub art. 220, in
Commentario al codice dei contratti pubblici, diretto da G. F. FERRARI–G. MORBIDELLI, Milano,
2013, 189-190). In termini analoghi: “Gli enti aggiudicatori dei settori speciali possono utilizzare
procedure aperte, ristrette, negoziate previo bando, e dialogo competitivo. Non sono stabiliti limiti per
la procedura negoziata previo bando, che è dunque alternativa a quella aperta e a quella ristretta
(art. 220, codice)” (R. DE NICTOLIS, Manuale dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e
forniture, Roma, 2010, 906).
26
“Quel che interessa nella presente sede è evidenziare come nei settori speciali, contrariamente a
quello che accade nei settori cc. dd. classici, il legislatore nazionale considera tutte le procedure di
scelta, purché precedute dalla pubblicazione di avviso di gara, come assolutamente alternative tra
loro, nel senso che gli enti aggiudicatori obbligati al rispetto della disciplina di cui alla Parte III del
Codice possono ricorrere alternativamente ad una procedura aperta, ristretta, negoziata o al dialogo
competitivo previa pubblicazione di bando per l’individuazione del soggetto con cui stipulare il
contratto, senza alcuna limitazione o preferenza tra esse, fatte salve le ipotesi – tassativamente
individuate dall’art. 221 – in cui possono avvalersi anche delle procedure negoziate senza indizione di
gara.” (R. GAROFOLI–G. FERRARI, sub art. 220, in Codice degli appalti pubblici, Roma, 2010, 1972).
27
“Quest’ultima [la direttiva comunitaria 17/2004 n.d.r.], infatti, nei settori speciali considera
equivalenti le procedure aperte, ristrette e negoziate con bando lasciando, quindi, piena
discrezionalità e ben può il legislatore nazionale attuare detti principi applicando agli appalti di
servizi di pulizia non funzionali all’attività nei settori speciali, come nel caso in esame, i maggiori
limiti previsti per gli appalti di servizi nei settori ordinari che prediligono la procedura aperta o
ristretta per la scelta del contraente al fine di garantire una più ampia concorrenza nei servizi non
funzionali all’attività dei settori speciali.” (T.a.r. Emilia Romagna, Parma, Sez. I, 28 maggio 2007, n.
315). In termini analoghi (Consiglio di Stato, Sez. VI, 24 dicembre 2009, n. 8704) “Si osserva, inoltre,
al riguardo che la pronuncia della Sesta Sezione di questo Consiglio di Stato 22 aprile 2008, n. 1856
(la quale, pure, ha enunciato in modo amplissimo e con la massima estensione di conseguenze il
principio di matrice comunitaria della pubblicità nelle operazioni di gara anche con riferimento ai
c.d. ‘settori speciali’), ha nondimeno avuto modo di richiamare in modo espresso le assolute
peculiarità della procedura negoziata nell’ambito dei settori speciali, sottolineando (anche attraverso
il rinvio alla decisione 4 novembre 2002, n. 6004) che “solo questa (…) conserva margini di snellezza
e di elasticità che giustificano la sottrazione a regole formali operanti con riferimento alle gare
sottoposte ad un più intenso tasso di pubblicità e di formalismo" (sentenza n. 1856, cit., punto 5.7 della
motivazione)”.
28
PWC Public Procurement, cit.: “Negotiated procedure is much preferred by the Utilities Directive.
It’s the de facto standard procedure and used more frequently than for the classical directive. […]”,
anche a corollario del fatto che “negotiated procedures without publication are applied more
frequently” nei settori speciali stante la maggior flessibilità della relative disciplina anche nella
prospettiva di uso della procedura negoziata senza previa pubblicazione di bando.
37
La previsione di una disciplina ad hoc per la Procedura negoziata con previa
indizione di gara concentrata nell’art. 47 della direttiva 2014/25/Ue potrebbe apparire di per
sé una involuzione rispetto al più libero sistema precedente e come un deficit di competitività
rispetto alla più scintillante Procedura competitiva con negoziazione ex art. 29 direttiva
2014/24/Ue.
Si vede, in realtà, anzitutto che nella sua scarna portata di principio l’art. 47 direttiva
2014/25/Ue non va oltre il consolidamento testuale unitario di una serie di regole che
l’omologa precedente direttiva 2004/17/Ce collocava in taluni incisi entro pochi dei suoi
articoli.
Si vede inoltre – e soprattutto – che il rapporto fra la disciplina ex art. 47 direttiva
2014/25/Ue e art. 29 direttiva 2014/24/Ue è di totale continenza, nel senso che una procedura
con i lineamenti e contenuti di quella ex art. 29 ora detto è configurabile da un assegnante che
operi nei settori speciali sulla formale scorta dell’art. 47 direttiva 2014/25/Ue.
Si vede, di conseguenza, che fra i due settori, il deficit di discrezionalità (pur ampliate
in assoluto rispetto al previgente sistema ex direttiva 2004/18/Ce) connota, nella relazione con
la disciplina ex direttiva 2014/25/Ue, la disciplina dei settori ordinari ex direttiva 2014/24/Ue.
Infatti, all’assegnante operante nei settori speciali è dato tutto quanto è dato fare
all’assegnante nei settori ordinari, con l’aggiunta – nell’area fra i due cerchi concentrici
costituiti all’esterno dalla disciplina ex art. 47 direttiva 2014/25/Ue e all’interno da quella ex
art. 29 direttiva 2014/24/Ue – di un margine di maggior flessibilità e discrezionalità nella
strutturazione di contenuti e obiettivi della negoziazione (anche in più livelli).
I limiti fondamentali restano quelli di tutela della par condicio, della trasparenza, della
ragionevolezza e della proporzionalità, con l’ausilio, sul piano nazionale, anche di norme
come l’art. 12 l. 241/1990.
Anche qui l’analogia che possa portare a strutturare una procedura ex art. 47 direttiva
2014/25/Ue alla identica stregua di una procedura competitiva con negoziazione ex art. 29
direttiva 2014/24/Ue è senz’altro ammessa. I margini di adattabilità di quest’ultima ai settori
speciali sono però ampi.
38
4.4. I criteri di selezione ed esclusione dei concorrenti
Una conferma del fatto che la pure tangibile maggiore assimilazione delle discipline di
settori speciali e ordinari mantiene in essere differenze ben percepibili emerge dal raffronto
fra la disciplina dei criteri di selezione ed esclusione di candidati od offerenti rispettivamente
facenti capo agli artt. 78 e 80 della direttiva 2014/25/Ue e agli artt. 57 e 58 della direttiva
2014/24/Ue.
Il paragrafo 1 dell’art. 78 della direttiva 2014/25/Ue detta una sintetica disciplina
teleologica, secondo la quale “Gli enti aggiudicatori possono stabilire norme e criteri
oggettivi per l’esclusione e la selezione degli offerenti o dei candidati.” esigendo solo che
“Tali norme e criteri” siano “accessibili agli operatori economici interessati”. In concreto, il
limite è quello della pertinenza, ragionevolezza, oggettività e proporzionalità dei criteri
selettivi, ovviamente assumendo quale parametro di riferimento l’oggetto dell’affidamento di
volta in volta considerato.
L’art. 80 della direttiva 2014/25/Ue argina l’ampiezza della discrezionalità legata a
detta amplissima formulazione assegnando29 la facoltà di fare riferimento ai ben più articolati
insiemi di parametri di esclusione e selezione di cui agli artt. 57 e 58 direttiva 2014/24/Ue.
Essendo significativo, in questo contesto, che solo gli enti aggiudicatori che siano
amministrazioni aggiudicatrici debbono necessariamente applicare i parametri di esclusione di
cui all’art. 57 nn. 1 e 2 direttiva 2014/24/Ue, ossia i casi di condanne penali impeditive.
Si tratta dell’ennesima prova di flessibilità del sistema di assegnazione degli appalti
nei settori speciali, che può peraltro essere governato riducendone l’ampia portata
discrezionale, con ricorso ai principi generali e all’analogia.
5. Conclusioni
Valgono per i settori speciali le preoccupazioni di fondo circa la capacità del
legislatore del recepimento di cogliere appieno le potenzialità degli strumenti apprestati dalle
nuove direttive e di tradurle in norme funzionali nel nostro ordinamento.
29
Peraltro non al legislatore del recepimento, ma, parrebbe, al gestore della singola procedura di
assegnazione. Il che è elemento di ponderazione alla luce del divieto di gold-plating.
39
Valgono vieppiù i timori circa la capacità degli assegnanti nazionali di gestire
procedure che hanno ormai grandi potenzialità in termini di efficacia nel perseguimento degli
obiettivi tecnico-qualitativi ed economici perseguiti, ma che proprio per ciò esigono
un’elevata capacità di gestione, forse non posseduta dall’assegnante medio – specie pubblico
– nazionale.
Quest’ultimo problema potrebbe in parte essere contenuto nei settori speciali dalla
relativamente superiore preparazione tecnico-giuridica degli assegnanti, anche in omaggio
alla loro strutturazione privatistica e imprenditoriale, rispetto a quelli operanti nei settori
ordinari.
Ulteriore fattore di contenimento può essere quello dell’accentuata spinta verso forme
di acquisizione centralizzate presso grandi soggetti, articolati e strutturati più del singolo
assegnante, pur se fatalmente meno in grado di cogliere le specifiche esigenze legate alla
singola acquisizione, in assoluto meglio percepite dal singolo destinatario di questa.
41
COMMENTO ALLA DIRETTIVA 2014/23/UE SULLE CONCESSIONI DI
LAVORI E DI SERVIZI
Andrea Mozzati
(Foro di Genova)
SOMMARIO: 1. Introduzione. - 2. La perimetrazione della figura della concessione. 3. La fase dell'evidenza pubblica nell'assegnazione della concessione. - 4. L'incidenza dei
principi concorrenziali anche nella fase esecutiva del rapporto concessorio. - 5.
Considerazioni finali.
1. Introduzione
Nel mio intervento intendo passare in rassegna alcuni dei punti salienti della direttiva
2014/23/UE, che contiene, per la prima volta, una disciplina completa e articolata – a livello
europeo – delle concessioni di lavori e di servizi.
Viene così a completamento il percorso avviato dalle istituzioni europee a partire dalla
comunicazione della Commissione del 29/4/2000, che aveva introdotto una regolamentazione
embrionale – tra l'altro, formalmente non vincolante – dei rapporti concessori.
L'evoluzione di tale percorso non è stata certo lineare, com'è confermato dal fatto che
più volte il tema delle concessioni è stato inizialmente trattato e poi stralciato nell'ambito del
procedimento di adozione delle direttive sugli appalti30.
Per una panoramica generale, v. A. MASSERA – G. PIZZANELLI, I contratti nei servizi pubblici a rete
fra negoziazione e mercato, in Trattato dei contratti, a cura di V. Roppo, Vol. V, Milano, 2014, 1143 e
A. MASSERA, Lo Stato che contratta e che si accorda. Vicende della negoziazione con le PP.AA., tra
concorrenza per il mercato e collaborazione con il potere, Pisa, 2012, soprattutto 154 e ss..
30
42
La materia si è rivelata "sensibile" in considerazione del fatto che l'istituto della
concessione – anche quella di lavori – finisce per coinvolgere l'area dell'organizzazione e
della gestione dei servizi pubblici e, più precisamente, dei servizi di interesse generale.
Materia che tradizionalmente ha suscitato e suscita la ritrosia di alcuni Stati membri a "subire"
gli interventi del legislatore europeo.
Di fronte, tuttavia, alla progressiva enunciazione dei principi in materia di concessioni
da parte del giudice europeo, è maturata la consapevolezza della necessità della
"codificazione" mediante una direttiva quadro31.
L'accordo tra i varî Stati membri si è, quindi, formato su alcuni punti di "specialità"
del regime delle concessioni rispetto a quello ordinario degli appalti: sicché se, da un lato, la
direttiva sancisce definitivamente l'apertura delle concessioni alla concorrenza per il mercato
e, quindi, all'obbligo di indire procedure competitive per il loro affidamento, dall'altro lato,
viene consentito lo svolgimento di gare ampiamente flessibili e liberamente modulabili da
parte dell'Amministrazione concedente.
Prima di scorrere sinteticamente i punti cardine della direttiva, preme mettere in
rilievo un'opzione di metodo che diviene ormai imprescindibile a seguito della direttiva
2014/23/UE32.
Non pare, infatti, più possibile confondere e sovrapporre porzioni del regime giuridico
tradizionale, formatosi nell'ordinamento interno, con parti della (nuova) disciplina europea,
come si vedrà, ispirata – in varî punti – a finalità ed obiettivi differenti rispetto a quella
nazionale.
Infatti, il regime giuridico delle concessioni – a livello sia dei principi, sia delle
concrete norme da applicare – va ricostruito prendendo come riferimento preminente la
direttiva 2014/23/UE e la giurisprudenza del giudice europeo. Il diritto interno, quindi, non
può che assumere valore sussidiario soltanto negli spazi lasciati aperti dalla normativa
europea.
31
V. R. CARANTA, The Changes to the Public Contracts Directives and the Story they tell about how
EU law works, in Common market law review, 2015, 52, 429 e ss.; e R. CARANTA – D. COSMIN
DRAGOS, La mini – rivoluzione del diritto europeo dei contratti pubblici, in Urb. App., 2014, 493.
32
Sull'interrelazione tra il livello europeo e quello interno nella materia amministrativa, sia consentito
rinviare a A. MOZZATI, La conformità europea dei procedimenti e degli atti amministrativi interni,
Torino, 2012.
43
2. La perimetrazione della figura della concessione
La direttiva 2014/23/UE codifica l'approccio sostanzialistico nell'individuazione del
perimetro di applicazione della nozione di concessione33.
Innanzitutto, viene confermata [art. 5, par. 1, lett. a) e b)] la definizione in senso
bilaterale e negoziale del rapporto concessorio, come peraltro già previsto dall'art. 1 della
direttiva 2004/18/CE (sul punto si tornerà comunque più avanti).
Quanto alla distinzione tra la concessione e l'appalto, viene per la prima volta
disciplinato in maniera puntuale il criterio della traslazione del rischio operativo (che verrà
trattato nella relazione del prof. Quaglia).
La norma – contenuta nell'art. 5, punto 1 – va necessariamente integrata con le
importanti indicazioni desumibili dai considerando nn. 18, 19 e 20.
Nonostante alcune autorevoli opinioni discordi34, risulta confermato che l'operazione
volta a distinguere tra l'appalto e la concessione si traduce in un accertamento sostanziale
circa l'assetto patrimoniale ed economico del rapporto tra ente concedente e concessionario.
Siffatto accertamento deve essere mirato a verificare l'effettività del trasferimento di una
quota adeguata del rischio operativo in capo al concessionario, indipendentemente dal nomen
juris e dalla disciplina formale del rapporto.
Non può, quindi, escludersi che la gestione di un servizio pubblico in senso stretto (v.
ad esempio, la raccolta e il trasporto dei rifiuti) possa essere configurata come un appalto; e
che, viceversa, la prestazione di un determinato servizio, pur se non riconducibile all'area del
servizio pubblico, sia qualificata e qualificabile come concessione di servizi.
Sempre ai fini dell'individuazione del perimetro di applicazione della figura della
concessione, va osservato che, in base al considerando n. 11, non risulta necessario il
trasferimento di determinati beni in proprietà all'Amministrazione concedente. Com'è noto,
costituisce, invece, un elemento tipico dei rapporti di concessione (non soltanto, di opera
33
V. M. RICCHI, La nuova direttiva comunitaria sulle concessioni e l'impatto sul Codice dei contratti
pubblici, in Urb. App., 2014, 743 e ss..
34
V. A. CARULLO, L'attuale necessità di una corretta distinzione tra appalti pubblici di servizi e
concessioni di servizio pubblico. Un intricato percorso a tappe: dall'irrilevanza della gara,
all'affermazione di un differente partenariato pubblico-privato, e la consapevolezza di un'occasione
perduta, in Riv. Trim. App., 2014, 701 e ss.
44
pubblica, ma anche di servizi) il passaggio all'Amministrazione – quantomeno al termine
della concessione – dei beni nel frattempo realizzati dal concessionario35.
Ciò che, quindi, rileva ai fini della direttiva 2014/23/UE è che vi sia non tanto un
trasferimento di proprietà, ma che i vantaggi derivanti dai lavori o dai servizi affidati al
concessionario siano sempre di pertinenza degli enti concedenti.
Si tratta, in altri termini, della necessaria sussistenza di uno o più interessi pubblici che
devono innervare il rapporto concessorio, a prescindere dal regime dominicale dei beni
realizzati dal concessionario (si pensi, ad esempio, alla concessione per la realizzazione e
gestione di un albergo o di un centro sportivo).
Viene, poi, tracciato il confine tra la concessione e l'assegnazione di finanziamenti, la
quale non rientra nel campo di applicazione della direttiva (v. considerando n. 12).
Il considerando n. 14 (ri)apre poi la questione della distinzione tra autorizzazione e
concessione, che tradizionalmente si è imperniata nel nostro ordinamento sulla preesistenza o
meno, in capo al privato, del potere giuridico di esercitare una determinata attività: così,
l'autorizzazione rimuove un limite all'esercizio di un potere già presente nella sfera giuridica
dell'operatore economico; per contro, la concessione si traduce nella creazione/costituzione ex
novo di siffatto potere a favore del concessionario.
Sul versante europeo emerge un criterio distintivo parzialmente differente.
Infatti, non sono configurabili come concessioni, ma quali autorizzazioni o licenze gli
atti attraverso i quali l'Amministrazione stabilisce le condizioni per l'esercizio di una
determinata attività economica, rilasciati a seguito di una richiesta dell'operatore economico
(e non su iniziativa dell'Amministrazione stessa) e, comunque, suscettibili di lasciare
l'operatore economico libero di non eseguire le attività relative ai lavori o ai servizi.
Il focus della norma europea è, dunque, non tanto sulla natura della posizione giuridica
"a monte" posseduta dall'operatore economico, quanto sulla doverosità (o meno) dell'attività
assentita con l'atto amministrativo.
Tant'è che – puntualizza il considerando n. 14 –, a differenza delle autorizzazioni o
licenze, i contratti di concessione stabiliscono obblighi reciprocamente vincolanti, in forza dei
quali l'esecuzione dei lavori o dei servizi è soggetta a specifici requisiti definiti dall'ente
concedente, aventi "forza esecutiva".
35
Sul punto v. D. DE PRETIS, Aspetti del regime dei beni nelle concessioni di servizi, in F. Roversi
Monaco (a cura di), Le concessioni di servizi pubblici, Rimini, 1988, 133.
45
Destinato ad assumere rilevanti ricadute è poi il considerando n. 15, che intenderebbe
fissare un criterio di distinzione tra le concessioni dei beni e le concessioni di lavori o servizi.
Anche in questo caso lo scarto rispetto all'ordinamento interno è significativo.
In effetti, si è tradizionalmente differenziata la concessione di beni da quelle di lavori
o servizi facendo riferimento allo sfumato requisito dell'accessorietà (o meno) del bene
rispetto al contenuto principale del rapporto.
Il considerando n. 15 della direttiva pare, invece, limitare la concessione (e la
locazione) di beni esclusivamente ai casi nei quali l'Amministrazione concedente "fissa
unicamente le condizioni generali d'uso senza acquisire lavori o servizi specifici": pertanto,
ove l'assegnazione del bene all'operatore economico sia accompagnata e collegata alla
doverosa esecuzione, da parte di quest'ultimo, di lavori o servizi destinati ad essere acquisiti
dall'ente concedente, allora il rapporto dovrebbe rientrare nell'area disciplinata dalla direttiva
2014/23/UE.
Quanto sopra impatta, ad esempio, sul regime delle concessioni demaniali disciplinate
dal codice della navigazione o dalla legge n. 84/1994 (per le concessioni portuali): così, la
concessione di un'area per uno stabilimento balneare dovrebbe fuoriuscire dal campo di
applicazione della direttiva; non altrettanto può dirsi per la concessione di un terminal
passeggeri o per alcune concessioni terminalistiche (ex art. 18, legge n. 84/1994)36.
In definitiva, anche a seguito dell'analisi degli articolati considerando (che sono
imprescindibili ai fini dell'individuazione del perimetro di applicazione della direttiva), si può
sinteticamente affermare che il rapporto concessorio – nella direttiva 2014/23/UE – si
caratterizza:
per la realizzazione, da parte del concessionario, di lavori o servizi che perseguano
uno o più interessi pubblici;
per la doverosità, sul versante pubblicistico, dell'esecuzione delle attività oggetto della
concessione da parte del concessionario, che, dunque, non dispone di autonomia nel
rinunciare o abbandonare l'intrapresa;
per il trasferimento in capo al concessionario di una rilevante e determinante quota di
rischio imprenditoriale;
36
Sul punto, v. M. RICCHI, op. cit., 748.
46
per la creazione di un rapporto sostanzialmente sinallagmatico, che si traduce – come
previsto chiaramente dal considerando n. 14 – nella previsione di "obblighi reciprocamente
vincolanti" tra le parti37.
3. La fase dell'evidenza pubblica nell'assegnazione della concessione
Come si è anticipato, la direttiva ha disciplinato in maniera leggera la fase
dell'evidenza pubblica per l'assegnazione delle concessioni di lavori e di servizi.
Fermo restando il presupposto imprescindibile della doverosa effettuazione di un
confronto concorrenziale, il segmento della gara viene sottoposto ad una regolamentazione
minimale che si preoccupa di fissare i "paletti" di tale fase, piuttosto che di predeterminare, in
maniera tendenzialmente pervasiva, le modalità di svolgimento della gara (come, invece,
accade nei settori ordinari).
In effetti, il par. 1 dell'art. 30 stabilisce che gli enti aggiudicatari "sono liberi di
organizzare la procedura per la scelta del concessionario", fermo restando il necessario
rispetto delle condizioni minime di concorrenzialità prescritte dalla direttiva.
Al contempo l'art. 37 è significativamente rubricato "Garanzie procedurali", lasciando
intendere che la disciplina europea si occupa di fissare, per sottrazione, soltanto alcune
imprescindibili garanzie.
Corollario di tale impostazione – che è in linea con la maggiore flessibilità richiesta
dagli Stati membri e riconosciuta dalla direttiva 2014/24/UE anche negli appalti nei settori
ordinari – è la previsione (par. 6, art. 37) secondo la quale l'ente aggiudicatore "può condurre
liberamente
negoziazioni
con
i
candidati
e
gli
offerenti",
con
l'unico
limite
dell'immodificabilità dell'oggetto della concessione, dei criteri di aggiudicazione e dei
requisiti minimi.
Si tratta di una sorta di procedura negoziata "rinforzata" per la quale appare
coessenziale e imprescindibile il mantenimento in capo all'Amministrazione di un'ampia
discrezionalità/autonomia nella strutturazione del confronto selettivo e nella conduzione delle
negoziazioni con i concorrenti.
37
Per alcuni di tali elementi, v. C.H. BOVIS, Future Directions in Public Service Partnerships in the
EU, in European Business Law Review, 2013, 24, 8.
47
Tanto che potrebbero profilarsi dubbi di illegittimità europea – per le medesime
ragioni evidenziate dalla Corte di Giustizia nella sentenza Sintesi38 – ove uno Stato membro o
un'Amministrazione aggiudicatrice ritenessero di adottare schemi rigidi come quelli della
procedura aperta o ristretta.
Anche se – analogamente a quanto accaduto per le procedure negoziate previa
pubblicazione del bando nei settori speciali o per le "gare informali" di cui all'art. 30, d.lgs. n.
163/2006 – non si può escludere che si verifichi un irrigidimento della flessibilità riconosciuta
dalla direttiva, attraverso l'applicazione delle regole tradizionali dell'evidenza pubblica
formatesi nell'alveo della normativa sulla contabilità dello Stato (r.d. n. 2440/1923 e r.d. n.
827/1924).
La vicenda della "gara informale" per l'aggiudicazione della concessione di servizi (ex
art. 30, d.lgs. n. 163) è indicativa, essendosi assistito ad una progressiva formalizzazione del
segmento dell'evidenza pubblica attraverso l'applicazione in via analogica delle regole
ordinarie in tema di pubblicità delle sedute di apertura dei plichi (Cons. Stato, Sez. IV,
20/1/2015, n. 132), di modalità di nomina della Commissione giudicatrice (Cons. Stato, Ad.
Plen., 7/5/2013, n. 13 e Sez. V, 28/4/2014, n. 2191), di operatività delle cause di esclusione
(Cons. Stato, Sez. V, 9/9/2013, n. 4471), ecc.39.
Coerentemente con l'impostazione "minimale" sopra evidenziata, la direttiva
2014/23/UE sancisce anche l'atipicità dei criteri di aggiudicazione delle concessioni, anche in
questo caso limitandosi a prescrivere alcuni imprescindibili paletti.
In ogni caso, deve essere comunque previsto – nel bando – il criterio di
aggiudicazione, che ovviamente non può lasciare all'ente concedente un'incondizionata libertà
di scelta e deve, altrettanto ovviamente, essere connesso all'oggetto della concessione.
In secondo luogo, è necessario che i criteri di aggiudicazione assicurino una
valutazione delle offerte in condizioni di concorrenza effettiva in modo che venga individuato
e garantito – al termine della procedura – un vantaggio economico per lo stesso ente
concedente.
In terzo luogo, l'Amministrazione è tenuta soltanto ad elencare i parametri di
aggiudicazione in ordine decrescente di importanza (senza, quindi, avere l'obbligo di
associare un "peso" o un "punteggio" a ciascun parametro). L'ordine può essere modificato
38
Corte Giustizia, sentenza n. 7/10/2004, in causa C-247/02.
Su tale indirizzo, v. L. BERIONNI, L'applicabilità delle norme del Codice dei contratti pubblici alle
concessioni di servizi, in Foro Amm., 2014, 1913.
39
48
nel corso della gara (art. 41, par. 3, comma 2), qualora l'ente concedente riceva un'offerta che
contenga una soluzione innovativa che non avrebbe potuto essere prevista – al momento
dell'emissione del bando – con l'ordinaria diligenza. In tal caso occorre, tuttavia, un nuovo
confronto tra i partecipanti alla procedura.
4. L'incidenza dei principi concorrenziali anche nella fase esecutiva del rapporto
concessorio
Com'è riscontrabile anche negli appalti ordinari, l'insieme dei principi relativi alla
concorrenza finisce per influire e incidere anche sulla fase di esecuzione del rapporto
concessorio.
Nonostante l'impostazione "minimale" della direttiva 2014/23/UE, tale orientamento
risulta ormai sancito da alcune norme.
In primo luogo, l'ente concedente e il concessionario non sono liberi di determinare la
durata dei rapporti concessori, la quale, in base al par. 1 dell'art. 18, deve essere limitata40.
In effetti, ove l'ente concedente intenda assegnare una concessione ultraquinquennale,
la durata massima del rapporto non può superare il periodo di tempo necessario per il
recupero dell'investimento del concessionario dei lavori o dei servizi e per l'ottenimento di un
ritorno sul capitale investito tenuto conto degli investimenti necessari per conseguire gli
obiettivi contrattuali.
Si possono già prospettare le conseguenze derivanti dalla violazione di tale limite.
In effetti, potrebbe risultare illegittimo il bando della procedura competitiva, ove
quest'ultimo preveda (v. punto 4 dell'allegato V della direttiva) una durata massima della
concessione che non rispetti il suddetto equilibrio.
Ove, invece, la durata della concessione costituisca un parametro di valutazione delle
offerte dei concorrenti, l'indicazione di una durata eccessiva rischia di invalidare la proposta
contrattuale.
In ogni caso, il mantenimento in vita dei rapporti concessori con una durata eccessiva
rispetto ai criteri indicati dal citato art. 18 può esporre l'Amministrazione concedente
all'addebito di aver concesso un aiuto di Stato in contrasto con l'art. 107, T.F.U.E.41.
40
Sul punto, v. M. RICCHI, op. cit., 753 e ss..
49
Sempre con riferimento alla fase di esecuzione del rapporto concessorio, va poi
ricordato l'art. 43 della direttiva, che contiene una pervasiva e completa disciplina delle
ipotesi nelle quali si ritiene ammessa la modificazione dei contenuti del rapporto dopo la
stipula della convenzione di concessione.
5. Considerazioni finali
La panoramica fin qui svolta circa i tratti salienti della "direttiva concessioni" induce
ad alcune considerazioni conclusive.
In primo luogo, emerge definitivamente e in maniera ancor più netta rispetto al passato
la natura sinallagmatica del rapporto concessorio, il quale deve fondarsi su un equilibrio delle
reciproche prestazioni, che – come si è detto – finisce anche per condizionare la durata del
rapporto medesimo.
Risulta, quindi, confermato che le concessioni di lavori e servizi presentano – nella
normativa di livello europeo – un substrato ed una sostanza di tipo bilaterale e negoziale42.
Il che fa dubitare della declamata neutralità del diritto europeo (v. anche art. 345,
T.F.U.E.) quantomeno nel settore in questione: in effetti, l'esigenza di istituire un equilibrato
rapporto tra gli obblighi di servizio, da un lato, e il doveroso riconoscimento al concessionario
delle compensazioni di natura economico/patrimoniale, dall'altro lato, fanno risaltare in
maniera piuttosto evidente la natura contrattuale del rapporto43.
La tesi di cui sopra è avvalorata da un ulteriore fattore.
Come si è visto, infatti, la direttiva 2014/23/UE amplia in massimo grado la sfera
decisionale dell'Amministrazione nell'organizzare e strutturare la procedura di selezione del
concessionario, al punto che l'art. 30 parla addirittura di "libertà": termine – quest'ultimo – che
richiama più il concetto di autonomia negoziale, che quello di discrezionalità amministrativa.
41
V. la Comunicazione della Commissione Europea pubblicata in G.U.U.E. 11/1/2012.
Per una più diffusa disamina di tale questione, sia consentito rinviare a A. MOZZATI, Il contratto di
servizio: caratteri generali e Il regime giuridico del contratto di servizio, in V. ROPPO (a cura di),
Trattato dei contratti, Vol. V, Milano, 2014, rispettivamente, 1205 e 1229, nonché Contributo allo
studio del contratto di servizio. La contrattualizzazione dei rapporti tra le Amministrazioni e i gestori
di servizi pubblici, Torino, 2010.
43
V. anche A. MOLITERNI, Il regime giuridico delle concessioni di pubblico servizio tra specialità e
diritto comune, in Dir. Amm., 2012, 567.
42
50
Ovviamente, il tema è denso di ricadute sistematiche, che richiederebbero ben altro
spazio di approfondimento.
E' indubbio, tuttavia, che la direttiva 2014/23/UE configura le modalità di scelta del
concessionario, da parte dell'Amministrazione, in maniera non dissimile dall'esercizio
dell'autonomia negoziale propria di un qualsivoglia contraente privato.
Ciò contribuisce a rafforzare la configurazione contrattuale dei rapporti concessori.
51
SESSIONE POMERIDANA
IL PARTENARIATO PUBBLICO PRIVATO
Mario Alberto Quaglia
(Università degli Studi di Genova)
1.
Il tema oggetto della presente relazione propone un approccio alle
problematiche poste dalla direttiva 2014/23/UE muovendo dalla nozione di partenariato
pubblico privato, espressione con cui non si delinea né si definisce un istituto giuridico, ma
soltanto una nozione descrittiva di una pluralità di figure caratterizzate da elementi comuni.
Anche nel diritto dell’Unione Europea la nozione non ha la pretesa di porsi come
riferimento generale, limitandosi a descrivere un fenomeno, suscettibile di assumere varie
vesti giuridiche, caratterizzate da taluni profili comuni.
Infatti, sin dal Libro verde del 2004, dopo una definizione alquanto generica, il
partenariato pubblico privato viene identificato come un fenomeno caratterizzato dalla
presenza di taluni elementi qualificanti: una collaborazione protratta nel tempo; un
finanziamento
privato,
con
successivo
recupero
dell’investimento;
un
ruolo
dell’amministrazione di coordinamento e non operativo; il trasferimento del rischio in capo al
partner privato.
Non troppo diversa appare la nozione del diritto interno, quale oggi è espressa nel
codice dei contratti pubblici, dall’art. 3, c. 15 ter (introdotto con il correttivo del 2008 e
successivamente modificato dall’art. 44 del D.L. n. 1 del 2012, convertito nella legge n. 27
del 2012), che definisce i contratti di PPP come “aventi per oggetto una o più prestazioni
52
quali la progettazione, la costruzione, la gestione o la manutenzione di un’opera pubblica o
di pubblica utilità oppure la fornitura di un servizio, compreso in ogni caso il finanziamento
totale o parziale a carico di privati, anche in forme diverse, di tali prestazioni, con
allocazione dei rischi ai sensi delle prescrizioni e degli indirizzi comunitari vigenti.
Rientrano, a titolo esemplificativo, tra i contratti di partenariato pubblico privato la
concessione di lavori, la concessione di servizi, la locazione finanziaria, il contratto di
disponibilità, l’affidamento di lavori mediante finanza di progetto, le società miste (...)”.
E’ proprio tale riferimento alla “allocazione dei rischi ai sensi delle prescrizioni e
degli indirizzi comunitari vigenti” che, finora indeterminato, trova oggi, nella direttiva
2014/23/UE un’espressa e specifica risposta, consentendo di ricostruire una definizione
comunitaria della concessione di lavori e di servizi incentrata sul criterio dell’allocazione del
rischio tra il concedente ed il concessionario.
Tale direttiva, infatti, definisce la fattispecie sul presupposto della ripartizione dei
rischi, precisando in tal modo una nozione con la quale si dovranno confrontare sia le
concessioni future, sia quelle in essere.
2.
La disciplina specifica delle concessioni di lavori e di servizi all’interno in un
unico testo normativo – la direttiva 2014/23/UE - modifica la situazione precedente in cui, a
fronte di una regolamentazione della prima, il codice dei contratti pubblici prevede la non
applicazione delle proprie disposizioni per la seconda: le prime, infatti, risultano disciplinate
dalla direttiva 2004/18/CE, mentre le seconde sono sottoposte soltanto ai principi desumibili
dal trattato.
D’altronde, la linea di demarcazione tra le due figure non è sempre netta, in quanto in
ambedue è facile riscontrare lavori e servizi, ma il rapporto giudico va a qualificarsi come
concessione di lavori quando il contratto riguarda “principalmente” la costruzione di un’opera
per conto del concedente, anche se esiste una componente compensativa del relativo costo in
forma di gestione del servizio esercitabile attraverso l’opera stessa; per contro, può parlarsi di
concessioni di servizi in presenza di lavori solo a titolo accessorio della prevalente gestione.
Se fino ad oggi la differente qualificazione delle due fattispecie ha comportato
l’applicazione di regimi giudici radicalmente differenti, con l’attuazione della direttiva
2014/23/UE si arriverà ad una disciplina unitaria delle due figure.
53
Non sono invece sottoposte alla disciplina della direttiva 23, in quanto escluse, le
concessioni traslative di beni o risorse del demanio pubblico (quali terreni o qualsiasi
proprietà pubblica, in particolare nel settore dei porti marittimi o interni o degli aeroporti)
(15° considerando).
3.
Nell’ambito della disciplina unificante introdotta dalla direttiva 23, l’elemento
che caratterizza il contratto di concessione di lavori e di servizi, in linea con la sua
collocazione nell’ambito della nozione di PPP, sarà costituito dal trasferimento in capo al
concessionario, oltre ad un rischio di costruzione dell’opera, del cosiddetto “rischio
operativo”(art. 5, comma 1), relativamente alla gestione dei lavori e dei servizi.
Peraltro, prima di descrivere le previsioni della direttiva, occorre ricordare il quadro
normativo posto in merito dal codice dei contratti pubblici, dove già si configurano criteri
volti ad allocare il rischio nella concessione di lavori.
Infatti, già il vigente codice dei contratti pubblici, con esclusivo riferimento alla
concessione di lavori - l’unica disciplinata dettagliatamente – prevede che l’affidamento in
concessione di opere “destinate all’utilizzazione diretta della P.A., in quanto funzionali alla
gestione di servizi pubblici”, può essere effettuata “a condizione che resti a carico del
concessionario l’alea economico-finanziaria della gestione dell’opera” – art. 143, comma 9 definendo, con questa ed altre disposizioni, l’allocazione dei rischi tra concedente e
concessionario nella concessione di lavori.
Relativamente alla concessione di lavori, il fatto che la remunerazione del
concessionario consista, anziché in una prestazione pecuniaria, nell’attribuzione del diritto di
gestire l’opera realizzata non definisce i criteri del riparto dei rischi relativi al rapporto: in
essa, la maggiore alea che il concessionario si accolla rispetto all’appaltatore riguarda la
gestione dell’opera. Il concessionario nel momento in cui accetta che il proprio investimento
venga remunerato attraverso il conferimento del diritto di sfruttare economicamente il
manufatto realizzato si assume il rischio di impresa che, normalmente, grava sull’ente
concedente.
Invece, relativamente alla costruzione ed al relativo rischio, il contratto di concessione
di lavori, in base alla sua stessa definizione normativa (sia interna, sia comunitaria), non
presenta differenze rispetto a un comune contratto di appalto, con la conseguenza che tale
54
rischio assunto dal concessionario rimane nei limiti dell’alea normale tipica dell’appalto di
lavori.
Ciò, del resto, trova conferma nel fatto che la disciplina speciale della concessione di
lavori (art. 143 del codice dei contratti) si occupa soltanto degli effetti, sull’equilibrio
economico del contratto, delle sopravvenienze suscettibili di intaccare la remuneratività della
gestione dell’opera (come le modifiche tariffarie) e non di quelle che incidono sui costi di
costruzione.
Nel contratto di concessione di lavori l’adeguamento dell’equilibrio contrattuale ai
costi eccedenti l’alea normale del contratto, anche con riferimento alla costruzione dell’opera,
non necessariamente deve avvenire attraverso il pagamento di una somma di denaro (T.A.R.
Lombardia, Milano, Sez. III, 16 dicembre 2011, n. 3200).
Infatti, essendo la parte preponderante dell’investimento remunerata attraverso il
diritto di gestire l’opera, appare conforme allo schema causale del contratto che l’alterazione
dell’equilibrio contrattuale dovuta all’aumento dei costi di costruzione per effetto di eventi
eccezionali ed imprevedibili possa avvenire anche tramite il mutamento delle condizioni della
gestione previste nel piano economico finanziario (come la durata della concessione, il regime
tariffario, ecc.).
Le nuove condizioni di equilibrio possono essere raggiunte “anche” mediante la
proroga del termine di concessione, e quindi anche mediante altre modalità, quale il
riconoscimento di un prezzo, secondo quanto previsto dall’art. 3, comma 11, del codice dei
contratti pubblici.
4.
La novità della direttiva concessioni rispetto alle previsioni del codice dei
contratti pubblici riguarda dunque l’espressa previsione di cui all’art. 5, comma 1 della
direttiva stessa, secondo cui “l’aggiudicazione di una concessione di lavori o di servizi
comporta il trasferimento al concessionario di un rischio operativo legato alla gestione dei
lavori o dei servizi, comprendente un rischio sul lato della domanda o sul lato dell’offerta, o
entrambi”.
Il tema non è nuovo, dato che il rischio del privato è sempre stato considerato
necessario carattere delle forme di PPP ed in particolare delle concessioni; tuttavia, sin qui,
55
non era chiaro l’ambito preciso di tale requisito, salvo affermare che si trattava di un elemento
distintivo rispetto agli appalti.
In sostanza, l’obbligatorietà della previsione che imponeva la traslazione del rischio
era indicativa dell’indeterminatezza del criterio e del fatto che il codice si limita ad operare un
generico rinvio alle prescrizioni comunitarie; prescrizioni comunitarie che soltanto la direttiva
23 ha precisato.
La nuova disciplina di tale direttiva comporta che il rapporto contrattuale di
concessione implica uno spostamento sostanziale del rischio di gestione, consistente nel fatto
che non deve essere “garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti
per la gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione”, con la precisazione che “la
parte del rischio trasferita al concessionario comporta una reale esposizione alla fluttuazione
del mercato tale per cui ogni potenziale perdita stimata subita dal concessionario non sia
puramente nominale o trascurabile”.
In tal modo, il vuoto sulla previsione sostanziale di rischio a livello comunitario viene
colmato da una definizione che non consente più ai concessionari di pretendere clausole
contrattuali di salvaguardia, idonee ad attenuare il rischio, con spostamento dello stesso sulla
pubblica amministrazione.
La direttiva dispone indicazioni – di natura quantitativa e qualitativa – per identificare
il rischio operativo che deve sostenere il concessionario, sgombrando preliminarmente il
campo dai tentativi di assimilazione del rischio operativo alle conseguenze derivanti dalla
cattiva gestione, inadempimenti o cause di forza maggiore: evenienze queste comuni anche ai
contratti di appalto e inidonee a qualificare il rischio operativo nei contratti di concessione.
Ai sensi dell’art. 5, comma 1, della direttiva, il rischio operativo, che deve essere
trattenuto dal concessionario, ha natura economica e implica la possibilità “che non sia
garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei
lavori o dei servizi oggetto della concessione”.
La direttiva precisa, dunque, il valore della potenziale perdita economica associata al
rischio operativo: fino ad oggi l’indeterminatezza di questo valore ha consentito nella prassi
l’elusione delle prescrizioni comunitarie.
L’entità della possibile perdita, in mancanza di un parametro quantitativo di
riferimento, è stata sovente limitata dal contraente privato, con maggiore competenza e
specializzazione, e dunque con una forza negoziale superiore alla p.a..
56
Esempi di pattuizione elusive dell’obbligo di trattenere il rischio operativo a carico del
concessionario, limitandolo sin dall’inizio, si sono verificati nella prassi: talora prevedendo
canoni da corrispondere dalla p.a. al privato non decurtabili al di sotto di minimi garantiti,
ovvero in presenza di clausole contrattuali che limitino le penali a carico del concessionario,
consentendo di decurtare solo l’utile.
Insomma, clausole contrattuali che tendono a ridurre il rischio del concessionario
secondo condizioni che le indicazioni della direttiva oggi tendono ad escludere.
5.
Il rischio operativo, a cui il privato deve essere esposto, può riguardare sia il
lato della domanda sia quello dell’offerta.
Il rischio di domanda consiste nel fatto che la fruizione di quel servizio possa avere un
calo oppure per l’insorgere nel mercato di un’offerta competitiva di altri operatori, per
mancanza di appeal della gestione del concessionario, oltreché per fattori del tutto esogeni
come quello di una contrazione dei consumi generata da una crisi economica.
Il rischio dell’offerta – o rischio disponibilità – può riguardare, invece i contratti in cui
i privati vengono “remunerati esclusivamente dall’amministrazione aggiudicatrice e dall’ente
aggiudicatore .... qualora il recupero degli investimenti effettuati e dei costi sostenuti
dall’operatore per eseguire il lavoro o fornire il servizio dipenda ..... dalla loro fornitura”, e
ancora “per il rischio dal lato dell’offerta si intende il rischio associato all’offerta di lavori e
servizi che sono oggetto del contratto, in particolare che la fornitura non corrisponda alla
domanda” (così i “considerando” nn. 18, 19 e 20 della direttiva).
Il criterio interpretativo – offerto dai “considerando” della direttiva – riguarda il fatto
che il rischio operativo dal lato dell’offerta sia stato configurato solo per i contratti di
concessione dove la p.a. paga un canone periodico a fronte della realizzazione di una struttura
e la gestione di un servizio, oppure solo per la gestione di un servizio.
Il riferimento è alle concessioni di lavori e di servizi c.d. “fredde”.
Quando la capacità dell’offerta del concessionario, stabilita contrattualmente, si riduca
per qualsiasi ragione, con conseguenze sanzionatorie di ordine economico che possono anche
intaccare gli investimenti e i costi di gestione, allora queste circostanze possono configurare il
rischio operativo dal lato dell’offerta.
In particolare, nei contratti di concessioni “fredde” – stante la struttura bilaterale del
rapporto in cui la p.a. paga un canone al concessionario a cadenza periodica – per configurare
57
il rischio operativo dal lato dell’offerta deve essere strutturato un sistema di penali idoneo a
decurtare il canone versato dalla p.a. al concessionario ogni qualvolta venga rilevato il
mancato soddisfacimento degli standard di servizi predeterminati in termini di volume o di
qualità.
La direttiva ha individuato i caratteri che possono assumere i rischi, collocandoli nel
contesto della dinamica del mercato, in cui si fronteggiano domanda ed offerta ed i rischi si
collocano su entrambi i versanti con la capacità di intaccare gli investimenti effettuati dal
concessionario.
6.
Così delineato il quadro dei rischi che la direttiva pone a carico del
concessionario, restano da individuare i rischi che incombono sull’amministrazione
concedente.
In proposito, merita attenzione nella definizione di rischio operativo della direttiva,
l’inciso dell’art. 5, comma 1, “in condizioni operative normali”, previsione che introduce una
salvezza per il concessionario privato all’assunzione del rischio operativo. Viene, infatti,
escluso da tale rischio quello prodotto dal rischio finanziario a fronte del quale l’operatore
privato non è responsabile; si tratta di previsione certamente gradita dal sistema bancario.
Probabilmente l’inciso è figlio della crisi economica, ed è destinato a traslare sulla parte
pubblica i rischi relativi alle depressioni dei cicli economici.
Sempre in tale prospettiva, inoltre, occorre rilevare che componente essenziale della
concessione è il PEF, che costituisce un elemento inscindibile della stessa al momento della
stipulazione del contratto, deve essere coerente con il contratto ed il progetto; in particolare, il
PEF è il documento che rappresenta quantitativamente lo sviluppo del progetto, la
realizzazione dell’opera, la gestione del servizio e la sostenibilità economico-finanziaria per la
durata della concessione.
La distribuzione dei rischi tra le parti deve seguire la regola di assegnazione dello
specifico rischio al soggetto (concedente e concessionario) che abbia le migliori capacità di
gestirlo.
Così se, in termini generali, il privato deve trattenere e gestire il rischio costruzione ed
il rischio domanda di mercato o quello di disponibilità, la p.a. deve trattenere e gestire i rischi
58
connessi agli adempimenti della parte pubblica sul rilascio di autorizzazioni, pareri,
approvazioni, pagamenti, o normative sopravvenute.
Infatti, l’art. 143 del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, al comma 9, prevede che deve
restare “a carico del concessionario l’alea economico-finanziaria della gestione dell’opera”,
ed al comma 8 configura espressamente l’ipotesi per la quale le modifiche dell’equilibrio del
piano economico finanziario degli investimenti e della connessa gestione “comportano la sua
necessaria revisione, da attuare mediante rideterminazione delle nuove condizioni di
equilibrio”; “in mancanza della predetta revisione il concessionario può recedere dal
contratto”.
In sostanza, i presupposti e le condizioni di base dell’equilibrio economico-finanziario
possono essere incisi da due ordini di cause – idonee a ridurre i margini di rischio per il
concessionario -:
a.
le
“variazioni
apportate
dalla
stazione
appaltante”,
attraverso
atti
amministrativi;
b.
il sopraggiungere di nuove normative che prevedano nuovi meccanismi
tariffari o nuove condizioni per lo svolgimento del servizio.
Pertanto, la norma ha individuato i presupposti della revisione del contratto – e quindi
l’eliminazione del rischio per il concessionario – nell’esercizio del c.d. ius variandi da parte
dell’amministrazione concedente e nel c.d. factum principis; a fronte di dette cause, nessuna
rilevanza sul rapporto contrattuale possono assumere altre circostanze, quali gli errori del
concessionario nella stima della possibile utenza o il calo della domanda da parte della stessa.
7. L’inquadramento della fattispecie nella nozione di PPP assume rilevanza giuridica
sotto due distinti profili.
Da un lato, infatti, la qualificazione del rapporto contrattuale come concessione,
piuttosto che come appalto, comporta l’applicazione di un distinto plesso normativo e rende le
modalità di aggiudicazione meno stringenti. Pertanto, un’errata configurazione del rischio
operativo comporta la vulnerabilità della procedura di affidamento da parte di operatori
economici concorrenti che, sostenendo trattarsi di appalto e non di concessione, potrebbero
chiedere al giudice l’annullamento della gara e la sua ripetizione con le regole dell’appalto.
59
D’altronde, taluna giurisprudenza – in tale prospettiva – è addirittura pervenuta a
ritenere nulli i contratti di concessione che non assicurassero un’effettiva distribuzione dei
rischi, in quanto in frode alla legge (T.A.R. Sardegna, 10 marzo 2011, n. 2013).
Inoltre, la qualificazione del rapporto come concessione rileva anche in relazione al
problema delle operazioni finanziarie che possono o meno rientrare nel Patto di stabilità.
Infatti, già la decisione Eurostat 11.02.2004, sul deficit e sul debito, prevedeva che le
operazioni in cui il privato si assume il rischio di costruzione o almeno uno dei due rischi di
disponibilità e di domanda, possono non essere registrate nei bilanci delle pubbliche
amministrazioni.
Dalle modifiche operanti dal settembre 2014, possono considerarsi off balance le
operazioni di PPP in cui il partner privato assume la maggior parte dei rischi e, allo stesso
tempo, ha diritto di godere di larga parte dei benefici derivanti dall’operazione.
8. Due considerazioni infine in ordine all’influenza di quanto sin qui esposto con
riferimento alla stessa nozione della concessione (di lavori e di servizi).
La direttiva, unificando la definizione e la disciplina dell’affidamento delle
concessioni di lavori e di servizi, ha condotto al riconoscimento delle concessioni di servizi
“fredde”.
La struttura di tali concessioni è quella propria di un rapporto bilaterale in cui la p.a.
riveste il ruolo di soggetto che paga il concessionario per il servizio svolto e su quest’ultimo
grava il rischio, operativo dal lato dell’offerta, per i servizi resi direttamente alla stessa p.a. o
alla collettività.
Al contrario, com’è noto, le pronunce prevalenti della Corte di giustizia, del Consiglio
di Stato e dei T.A.R. – in particolare quelle che hanno esaminato la differenza tra appalti di
servizi e concessioni di servizi - hanno ricostruito le concessioni di servizi come un rapporto
trilatero tra la p.a., il concessionario e gli utenti precisando che questi ultimi sono i destinatari
dei servizi e coloro che remunerano il concessionario con la tariffa corrispondente.
I casi esaminati dalla giurisprudenza ammettono, quindi, la configurazione della
concessione di servizi quando il rischio gestionale a carico del concessionario sia associato
alla circostanza che i proventi derivino direttamente o, in misura consistente, dagli utenti.
60
La direttiva ha uniformato la definizione di concessioni di lavori e di servizi,
specificando nell’art. 5, comma 1, come il discrimen tra ciò che è concessione e ciò che non
lo è, sia solo la presenza del rischio operativo in capo al privato dal lato della domanda o
dell’offerta.
Poiché l’articolo citato non limita l’alternativa dei due tipi di rischio operativo alle
sole concessioni di lavori, la conclusione non può che deporre per la configurabilità della
concessione di servizi “fredda”, in cui il privato trattenga in modo pieno e verificabile il
rischio operativo dal lato dell’offerta.
Emerge dunque come la natura di una concessione dipenda dalla strutturazione delle
clausole contrattuali e dal reale posizionamento a carico del privato del rischio operativo dal
lato della domanda o dell’offerta, superando in tal modo anche la stessa definizione di cui
all’art. 3, comma 12, del D.lgs. 12 aprile 2006, n. 163; si prescinde dalla ricostruzione
bilaterale o trilaterale del rapporto concessorio e, perciò, da chi, p.a. o utenti, provenga il
corrispettivo per i servizi resi.
La vera determinante delle concessioni di servizi è naturalmente la strutturazione
contrattuale del rischio operativo dal lato della domanda o dell’offerta, con la previsione di
penali in modo che “ogni potenziale perdita stimata subita dal concessionario non sia
puramente nominale o trascurabile” e che “non sia garantito il recupero degli investimenti
effettuati o dei costi sostenuti”.
Da ultimo, il tratto caratterizzante le concessioni (di lavori e di servizi) che si è messo
in rilievo ed esaminato pone un – ulteriore - profilo problematico anche con riferimento ad un
altro carattere tradizionalmente attribuito alla concessione: vale a dire la traslatività con
accrescimento della sfera giuridica del destinatario. Attraverso la concessione, infatti, al
concessionario verrebbe trasferita una posizione di vantaggio giuridicamente propria della
pubblica amministrazione.
Ci si potrebbe allora chiedere se tale carattere possa ancora ritenersi presente, nel
contesto di una configurazione comunitaria dell’istituto caratterizzata dal trasferimento del
solo rischio economico.
In realtà, in tal caso, la traslatività non riguarderebbe tanto poteri e prerogative della
p.a., quanto il trasferimento del concessionario nella posizione della p.a. conseguente alla
scelta di operare nell’economia, con conseguente alterazione del mercato per divenirne
61
attuatore; in sostanza, la p.a. pone il concessionario nella posizione di mercato che la
caratterizza, in ragione delle peculiari modalità del suo intervento nell’economia.
Anche la concessione comunitaria dunque sembra caratterizzata per un elemento di
traslatività, da intendere in senso sostanziale come trasferimento di una particolare posizione
nel mercato.
63
IL CAMPO DI APPLICAZIONE OGGETTIVO DELLE DIRETTIVE APPALTI,
CON PARTICOLARE RIGUARDO ALLA NOZIONE DI APPALTO
Alberto Di Mario
(T.A.R. LOMBARDIA)
Grazie. Ringrazio tutti; ringrazio la prof.ssa Vipiana per questa ottima occasione di
confronto sulle direttive, sulle prospettive del diritto comunitario e del diritto nazionale in
materia di appalti. L’importanza delle nuove direttive appalti sta non solo nel fatto che esse
saranno la base del nuovo diritto dei contratti, in quanto porteranno alla modifica se non alla
riscrittura del Codice degli appalti, ma anche nel fatto che esse svolgono una funzione
interpretativa delle norme vigenti, soprattutto scaduti i termini per la loro recezione
nell’ordinamento interno. Mi è stato assegnato il compito di chiarire l’ambito di applicazione
delle nuove direttive ed, in particolare, la nozione di appalto contenuta nella nuova direttiva
che attiene ai settori ordinari, la 24/14. Occorre rammentare che la nozione di appalto
introdotta dalla direttiva 18/04 aveva prodotto notevoli scossoni nel nostro sistema, perché
aveva permesso di superare completamente il sistema dell’appalto secondo le regole del
codice civile, al quale eravamo legati, che era quello di un contratto con tra
un’amministrazione ed un imprenditore per lo svolgimento di un’attività di impresa volta alla
produzione di beni e servizi o lavori. La Direttive 18 del 2004 aveva esteso la nozione di
appalto a qualsiasi forma di contrattazione con operatori economici, anche non imprenditori,
per l’acquisizione con qualsiasi mezzo di beni e servizi: quindi, una nozione molto più ampia,
che ha rotto i ponti che ci legavano alla normativa civilistica. L’altra grossa novità introdotta
dal diritto comunitario con le direttive 2004 era stato il riconoscimento della natura
contrattuale delle concessioni: quindi, l’abbandono delle teorie pubblicistiche in materia, e
l’inserimento delle concessioni nell’ambito contrattuale.
64
La direttiva 24/2014 non è foriera di così grandi novità. Al considerando 4, si pone
come scopo quello di cercare una definizione più chiara del concetto stesso di “appalto”, e
dobbiamo dire che c’è un certo sforzo in questo senso, sforzo che, però, è affidato - più che
alle norme - alla parte introduttiva della direttiva, che si estende in modo molto prolisso a
cercare di individuare i caratteri dell’appalto, con lo scopo espresso di evitare che questa
nozione si ampli rispetto a quella precedente. Occorre domandarsi se effettivamente vi sono
stati dei passi avanti rispetto alla normativa precedente. Il problema più grosso era quello
dell’ambito di applicazione della disciplina degli appalti. In merito occorre ricordare che
l’ambito di applicazione della direttiva appalti era stato ampliato in sede interpretativa dalla
Commissione attraverso in particolare l’individuazione di appalti che, esclusi dalle direttive,
sono ritenute soggette ai principi comunitari di concorrenza in base, sostanzialmente a due
mezzi interpretativi: a) l’affermazione secondo la quale l’ambito di applicazione del Trattato
UE è più ampio di quello delle direttive appalti e non può essere da queste limitato; b) gli
appalti esclusi dall’ambito di applicazione delle direttive, in quanto da esse contemplati, sono
rilevanti per il diritto comunitario e soggette ai principi desumibili dal Trattato. Occorrerà
quindi capire se il principale soggetto al quale è demandata la vigilanza sull’attuazione delle
direttive, cioè la Commissione europea, continuerà in questa attività di ampliamento in via
interpretativa dell’ambito di applicazione delle direttive appalti.
Tornando al testo normativo, i punti di novità più interessanti sono: a) un
rafforzamento del concetto di acquisizione di beni, che limita l’applicazione della direttiva ai
c.d. contratti passivi; b) una disciplina più specifica degli accordi tra le PP.AA., sotto la forma
della cooperazione pubblico/pubblico, che invece in passato non era disciplinata, c’era solo la
disciplina dell’in house, qui invece vengono introdotte delle norme specifiche, che bisognerà
vedere quali effetti avranno; c) l’eliminazione della categoria dei servizi esclusi di cui
all’allegato 2b. A tali tipi di servizi la direttiva precedente diceva che si applicavano i principi,
e questo era uno dei principali agganci normativi che permettevano la costruzione della
categoria dei contratti soggetti solo ai principi, poi ripresa dal Codice degli appalti. Questi
servizi - in particolare i servizi sociali - vengono riassorbiti in una disciplina specifica, una
forma di gara semplificata. Tale modifica assume particolare importanza, soprattutto al fine di
verificare se la struttura stessa del Codice degli appalti possa tenere. Oggi, infatti, il Codice
De Lise si divide in 3 parti: prevede i contratti soggetti alla disciplina comunitaria, sia gli
appalti sia le concessioni; i contratti esclusi, ai quali si applicano i principi; e poi, secondo la
65
terminologia introdotta dall’Adunanza Plenaria n. 16/2011 (sentenza “De Nictolis”), ci sono i
contratti estranei all’ambito di applicazione del Codice. Quindi, riprendendo la struttura della
direttiva n. 18/2004, il nostro legislatore ha previsto questi, diciamo, 3 livelli di applicazione
della disciplina comunitaria. Oggi,
dopo la trasformazione della categoria degli appalti
esclusi, da contratti soggetti ad un procedimento di avvicinamento tra gli stati attraverso
l’applicazione dei principi, ad una ridefinizione in termini di appalti semplificati, occorrerà
verificare se questa tripartizione - appalti soggetti alla disciplina comunitaria, appalti esclusi
ma ai quali si applicano i principi, appalti estranei - potrà ancora tenere, e obiettivamente io
qualche dubbio ce l’ho.
Passando ora alla nozione di appalto contenuta nella nuova direttiva occorre rilevare in
primo luogo, che l’art. 1 dice: “La presente direttiva stabilisce norme sulle procedure per gli
appalti indetti da amministrazioni aggiudicatrici per quanto riguarda appalti pubblici e
concorsi pubblici di progettazione, il cui valore stimato non è inferiore alle soglie
comunitarie”. Ecco, qui c’è già una novità, perché agli appalti pubblici vengono equiparati i
concorsi pubblici di progettazione, che invece, nelle precedenti direttive, erano considerate
una forma di gara; quindi, qui, il concorso pubblico di progettazione viene, diciamo,
considerato alla pari dell’appalto, quindi un sistema di aggiudicazione, che non è
riconducibile all’appalto, ma ha una sua propria struttura autonoma, e quindi questo potrà
avere effetto: a) sulla interpretazione di questa figura; b) sulla individuazione della normativa
applicabile, che non è necessariamente o automaticamente quella sugli appalti pubblici,
proprio perché non è una species degli appalti, ma qualcosa che si pone sullo stesso piano
dell’appalto. Importante anche il secondo comma, che dice: ai sensi della presente direttiva, si
parla di appalto quando una o più amministrazioni aggiudicatrici acquisiscono, mediante
appalto pubblico, lavori, servizi o forniture, da operatori economici scelti dalle
amministrazioni aggiudicatrici stesse, indipendentemente dal fatto che i lavori, i servizi e le
forniture siano considerati per una finalità pubblica o meno. Ecco, qui, diciamo, non c’è
novità, nel senso che il concetto di acquisizione di prestazione di lavori, forniture e servizi
c’era già nella precedente direttiva; però, viene individuato, enucleato, in un articolo
specifico, diverso da quello sulla nozione di appalto, e anche - diciamo - nell’introduzione
delle direttive c’è questa enfatizzazione del concetto di acquisizione, che vedremo quale
effetto potrà avere. E poi, si aggiunge, la finalità pubblica o meno, quindi c’è la cancellazione
della distinzione fra diritto privato funzionalizzato e diritto privato libero, che fa parte invece
66
della nostra struttura “classica” del diritto amministrativo, per cui, diciamo, ogni prestazione
di lavori, servizi e forniture deve essere assoggettata a gara,indipendentemente dal fatto che
sia finalizzato per perseguire un interesse pubblico o un interesse privato dell’ente.
Per quanto riguarda la nozione di “appalto”, la nozione è uguale a quella precedente.
La norma dice: “contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto tra uno o più operatori
economici e una o più amministrazioni aggiudicatrici, avente per oggetto l’esecuzione di
lavori, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi”. Il primo requisito è quello
dell’accordo delle parti, che - sappiamo - è un concetto fondamentale anche del diritto civile.
Però, l’accordo delle parti è anche un elemento costitutivo degli accordi amministrativi, e
quindi già la norma pone il problema della sovrapposizione delle due figure. L’individuazione
del contratto come oggetto principale della direttiva, si lega al considerando 5, secondo il
quale “nessuna disposizione della presente direttiva obbliga gli Stati ad affidare a terzi, o a
esternalizzare, la prestazione dei servizi che desiderano prestare essi stessi o organizzare con
strumenti diversi dagli appalti pubblici ai sensi della presente direttiva”. La prestazione dei
servizi sulla base di disposizioni regolamentari o di contratti di lavoro, quindi, dovrebbe
esulare dall’ambito di applicazione della presente direttiva. In alcuni Stati membri, ciò
potrebbe verificarsi, ad esempio, per taluni servizi amministrativi pubblici, tra cui i servizi
esecutivi o legislativi, o per la fornitura di determinati servizi alla comunità. Quindi, diciamo
che viene riaffermato il principio che è la scelta contrattuale che porta l’obbligo di effettuare
la gara, e non il contrario.
Poi vi è la necessità della forma scritta dell’accordo, che è prevista dall’art. 2 della
direttiva, e che è conforme ai nostri principi. L’altro elemento è che il contratto debba essere a
titolo oneroso: e qui iniziamo a dire qualcosa di più. L’onerosità comporta, diciamo, una
controprestazione e un peso anche per l’Amministrazione che intenda acquisire queste
prestazioni. La giurisprudenza comunitaria, in realtà, ha esteso il concetto di onerosità fino
alla sinallagmaticità; è sufficiente, cioè, che ci sia una controprestazione. Devo dire che, da
questo punto di vista, la nuova direttiva non aggiunge nulla, rispetto alla disciplina
precedente. Questo ampliamento ha favorito l’estensione della disciplina degli appalti agli
accordi tra amministrazioni - che sono soggette non tanto al pagamento di un corrispettivo,
quanto a un rimborso spese - resta aperto. Infatti, nella causa C 159-2011, con l’ASL di
Lecce, l’Avvocato generale dello Stato aveva affermato un’interpretazione estensiva della
nozione di “onerosità”, nel senso che essa comprende ogni tipo di remunerazione consistente
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in un valore in denaro. Quindi, la mera assenza di profitto non conferisce carattere di gratuità
al contratto; e qui, dobbiamo dire che la direttiva non ha, diciamo, comportato mutamenti. La
nozione di onerosità resta generica, e sarà quindi soggetta all’interpretazione dei giudici
ordinari e comunitari l’interpretazione di questo concetto. Nell’ambito dell’onerosità, si è
posto il problema, in passato, dei lavori a scomputo; questo è il caso della Corte di giustizia,
12-VII-2001, causa C 399-1998; l’Ordine degli architetti milanesi contro il Comune di
Milano per la realizzazione del Teatro degli Arcimboldi, nel quale la Corte ha affermato che
anche le opere a scomputo degli oneri di urbanizzazione sono soggetti a gara. Quindi
dobbiamo dire che novità, da questo punto di vista, non ce ne sono, in quanto questa nozione
non è stata modificata. Sugli oneri di urbanizzazione il problema è stato risolto dal legislatore
interno; la questione, però, rimaneva aperta, perché colui che svolge le opere a scomputo quindi, realizza questi immobili - lo fa per non pagare una tassa; quindi, anche nel caso di
opere a scomputo il problema dell’onerosità si pone, e viene risolto mediante un concetto
ampio di onerosità, sul quale la nuova direttiva non aggiunge nulla. Sempre sull’onerosità,
invece, la direttiva fa un passo avanti al considerando 70, dicendo che la direttiva non
dovrebbe applicarsi nei casi in cui le attività di centralizzazione delle committenze o le attività
di committenza ausiliarie non sono effettuate attraverso un contratto a titolo oneroso, che
costituisce appalto ai sensi della presente direttiva; e quindi, sembrerebbe che gli incarichi di
committenza pubblica, in forma pubblica, quindi l’individuazione delle centrali di
committenza e delle attività ausiliarie, se effettuate in forma privata non onerosa o in forma
pubblica, non dovrebbero rientrare nell’ambito degli appalti. Quindi questo aspetto - e quindi
l’affidamento dell’appalto ad un soggetto diverso - non dovrebbe costituire appalto, e quindi
non dovrebbe essere soggetto a gara.
Lo stesso vale, poi, per l’individuazione dei servizi economici e non economici. Anche
qui, diciamo, la direttiva conferma al considerando 6 che esiste una piena libertà delle
amministrazioni e degli Stati di individuare i servizi economici e non economici, e quindi
anche questo elemento non è stato chiarito. Al carattere di economicità o meno del servizio si
collega l’esistenza o meno dell’appalto, perché laddove il servizio è economico, ovvero venga
svolto con caratteri di economicità, allora si può rientrare nell’ambito della disciplina degli
appalti, in quanto si costituisce un rapporto a titolo oneroso, diversamente nel caso in cui si
tratti di servizi non economici. Ecco, qui il grosso problema dell’individuazione dei servizi
pubblici economici e non economici - e quindi, dell’individuazione dell’ambito di
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applicazione della direttiva che non è stato chiarito. Anche sotto questo aspetto la
Commissione europea, con la decisione del 20-XII-2011, aveva ampliato la nozione,
affermando che gli incarichi di edilizia sociale, pur essendo considerati di interesse
economico generale, erano soggetti agli obblighi di gara, in quanto servizi che fornivano
prestazioni analoghe a quelle in materia di appalti; bisogna dire che, da questo punto di vista,
non ci sono novità. Quindi, l’individuazione dei servizi economici o non economici resta un
punto aperto.
Torniamo alla novità costituita dalla sottolineatura del concetto di acquisizione di un
bene da parte dell’Amministrazione. L’acquisizione comporta un vantaggio
per
l’Amministrazione. Il considerando 4 chiarisce, però, che la nozione di acquisizione deve
essere intesa in senso ampio; cioè, nel senso che l’Amministrazione ottenga dei vantaggi dai
lavori, dai servizi e dalle forniture in questione, senza che sia necessariamente richiesto un
trasferimento della proprietà. Quindi, l’appalto non è solo quello con il quale si acquisisce la
proprietà di certi beni, ma anche altre tutte le forme contrattuali che permettono
all’Amministrazione di avere la disponibilità di beni per le proprie necessità o per quelle dei
cittadini. Sempre il considerando 4 introduce, però, una distinzione con il finanziamento;
cioè, dice che il semplice finanziamento, in particolare tramite sovvenzioni di un’attività che è
spesso legata all’obbligo di rimborsare gli importi percepiti, qualora essi non siano utilizzati
per gli scopi previsti, generalmente non rientra nell’ambito di applicazione degli appalti
pubblici. Quindi, il semplice finanziamento di un’attività viene escluso dall’ambito di
applicazione delle direttive e quindi del concetto di appalto, proprio perché in questo caso, pur
essendoci una prestazione da parte dell’Amministrazione, non abbiamo un’acquisizione di un
bene da parte dell’Amministrazione stessa. Quindi, la semplice restituzione, ad esempio, di
beni - in questo caso, di un finanziamento - dal privato all’amministrazione non costituisce
acquisizione di un bene che rientri nel concetto di appalto. Il concetto di acquisizione deve
essere definito in collegamento all’art. 10, comma 1, lettera a), il quale esclude dagli appalti le
prestazione di acquisto in senso proprio di terreni e fabbricati; quindi, l’acquisizione è
un’entrata, diciamo, di un bene, attraverso una prestazione di beni o servizi. Quindi, vedete
come i concetti sono molto complessi; e, da questo punto di vista, la direttiva non introduce,
diciamo, grosse novità.
Vi sono poi gli appalti sovvenzionati, mediante i quali la P.A. acquisisce un bene.
Secondo l’art. 13 (“appalti sovvenzionati dall’amministrazione aggiudicatrice”) la direttiva si
69
applica all’aggiudicazione di una serie di contratti. Questo, ecco, è un concetto che c’era già
nel Codice dei contratti e nella precedente direttiva. Cioè si dice: la sovvenzione non rientra
nell’ambito degli appalti, perché non si acquisisce un bene; però, esistono delle forme di
contratti sovvenzionati, che rientrano nell’ambito della disciplina delle direttive. Sotto questo
punto di vista - cioè, della distinzione fra appalti e sovvenzione - non sono stati fatti passi
avanti, perché si è voluta dare una definizione sostanziale di “acquisizione”, nella quale
rientra anche il concetto di sovvenzione a certe condizioni, ritenendo che a volte dare soldi
per fare una certa cosa è come farla indirettamente, e quindi il problema resta aperto.
Una novità, invece, rilevante, è quella del partenariato pubblico-pubblico.
L’inserimento, diciamo, il confluire degli accordi pubblicistici nell’ambito della disciplina
degli appalti è una novità successiva alla disciplina della direttiva del 2004. Originariamente
si è pensato, in sede di ricezione della direttiva, agli appalti che un’Amministrazione dà al
privato, oppure alle concessioni che dà a un privato, e quindi alle relazioni fra
l’Amministrazione e un privato. È stato con la sentenza del 2009 della Corte di giustizia, nella
sentenza per la causa “Commissione c. Germania”, C-480-2006, che la Corte di giustizia ha
distinto il c.d. “partenariato pubblico-pubblico” in partenariato basato su un fondamento
istituzionale - cioè, con la creazione di un apposito ente, con la funzione di svolgere
determinate prestazioni, in questo caso volto a effettuare servizi, forniture e lavori - dal caso
in cui, invece, l’accordo avvenga su base contrattuale. E, laddove c’è questa base contrattuale,
la Corte ha riconosciuto l’applicabilità delle norme in materia di appalti anche negli accordi
fra PP.AA.: con quale limite? lo svolgimento di funzioni comuni. Cioè, la Corte ha detto che
laddove gli Stati si accordano per svolgere funzioni comuni, allora siamo fuori dall’ambito
degli appalti; laddove, invece, non esiste questa funzione di condivisione della medesima
funzione, allora si rientra nell’ambito degli appalti. Qui c’è una novità importante, cioè l’art.
12, comma 4, della direttiva n. 24/2014, che diciamo, concentra l’attenzione, più che sul
concetto di “contratto”, su quello di “cooperazione”. La norma dice: un contratto concluso
esclusivamente fra due o più amministrazioni aggiudicatrici non rientra nell’ambito di
applicazione della presente direttiva, quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni: il
contratto stabilisce o realizza una cooperazione fra amministrazioni aggiudicatrici
partecipanti; l’attuazione di tale cooperazione è retta soltanto da considerazioni inerenti
all’interesse pubblico; le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti svolgono sul mercato
aperto meno del 20% delle attività interessate dalla cooperazione. Ecco, quindi, questa è una
70
novità assoluta. Originariamente la disciplina degli appalti era pensata per i rapporti tra
Amministrazione e privato; poi, si è riconosciuto che anche gli accordi tra Amministrazioni
potessero rientrare nella disciplina degli appalti. L’interpretazione della Corte di giustizia molto ampia - sul concetto di onerosità ha facilitato questa interpretazione, perché di regola le
relazioni tra Amministrazioni non sono onerose, ma sono fondate sul rimborso spese. Una
volta che anche il rimborso spese può costituire onerosità, si è aperto questo grande spazio per
l’applicazione della disciplina degli appalti anche agli accordi ex art. 15 legge n. 241/1990.
Oggi, la nozione di “accordo pubblicistico” fra PP.AA. soggetto alla disciplina degli appalti
viene ristretto con questo riferimento non solo alla cooperazione - come era in precedenza ma anche al fatto che le Amministrazioni svolgano sul mercato aperto più del 20% delle
attività
oggetto
della
cooperazione.
Concetto
non
tanto
facile;
comunque,
se
un’Amministrazione, diciamo, opera sul mercato, allora sarà soggetto alla disciplina sugli
appalti, gli accordi fra Amministrazioni che operano sul mercato saranno soggetti alla
disciplina sugli appalti; se invece si tratta di Amministrazioni che svolgono in maniera del
tutto accessoria attività che interessano il mercato, che sono aperte al mercato, allora questi
accordi pubblicistici sono sottratti alla disciplina degli appalti e quindi all’obbligo di gara. C’è
questa ulteriore specificazione innovativa del rapporto fra accordi pubblicistici e appalti.
Per quanto riguarda, poi, i contratti esclusi, qui c’è l’altra grossa novità. Nella direttiva
n. 18/2004, era prevista una serie di contratti soggetti alla disciplina comunitaria; e poi, era
prevista un’altra serie di contratti, i quali non erano considerati importanti per il mercato degli
appalti comunitari, che era esclusa, ed erano i servizi dell’allegato 2b. Questi servizi erano
esclusi, ma si voleva un avvicinamento, e quindi era stato stabilito che dovessero essere
soggetti ai principi della disciplina comunitaria. Questa categoria scompare con la nuova
direttiva, la quale invece contiene una norma specifica: è il titolo III, in particolare i regimi
d’appalto; l’art. 74 dice: “aggiudicazione dei servizi sociali e di altri servizi specifici - Gli
appalti pubblici di servizi sociali e di altri servizi specifici di cui all’allegato 14 sono
aggiudicati il conformità del presente capo, quando il valore di tali contratti sia pari o
superiore alla soglia comunitaria”. E questi sono in gran parte - ma, anche qui, l’elencazione è
cambiata - gli appalti del vecchio allegato 2b. Quindi, quelli che erano degli appalti che era
meglio non disciplinare ma assoggettare ai principi generali si trasformano in appalti che
vengono inseriti nell’ambito della disciplina comunitaria con una disciplina semplificata. Su
questo passaggio, però, occorre ricordare - e questo mi permette di collegarmi a quanto ho
71
detto prima - che la Commissione europea, che è - diciamo - il terzo incomodo che ancora non
è venuto alla luce, aveva fatto una comunicazione interpretativa del 2006, quindi proprio ai
tempi del Codice dei contratti, nella quale aveva stabilito che per gli appalti il cui importo era
inferiore alle soglie di cui alle direttive e per gli appalti di servizi di cui all’allegato 2b, aveva
individuato i principi comunitari applicabili a questa disciplina; e, quindi, questa
comunicazione interpretativa del 2006 aveva introdotto questa distinzione fra appalti
disciplinati e appalti esclusi ma soggetti ai principi comunitari. A queste categorie,
l’Adunanza plenaria n. 16/2011 - redattore De Nictolis - aveva introdotto quella degli appalti
“estranei” all’ambito di applicazione del Codice, proprio per stabilire un limite
all’applicazione dei principi desumibili dalla disciplina comunitaria. Ora questo aistema
interpretativo perde uno dei suoi tasselli più importanti: il concetto di avvicinamento.
L’eliminazione dei servizi sociali in particolare, la cancellazione dell’allegato 2b e
l’inserimento dei servizi sociali e culturali che erano il centro - diciamo - dell’allegato 2b
nell’ambito di una disciplina specifica e completa, pone anche il dubbio la stessa struttura del
Codice De Lise, la stessa ripartizione in tre categorie che oggi regge il nostro ragionare e
applicare norme in materia di appalti; e quindi questo diventa il problema, diciamo, più
grande connesso alla nuova nozione di appalto, alla nuova struttura della direttiva.
Volevo chiudere con un riferimento alle cc. dd. “esclusioni”, che nella nuova direttiva
hanno un altro, hanno alcune, ulteriori, specificazioni. Le novità più grosse riguardano i
servizi legali. Sappiamo che i servizi legali sono stati assoggettati alla disciplina comunitaria
su pressione della Commissione; anche questi nell’ambito dell’allegato 2b, e oggi invece si
trovano nell’art. 10 della direttiva, quindi sono stati - anche qui - inseriti nell’ambito della
direttiva; sappiamo che una sentenza del Consiglio di Stato - io la chiamo sentenza
“Caringella”, aveva chiarito che l’affidamento degli incarichi di difesa legale da parte delle
Amministrazioni agli avvocati non era soggetta al principio di gara. Ecco, la direttiva estende
esclusione dalla gara: non solo la rappresentanza legale di un cliente - esclusa dall’ambito
degli appalti di servizi - nell’arbitrato o in procedimenti giudiziari, ma anche la consulenza
fornita in preparazione di uno dei procedimenti di cui alla lettera precedente; quindi anche la
consulenza legale, qualora vi sia un indizio concreto, una probabilità elevata che la
controversia su cui verta la consulenza divenga oggetto del procedimento in questione.
Quindi, non solo - diciamo - il patrocinio, ma anche la consulenza legale in preparazione di
una causa, o quella in cui vi sia un indizio concreto, una probabilità che si vada in causa;
72
quindi, in sostanza, una parte della consulenza legale viene inserita nell’ambito escluso dalla
direttiva. Lo stesso, è importante l’esclusione dei servizi finanziari; servizi finanziari,
compresi i prestiti, che, invece, in precedenza, erano inseriti nell’ambito della direttiva.
Ulteriori modificazioni minori riguardano i servizi di media, comunicazione, radiofonici, e
altre piccole fattispecie minori. Comunque, a mio parere, diciamo, i punti fondamentali sono
questi: l’individuazione di una nozione di appalto che resta ancora discutibile in diversi
aspetti; la sottrazione degli accordi tra Amministrazioni alla disciplina degli appalti a nuove
condizioni, che sono non solo quella della cooperazione, ma anche quella di Amministrazioni
che non operano sul mercato, o vi operino a condizione molto limitata; l’eliminazione del
richiamo ai principi nella disciplina dei servizi esclusi soggetti ai principi, sostituita da una
disciplina propria e semplificata, che porrà il problema di capire se occorre ridefinire l’intera
struttura del Codice De Lise, se si potrà andare ancora avanti in questo modo.
73
IN HOUSE PROVIDING, RINNOVI E PROROGHE
Giuseppe Franco Ferrari
(Università Bocconi di Milano)
1. L’espressione in house providing (usata per la prima volta in sede comunitaria nel
Libro Bianco sugli appalti del 1998) identifica il fenomeno di "autoproduzione" di beni,
servizi o lavori da parte della Pubblica Amministrazione. L’autoproduzione consiste
nell’acquisire un bene o un servizio attingendolo all’interno della propria compagine
organizzativa senza ricorrere a "terzi" tramite gara (cosiddetta esternalizzazione) e dunque al
mercato44: l’in house rappresenta il tentativo di conciliare il principio di auto-organizzazione
amministrativa (che trova corrispondenza nel più generale principio comunitario di autonomia
istituzionale), con i principi di tutela della concorrenza e del mercato45.
L’in house providing costituisce una parte rilevante del fenomeno delle Società
Pubbliche. Più precisamente, per la particolarità della disciplina che le caratterizza, le società
in house possono essere definite “società ad evidenza pubblica”46.
Esse, come ogni altro tipo di società, sono soggette al diritto comune e dunque alle
disposizioni dettate dal codice civile47, ma, in quanto species del genus “società pubbliche”,
G. URBANO, L’evoluzione giurisprudenziale dell’istituto in house providing tra tutela della
concorrenza e autorganizzazione amministrativa, in www.amministrazioneincammino.luiss.it.
45
R. GIOVAGNOLI, Gli affidamenti in house tra le lacune del codice e recenti interventi legislativi, in
www.giustizia-amministrativa.it.
46
F. CINTIOLI, La pubblica amministrazione come socio, l’interesse pubblico e la tutela dei terzi, in Il
nuovo Diritto Amministrativo, 2014, I, p. 7; Cass., sez. un., 25 novembre 2013, n. 26283.
47
Art. 4, comma 13, d.l. 95/2012 (l. conv. 135/2012), a mente del quale “le disposizioni del presente
articolo e le altre disposizioni, anche di carattere speciale, in materia di società a totale o parziale
partecipazione pubblica si interpretano nel senso che, per quanto non diversamente stabilito e salvo
deroghe espresse, si applica comunque la disciplina del codice civile in materia di società di capitali”.
44
74
sono rette anche da un regime particolare48. Si pensi, ad esempio, alla responsabilità erariale
degli amministratori per i danni subiti dai soggetti pubblici partecipanti al capitale sociale,
alla previsione di vincoli all’oggetto sociale derivanti dalla necessità che l’attività prevalente
della Società (nella misura dell’80 %, secondo le nuove direttive nn. 2014/24/UE,
20014/23/UE e 2014/25/UE) sia svolta in favore del soggetto controllante, nonché alla
composizione della compagine societaria, essendo imposto il requisito della totale
partecipazione pubblica (con ammissibilità, come da ultimo previsto dalle direttive del 2014,
di una apertura al capitale privato, purché sia connotata dall’assenza di poteri di influenza
sulla gestione della Società, e su cui più diffusamente infra).
Nonostante la centralità della tematica, l’in house providing non trova (quanto meno
sino alle direttive del 2014) disciplina positiva, qualificandosi piuttosto quale istituto di
produzione giurisprudenziale (soprattutto comunitaria) a partire dalla sentenza Teckal49, che si
è preoccupata di dettare le condizioni necessarie affinché si possa legittimamente derogare
alla gara pubblica, ed identificandole in due capisaldi, ossia:
i. l’esercizio da parte dell’ente committente, sul soggetto affidatario, di un “controllo
analogo” a quello esercitato sui propri servizi;
ii. la necessità che il soggetto affidatario realizzi la parte più importante della propria
attività con l’ente committente (o gli enti, se sono più di uno) che lo controlla.
2. L’individuazione del preciso contenuto semantico dell’espressione “controllo
analogo” è stata oggetto di plurimi pronunciamenti della Corte di Giustizia.
Già nella sentenza Teckal la Corte fornisce una prima definizione di “controllo
analogo” quale “rapporto che determina da parte dell’amministrazione controllante un
assoluto potere di direzione coordinamento e supervisione […] che riguarda l’insieme dei più
importanti atti di gestione”.
C. VOLPE, L’affidamento in house di servizi pubblici locali e strumentali: origine ed evoluzione più
recente dell’istituto alla luce della normativa e della giurisprudenza europea e nazionale, in
www.giustamm.it, n. 3/2014.
49
Sentenza 18 novembre 1999, Causa c-107/98, Teckal s.r.l. contro Comune di Viano e Azienda Gas –
Acqua consorziale (AGAC) di Reggio Emilia.
48
75
Tale conclusione è ribadita anche nella sentenza Stadt Halle50 - oltre che nella
sentenza 13 ottobre 2005, causa n. c-458/03 (c.d. Parking Brixen51) – con la quale viene
affermato un ulteriore principio fondamentale (che, sino alle direttive del 2014, ha costituito
un caposaldo dell’in house providing), ossia la necessaria partecipazione pubblica totalitaria
al capitale della società affidataria: la presenza (pure minoritaria) di un’impresa privata nel
capitale esclude in ogni caso che l’amministrazione aggiudicatrice, per quanto a sua volta in
possesso di partecipazione azionaria, possa esercitare sulla società un controllo analogo a
quello che essa svolge sui propri servizi52.
Sul requisito del controllo analogo la giurisprudenza comunitaria è intervenuta poi a
più riprese, chiarendo che la sola partecipazione pubblica totalitaria, per quanto necessaria,
non poteva comunque ritenersi sufficiente a garantire la ricorrenza del requisito de quo53,
occorrendo strumenti di controllo da parte dell’ente molto più pregnanti rispetto a quelli
previsti dal diritto civile e tali da concentrare nelle mani dell’ente socio la gestione della
società, con radicale ridimensionamento dei poteri del Consiglio di Amministrazione.
L’in house dunque, nella ricostruzione fornitane dalla giurisprudenza, esclude la
terzietà, poiché l’affidamento avviene a favore di un soggetto il quale, pur dotato di autonoma
personalità giuridica, si trova in condizioni di soggezione nei confronti dell’ente affidante, il
50
Sentenza 11 gennaio 2005, causa C-26/03, Stadt Halle e RPL Recyclingpark Lochau GmbH contro
Arbeitsgemeinschaft Thermische Restabfall- und Energieverwertungsanlage TREA Leuna. Si veda,
G.F. Ferrari, Servizi pubblici locali ed interpretazione restrittiva delle deroghe alla disciplina
dell’aggiudicazione concorrenziale, nota a sentenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea,
11 gennaio 2005, causa C-26/03, Stadt Halle e RPL Recyclingpark Lochau GmbH c.
Arbeitsgemeinschaft Thermische Restabfall und e – nergieverwertungsanlage TREA Leuna, in Diritto
Pubblico Comparato ed Europeo, n. 2/2005, pp. 834-838.
51
Si veda, G.F. FERRARI, Parking Brixen: Teckal da totem a tabù?, nota a sentenza della Corte di
giustizia della Comunità europea, 13 ottobre 2005, causa C-458/03, Parking Brixen GmbH c.
Gemeinde Brixen, Stadtwerke Brixen AG, in Diritto Pubblico Comparato ed Europeo, n. 1/2006, pp.
271-277.
52
C. VOLPE, In house providing, Corte di Giustizia, Consiglio di Stato e legislatore nazionale. un caso
di convergenze parallele?, in www.giustizia-amministrativa.it. Si veda, La Corte di Giustizia tiene il
punto sui requisiti Teckal, nota a sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (quinta
sezione), 19 giugno 2014, causa C-574/14, Centro Hospitalar de Setúbal EPE, Serviço de Utilização
Comum de Hospitais (SUCH) c. Eurest (Portugal) - Sociedade Europeia de Restaurantes Lda, in
Diritto Pubblico Comparato ed Europeo, n. 3/2014, pp. 1373-1374.
53
Sentenza 11 maggio 2006, Causa C-340/04, Carbotermo s.p.a. e Consorzio Alisei contro Comune di
Busto Arsizio e AGESP. Si veda, G. F. FERRARI, Ancora sui requisiti Teckal: la coperta è sempre più
corta, nota a sentenza della Corte di giustizia della Comunità europea (prima sezione), 6 aprile 2006,
causa C-410/04, Associazione Nazionale Autotrasporto Viaggiatori (ANAV) c. Comune di Bari,
A.M.T.A.B. Servizio SpA, e 11 maggio 2006, causa C-340/04, Carbotermo SpA, Consorzio Alisei c.
Comune di Busto Arsizio, AGESP SpA, in Diritto Pubblico Comparato ed Europeo, n. 3/2006, pp.
1367- 1372 e in Management delle utilities, La Rivista di economia e gestione dei servizi pubblici,
n.3/2006, pp.59-63.
76
quale è nella posizione di determinarne le scelte, essendo l’impresa assoggettata all’influenza
dominante dell’ente socio54.
La società in house deve quindi qualificarsi come longa manus dell’Amministrazione
aggiudicatrice: la prima si qualifica come soggetto giuridico distinto dalla seconda sul piano
formale, ma non anche alla stregua di una valutazione sostanziale, attenta all’effettiva
capacità decisionale; proprio l’assenza di terzietà del soggetto affidatario rispetto al soggetto
affidante e, dunque, la possibilità di considerare il primo quale parte integrante e
prolungamento del secondo, valgono a giustificare il mancato ricorso all’evidenza pubblica in
cui si sostanza il modulo dell’in house providing55.
Perché tale giudizio di unitarietà possa essere positivamente formulato è però
necessario – ha aggiunto la giurisprudenza comunitaria56 - che vi sia affinità di intenti
perseguiti, e affinché tale affinità ricorra occorre che la struttura societaria sia integralmente
partecipata dall’ente pubblico, essendo viceversa sufficiente la presenza di un soggetto
privato, anche in quota minoritaria, ad integrare il rischio che la Società devii dal
perseguimento dell’interesse pubblico del socio di maggioranza (elidendo il presupposto
legittimante il regime derogatorio ai principi dell’evidenza pubblica).
Se dunque la totale concentrazione in mano pubblica del capitale non costituisce
elemento sufficiente, a giudizio degli interpreti, a garantire la configurabilità di un’ipotesi di
in house (dovendo ricorrere anche i sopra richiamati presupposti di penetrante ingerenza nella
gestione della Società, da valutarsi alla stregua delle previsioni statutarie), esso costituisce
sicuramente un presupposto a ciò necessario.
Ecco quindi che torna di centrale rilevanza la tematica della concentrazione in mano
pubblica del capitale.
L’orientamento della Corte è stato fatto proprio, in termini altrettanto rigorosi, dalla
giurisprudenza nazionale. Tra le altre, merita particolare attenzione la sentenza del Consiglio
di Stato, Adunanza Plenaria, n. 1/2008, che opera una precisa ricostruzione del panorama
giurisprudenziale comunitario e ne recepisce e conferma pedissequamente i contenuti.
E’ nel panorama appena descritto che si inseriscono le direttive 2014/ 24/UE nei
settori ordinari, 2014/25/UE sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori
54
C. VOLPE, in op. cit.
R. GAROFOLI, L’affidamento diretto a società in house e a società a capitale misto: ricognizione
degli indirizzi sul tappeto, in www.neldiritto.it.
56
Sentenza 11 gennaio 2005, causa C-26/03, Stadt Halle e RPL Recyclingpark Lochau GmbH contro
Arbeitsgemeinschaft Thermische Restabfall- und Energieverwertungsanlage TREA Leuna
55
77
dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali (settori speciali) – che sostituiscono
le direttive 2004/18/CE 2004/17/CE – e 2014/23/UE57 sull’aggiudicazione dei contratti di
concessione, pubblicate in GUCE in data 28 marzo 2014.
Le direttive forniscono, per la prima volta, la disciplina positiva dell’in house
providing, definendone i presupposti e individuando anche parametri oggettivi cui ancorare,
nel concreto, la verifica di ricorrenza di un modello di gestione in house, stabilendo che
l’appalto pubblico aggiudicato da un’amministrazione aggiudicatrice a una persona giuridica
di diritto pubblico o di diritto privato può essere sottratto alle regole dell’evidenza pubblica
ove siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni:
a)
l’amministrazione aggiudicatrice esercita sulla persona giuridica di che trattasi
un controllo analogo a quello da essa esercitato sui propri servizi;
b)
oltre l'80 % delle attività di tale persona giuridica sono effettuate nello
svolgimento dei compiti ad essa affidati dalle amministrazioni aggiudicatrici controllanti o da
altre persone giuridiche controllate dalle amministrazioni aggiudicatrici di cui trattasi; e
c)
nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di
capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportino
controllo o potere di veto prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei
trattati, e che non esercitino un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata.
Le direttive precisano altresì quando possa ritenersi che un’amministrazione
aggiudicatrice eserciti su una persona giuridica un controllo analogo a quello esercitato sui
propri servizi, richiedendo a tal fine che la stessa sia titolare di un’influenza determinante sia
sugli obiettivi strategici, sia sulle decisioni significative della persona giuridica controllata.
Con le direttive del 2014 il Legislatore traduce dunque in norme le indicazioni fornite
dalla giurisprudenza comunitaria, confermando, in primis, il requisito del controllo analogo.
La concentrazione della totalità del capitale in mano pubblica costituisce, si è detto,
secondo l’insegnamento della Corte di Giustizia, il presupposto indispensabile affinché
siffatta influenza possa in concreto esplicarsi.
Tale principio non è superato nemmeno dalle innovative direttive del 2014, che
continuano a richiedere la partecipazione pubblica totalitaria al capitale sociale, pur
introducendo una sostanziale novità: è ammessa la compatibilità con il modulo dell’in house
Il riferimento normativo è all’art. 12 della direttiva appalti (2014/24/UE), all’art. 28 della direttiva
settori speciali (2014/25/UE) e all’art. 17 della direttiva concessioni (2014/23/UE)
57
78
providing della presenza di capitale privato, purché operata con modalità tali da escludere che
il socio privato possa esercitare un’influenza dominante sulla persona giuridica affidataria.
La portata innovativa è evidente, essendo per tale via demolito il totem della
concentrazione in mano pubblica del capitale sociale quale requisito assolutamente necessario
– anche se non sufficiente – perché possa parlarsi di in house providing, anche se la stessa
connotazione in via derogatoria dell’ipotesi di presenza di capitale privato, assoggettata
peraltro a vincoli stringenti – sono ammesse solo forme di partecipazione di capitali privati
che non comportino controllo o potere di veto, prescritte dalle disposizioni legislative
nazionali, in conformità dei trattati, con esclusione di ipotesi di influenza determinante sulla
persona giuridica controllata – porta comunque a confermare che la totale partecipazione
pubblica costituisce la regola aurea dell’in house, anche se non più assistita dai connotati di
imprescindibilità che le erano stati assegnati dalla giurisprudenza ormai consolidata.
Fondamentale, quindi, è la valutazione, da operarsi in concreto, della dinamica
societaria, che deve comunque essere nel suo complesso idonea a garantire che la gestione
della società affidataria sia nella piena ed esclusiva disponibilità del socio pubblico, così da
garantire quel rapporto di “delegazione interorganica” che, solo, può giustificare il
superamento delle regole dell’evidenza pubblica, che continuano a costituire la via ordinaria
di affidamento dei contratti della P.A., come confermato dalla circostanza che la stessa
disciplina dell’in house è configurata espressamente dalle direttive in chiave derogatoria.
Particolarmente significativo al riguardo è infatti il primo comma dell’art. 12, dir.
2014/24/UE sui settori ordinari (ma di identico tenore sono, altresì, l’art. 28 della direttiva
settori speciali n. 2014/25/UE e l’art. 17 della direttiva concessioni n. 2014/23/UE), il quale
così dispone: “Un appalto pubblico aggiudicato da un’amministrazione aggiudicatrice a una
persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato non rientra nell’ambito di
applicazione della presente direttiva quando siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni
[…]”.
Per quanto quindi la portata dell’innovazione delle direttive sia meno dirompente
rispetto a quanto a prima vista appaia, presentando accanto ad elementi di certa discontinuità,
anche evidenze della volontà di conservare e confermare i capisaldi dell’in house providing,
essa ha suscitato l’interesse degli interpreti – nonché, ovviamente, degli operatori del settore –
, che si sono interrogati sulla possibilità di dare immediata applicazione alle novità introdotte
dal Legislatore comunitario.
79
Parte della giurisprudenza ha affermato l’impossibilità di procedere in tal senso,
evidenziando come le direttive non siano ancora state recepite dagli Stati membri 58 (e il
termine per provvedervi – fissato al 17 aprile 2016 – non sia spirato) e debbano ritenersi prive
del carattere dell’immediata esecutività, con conseguente conferma dell’esigenza che si
prosegua a dare applicazione all’orientamento che interpreta in termini assoluti il requisito
della totale concentrazione in mano pubblica del capitale della società in house, tanto da
ritenere censurabile anche la partecipazione non solo minoritaria, ma altresì in via indiretta
(ossia di secondo grado) di capitale privato (Tar Friuli Venezia Giulia, sez. I, 4 dicembre
2014, n. 629).
Di segno opposto è, però, un recente parere del Consiglio di Stato in sede consultiva, il
quale, in ordine alla prescrizione innovativa dettata dal sopra richiamato art. 12, paragrafo 1,
lett. c), dir. 2014/24/CE, ha affermato che “come è noto, la direttiva 2014/24 non è stata
ancora recepita, essendo ancora in corso il termine per il relativo incombente, e tuttavia essa
appare di carattere sufficientemente dettagliato tale da presentare pochi dubbi per la sua
concreta attuazione. Non vi è dubbio quindi che nel caso in esame, se non vi è addirittura
un’applicazione immediata del tipo “self executing”, non può in ogni caso non tenersi conto
di quanto disposto dal legislatore europeo, secondo una dettagliata disciplina in materia,
introdotta per la prima volta con diritto scritto e destinata a regolare a brevissimo la
concorrenza nei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture nell’U.E.” (sezione II, parere
n. 298/2015).
Di minore impatto e quindi anche di più ridotta difficoltà ermeneutica e applicativa,
ma certo di apprezzabile contributo a definire con maggiore certezza i contorni dell’in house
providing, è anche la scelta del Legislatore comunitario di codificare con le direttive del 2014
anche il c.d. in house frazionato o pluripartecipato, delineando le modalità attraverso le quali
le Amministrazioni che detengano quote di minoranza possano ritenersi titolari del controllo
analogo sull’affidatario.
Più in particolare, è richiesto a tali fini che 1) gli organi decisionali della persona
giuridica controllata siano composti da rappresentanti di tutte le amministrazioni
aggiudicatrici partecipanti, con la precisazione che singoli rappresentanti possono
rappresentare varie o tutte le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti; 2)
tali
amministrazioni aggiudicatrici siano in grado di esercitare congiuntamente un’influenza
58
Il ddl di recepimento è attualmente all’esame della Commissione Lavori Pubblici del Senato.
80
determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative di detta persona giuridica;
e 3) la persona giuridica controllata non persegua interessi contrari a quelli delle
amministrazioni aggiudicatrici controllanti (riproponendosi quindi in via espressa la necessità,
già evidenziata dalla giurisprudenza, della concordanza dei fini).
La disciplina positiva sostanzialmente ricalca le indicazioni della giurisprudenza, che
già in passato aveva trattato la questione del controllo analogo in presenza di azionariato
pubblico diffuso.
In particolare, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sezione III, con la sentenza
29 novembre 2012, pronunciata nelle cause riunite C-182/11 Econord SpA contro Comune di
Cagno e Comune di Varese e C-183/11 Econord S.p.A. contro Comune di Solbiate e Comune
di Varese, aveva risposto alla questione sollevata dal Consiglio di Stato affermando il
seguente principio: “Quando più autorità pubbliche, nella loro veste di amministrazioni
aggiudicatrici, istituiscono in comune un’entità incaricata di adempiere compiti di servizio
pubblico ad esse spettanti, oppure quando un’autorità pubblica aderisce ad un’entità siffatta,
la condizione enunciata dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea,
secondo cui tali autorità, per essere dispensate dal loro obbligo di avviare una procedura di
aggiudicazione di appalto pubblico in conformità alle norme del diritto dell’Unione, debbono
esercitare congiuntamente sull’entità in questione un controllo analogo a quello da esse
esercitato sui propri servizi, è soddisfatta qualora ciascuna delle autorità stesse partecipi sia
al capitale sia agli organi direttivi dell’entità suddetta”.
3. Ulteriore requisito per il legittimo ricorso all’in house providing, si è visto, è
costituito dalla c.d. attività prevalente, che si sostanzia nella necessità che l’affidatario svolga
la più parte della propria attività in favore dell’ente che lo controlla.
Già la giurisprudenza comunitaria59 aveva fornito i parametri di valutazione della
sussistenza del requisito in esame, precisando come a tale fine occorresse tenere in
considerazione tutte le attività svolte dall’affidatario, a prescindere da chi in concreto le
remunerasse (se l’amministrazione aggiudicatrice o il fruitore finale della prestazione), e a
nulla rilevando l’ambito territoriale in cui esse venivano svolte (sul punto, occorre però
evidenziare come, per quanto sia ritenuto ininfluente ai fini della determinazione della
Sentenza dell’11 maggio 2006 - causa C-340/04, Carbotermo SpA e Consorzio Alisei contro
Comune di Busto Arsizio e AGESP SpA.
59
81
sussistenza del requisito dell’attività prevalente sapere su quale territorio siano erogate le
prestazioni, non di meno la giurisprudenza riteneva necessario che lo sviluppo dei servizi
affidati in house si svolgesse nell’ambito territoriale di riferimento dell’ente locale socio, in
quanto, in difetto, non sarebbe stato possibile ipotizzarsi la ricorrenza del controllo
analogo60).
A giudizio degli interpreti, quindi, il requisito dell’attività prevalente poteva essere
predicato sia nel caso di prestazioni svolte nei confronti dell’ente controllante, sia nel caso di
prestazioni svolte per conto dello stesso, nello svolgimento diretto da parte dell’aggiudicatario
delle attività istituzionali dell’ente pubblico61.
La medesima giurisprudenza aveva anche chiarito che nell’ipotesi in cui diversi enti
detenessero un’impresa, poteva dirsi integrato il requisito anche qualora tale impresa
svolgesse la parte più importante della propria attività con tali enti complessivamente
considerati62.
Nel tentativo di fornire parametri di riferimento, gli interpreti avevano individuato nel
fatturato il dato oggettivo su cui concentrare le valutazioni relative al requisito dell’attività,
con l’importante precisazione – in linea con la tendenza sostanzialistica assunta dalla
giurisprudenza nel valutare i requisiti dell’in house – che il fatturato determinante fosse
rappresentato da quello che l’impresa in questione realizzava in virtù delle decisioni dell’ente
controllante (ivi compreso, dunque, quello ottenuto con gli utenti, in attuazione di tali
decisioni) 63, e che, più ancora che l’individuazione di una soglia percentuale, necessitasse un
giudizio pragmatico fondato non solo sull’aspetto quantitativo, ma anche su quello qualitativo
delle prestazioni fornite. In altri termini, la natura dei servizi, opere o beni resi al mercato
privato, oltre alla sua esiguità, doveva anche dimostrare la quasi inesistente valenza nella
strategia aziendale e nella collocazione dell’affidatario diretto nel mercato pubblico e
privato64.
Sino alle direttive del 2014 è spettato quindi agli interpreti fornire i riferimenti per il
giudizio di prevalenza.
Sentenza del 10 settembre 2009 – causa C-573/07, Sea Srl contro Comune di Ponte Nossa
R. GAROFOLI, in op. cit.
62
C. VOLPE, in op. cit.
63
Sentenza dell’11 maggio 2006 - causa C-340/04, Carbotermo SpA e Consorzio Alisei contro
Comune di Busto Arsizio e AGESP SpA.
64
Consiglio di Giustizia Amministrativa Siciliana, 4 settembre 2007, n. 719
60
61
82
Oggi è normativamente previsto che tale condizione sia da ritenersi soddisfatta ove
oltre l’80% dell’attività del soggetto affidatario in house venga effettuata nello svolgimento
dei compiti ad esso affidati dal soggetto controllante o da altre persone giuridiche controllate
dall’Amministrazione affidante, dato da verificarsi ponendo mente al fatturato medio totale
dell’affidatario o, comunque, ad un’inidonea misura alternativa dell’attività, quali i costi
sostenuti dalla persona giuridica affidataria o dall’amministrazione aggiudicatrice nei campi
dei servizi, delle forniture e dei lavori per i tre anni precedenti l’aggiudicazione dell’appalto.
Le direttive precisano poi che, se a causa della data di costituzione o di inizio
dell’attività dell’affidatario o dell’amministrazione aggiudicatrice ovvero a causa della
riorganizzazione delle sue attività il fatturato, o la misura alternativa basata sull’attività, non è
disponibile per i tre anni precedenti o non è più pertinente, ad integrare il requisito è
sufficiente la dimostrazione, in base a proiezioni dell’attività, che la misura dell’attività in
rapporto al raggiungimento della predetta soglia sia credibile.
E’ interessante evidenziare come il Legislatore comunitario abbia scelto un parametro
numerico per definire il requisito dell’attività prevalente, ponendosi in qualche modo in
controtendenza rispetto alle indicazioni della giurisprudenza che da sempre pone l’accento sul
concreto atteggiarsi dell’attività.
4. Il ricorso al modulo gestorio della Società in house costituisce dunque – con ogni
evidenza – una fattispecie, se non eccezionale, certamente derogatoria all’ordinario e pacifico
principio della selezione del contraente mediante gara.
Nella stessa ottica possono essere analizzati altri due strumenti di gestione del
contratto di appalto, ossia la proroga e il rinnovo dell’affidamento.
Secondo la distinzione tradizionalmente individuata dalla giurisprudenza, la proroga
del contratto sposta in avanti il solo termine di scadenza del rapporto, mentre il rinnovo
comporta una nuova negoziazione con il medesimo soggetto, ossia un rinnovato esercizio
dell’autonomia negoziale (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. III, 20 gennaio 2015, n. 159).
Il provvedimento amministrativo che disponga la proroga dell’affidamento di un
servizio (o di un lavoro, o di una fornitura), così come la firma del contratto di proroga, deve
quindi intervenire prima della scadenza del contratto originario.
83
Ora, la giurisprudenza in materia di rinnovo o proroga dei contratti pubblici di appalto
ha assunto una posizione di principio piuttosto chiara, evidenziando l’assenza di spazio per
l’autonomia contrattuale delle parti in relazione alla normativa inderogabile stabilita dal
Legislatore per ragioni di interesse pubblico, “in quanto vige il principio in forza del quale,
salve espresse previsione dettate dalla legge in conformità della normativa comunitaria,
l’Amministrazione, una volta scaduto il contratto, deve, qualora abbia ancora la necessità di
avvalersi dello stesso tipo di prestazioni, effettuare una nuova gara” (C. Stato, sez. V, 20
agosto 2013, n. 4192).
Tale statuizione di principio non ha però impedito, ferma restando l’affermazione del
ricorso all’evidenza pubblica quale strumento ordinario di selezione del contraente, di dare
ingresso anche ad ipotesi di proroga dei contratti dell’Amministrazione, seppur in presenza di
ben precisi e tassativi presupposti.
A sostegno della legittimità della proroga di contratti di appalto, il Giudice
amministrativo65 ha posto la necessità che vi sia espressa previsione nella lex specialis della
possibilità di procedere alla proroga del rapporto, nonché che l’esercizio di siffatta facoltà sia
accompagnato dall’assunzione di puntuale motivazione da parte dell’Amministrazione, che
dia conto degli elementi che conducono a disattendere il principio generale dell’evidenza
pubblica.
Con la sentenza della Terza Sezione del Consiglio di Stato n. 3580/2013, i Giudici
evidenziano come il principio di concorrenza, più di ogni altro, garantisca la scelta del miglior
contraente, sia sotto il profilo della qualificazione tecnica dell’operatore, sia della
convenienza economica del contratto, ma che, allorché la possibilità della “proroga”
contrattuale sia resa nota ai concorrenti sin dall’inizio delle operazioni di gara, cosicché
ognuno possa formulare le proprie offerte in considerazione della durata eventuale del
contratto, nessuna lesione dell’interesse pubblico alla scelta del miglior contraente sarebbe
riscontrabile, né alcuna lesione dell’interesse generale alla libera concorrenza, essendo la
fattispecie del tutto analoga, dal punto di vista della tutela della concorrenza, a quella nella
quale si troverebbero le parti contraenti nell’ipotesi in cui l’amministrazione avesse operato,
ab initio, una scelta “secca” per la più lunga durata del contratto.
I Giudici aggiungono, inoltre, che la soluzione di operare un frazionamento della
durata del contratto (con riserva espressa di optare per il suo prolungamento eventuale, nei
65
Consiglio di Stato, sez. IV, 24 novembre 2011, n. 6194; sez. V, 20 agosto 2013, n. 4192; sez. III, 8
luglio 2013, n. 3580.
84
termini anzidetti) meglio risponderebbe all’interesse pubblico, poiché consentirebbe di
rivalutare la convenienza del rapporto dopo un primo periodo di attività, alla scadenza
contrattuale, sulla base dei risultati ottenuti, senza un vincolo di lungo periodo, ed
eventualmente, se ritenuta non conveniente la prosecuzione del rapporto, lascerebbe libera
l’Amministrazione di reperire sul mercato condizioni migliori.
Nell’affrontare la diversa tematica della possibilità per la P.A. di rinnovare in via
diretta il rapporto contrattuale con l’affidatario scelto con gara, occorre in primo luogo
considerare il disposto dell’art. 23, l. 18 aprile 2005, n. 62, Legge Comunitaria 2004.
Attraverso siffatta disposizione il Legislatore ha inteso operare al fine di ottenere
l’archiviazione di una procedura di infrazione comunitaria a carico dello Stato italiano, avente
ad oggetto la previsione normativa nazionale – contenuta nell’art. 6, comma 2, l. 537/1993 –
della facoltà di procedere al rinnovo espresso dei contratti delle pubbliche amministrazioni,
ritenuta incompatibile con i principi di libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi
cristallizzati nel Trattato CE e con la normativa europea in tema di tutela della concorrenza
nell’affidamento degli appalti pubblici.
Allo scopo di superare la predetta procedura di infrazione, la Legge Comunitaria 2004
è intervenuta disponendo la soppressione dell’ultimo periodo del citato art. 6, comma 2, l.
537/1993, che, nella sua lettera originaria, così recitava: “E' vietato il rinnovo tacito dei
contratti delle pubbliche amministrazioni per la fornitura di beni e servizi, ivi compresi quelli
affidati in concessione a soggetti iscritti in appositi albi. I contratti stipulati in violazione del
predetto divieto sono nulli. Entro tre mesi dalla scadenza dei contratti, le amministrazioni
accertano la sussistenza di ragioni di convenienza e di pubblico interesse per la rinnovazione
dei contratti medesimi e, ove verificata detta sussistenza, comunicano al contraente la volontà
di procedere alla rinnovazione”.
Prima dell’intervento demolitorio del 2005 era dunque vietato espressamente il
rinnovo tacito dei contratti, pur essendo consentito – se preceduto da puntuali valutazioni di
convenienza e corrispondenza all’interesse pubblico – il rinnovo espresso del rapporto
contrattuale.
Gli interpreti hanno assegnato alla modificazione introdotta con la legge 62/2005
valenza generale e preclusiva sulle altre e contrarie disposizioni dell’ordinamento, assumendo
sin da subito posizioni estremamente intransigenti (tra le altre, C. Stato, sez. IV, 31 ottobre
2006, n. 6459), e qualificando l’intervento in questione come evidentemente volto a
85
precludere non solo il rinnovo tacito (già vietato espressis verbis), ma altresì il rinnovo
espresso dei contratti della P.A. (si veda, altresì, C. Stato, sezione V, 8 luglio 2008, n. 3391).
Tanto posto, si osserva come una parziale apertura – limitata, invero, al caso di appalti
di servizi – all’ipotesi di rinnovo espresso (e motivato) del contratto potrebbe però forse
derivare dall’art. 57, d. lgs. 163/2006, che, se al comma 7 espressamente reitera il divieto di
tacita rinnovazione dei contratti aventi ad oggetto forniture, servizi, lavori, sanzionando con la
nullità i sinallagmi stipulati in violazione del predetto divieto, con la previsione del quinto
comma ammette il ricorso alla procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di
gara nel caso di appalti per nuovi servizi “consistenti nella ripetizione di servizi analoghi già
affidati all’operatore economico aggiudicatario del contratto iniziale dalla medesima
stazione appaltante, a condizione che tali servizi siano conformi a un progetto di base e che
tale progetto sia stato oggetto di un primo contratto aggiudicato secondo una procedura
aperta o ristretta, e con la precisazione che il ricorso alla procedura negoziata senza bando è
consentito solo nei tre anni successivi alla stipulazione del contratto iniziale e deve essere
indicato nel bando del contratto originario”.
Tuttavia, deve osservarsi che, a stretto rigore, l’articolo è deputato a disciplinare
l’ipotesi di un nuovo affidamento in via negoziata, e non il vero e proprio rinnovo in senso
stretto (il quale ha una connotazione giuridica propria e distinta).
Inoltre, come rilevato, si tratterebbe di una deroga al regime dell’evidenza pubblica e
alla necessità di farvi ricorso alla scadenza del contratto originario (come da ultimo
riaffermato dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 4192/2013) limitata al solo caso
dell’appalto di servizi, e quindi non dotata di forza sufficiente a consentire di ritenere
superabili le obiezioni mosse dagli interpreti, a seguito della Legge Comunitaria del 2004,
circa la possibilità di ritenere ancora ammissibile nel nostro ordinamento ipotesi di rinnovo
(anche espresso) del contratto di appalto.
87
CONCLUSIONI
Giuseppe Pericu
(Università di Milano Statale)
Ringrazio il Prof. Ferrari che ha toccato con maestria un tema delicatissimo e difficile:
quello delle pubbliche amministrazioni, in particolare delle amministrazioni locali, che si
propongono di svolgere attività d'impresa e volendo svolgere attività d'impresa devono dotarsi
di un organizzazione adeguata. Il Comune non è soltanto momento di autorità, non è soltanto
un referente politico ma è anche un gestore di attività economiche, a domanda individuale o a
domanda collettiva, che richiedono organizzazioni imprenditoriali anche se assumono la
formula istituzionale dell' in house. Le relazioni sono state ricchissime e probabilmente hanno
fornito molte risposte ai numerosi quesiti che la tematica trattata ha fatto emergere. Passo
direttamente alle conclusioni che per essere apprezzate debbono essere brevi.
Prima di concludere un ringraziamento. Un sincero ringraziamento alla Professoressa
Vipiana per aver organizzato in modo eccellente quest'incontro, un ringraziamento a coloro
che sono intervenuti e agli studenti che hanno seguito con attenzione le relazioni su temi non
facili, per molti versi ostici. Abbiamo esaminato e discusso di normative comunitarie
altamente complesse che vanno ad inserirsi in un insieme di regole esistenti, anche esse
complesse. Una tematica ardua da impostare e da dipanare.
Le mie conclusioni sono facili perché le relazioni sono state ricche, sono stati
affrontati tutti i profili interpretativi; quindi io non tornerò su i temi già analizzati e discussi,
ma tenterò di aggiungere al quadro interpretativo che è stato delineato qualche ulteriore
considerazione anche non strettamente giuridico formale.
88
Una considerazione preliminare. I giuristi trattano ogni argomento in modo molto
asettico, ed è l’approccio metodologico corretto, ma il tema degli appalti e il tema delle
concessioni sono temi altamente delicati, incidono sulla qualità della vita di ciascuno, non
solo perché ci consentono – se ben gestiti - di fruire di infrastrutture e servizi adeguati, ma
anche perché sono l’ambiente in cui più facilmente si verificano situazioni di sperpero di
denaro pubblico e fenomeni di corruzione. Nelle relazioni condotte soprattutto da chi ha una
formazione di stretto diritto amministrativo il secondo profilo che ho indicato tende ad essere
trascurato, appartenendo più direttamente alle competenze del penalista, ma al contrario
dobbiamo considerarlo soprattutto indagando le possibili relazioni tra la fase della
legislazione e l’organizzazione amministrativa di attuazione.
In realtà sia la normazione che la gestione degli appalti e delle concessioni di lavori,
di opere e di servizi nel nostro paese non sono ottimali. La fase della realizzazione
probabilmente si atteggia e si svolge in modi molto diversificati nelle diverse parti del
territorio nazionale , ma nel complesso è esperienza comune a ciascuno di noi che molte opere
programmate non vengono eseguite o vengono eseguite a costi più alti e in tempi più lunghi di
quelli inizialmente previsti. Purtroppo in non poche situazioni si sono anche verificati
fenomeni di carattere corruttivo. Sono esperienze delle quali quasi quotidianamente deve
occuparsi la stampa. Le carenze, i difetti strutturali che generano questa realtà si ritrovano sia
nella legislazione, sia nella fase della gestione realizzativa.
A livello normativo le direttive che stiamo commentando introducono una serie di
novità: l’aver disciplinato le concessioni amministrative per la prima volta, sia pure in termini
molto esili; l'aver mantenuto la distinzione tra settori ordinari e settori speciali; l'aver
considerato la fase dell'esecuzione del contratto come un momento fondamentale per il
raggiungimento dell’obiettivo, sono indubbiamente scelte che fanno chiarezza su molti profili
di rilievo.
Però a mio giudizio, andando al di là del dato letterale della norma, riprendendo anche
una considerazione avanzata da Consigliere Gisondi, l'elemento fondamentale che caratterizza
le direttive è costituito dal “rational” dei diversi istituti che il legislatore europeo ci propone.
Noi siamo abituati a pensare, siamo sempre stati abituati a pensare, che il buon
amministratore nella gestione di questo tipo di operazioni debba mirare soprattutto al rispetto
del principio della legalità formale: l'appalto è corretto se sono state rispettate tutte le regole
previste dalla legge, dai regolamenti sino a quelle particolari introdotte dal bando. Non ci
89
siamo mai preoccupati se in realtà l'opera venga effettivamente eseguita nei tempi e nei costi
previsti o il servizio sia gestito con piena soddisfazione dei cittadini. La preoccupazione
maggiore della stazione appaltante è costituita dal fatto che l'affidamento sia avvenuto nel
rispetto delle formalità previste.
La logica che ci propone adesso il legislatore comunitario è diversa. Ci si deve
preoccupare dei principi fondamentali, della trasparenza, del confronto concorrenziale, della
parità di trattamento, della buona spesa pubblica, ma si deve anche controllare e verificare
che l'opera si realizzi effettivamente nei termini prefissati, che il servizio affidato sia gestito
nella realtà quotidiana nell'interesse dei cittadini. Per fare questo la stazione appaltante non si
deve limitare a controllare se sono state rispettate le regole che disciplinano il settore, ma
deve controllare che il suo interlocutore - la parte privata cui si affida il lavoro o il servizio abbia le capacità economiche e imprenditoriali per realizzare ciò che ha promesso di fare;
deve controllare anche che l’intervento programmato si situi in un contesto sociale adeguato e
non sia un corpo estraneo, determinando crisi di rigetto sostanzialmente impeditive. In poche
parole deve controllare che l’obiettivo che ci si è prefissi sia effettivamente raggiunto nei
termini e con le modalità previste.
Per fare questo non si può far altro che contrattare, occorre confrontarsi con la
controparte, che è un imprenditore, in una posizione sostanzialmente paritaria per definire
insieme le scelte progettuali ed esecutive più idonee nel caso di specie. Si deve avere altresì la
capacità, la professionalità per controllare in continuum che ciò che è stato concordato in un
confronto leale, nel quale sono stati analiticamente individuati e definiti in tutti i momenti le
fasi della progettazione e della esecuzione, sia effettivamente realizzato. Ed ove si rivelino
inadempienze, anche lievi, deve possedere la capacità di sanzionarle in termini non nominali.
E' una logica diversa rispetto a quella che noi abbiamo conosciuto e gestito sino ad oggi. E'
una logica rispetto alla quale è facile avanzare il dubbio sulla possibilità di effettivamente
attuarla.
Ed è su questo punto che vorrei brevemente soffermarmi ancora. La nostra pubblica
amministrazione in oggi non è adeguata ad essere un interlocutore con le caratteristiche cui
sommariamente ho fatto cenno. Non è adeguata in particolare perché ogni qualvolta si tratta
di assumersi una precisa responsabilità operando scelte che sono sostanzialmente
discrezionali ,nell’ambito dell’ineludibile confronto con l'impresa, vi è un sostanziale rifiuto
di decidere che viene mascherato facendo ricorso – rifugiandosi – nel rispetto delle regole
90
formali . Per assumersi responsabilità occorre essere “forti”: avendo la disponibilità di
conoscenze tecniche elevate, disponendo di un’onorabilità reale conquistata sul campo,
essendo capaci nel momento in cui ci si confronta con le imprese di avere le stesse capacità,
quantomeno conoscitive, cha ha l'impresa al fine di evitare di essere “catturati”. Un forte
patrimonio di conoscenze tecniche e nel contempo una capacità di contrattare assumendosi le
relative responsabilità sono paradigmi che non sono propri delle nostre pubbliche
amministrazioni.
Se vogliamo recepire le direttive di cui ci occupiamo dobbiamo dotarci di una diversa
organizzazione
amministrativa.
Si
discute
quale
potrebbe
essere
questa
diversa
organizzazione: si ipotizza una concentrazione delle stazioni appaltanti; Alberti ricordava
l’introduzione di un sistema di incentivi/disincentivi; le soluzioni in campo sono molte e il
confronto è aperto.
Ogni scelta dovrà confrontarsi con una normativa parallela ed altamente
condizionante: la legislazione anticorruzione. Questo insieme normativo si muove in una
logica per molti versi opposta; basti un solo esempio: al fine di prevenire possibili reati si
prevede un forte turn over da parte dei funzionari responsabili di contrattare per la pubblica
amministrazione, al contrario occorrerebbe che chi è preposto ad ufficio possa continuare ad
occuparlo per periodi sufficienti ad acquisire la professionalità richiesta, che, come si è detto,
non si risolve nella mera conoscenza delle regole giuridiche. A ben vedere un frequente turn
over è possibile ove la preparazione dei funzionari preposti ai diversi settori sia
intercambiabile e tale è solo ed esclusivamente sotto il profilo giuridico. Sono problematiche
complesse che possono essere risolte soltanto se si pone mano effettivamente alla
organizzazione della pubblica amministrazione e non soltanto alla definizione di regole
giuridiche.
C'è un altro profilo sul quale vorrei richiamare l’attenzione; in questo caso non di
carattere organizzatorio, ma strettamente giuridico. In tutti gli interventi è emersa in modo
molto netto la natura contrattuale dei rapporti che si instaurano tra la pubblica
amministrazione e l'appaltatore o il concessionario. Siamo in presenza di contratti. Noi siamo
abituati a gestire questi contratti sulla base di una loro ricostruzione che comunemente
definiamo a doppio stadio: una fase pubblicistica e una fase privatistica . Ma quali sono i
perché di questa ricostruzione? La sola motivazione credibile discende dalla peculiare
articolazione del nostro sistema di giustizia nei confronti delle pubbliche amministrazioni: la
91
fase pubblicistica è sostanzialmente rimessa a un giudice che può conoscere del rapporto
dedotto solo sulla base di un ricorso di impugnazione, di un atto (sia il provvedimento
conclusivo, sia gli atti che l’hanno preceduto, sia lo stesso bando di gara) che deve essere
contestato sotto il profilo della sua legalità formale e soltanto sotto questo profilo.
Un processo di impugnazione mal si coniuga con l'esistenza di rapporti contrattuali
paritari per i quali la verifica giudiziaria deve inserirsi a pieno titolo sul rapporto giuridico in
tutte le sue componenti. Non si tratta soltanto di verificare se la legge è stata rispettata, ma
anche se le pattuizioni intervenute sono proprie e congruenti rispetto all’obiettivo perseguito,
che si sostanzia nella effettiva realizzazione dell’opera; gli stessi poteri del giudice dovranno
essere omogeni rispetto a questo obiettivo e non risolversi in un sterile annullamento di un
atto amministrativo.
La ovvia conseguenza di quanto si viene dicendo comporta una modificazione del
sistema processuale. Modifiche che non mirano a sottrarre la competenza al magistrato
amministrativo, del quale deve essere sempre più valorizzata la vocazione quale giudice della
pubblica amministrazione, ma a indurlo ad essere il momento di verifica giudiziale non di un
atto amministrativo, ma di un rapporto contrattuale. E’ problematica complessa ma ormai
assai approfondita a livello scientifico e politico; le soluzioni ipotizzate sono molteplici e
trovano, forse, l’espressione maggiormente operativa nell’ampliamento della giurisdizione
esclusiva. Anche in questi casi tuttavia non si può non rilevare la grane “fatica” che incontra il
Magistrato ammnistrativo a rinunciare alla logica dell’impugnazione. Siamo di fronte a un
problema culturale di non agevole soluzione, ma essenziale per garantire ai cittadini una
amministrazione legale ed efficiente.
Chiudo con l'ultima considerazione. Oggi abbiamo un codice degli appalti: il codice
De Lise. E’ un insieme normativo che mi pare estraneo alla logica delle nuove direttive. Si
parla di un'abolizione del codice e di una ricezione delle direttive secondo un modello, come
ricordava la prof.ssa Vipiana, a maglie larghe: non una normativa eccessivamente dettagliata.
Recepimento che potrebbe utilmente essere accompagnato all’emanazione di circolari,
suggerimenti, direttive, contratti tipo, cioè di una normazione di rango inferiore non
vincolante che possa essere d'aiuto alle pubbliche amministrazioni. Non dobbiamo
dimenticare che il codice De Lise non solo ha recepito le vecchie direttive comunitarie ma le
ha anche aggravate. Le nuove direttive comunitarie che stiamo commentando si muovono
secondo logiche del tutto diverse ed escludono espressamente un aggravamento dei vincoli ,
92
privilegiando il confronto con il privato e la garanzia dell’ottenimento nella realtà concreta del
risultato perseguito con l’affidamento .
C’è sicuramente molto lavoro da fare: non solo in Parlamento e nel Ministero per
definire le normative, ma anche nel ripensare un diverso modo di fare amministrazione e di
verifica in sede giustiziale della sua correttezza .
93
PARTE SECONDA
COMUNICAZIONI
95
SOCIETÀ IN-HOUSE PROVIDING E GIURISDIZIONE DELLA CORTE DEI
CONTI
Maria Pia Giracca
(Dottore di ricerca in diritto amministrativo)
SOMMARIO: 1. Considerazioni introduttive. - 2. L'orientamento della Corte di
Cassazione sulla giurisdizione contabile in tema di “in-house”. - 3. La critica in dottrina. - 4.
Considerazioni conclusive.
1. Considerazioni introduttive
L’in-house providing costituisce una parte rilevante del fenomeno delle Società
Pubbliche66.
Il modello é noto anche come “affidamento diretto” e presenta varie sfaccettature: 1) si
colloca nel contesto delle società pubbliche e in quanto tale incrocia discipline pubblicistiche e
privatistiche, segnatamente di diritto commerciale; 2) rappresenta un'eccezione al principio della
concorrenza, cardine del TFUE all'art. 106; 3) é uno dei modelli di gestione dei servizi pubblici locali
quindi riveste un ruolo di primo piano nell'organizzazione amministrativa. Il fenomeno ha origine
nella giurisprudenza comunitaria ove sono stati numerosi gli interventi della Corte di Giustizia dettati
dall'esigenza di procedere a specifici affinamenti e limature dei principi orginariamente enucleati.
Oggi la materia trova una esplicita codificazione a seguito delle nuove Direttive UE sugli appalti
pubblici e sull'aggiudicazione dei contratti di concessione del 26 febbraio 2014 n. 2014/24/UE (art. 12
settori ordinari); n. 2014/23/UE (art. 17 settori speciali); n. 2014/25/UE (art. 28 concessioni) che
indicano i requisiti: 1) il c.d. controllo analogo; 2) l’attività prevalente della società svolta nei
confronti dell'ente pubblico socio (soggetto controllante) nella misura dell’80 % (secondo le nuove
direttive); 3) la composizione della compagine societaria con il requisito della totale partecipazione
pubblica (con ammissibilità, secondo le direttive del 2014, di una apertura al capitale privato, purché
sia connotata dall’assenza di poteri di influenza sulla gestione della Società), per un approfondito
commento si vedano: C. VOLPE, L’affidamento in house di servizi pubblici locali e strumentali:
origine ed evoluzione più recente dell’istituto alla luce della normativa e della giurisprudenza
europea e nazionale, in www.giustamm.it, n. 3/2014; C. CONTESSA, L'in house providing 15 anni
66
96
Come ogni altro tipo di società, le società in-house sono soggette al diritto comune e
dunque alle disposizioni dettate dal codice civile67, ma, in quanto species del genus “società
pubbliche”, sono rette anche da un regime particolare68.
A tal proposito, uno dei profili di maggiore interesse e attualità, emerso nell'ambito del
dibattito dottrinario e giurisprudenziale sui caratteri delle società in-house, pare la
sottoponibilità alla responsabilità per danno erariale dei suoi amministratori (per i danni subiti
dagli enti pubblici partecipanti al capitale sociale della medesima).
In assenza di specifiche previsioni normative sul punto, la giurisprudenza é stata
chiamata a pronunciarsi sul tema.
La Corte di Cassazione ha sostanzialmente confermato l'indirizzo prevalente 69,
secondo cui le società pubbliche sono soggette alla giurisdizione del Giudice ordinario e ha
introdotto un'eccezione espressa per le società in-house, motivandone la soggezione alla
giurisdizione della Corte dei conti, qualora si profilino ipotesi di mala gestio.
In altri termini, secondo l'orientamento che sarà di seguito esaminato 70, le “società
pubbliche” sono assoggettate al regime di “diritto comune” e quindi alla giurisdizione del
Giudice ordinario, mentre le “società in-house”, pur appartenendo al genus delle società
dopo: cosa cambia con le nuove direttive, in C. CONTESSA e D. CROCCO, Appalti e concessioni. Le
nuove direttive europee, Dei, 2015.
67
Si pensi all'esplicita voluntas legis di cui all'art. 4, comma 13, d.l. 95/2012 (l. conv.
135/2012), secondo “le disposizioni del presente articolo e le altre disposizioni, anche di carattere
speciale, in materia di società a totale o parziale partecipazione pubblica si interpretano nel senso
che, per quanto non diversamente stabilito e salvo deroghe espresse, si applica comunque la
disciplina del codice civile in materia di società di capitali”.
68
Come sottolinea G.F. FERRARI, “In House Providing, rinnovi e proroghe”, pubblicato nella
presente rivista p. 73 ss., al cui contributo si rinvia per una dettagliata descrizione del fenomeno e dei
caratteri.
69
Tale orientamento era stato inaugurato da Cass., sez. un., 19 dicembre 2009, 26806, su cui si
rinvia al commento di C. IBBA., Responsabilità degli amministratori di società pubbliche e
giurisdizione della Corte dei Conti, in Giur. Comm., 2012, I, 641 ss..; per altri contributi vedasi V.
TENORE, La giurisdizione della Corte dei Conti sulle s.p.a. a partecipazione pubblica, in Foro amm.
- Cds (II), fasc. 1, 2010, 92 ss.,; S. SALVAGO, La giurisdizione della Corte dei Conti in relazione
alla posizione dei soggetti responsabili ed a quella degli enti danneggiati, in Giust. civ., fasc. 11,
2010, 2505 ss.; L. E. FIORANI, Le azioni di responsabilità nelle società a partecipazione pubblica, in
Giur. comm., fasc. 2, 2011, 315 ss.; M. SINISI, Responsabilità amministrativa di amministratori e
dipendenti di s.p.a. a partecipazione pubblica e riparto di giurisdizione: l'intervento risolutivo delle
Sezioni Unite della Corte di Cassazione, in Foro amm. - C.d.S, II, fasc. 1, 2010, 77 ss..
70
Cass., sez. un., 25 novembre 2013, n. 26283, in Dir. Giust., 2013, con nota di E. BRUNO,
Società a partecipazione pubblica…tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione contabile; in Giur.
Comm., 2014, fasc. 1, 13 ss., con nota di C. IBBA, Responsabilità erariale e società in house; in Foro
amm., fasc. 10, 2014, 2498 ss., con nota di M. DI LULLO, Responsabilità degli amministratori di
società a partecipazione pubblica e giurisdizione della Corte dei Conti: (soltanto) le società “in
house” che gestiscono servizi pubblici sono pubbliche amministrazioni?
97
pubbliche, da questa differiscono per taluni caratteri che sono ritenuti poter fondare la
giurisdizione della Corte dei conti.
Tale impostazione non é unanimemente condivisa in dottrina poiché pare collidere in
maniera insanabile con i principi della materia societaria che governano le società pubbliche.
Nell'indagare, sia pure sinteticamente, gli argomenti offerti dalla giurisprudenza della
suprema Corte, non é possibile trascurare le perplessità sollevate dalla dottrina, specie per le
deroghe alle regole del diritto commerciale e in ordine all'impatto che l'interpretazione
proposta dalla Corte può generare sul piano applicativo.
Per meglio cogliere le ragioni della differente prospettiva, pare opportuno ricordare
che l’in-house providing é fenomeno di origine giurisprudenziale (comunitaria) a partire dalla
sentenza Teckal71, che si è preoccupata di dettare le condizioni necessarie affinché si possa
legittimamente derogare alla gara pubblica e procedere all'affidamento diretto a soggetti
facenti capo all'aggiudicatore (ossia “in-house”), attingendo dalle proprie risorse interne,
senza ricorrere a terzi tramite gara, ossia senza ricorrere al mercato.
In assenza di una espressa disciplina positiva72 le direttive europee indicano ora i
requisiti in presenza dei quali il c.d. “affidamento diretto” é legittimo, restando
impregiudicato il diverso problema delle forme giuridiche utilizzabili (il che comporta, nel
diritto interno, l'applicazione delle regole del diritto societario, laddove compatibili).
Si confida pertanto che il legislatore nazionale, in sede di recepimento delle direttive
Ue, consideri le peculiarità del fenomeno in-house, sforzandosi di tipizzarne gli strumenti di
tutela per il caso di danni cagionati al suo patrimonio. In questo modo le perplessità della
dottrina civilistica potrebbero essere superate e la Corte dei conti potrebbe vedere
legislativamente (e non solo in via interpretativa ad opera della Corte di Cassazione)
legittimato il suo intervento per le ipotesi di mala gestio.
71
Come ricorda G. F. FERRARI, op. ult. cit., richiamando la Sentenza 18 novembre 1999,
Causa c-107/98, Teckal s.r.l. contro Comune di Viano e Azienda Gas – Acqua consorziale (AGAC) di
Reggio Emilia.
72
La disciplina nazionale in materia di società in house é tra le più altalenanti confuse e
contraddittorie avendo mostrato incertezze e oscillazioni tra norme volte al recepimento di indirizzi
comunitari e norme tese al ridimensionamento del fenomeno (specie nel contesto di interventi di
riduzione della spese pubblica e di lotta agli sprechi e abusi, spesso associati al fenomeno delle società
pubbliche).
98
2. L'orientamento della Corte di Cassazione sulla giurisdizione contabile in tema di
“in-house”
La Corte di Cassazione, sulla scorta dell'indirizzo avviato nel 200973 (che aveva
ammesso la giurisdizione contabile solo se il danno fosse arrecato “direttamente” al socio
pubblico mentre la aveva negata se si fosse trattato di danno arrecato ad una società con
partecipazione pubblica), aveva argomentato in modo molto chiaro che, in ipotesi di danno
arrecato al patrimonio di una società a partecipazione pubblica, non sussiste la giurisdizione
della Corte dei conti ma quella del giudice ordinario74.
A partire dalla successiva sentenza75 la Suprema Corte ha, tuttavia, evidenziato le
ragioni di una evoluzione da tale impostazione con specifico riguardo alle società in-house.
Si individuano nelle motivazioni due dati essenziali che connotano il rapporto inhouse: il c.d. “controllo analogo” (che implica “subordinazione gerarchica” tra enti e quindi
configura un “rapporto di servizio” tra gli amministratori della società in-house e la PA) e la
mancanza di “alterità tra società in house e ente pubblico socio”. In presenza di tali requisiti,
il danno arrecato al patrimonio sociale della società in-house é danno arrecato direttamente
all'amministrazione pubblica, ossia al patrimonio pubblico, dunque é, tecnicamente, “danno
erariale”.
Secondo la Corte, é irrilevante la natura del soggetto che abbia cagionato il danno
poiché tali enti avrebbero della società solo la “forma esteriore”, costituendo in realtà,
“articolazioni della pubblica amministrazione da cui promanano” e non “soggetti giuridici ad
essa esterni e da essa autonomi”.
Si specifica, inoltre, che il danno inferto al patrimonio della società in-house (per
condotte illecite di amministratori, cui possa avere contribuito un colpevole difetto di
vigilanza imputabile agli organi di controllo), sarebbe “arrecato ad un patrimonio
(separato76, ma pur sempre) riconducibile all'ente pubblico: é quindi un danno erariale, che
73
Si rimanda alla nota n. 5 del presente contributo.
Cass., sez. un., 2 settembre 2013, n. 20075, in Diritto e Giustizia on line, fasc. 0, 2013, 1202,
con nota di E. VITERBO, Al Giudice Ordinario l'azione di risarcimento dei danni subiti da società
pubbliche per effetto delle condotte illecite degli amministratori.
75
Cass., sez. un., 25 novembre 2013, n. 26283, in Giur. Comm., 2014, fasc. 1, 13 ss.; con nota
di C. IBBA, Responsabilità erariale e società in house.
76
In realtà la separazione del patrimonio nel nostro ordinamento é fenomeno caratterizzato dal
vincolo di destinazione specifico e la possibilità convenzionale di creare patrimoni separati é preclusa
all'autonomia privata dall'art. 2740 c.c. che consente la deroga solo per espressa previsione legislativa.
74
99
giustifica l'attribuzione alla Corte dei conti della giurisdizione sulla relativa azione di
responsabilità”.
Il cuore del ragionamento delle Sezioni unite é volto a fare comprendere le ragioni
della indicazione a favore della Corte dei conti delle azioni di responsabilità nelle società inhouse.
Dopo avere chiarito che le società in-house, pur rivestendo la forma di società private
sono, di fatto, strutturate e gestite come soggetti pubblici a tutti gli effetti, si conclude che
trattasi di “articolazioni interne della PA”. Dunque non é possibile tenere nettamente distinto
il patrimonio sociale privato e il patrimonio pubblico, in quanto il patrimonio sarebbe uno
solo. Per effetto diretto, ogni atto gestorio si riflette sul patrimonio pubblico e ciò determina la
giurisdizione della Corte dei conti77.
A conferma di tale orientamento giurisprudenziale meritano di essere ricordate le
sentenze successive a Sezioni unite.
Una prima pronuncia78 argomentando dal dato che la società in-house non avrebbe
autonomia patrimoniale, essendo gestita dall'ente pubblico socio, afferma la giurisdizione
contabile solo quando possa dirsi “superata la autonomia della personalità giuridica rispetto
all'ente pubblico”.
Nella stessa linea, si é affermato che, se al momento della condotta illecita la società
non era in-house, non rileva che lo sia divenuta dopo, e la verifica si effettua sulla base dello
statuto societario79. Con l'occasione la Suprema Corte ha precisato anche un altro importante
Si é così osservato che “i giudici di legittimità avrebbero così coniato in via giurisprudenziale e senza
una previsione normativa una sorta di patrimonio separato, destinato ad uno specifico affare (la
gestione del servizio pubblico) sulla scorta della previsione di cui all'art. 2447 bis c.c.”, così F.
FIMMANÒ, Le società in house tra giurisdizione responsabilità e insolvenza in Crisi d'impresa e
fallimento, 2014, 44 e in Rivista “Gazzetta Forense” n. 1, 2014, 12 ss. a cura dell'Università
Telematica di Pegaso.
77
Infatti nel diritto societario il danno cagionato da organi sociali é danno al patrimonio sociale
(ossia un evento interno e privato), di cui gli organi sociali rispondono ai soci, ai creditori, al terzi
secondo le regole dettate dal codice civile. Il danno erariale si profila, invece, quando ad essere colpito
non é il patrimonio sociale privato della società ma il patrimonio pubblico che, a tutti gli effetti, é il
patrimonio di una società in house. Tale danno può derivare da mala gestio di organi sociali ma anche
da singoli soci nel caso in cui omettano di esercitare diritti determinando la riduzione della quota
sociale.
78
Cass., sez. un., 10 marzo 2014, n. 5491, in Dir giust. 2014 e in Foro amm, 2014, 5, 1391,
(s.m.).
79
Cass., sez. un., 26 marzo 2014, n. 7177 in Foro amm. 2014, 6, 1669 e in Dir. Giust., fasc. 0,
2014, 333, con nota di .E. BRUNO, L'attività delle società in house può finire sotto la lente della
Corte dei Conti, secondo cui “la Corte dei Conti ha giurisdizione sull'azione di responsabilità
esercitata dalla Procura della Repubblica presso detta Corte quando tale azione sia diretta a far valere
100
profilo in ordine ai rapporti tra giurisdizione contabile e ordinaria (civile e penale)
evidenziandone la “indipendenza”80.
Nel caso del danno arrecato al patrimonio di Anas s.p.a.81 le Sezioni unite hanno
aggiunto un ulteriore elemento di valutazione per incardinare la giurisdizione contabile,
osservando che, pur non appartenendo Anas al novero delle società in-house, essa é pur
sempre inquadrabile nella nozione di ente pubblico82.
Recentemente, le Sezioni unite hanno nuovamente affrontato la questione relativa alla
azione di risarcimento del danno subito da una società a partecipazione pubblica per effetto di
condotte illecite di amministratori o dipendenti.
In un primo caso83 si é ribadito che compete al Giudice ordinario la giurisdizione per
le società partecipate, bastando a tale riguardo osservare che queste società non si sottraggono
alla disciplina dettata dal codice civile, come può arguirsi dall'art. 2449 c.c.. e che le azioni
sociali di responsabilità sono esperibili a norma degli artt. 2392 e 2393 c.c.. Ne discende
l'impossibilità di configurare come “erariali” danni che restano esclusivamente della società 84.
la responsabilità degli organi sociali per danni da essi cagionati al patrimonio di una società in house,
per tale dovendosi intendere quella costituita da uno o più enti pubblici per l'esercizio di pubblici
servizi, di cui esclusivamente tali enti possano essere soci, che statutariamente esplichi la propria
attività prevalente in favore degli enti partecipanti e la cui gestione sia per statuto assoggettata a forme
di controllo analoghe a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici”.
80
Si enuncia, infatti, che c'é “indipendenza tra giurisdizione civile e penale rispetto a quella
contabile perché l'eventuale interferenza genera una questione di proponibilità dell'azione e non di
giurisdizione” richiamando Cass. 26659/2014. In altri termini o la società é in house e allora c'é
giurisdizione della Corte dei Conti per mala gestio non lo é e quindi la giurisdizione é del giudice
ordinario.
81
Cass., sez. un., 9.07.2014, n. 15594, in www.altalex.it con nota di R. BIANCHINI, L'Anas
rientra nell'ambito della giurisdizione della Corte dei Conti; per un approfondimento si veda M. DI
LULLO, op. ult. cit.,
82
Una serie di indici sono anche il patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, l'attribuzione di
funzioni pubbliche e la chiusura ex lege alla partecipazione al capitale privato, per confermare la
natura di ente pubblico che viene eretto a ulteriore fattore idoneo a incardinare la giurisdizione
contabile.
83
Cass., sez. un., Ordinanza 24.03.2015, n. 5848, con nota di A. BASSO, Spetta al Giudice
Ordinario l'azione di responsabilità sugli organi sociali di una s.p.a. “ordinaria” in Dir. Giust., fasc.
13, 2015, 42. Il caso riguarda l'iniziativa di un legale rappresentante pro tempore che cita in giudizio
innanzi al Giudice Ordinario ex amministratori e sindaci di una s.p.a. (divenuta nel frattempo
totalmente partecipata dal Comune e dunque divenuta in house a seguito di modifiche statutarie) per
danni causati al patrimonio della società dalla loro condotta di mala gestio e omesso controllo
sull'operato degli amministratori.
84
Le Sezioni unite puntualizzano, tuttavia, che, a diverse conclusioni, quanto alla sussistenza
della giurisdizione contabile, si é pervenuti nel caso di iniziative del PM nei confronti di organi delle
società in house, longa manus dell'ente pubblico in ragione dell'esistenza del controllo analogo a
quello delle proprie articolazioni interne e di una attività svolta in favore prevalente dell'ente stesso.
101
In un secondo caso85 il carattere imprenditoriale e le finalità perseguite dalla società
Cinecittà Holding hanno condotto ad escludere tout court che possa discorrersi di “attività
amministrativa”, onde l'accertamento della responsabilità degli amministratori non può che
essere devoluto al Giudice ordinario86.
Tutte le argomentazioni enunciate confermano la sensazione che si sia creata, in via
interpretativa, una deroga espressa alle regole del codice civile in materia societaria (così
come accaduto per il caso Rai s.p.a.87) poiché nessuna norma di legge prevede le soluzioni
proposte.
3. La critica in dottrina
Come anticipato, la Corte di Cassazione ha sentito il dovere di intervenire a colmare
una lacuna. L'obiettivo di proteggere l'erario dalla diffusa mala gestio degli organi sociali di
società “strumentali” di enti pubblici ha suggerito di affidare alla Corte dei conti l'indagine su
eventi dannosi compiuti da amministratori di società in-house.
Stante la vicinitas tra gli amministratori di una società in-house e i soggetti pubblici
che controllano (in qualità di soci) tale ente, era, infatti, prevedibile una sostanziale inerzia a
fronte di danni cagionati al patrimonio sociale di una società che é, secondo l'interpretazione
proposta dalla Cassazione, longa manus di un ente pubblico e quindi, di fatto, ha un
patrimonio pubblico.
85
Cass., sez. un., 21 luglio 2015, n. 15199 in cui si é esclusa la giurisdizione della Corte dei
conti atteso che la società Cinecittà Holding (costituita all'esito di trasformazione dell'Ente Autonomo
Gestione per il Cinema ex lege 202/1995 con capitale interamente pubblico), pur soggetta a preganti
atti di indirizzo e vigilanza e a pregnanti controlli sulla gestione societaria da arte del Ministero per le
attività culturali e pur essendo soggetta al controllo della Corte dei conti ex art. 12 l. 259/1958 non
esercitava per destinazione statutaria un'attività esclusiva o prevalente a favore della Pa, attività da
definirsi pertanto d'impresa.
86
Si afferma infatti che la giurisdizione della Corte dei conti richiede l'esistenza di
imprescindibili condizioni: 1) la società a totale partecipazione pubblica; 2) la destinazione statutaria
volta ad operare in via esclusiva o prevalente in favore della PA partecipante; 3) l'esistenza del
controllo analogo.
87
Nel caso della Rai s.p.a. (Cass. 22 dicembre 2009, n. 27092, ord., sulla quale si rinvia a
PACE, La Corte di Cassazione ignora la storia, disapplica la legge e qualifica la Rai «ente pubblico»,
in Giur. cost., 2010, 4036 ss.) le cui peculiarità erano tali da includerla nel novero degli enti pubblici
nonostante l'abito formale di s.p.a., si é ricavata la qualificabilità come erariale del danno cagionatole.
Si é sottolineato che la deviazione creata per le società in house allontana dall'orientamento precedente
nel quale le eccezioni erano state limitate a fattispecie bene diverse, sul punto si rinvia a C. IBBA,
Responsabilità erariale e società in house in Giur. Comm., 2014, fasc. 1, 13 ss..
102
L'impostazione della giurisprudenza (civile e contabile)88 non é condivisa dalla
dottrina civilistica che rileva come le categorie concettuali e sistematiche di diritto pubblico e
comunitario, che governano il fenomeno in house, non siano applicabili in maniera diretta al
diritto commerciale.
Vi é chi ha sostenuto che “una società di capitali – anche quando sottoposta a controllo
totalitario dell'ente ed in possesso dei requisiti del c.d. in house – sia pur sempre un soggetto
che svolge attività di diritto privato ed eroga servizi con la veste giuridica propria
dell'imprenditore commerciale”89.
Seguendo tale indirizzo, sarebbe indubitabile che la società conservi una distinta
personalità giuridica che impedisce di affermare l'assenza di “alterità soggettiva tra socio e
società”, come invece ha sostenuto, in via interpretativa, la Suprema Corte.
Si perviene, così, alla drastica considerazione che “delle due l'una: o si trova una
norma di legge espressamente legittimante tali profonde deroghe” ovvero le società in-house
“sono invalide, per violazione dell'ordine pubblico societario”90.
Vi é chi ha definito la società in house, come delineata dalle sezioni unite (ossia intesa
come “articolazione organizzativa dell'ente”, posta in una situazione di “delegazione
organica o addirittura di subordinazione gerarchica”), vero e proprio “mostro giuridico” con
l'effetto di produrre la disapplicazione dei principi inderogabili del diritto commerciale.
È certamente condivisibile l'osservazione che la “mancanza di alterità soggettiva”
equivale a dire che la società in-house coincide con l'ente pubblico, ma tale conclusione
genera conseguenze troppo rilevanti sul piano applicativo91.
88
Nel solco tracciato dalla Suprema Corte di Cassazione, si inserisce da ultimo Corte dei conti,
sezione centrale d'Appello, 24.03.2015, n. 249, che ha, addirittura, affermato che che il discrimine
unico per la propria giurisdizione sia la presenza di capitale pubblico in un organismo,
indipendentemente dalla forma pubblica o privata che lo stesso rivesta. Ne deriva che anche nelle
società “non in house” secondo la Corte dei Conti la partecipazione pubblica di per sé comporta la
necessità di “tutelare l'integrità economica e complessiva del sistema paese”.
89
E. CODAZZI, Società in mano pubblica e fallimento, in Giur comm., fasc. 1, 2015, 74 ss..
90
E. CODAZZI, op. ult. cit.
91
Le conseguenze più rilevanti sono: 1) non applicabilità dello Statuto dell'imprenditore
commerciale; 2) l'esenzione ai sensi dell'art. 1 della legge fallimentare dalla sottoponibilità a
fallimento e concordato preventivo; infine 3) si é osservato che “il passaggio successivo naturale é
che la responsabilità delle obbligazioni sociali é dell'ente pubblico (…) inevitabilmente i creditori
sociali della società in house divengono creditori dell'ente pubblico verso cui possono agire in via
diretta (…) il risultato sarebbe esattamente opposto a quello che ha spinto la Corte ad intervenire”,
così F. FIMMANÒ, op. ult. cit..
103
L'interpretazione proposta dalla giurisprudenza stride in particolare considerando che
il legislatore si é mosso nella direzione opposta con l'art. 4, comma 13, del d.lgs. 95/2012
convertito nella legge 135/201292.
4. Considerazioni conclusive
L'orientamento della Corte di Cassazione, favorevole alla giurisdizione contabile per
le società in-house, nasce dalla sollecitazione delle Procure contabili. La preoccupazione che
gli enti locali non assumano iniziative, innanzi al Giudice ordinario, volte a sanzionare
fenomeni di mala gestio di organi societari da questi controllati pare, in effetti, più che
fondata.
Altrettanto condivisibile é l'osservazione che la strada più semplice sarebbe stata la
creazione di un tipo di società c.d. in-house disciplinata dalla legge, cui applicare regole, per
le ipotesi di mala gestio, in deroga al diritto comune e in particolare ai principi del diritto
commerciale.
Invece la soluzione proposta dalla giurisprudenza (che affida come visto alla Corte dei
conti la giurisdizione sulle azioni di responsabilità nelle società in-house in via interpretativa)
riguarda una fattispecie che deve essere oggetto di valutazione, caso per caso, per verificare se
si sia al cospetto di tutti caratteri dell'in-house93.
È di tutta evidenza, nel presente contesto, il contributo offerto dalle nuove direttive Ue
2014, che indicano, per la prima volta, precisi indici normativi per identificare il fenomeno,
che ora si può dire codificato, pur in assenza di una precisa definizione di società in-house94.
Secondo l'art. 4, comma 13, del d.lgs. 95/2012, convertito nella legge 135/2012, “le
disposizioni anche di carattere speciale, in materia di società a totale o parziale partecipazione
pubblica si interpretano nel senso che, per quanto non diversamente stabilito e salvo deroghe
espresse, si applica comunque alle società a partecipazione pubblica la disciplina del codice civile in
materia di società di capitali”.
93
Nel caso oggetto della pronuncia a sezioni Unite n. 26283/2013 la valutazione era stata
compiuta da giudice in primo grado e non é più stata contestata.
94
Le direttive UE 2014 non parlano mai esplicitamente del fenomeno “in house”, ma lo
regolano nei tre casi di aggiudicazione appalti (Dir. 2014/24/UE) concessioni tra enti (Dir.
2014/23/UE) e appalti nei settori speciali (Dir. 2014/25/UE), stabilendo che non rientra nell'ambito di
applicazione del nuovo corpus di regole un affidamento di servizio tra un'amministrazione
aggiudicatrice e una persona di diritto pubblico o privato se sussistono i requisiti ivi indicati.
92
104
Le considerazioni sin qui svolte consentono di affrontare una questione che, con ogni
probabilità, si presenterà in sede di recepimento95 e di applicazione delle nuove direttive96.
Si tratta di verificare se sia possibile che il legislatore, in sede di recepimento delle
direttive, definisca le forme di tutela per i danni cagionati al patrimonio da amministratori di
società in-house.
Viene spontaneo domandarsi se, per il legislatore nazionale, possa essere l'occasione
per tradurre il principio già consolidatosi a livello giurisprudenziale, in una norma che delinei
esplicitamente la Corte dei conti come giudice delle società in-house per le ipotesi di condotte
illecite di amministratori, così legittimando la deroga al diritto societario comune.
Peraltro un siffatto intervento pare compatibile sia con l'ordinamento comunitario
(nella misura in cui non viola il canone della apertura concorrenziale) sia con l'ordinamento
nazionale (che assoggetta tutte le società a totale o parziale partecipazione pubblica al Giudice
ordinario) perché consente di prevedere ex ante le conseguenze per la mala gestio all'interno
di società in-house.
Istituzionalizzare, per così dire, l'orientamento su cui la Suprema Corte pare non più
volere arretrare, contribuirebbe altresì a fare chiarezza nella giurisprudenza di merito che,
sulla scorta della equiparazione con la natura di ente pubblico per la società in house97, é
giunta a negarne la fallibilità in quanto sarebbero esonerate ex art. 1 della legge fallimentare 98.
95
Il ddl di recepimento é all'esame della commissione Lavori Pubblici del Senato e il termine
per il recepimento é fissato al 17 aprile 2016.
96
Il Consiglio di Stato in sede consultiva (Cons. Stato, sez. II, Parere 30 gennaio 2015, n. 298)
ha ritenuto che la Direttiva 2014/24/UE contiene “disposizioni di compiutezza tale darle ritenere selfexecuting, avendo indubbiamente contenuto incondizionato e preciso” (in conformità alle
caratteristiche delineate ai fine di tale qualificazione da Cass. sez. un., 13676 del 25.02.2014). Il
quesito aveva ad oggetto la “possibilità di affidamento “in house” di prestazioni di servizio nel campo
dell'informatica per il sistema universitario, della ricerca e scolastico, da parte del Ministero
dell'Università e della ricerca scientifica in via diretta al Cineca Consorzio Interuniversitario”. Si é,
tuttavia, osservato in senso critico (cfr. R. INVERNIZZI, “Commento alla Direttiva 2014/25/UE
relativa agli appalti nei settori speciali” pubblicato nella presente rivista p. 29) che “prima di reputare
direttamente applicabili le norme delle direttive 2014/25/UE necessita quantomeno che il relativo
termine vada a scadenza e che frattanto entro esso non sia intervenuto il recepimento ad opera dello
Stato membro”, rinviando per una più compiuta ed equilibrata ricostruzione degli effetti delle direttive
non ancora recepite a C. Stato, sez. VI, 26 maggio 2015, n. 2660.
97
Come si é osservato FIMMANO', op. cit., 56, i giudici della Cassazione, pur radicando la
giurisdizione della Corte dei Conti, avevano posto un argine insuperabile alla c.d. Riqualificazione,
ossia alla attribuzione alla società partecipata della qualifica di ente pubblico.
98
Trib. Napoli 9 gennaio 2014, in www.ilcaso.it, secondo cui “se é vero che gli enti pubblici
sono sottratti al fallimento, ciò varrà anche per la società in house integralmente partecipata dagli
stessi”; Trib. Verona, 19 dicembre 2013, in www.ilcaso.it che, ritenendo la struttura delle società in
house totalmente riconducibile a quella degli enti pubblici, estende loro l'esenzione dell'art. 1 legge
105
Ne risulterebbe chiarita e valorizzata la disciplina applicabile alle società pubbliche
(per le quali opera la disciplina comune), circoscrivendo, in maniera chiara, l'ipotesi di deroga
(condotte illecite in società in-house). L'eccezione sarebbe condivisibile non solo in quanto
proposta in via interpretativa dalla Suprema Corte ma anche perché regolata dal legislatore in
sede di recepimento.
fallimentare dalle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo; di segno opposto si veda
Trib. Pescara 14 gennaio 2014 in www.ilcaso.it, che sancisce l'assoggettabilità a concordato preventivo
delle società in house, rilevando che non mutano la loro natura di soggetto di diritto privato solo
perché gli enti pubblici ne posseggono le azioni; anche Trib. Nola, 30 gennaio 2014 in www.ilcaso.it
ha decretato l'ammissione a concordato preventivo di una spa interamente controllata dal Comune per
mancanza di uno dei requisiti del controllo analogo; Trib. Modena 10 gennaio 2014 in www.ilcaso.it
ha ammesso una srl in house a concordato preventivo ritenendo che “rimane valido il principio della
assoggettabilità alle procedure concorsuali delle imprese che abbiano assunto la forma societaria
iscrivendosi nell'apposito registro e quindi assumendo volontariamente la disciplina privatistica”.
107
RECENTI INDIRIZZI GIURISPRUDENZIALI IN TEMA DI APPALTI E
CONCESSIONI. IN PARTICOLARE: LE INDICAZIONI DELL’ADUNANZA PLENARIA
DEL CONSIGLIO DI STATO
Alessandro Paire
(Dottore di ricerca in diritto pubblico)
SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. La giurisprudenza dell’Adunanza Plenaria. Fattispecie
(nuove ed antiche) di particolare interesse. - 3. Segue. - 4. Spunti conclusivi.
1. Premessa
Le presenti «minime» osservazioni si propongono di richiamare sinteticamente le
indicazioni maggiormente significative rese dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nel
corso dell’anno 2014, e dei primissimi mesi dell’anno 2015, in materia di appalti e
concessioni.
Nell’ambito di una trattazione schematica doverosamente imposta dalla natura del
presente intervento, particolare attenzione sarà riservata all’evoluzione giurisprudenziale che
ha interessato alcuni istituti, soffermandosi sui profili maggiormente pratici ed operativi della
materia della contrattualistica pubblica recentemente interessata dalle nuove direttive
europee99.
Il riferimento è, ovviamente, al tema delle carenze documentali relative alle
dichiarazioni di cui all’art. 38 del Codice Appalti e al connesso istituto del c.d. “soccorso
istruttorio” ma anche a questioni di più ampio respiro come l’impossibilità di revocare in sede
99
Con riferimento alle direttive UE del 2015, il rinvio alle relazioni del Convegno pubblicate con
questi Atti è pressoché d’obbligo.
108
di autotutela l’aggiudicazione successivamente alla stipula di un contratto ovvero
l’indicazione degli oneri di sicurezza in sede di offerta economica.
Trattasi, come ampiamente noto, di veri e propri spauracchi per gli operatori del
settore ciclicamente interessati – talvolta anche in maniera radicale – dall’intervento del
legislatore, oltre che da una giurisprudenza a dir poco alluvionale.
2. La giurisprudenza dell’Adunanza Plenaria. Fattispecie (nuove ed antiche) di
particolare interesse
Le sentenze in materia di appalti pubblici e concessioni tra quelle complessivamente
rese nel corso dell’anno 2014 dall’Adunanza Plenaria sono particolarmente numerose e
nutrite, segno evidente di una particolare litigiosità del settore: se alcune si distinguono per
tratti di originalità e di novità, altre spiccano per la loro portata chiaramente conservatrice.
Nondimeno, nelle varie decisioni emanate, sembra rinvenibile un vero e proprio tratto
comune denominatore rappresentato dalla palpabile volontà del Supremo consesso
amministrativo di “chiarire” e “ricondurre a sistema” un ambito del nostro ordinamento
endemicamente interessato per molteplici ragioni (storiche e non) da episodi di corruzione e
malaffare, tanto da sembrare inevitabilmente – ed, inesorabilmente – destinato alla via del
cortocircuito100.
Circa il proliferare della corruzione nel nostro Paese e, segnatamente, nell’ambito della
contrattualistica pubblica, per tutti, si veda la relazione di “Inaugurazione dell’Anno giudiziario 2015”
del Presidente della Corte dei Conti Raffaele Squitieri del 10 febbraio 2015, consultabile in internet
sul sito «http://www.corteconti.it» laddove il Presidente della più alta Magistratura contabile osserva
plasticamente che “Crisi economica e corruzione procedono di pari passo, in un circolo vizioso, nel
quale l’una è causa ed effetto dell’altra. La ricerca, talvolta affannosa, di strategie di uscita dalla
crisi e la competizione esasperata per l'accesso a risorse limitate, favoriscono, infatti, la pratica di vie
illecite e di attività illegali. Ciò si riversa, naturalmente e negativamente, sull’efficienza del sistema
complessivo, producendo effetti devastanti sull’allocazione delle risorse finanziarie ed umane e sulla
creazione di condizioni favorevoli all’attività d’impresa e, quindi, alla crescita dell’economia. Solo un
contesto istituzionale segnato da legalità, buona e contenuta legislazione, regolazione efficace delle
attività economiche, pubblica amministrazione efficiente ed un “Servizio Giustizia” celere ed
erogatore di tutele effettive, è in grado di favorire l’imprenditorialità e di rimuovere le rendite di
posizione e le restrizioni alla concorrenza. Di qui l’esigenza, assoluta, di assicurare trasparenza e
regolarità nelle varie gestioni, attraverso procedure pubbliche che garantiscano un’effettiva parità di
posizione tra tutti gli operatori. Ritengo, al riguardo, negativo il fenomeno, diffuso, delle ripetute
proroghe e rinnovi nell’importante settore dell’attività negoziale pubblica atteso che l’affidamento
per periodi lunghi allo stesso soggetto di opere, servizi o forniture non sempre risulta corrispondere a
100
109
Di qui l’emanazione di decisioni estese ed esaustive che tentano di fare il punto sulle
varie questiono giuridiche sottese alle concrete fattispecie oggetto di rimessione con un
evidente spirito chiarificatore volto a soddisfare un’esigenza di certezza della materia,
esigenza sempre più manifestata ed invocata dagli operatori e – finalmente – sempre più
avvertita dal Supremo consesso amministrativo101.
Prendendo le mosse da quelle maggiormente innovative ed evolutive, occorre anzitutto
dar conto della sentenza n. 14 del 20 giugno 2014 chiamata a pronunciarsi sulla possibilità o
meno per la PA di revocare l’aggiudicazione successivamente alla stipula di un contratto per
sopravvenute ragioni di “inopportunità alla prosecuzione del rapporto negoziale” e sulla
necessità di ricorrere al recesso ex art. 134 del DLGS n. 163 del 2006.
In tale occasione l’Adunanza Plenaria, dopo avere dato conto dell’indirizzo prevalente
della giurisprudenza amministrativa che riteneva legittimo il “potere di revoca degli atti
amministrativi del procedimento ad evidenza pubblica anche se sia stato stipulato il
contratto, con il conseguente diritto del privato all’indennizzo” e del contrario orientamento
della Corte di Cassazione secondo la quale “tutte le vicende successive alla stipulazione del
contratto danno luogo a questioni relative alla sua validità ed efficacia anche se dovute
all’esercizio di poteri pubblicistici in autotutela”, ha reso una sentenza particolarmente
interessante ed innovativa orientata a recepire le esigenze avvertite dalla Sezione rimettente di
“riconsiderare l’indirizzo prevalente nella giurisprudenza amministrativa ritenendo che,
intervenuta la stipulazione del contratto ad evidenza pubblica, l’amministrazione non possa
esercitare il potere di revoca ma debba agire attraverso il recesso” 102 .
Finalmente, una volta per tutte, con un revirement tutt’altro che di poco conto, è stato
tracciato un regolamento di confini chiaro e preciso idoneo a fugare tutti i dubbi in materia
che vede nella stipulazione del contratto un vero e proprio “punto di non ritorno” per
l’esercizio dello strumento pubblicistico della revoca dell’aggiudicazione della PA in favore
dell’esercizio del diritto potestativo regolato dall’art. 134 del DLGS n. 163 del 2006.
canoni di efficienza, trasparenza ed economicità, anche generando, alterazioni del regime
concorrenziale, sempre più, peraltro, tutelato dal diritto comunitario”.
101
Tra le decisioni assunte in forma di ordinanza occorre rammentare la n. 17 del 31 luglio 2014 in
materia di competenza territoriale dei TAR la quale ha statuito che, nel caso di contestuale
impugnativa di una informativa prefettizia interdittiva e dei conseguenti atti applicativi adottati dalla
stazione appaltante, il giudice competente deve essere individuato nel TAR nella cui circoscrizione si
trova la Prefettura che ha adottato l'informativa nonché l’Ordinanza n. 29 del 7 novembre 2014,
entrambe consultabili in internet sul sito «http://www.giustziazia-amministrativa.it».
102
La sentenza è consultabile in Foro Amministrativo, (II), 2014, 6, 1671.
110
La portata chiarificatrice di questa prima decisione menzionata è davvero significativa,
tanto per i profili sostanziali che per quelli processuali in punto di giurisdizione ad essa
sottesi.
Sempre in ottica processuale spicca altresì la sentenza n. 8 del 3 febbraio 2014, sia con
riferimento a quanto precisato relativamente al giudizio d’appello nel rito appalti103, sia
relativamente alla natura e all’intensità del sindacato del giudice amministrativo sugli atti di
gara104.
Tra il novero delle decisioni rese, di particolare interesse si pone il blocco delle
sentenze relative al tema del c.d. ricorso incidentale “escludente” (n. 7 del 30 gennaio 2014105
e n. 9 del 25 febbraio 2014106) unitamente a quello relativo al tema delle dichiarazioni di cui
all’art. 38 del Codice Appalti (n. 16 del 30 luglio 2014107) e alla connessa – e collegata –
questione del c.d. soccorso istruttorio108.
Con la sentenza n. 7/2014 l’AP ha ribadito che nel giudizio di primo grado avente ad
oggetto una procedura di gara, solo il ricorso incidentale escludente che sollevi un’eccezione
di carenza di legittimazione del ricorrente principale non aggiudicatario – in quanto soggetto
In tale occasione l’AP ha precisato che l’art. 119, comma 6, del CPA, nel prevedere – nel rito per
gli appalti pubblici – che il dispositivo della sentenza è atto immediatamente impugnabile, non
prefigura un tertium genus di tutela cautelare – oltre quella prevista dall’art. 62 CPA nei confronti
delle ordinanze cautelari e dall’art. 98 contro le sentenze del TAR – ma, senza scissione dell’azione
impugnatoria, in relazione alla specificità della materia per la quale è previsto il rito abbreviato,
assicura l’anticipazione delle strumento cautelare in presenza della sola pubblicazione del dispositivo.
Trattandosi non già di un distinto appello rispetto ai successivi motivi aggiunti, ma di unico appello a
formazione progressiva, debbono ritenersi ammissibili i motivi aggiunti anche se mancanti di una
compiuta e separata esposizione dei fatti su cui si innesta la controversia, essendo possibile il parziale
rinvio a considerazioni già espresse nell’impugnazione avverso il dispositivo.
104
Secondo l’Adunanza, è consentito il sindacato esterno del giudice amministrativo sull’operato
dell’organo deputato all’esame delle offerte, in presenza di elementi che il ricorrente elevi a vizio di
eccesso di potere in cui la stazione appaltante si assume sia incorsa per una non corretta disanima di
elementi contenutistici tali da evidenziare una palese incongruità dell’offerta. Cfr. Foro
Amministrativo, (II), 2014, 2, 386.
105
Cfr. Foro Amministrativo, (II), 2014, 2, 384.
106
Cfr. Foro Amministrativo, (II), 2014, 2, 387, nonché Diritto Processuale Amministrativo, 2014, 2,
544, con nota di BERTONAZZI.
107
Cfr. Foro Amministrativo, (II), 2014, 7 – 8, 1903, nonché Foro it, 2015, 1, III, 11, con nota di
TRAVI.
108
In tema si veda, altresì, la sentenza n. 10 del 25 febbraio 2014 volta a statuire che l’articolo 48, 2°
comma, del DLGS 12 aprile 2006, n. 163 e successive modificazioni va interpretato nel senso che
l’aggiudicatario e il concorrente che lo segue in graduatoria, non compresi fra i concorrenti sorteggiati
ai sensi del 1° comma del medesimo articolo, devono presentare la documentazione comprovante il
possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, di cui al comma
primo, entro il termine perentorio di dieci giorni dalla richiesta inoltrata a tale fine dalle stazioni
appaltanti. Cfr. Diritto & Giustizia, 2014, 17 marzo 2014, 5 ss.
103
111
che non ha mai partecipato alla gara, o che vi ha partecipato ma è stato correttamente escluso
ovvero che avrebbe dovuto essere escluso ma non lo è stato per un errore
dell’Amministrazione – deve essere esaminato prioritariamente rispetto al ricorso principale.
Tale evenienze, ha puntualizzato il Plenum di Palazzo Spada, non si verifica
allorquando il ricorso incidentale censuri valutazioni ed operazioni di gara svolte
dall’Amministrazione nel presupposto della regolare partecipazione alla procedura del
ricorrente principale109 .
109
La sentenza è consultabile in internet sul sito «http://www.lexitalia.it». La sentenza offre spunti
particolarmente interessanti sotto il profilo sostanziale relativamente al tema del c.d. housing sociale.
Mediante un programma di housing sociale intrapreso da un Comune viene posta in essere una
iniziativa di partenariato pubblico-privato per la gestione di un servizio pubblico locale di rilievo
economico e a domanda individuale, mediante lo strumento della concessione di servizio pubblico. Ha
precisato la sentenza in rassegna che “l’housing sociale si sostanzia in un programma attraverso il
quale si progetta di realizzare un insieme di alloggi e servizi, di eseguire azioni e strumenti, tutti
rivolti a coloro che non riescono a soddisfare sul mercato il proprio bisogno abitativo, per ragioni
economiche o per l’assenza di un’offerta adeguata. Tra le molteplicità di risposte offerte dall’housing
sociale vi sono l’affitto calmierato, l’acquisto della casa mediante l’auto-costruzione e le agevolazioni
finanziarie,
nonché
soluzioni
integrate
per
le
diverse
tipologie
di
bisogni.
In particolare, nella fattispecie affrontata (relativa al Comune di Roma Capitale) erano presenti tutti
gli indici che sono stati ritenuti, nel tempo, come qualificanti una concessione di servizio pubblico
locale, di rilievo economico e a domanda individuale. In dettaglio: a) la presenza di un autentico
servizio pubblico locale rivolto alla produzione di beni e utilità per obiettive esigenze sociali – ovvero,
secondo il linguaggio dell’Unione europea (artt. 16 e 86 del Trattato FUE), un servizio di interesse
economico generale che viene a svolgere una funzione essenziale nell’ambito della costituzione
economica di tutti i Paesi membri, dovendosi intendere per tale quello rivolto all’utenza, capace di
soddisfare interessi generali e di garantire una redditività - del quale i cittadini usufruiscono uti
singuli e come componenti la collettività; b) la prestazione a carico degli utenti che si riscontra
tipicamente nei servizi a domanda individuale (nella specie gli utenti devono partecipare ad apposita
selezione, gestita dal concessionario, per l’assegnazione degli alloggi, versando di volta in volta il
corrispettivo della locazione o delle varie tipologie di vendita in base al complesso sistema tariffario
individuato dalla legge di gara); c) l’assunzione a carico del concessionario del rischio economico
relativo alla gestione del servizio; sul punto, deve reputarsi irrilevante che la legge di gara abbia
previsto un parziale corrispettivo a carico di Roma Capitale, stante il suo carattere meramente
eventuale, frutto della scelta dell’offerente finalizzata alla garanzia dell’equilibrio finanziario
dell’impresa, scelta comunque penalizzante in sede di attribuzione del relativo punteggio; inoltre, la
subordinazione al pagamento di un corrispettivo — rilevante nella prospettiva europea e nazionale in
sede di distinzione tra la figura dell’appalto e quella della concessione — dipende dalle
caratteristiche tecniche del servizio e dalla volontà «politica» dell’ente ma non incide, ex se, sulla sua
qualifica di servizio pubblico e non può essere pertanto sopravalutata; d) la preordinazione
dell’attività a soddisfare in modo diretto esigenze proprie di una platea indifferenziata di utenti,
tendenzialmente a tempo indeterminato o comunque per un periodo di lunga durata (nella specie il
rapporto concessorio ha una durata pari a 25 anni); e) la sottoposizione del gestore ad una serie di
obblighi, tra i quali quelli di esercizio e tariffari, volti a conformare l’espletamento dell’attività a
regole di continuità, regolarità, capacità tecnico-professionale e qualità, perché ciò che connota in
modo rilevante la natura di servizio pubblico è il conseguimento di fini sociali a favore della
collettività per il tramite dell’attività svolta dal gestore; f) la delega traslativa di poteri organizzatori
dall’ente al privato (nella specie, non solo i compiti in materia di stazione appaltante per la
112
Con la sentenza n. 9/2014 l’AP è tornata nuovamente sul tema con una decisione di
ampio respiro quasi a volere affrontare – ed esaurire – il tema una volta per tutte.
Dopo avere ribadito che il giudice ha il dovere di decidere la controversia, ai sensi del
combinato disposto degli artt. 76, co. 4, CPA e 276, co. 2, CPC, secondo l’ordine logico che,
di regola, pone la priorità della definizione delle questioni di rito rispetto alle questioni di
merito e, fra le prime, la priorità dell’accertamento della ricorrenza dei presupposti
processuali rispetto alle condizioni dell’azione, il CDS ha statuito che nel giudizio di primo
grado avente ad oggetto procedure di gara, deve essere esaminato prioritariamente rispetto al
ricorso principale il ricorso incidentale escludente che sollevi un’eccezione di carenza di
legittimazione del ricorrente principale non aggiudicatario, in quanto soggetto che non ha mai
partecipato alla gara, o che vi ha partecipato ma è stato correttamente escluso ovvero che
avrebbe dovuto essere escluso ma non lo è stato per un errore dell’amministrazione110.
realizzazione di opera monumentale, ma soprattutto quelli organizzatori inerenti la scelta dei
beneficiari, l’assegnazione degli alloggi, la gestione dei conseguenti rapporti); tale elemento deve
esprimere, al di là del nomen iuris impiegato dalla legge di gara (concessione, assegnazione,
affidamento, contratto di servizio, atto di incarico), la sostanza di un atto di organizzazione e, in
quanto tale, ontologicamente diverso da un contratto di appalto; vi è dunque una proiezione esterna
dell’utilitas perseguita con l’atto concessorio, a differenza della dimensione interna dell’utilitas che si
consegue con il contratto di appalto; solo grazie al modulo concessorio è possibile esternalizzare il
servizio affidandone la gestione a soggetti privati per i quali il vantaggio è costituito dalla possibilità
di esigere un prezzo (tariffa) nei confronti degli utenti, donde l’importanza della durata del rapporto
idonea a far conseguire un utile al concessionario (caratteristiche queste tutte presenti nella
fattispecie per cui è causa); g) il contenuto del programma di housing, inoltre, si caratterizza per la
sua struttura trilaterale in quanto tutte le prestazioni dei soggetti coinvolti fanno capo
all’amministrazione, al gestore ed agli utenti, mentre nel contratto d’appalto, come noto, il rapporto
ha carattere bilaterale (nella specie è pacifico che la gran parte delle prestazioni del concessionario
sono rivolte a soddisfare esigenze dell’utenza disagiata, nel rispetto dei vincoli gestionali imposti e
monitorati dall’amministrazione). Non è di ostacolo alla qualificazione della procedura in esame
quale concessione di servizio pubblico, la circostanza che, nel caso di specie, il concessionario
prescelto, in ossequio al contenuto del programma di housing, debba realizzare anche cospicui
lavori”. Per la massima che precede nonché per una nutrita rassegna giurisprudenziale in materia, cfr.
http://www.lexitalia.it/p/13/cdsap_2013-08-06.htm.
110
Nella medesima sentenza, l’AP, dopo avere ribadito che nel giudizio di primo grado avente ad
oggetto procedure di gara, il ricorso incidentale non va esaminato prima del ricorso principale
allorquando non presenti carattere escludente, ha poi precisato che “tale evenienza si verifica se il
ricorso incidentale censuri valutazioni ed operazioni di gara svolte dall’amministrazione nel
presupposto della regolare partecipazione alla procedura del ricorrente principale”. Coerentemente
con l’AP 7/2014, la sentenza in parola ha altresì precisato che “nel giudizio di primo grado avente ad
oggetto procedure di gara, sussiste la legittimazione del ricorrente in via principale - estromesso per
atto dell’Amministrazione ovvero nel corso del giudizio, a seguito dell’accoglimento del ricorso
incidentale - ad impugnare l’aggiudicazione disposta a favore del solo concorrente rimasto in gara,
esclusivamente quando le due offerte siano affette da vizio afferente la medesima fase
procedimentale”.
113
Nondimeno, sempre secondo l’arresto in parola, l’esame prioritario del ricorso
principale è ammesso, per ragioni di economia processuale, qualora risulti manifestamente
infondato, inammissibile, irricevibile o improcedibile.
Nel giudizio di primo grado avente ad oggetto procedure di gara, il ricorso incidentale
non va esaminato prima del ricorso principale allorquando non presenti carattere escludente;
tale evenienza si verifica se il ricorso incidentale censuri valutazioni ed operazioni di gara
svolte dall’amministrazione nel presupposto della regolare partecipazione alla procedura del
ricorrente principale.
Di estremo interesse si pongono altresì i passaggi successivi della decisione relativi
alla c.d. “tassatività delle cause di esclusione” e al connesso tema del “soccorso istruttorio”.
Secondo l’AP, l’art. 4, co. 2, lett. d), nn. 1 e 2, d.l. 13 maggio 2011, n. 70 – Semestre
Europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia – che, come noto, ha aggiunto l’inciso
“Tassatività delle cause di esclusione” nella rubrica dell'articolo 46, del Codice, e nel corpo
dello stesso ha inserito il comma 1 bis – non costituisce una norma di interpretazione
autentica e, pertanto, non ha effetti retroattivi e trova esclusiva applicazione alle procedure di
gara i cui bandi o avvisi siano pubblicati (nonché alle procedure senza bandi o avvisi, i cui
inviti siano inviati), successivamente al 14 maggio 2011, data di entrata in vigore del DL n.
70 del 2011.
Il principio di tassatività delle cause di esclusione sancito dall’art. 46, co. 1 bis, codice,
scrivono i Giudici, si applica unicamente alle procedure di gara disciplinate dal medesimo
Codice.
Sempre secondo il Consiglio, “sono legittime ai sensi dell’art. 46, co. 1-bis, codice dei
contratti pubblici (d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163), le clausole dei bandi di gara che prevedono
adempimenti a pena di esclusione, anche se di carattere formale, purché conformi ai tassativi
casi contemplati dal medesimo comma, nonché dalle altre disposizioni del codice dei
contratti pubblici, del regolamento di esecuzione e delle leggi statali”.
Da ultimo, le considerazioni rese sull’istituto del soccorso istruttorio: nelle procedure
di gara disciplinate dal codice dei contratti pubblici, il “potere di soccorso” sancito dall’art.
46, co. 1, del medesimo codice (DLGS 12 aprile 2006, n. 163) – sostanziandosi unicamente
nel dovere della stazione appaltante di regolarizzare certificati, documenti o dichiarazioni già
esistenti ovvero di completarli ma solo in relazione ai requisiti soggettivi di partecipazione,
chiedere chiarimenti, rettificare errori materiali o refusi, fornire interpretazioni di clausole
114
ambigue nel rispetto della par condicio dei concorrenti – non consente la produzione tardiva
del documento o della dichiarazione mancante o la sanatoria della forma omessa, ove tali
adempimenti siano previsti a pena di esclusione dal codice dei contratti pubblici, dal
regolamento di esecuzione e dalle leggi statali111.
Nel corso dell’anno 2014 (e del 2015) a siffatta decisione hanno fatto seguito diverse
altre che, in parte, ne hanno confermato i principi ed, in parte, anche in ragione
dell’intervenuto mutamento normativo medio tempore, ne hanno determinato un superamento
radicale.
3. Segue
Con riferimento al blocco di sentenze relative alle carenze di cui all’art. 38 del Codice,
tra le altre spicca la decisione n. 16 del 30 luglio 2014112 la quale, proprio con diretto
riferimento alla dichiarazione sostitutiva relativa all’assenza delle condizioni preclusive
previste dall’art. 38 DLGS n. 163 del 2006, ha precisato che può essere legittimamente riferita
in via generale ai requisiti previsti dalla norma e non deve necessariamente indicare in modo
puntuale le singole situazioni ostative previste dal legislatore: una dichiarazione sostituiva
confezionata in tal modo è completa e non necessita di integrazioni o regolarizzazioni
mediante l’uso dei poteri di soccorso istruttorio.
Tale dichiarazione – inoltre – non deve contenere la menzione nominativa di tutti i
soggetti muniti di poteri rappresentativi dell’impresa, quando questi ultimi possano essere
agevolmente identificati mediante l’accesso a banche dati ufficiali o a registri pubblici.
Anche una siffatta dichiarazione sostituiva, al pari di quanto detto poc’anzi, è
completa e non necessita di integrazioni o regolarizzazioni mediante l’uso dei poteri di
soccorso istruttorio.
111
Secondo la medesima decisione, nelle procedure di gara non disciplinate dal codice dei contratti
pubblici, il “potere di soccorso” sancito dall’art. 6, co. 1, lett. b), L. 7 agosto 1990, n. 241, costituisce
parametro per lo scrutinio della legittimità della legge di gara che, in assenza di una corrispondente
previsione normativa, stabilisca la sanzione della esclusione; conseguentemente, è illegittima – per
violazione dell’art. 6, co. 1, lett. b), L. 7 agosto 1990, n. 241, nonché sotto il profilo della manifesta
sproporzione – la clausola della legge di gara che disciplina una procedura diversa da quelle di massa,
nella parte in cui commina la sanzione della esclusione per l’inosservanza di una prescrizione
meramente formale.
112
La sentenza è consultabile in internet sul sito «http://www.giustziazia-amministrativa.it».
115
La decisione si distingue per un notevole spirito sostanzialistico orientato a superare
problemi pratici piuttosto gravosi e frequenti.
Relativamente a temi già ampiamenti “arati” dalla giurisprudenza sia di prime cure che
d’appello, giova poi in questa sede (almeno) menzionare la n. 27 del 28 agosto 2014 113 e la n.
34 del 10 dicembre 2014114.
Con la prima il CDS, chiamato a pronunciarsi in tema di riunioni temporanee
d’imprese, è tornato sul “principio della necessaria corrispondenza tra la qualificazione di
ciascuna impresa e la quota della prestazione di rispettiva pertinenza” ex art. 37, commi 4 e
13 del codice dei contratti pubblici115.
Con la seconda, il CDS ha statuito la legittimità della clausola, contenuta in atti di
indizione di procedure di affidamento di appalti pubblici, che preveda l’escussione della
cauzione provvisoria anche nei confronti di imprese non risultate aggiudicatarie, ma solo
concorrenti, in caso di riscontrata assenza del possesso dei requisiti di carattere generale di cui
all’art. 38 del Codice.
A sostegno della predetta decisione, il Giudice pone una articolata e diffusa
ricostruzione sistematica sull’istituto della cauzione provvisoria116.
Cfr. Rivista Giuridica dell’Edilizia, 2014, 5, I, 1054.
Cfr. Foro Amministrativo, (II) 2014, 12, 3068.
115
Secondo la sentenza in parola, ai sensi dell’art. 37, commi 4 e 13 del codice dei contratti pubblici
(DLGS n. 163/2006), nel testo antecedente alle modifiche apportate dall’art. 1, comma 2 bis, lett. a),
DL 6 luglio 2012 n. 95, convertito nella L 7 agosto 2012 n. 135, “negli appalti di servizi o di forniture
da affidarsi a raggruppamenti temporanei di imprese non vige ex lege il principio di necessaria
corrispondenza tra la qualificazione di ciascuna impresa e la quota della prestazione di rispettiva
pertinenza, essendo la relativa disciplina rimessa alle disposizioni della lex specialis della gara”.
116
Scrivono i giudici: “La cauzione provvisoria assolve la funzione di garanzia del mantenimento
dell’offerta in un duplice senso, giacché, per un verso, essa presidia la serietà dell’offerta e il
mantenimento di questa da parte di tutti partecipanti alla gara fino al momento dell’aggiudicazione;
per altro verso, essa garantisce la stipula del contratto da parte della offerente che risulti, all’esito
della procedura, aggiudicataria. In questo senso, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, nella
decisione n. 8 del 2005, ha affermato che la cauzione provvisoria, oltre ad indennizzare la stazione
appaltante dall’eventuale mancata sottoscrizione del contratto da parte dell’aggiudicatario (funzione
indennitaria), svolge (può svolgere) altresì una funzione sanzionatoria verso altri possibili
inadempimenti contrattuali dei concorrenti. (…) Emerge evidente che, nella fattispecie, dalla
disciplina di gara, tratta dal combinato disposto della norma primaria e della sua integrazione a
mezzo del disciplinare, l’escussione della cauzione non presupponga in via esclusiva il fatto
dell’aggiudicatario né si limita alle dichiarazioni sui requisiti speciali; essa, al contrario, trova spazio
applicativo anche quando (come verificatosi nel caso di specie), per il concorrente (pur se non
aggiudicatario), risulti non corrispondente al vero quanto dichiarato in occasione della
rappresentazione di requisiti generali (in tal senso, i principi già affermati da Ad.Plen. su citata n.8
del 4 maggio 2012). Le conclusioni alle quali si perviene risultano inoltre giustificate, se non imposte,
sia dalla funzione della cauzione provvisoria e dalla previsione del suo incameramento, che dalla sua
natura giuridica. Secondo i principi elaborati dalla giurisprudenza e dall’Autorità di settore (cfr.
113
114
116
Corte cost., 13 luglio 2011, n. 211/ord.; Cons. St., sez. V, 24 novembre 2011, n. 6239; sez. V, 9
novembre 2010, n. 7963; sez. V, 5 agosto 2011, n. 4712; sez. V, 12 giugno 2009, n. 3746; sez. V, 8
settembre 2008, n. 4267; sez. V, 9 dicembre 2002, n. 6768; Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici, determinazione n. 1 del 2010) strutturalmente la cauzione costituisce parte integrante
dell’offerta e non mero elemento di corredo della stessa (che la stazione possa liberamente richiedere
e quantificare). L’escussione della cauzione provvisoria si profila come garanzia del rispetto
dell’ampio patto di integrità cui si vincola chi partecipa ad una gara pubblica. La sua finalità è quella
di responsabilizzare i partecipanti in ordine alle dichiarazioni rese, di garantire la serietà e
l’affidabilità dell’offerta, nonché di escludere da subito i soggetti privi delle richieste qualità volute
dal bando. La presenza di dichiarazioni non corrispondenti al vero altera di per sé la gara
quantomeno per un aggravio di lavoro della stazione appaltante, chiamata a vagliare anche
concorrenti inidonei o offerte prive di tutte le qualità promesse, con le relative questioni
successivamente innescabili (come verificatosi nel caso di specie, con esigenze di ricalcolo e nuovo
aggiudicatario). L’escussione costituisce conseguenza della violazione dell’obbligo di diligenza
gravante sull’offerente, tenuto conto che gli operatori economici, con la domanda di partecipazione,
sottoscrivono e si impegnano ad osservare le regole della relativa procedura delle quali hanno piena
contezza. Si tratta di una misura autonoma ed ulteriore (rispetto alla esclusione dalla gara ed alla
segnalazione all’Autorità di vigilanza), che costituisce, mediante l’anticipata liquidazione dei danni
subiti dall’amministrazione, un distinto rapporto giuridico fra quest’ultima e l’imprenditore (tanto che
si ammette l’impugnabilità della sola escussione se ritenuta realmente ed esclusivamente lesiva
dell’interesse dell’impresa). Sotto il profilo della natura giuridica, si ritiene (tra varie, Cons. Stato,
VI, 3 marzo 2004, n. 1058 e Cons. Stato, V, 15 aprile 2013, n.2016) che ferma restando la generale
distinzione fra l’istituto della clausola penale (1383 c.c.) avente funzione di liquidazione anticipata
del danno da inadempimento e della caparra confirmatoria (art. 1385 c.c.) avente la funzione di
dimostrare la serietà dell’intento di stipulare il contratto sin dal momento delle trattative o del
perfezionamento dello stesso, l’istituto della cauzione provvisoria debba ricondursi alla caparra
confirmatoria, sia perché è finalizzata a confermare la serietà di un impegno da assumere in futuro,
sia perché tale qualificazione risulta la più coerente con l’esigenza, rilevante contabilmente, di non
vulnerare l’amministrazione costringendola a pretendere il maggior danno (per altra giurisprudenza,
si veda in tal senso, Cons. Stato, V, 11 dicembre 2007, n.6362, la cauzione provvisoria svolge la
funzione della clausola penale, diretta a predeterminare la liquidazione forfettaria del danno, tanto
che non viene prevista la possibilità del danno eventualmente non coperto dalla cauzione incamerata).
In definitiva e in sostanza, si tratta di una misura di indole patrimoniale, priva di carattere
sanzionatorio amministrativo nel senso proprio, che costituisce l’automatica conseguenza della
violazione di regole e doveri contrattuali espressamente accettati. Per replicare alle obiezioni
sollevate dalla tesi più restrittiva, si ritiene di osservare che l’invocato principio di legalità riguarda
le sanzioni in senso proprio e non già le misure di indole patrimoniale liberamente contenute negli atti
di indizione, accettate dai concorrenti, non irragionevoli né illogiche, rispondenti all’autonomia
patrimoniale delle parti, non contrarie a norme imperative e anzi agganciate alla ratio rinvenibile
nelle disposizioni del codice. Il principio di tassatività è, allo stesso modo, male invocato, essendo lo
stesso riferibile alle sole cause di esclusione dalla gara (nel senso della legittimità della previsione di
adempimenti a pena di esclusione, ma purchè conformi ai casi tassativi indicati dall’articolo 46 del
codice dei contratti pubblici, Consiglio di Stato, ad.plen. 25 febbraio 2014, n.9) e non già ad altre
misure di tipo patrimoniale contenute in clausole degli atti di indizione e riferibili a doveri di
correttezza contrattuale. Si aggiunga che – oltre ad una lettura evolutiva dell’art. 75 nel senso sopra
riportato di far riferimento anche ai concorrenti e non solo all’aggiudicatario e non solo ai requisiti
speciali di cui all’art. 48 ma anche ai requisiti generali di cui all’art. 38 – porta e concludere nel
senso sostenuto anche la previsione contenuta nell’art. 49, che, sia pure nell’ambito della disciplina
dell’avvalimento, ma con valenza sistematica (ai sensi degli articoli 1362 e seguenti codice civile) dal
punto di vista interpretativo, al comma 3 prevede che “nel caso di dichiarazioni mendaci, ferma
restando l’applicazione dell’articolo 38, lettera h nei confronti dei sottoscrittori, la stazione
appaltante esclude il concorrente (non già il solo aggiudicatario) e escute la garanzia”. Per
117
Da ultimo, proprio nell’imminenza del presente Convegno, l’AP si è espressa su un
tema piuttosto noto agli operatori del settore ovverosia sulla questione della c.d. indicazione
degli oneri di sicurezza, foriera di un dibattito giurisprudenziale (oltre che dottrinale)
particolarmente florido e fecondo.
Il riferimento è alla sentenza n. 3 del 20 marzo 2015117 volta, da un lato, a statuire che
nelle procedure di affidamento di lavori i partecipanti alla gara devono indicare nell’offerta
economica i costi interni per la sicurezza del lavoro, pena l’esclusione dell’offerta dalla
procedura, anche se non prevista nel bando di gara e, da un altro lato, che la mancata
indicazione non è non sanabile con il potere di soccorso istruttorio della stazione appaltante,
non potendosi consentire di integrare successivamente un’offerta dal contenuto inizialmente
carente di un suo elemento essenziale.
completezza, si deve rilevare che il recente inserimento, all’articolo 38, del comma 2-bis, (inserito
dall’art. 39, comma 1, del D.L. 24 giugno 2014, n.90, convertito, con modificazioni, dalla Legge 11
agosto 2014, n.114) prevede che la mancanza, incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale degli
elementi e delle dichiarazioni sostitutive di cui al comma 2 obbliga il concorrente che vi ha dato
causa al pagamento, in favore della stazione appaltante, della sanzione pecuniaria stabilita dal bando
di gara, in misura non inferiore all’uno per mille e non superiore all’uno per cento del valore della
gara e comunque non superiore a 50.000 euro, il cui versamento è garantito dalla cauzione
provvisoria (assegnando termine per regolarizzare e prevedendo altresì che le irregolarità non
essenziali non rilevino). In caso di inutile decorso del termine il concorrente è escluso dalla gara. Il
legislatore, inoltre, proprio al fine di evitare gli inconvenienti determinati da “mancanze, falsità o
incompletezze delle dichiarazioni”, prevede, in modo innovativo, che ogni variazione che intervenga,
anche in conseguenza di una pronuncia giurisdizionale, successivamente alla fase di ammissione,
regolarizzazione o esclusione delle offerte, non debba rilevare ai fini del calcolo di medie nella
procedura, né per la individuazione della soglia di anomalia delle offerte. Al di là della irrilevanza
ratione temporis, in virtù della disposizione intertemporale del comma 3 del su menzionato art. 39
(per il quale le nuove disposizioni si applicano solo alle procedure di affidamento indette
successivamente al 24 giugno 2014), ciò che rileva per l’interprete, ove mai ve ne fosse bisogno, è la
conferma della legittimità (della previsione nei bandi della “sanzione”) dell’incameramento della
cauzione provvisoria in caso di mancanze relative ai requisiti generali di cui all’art. 38, riferibili a
tutti i concorrenti e non al solo aggiudicatario. (…) Ritenendo pertanto di decidere nel merito per
intero la controversia sottoposta all’esame, sulla base delle sopra esposte considerazioni, va accolto
ai sensi di cui in motivazione il ricorso in appello proposto dal Comune di Erice e, in riforma
dell’appellata sentenza, va respinto il ricorso originario, con la enunciazione dei seguenti principi di
diritto:«E’ legittima la clausola, contenuta in atti di indizione di procedure di affidamento di appalti
pubblici, che preveda l’escussione della cauzione provvisoria anche nei confronti di imprese non
risultate aggiudicatarie, ma solo concorrenti, in caso di riscontrata assenza del possesso dei requisiti
di carattere generale di cui all’art. 38 del codice dei contratti pubblici»”.
117
Cfr. Foro Amministrativo, (II) 2015, 3, 696.
118
4. Spunti conclusivi
Queste, in estrema sintesi, le sentenze maggiormente significative rese dall’AP negli
ultimi mesi in materia di contratti pubblici.
Dalla fugace rassegna che precede, lungi dal poter pervenire a considerazioni
sistematiche di sintesi financo approssimative, due sono i profili che balzano immediatamente
all’attenzione.
In primo luogo, ad emergere con tutta evidenza è la particolare complessità delle
questioni trattate, complessità dovuta pressoché esclusivamente all’affastellamento normativo
succedutosi caoticamente e disorganicamente negli (ultimi) anni.
Secondariamente, è la crescente esigenza della funzione nomofilattica del Supremo
Giudice amministrativo a destare attenzione e a suscitare interrogativi: teorizzata come
funzione “straordinaria” e, sino ad un recente passato, caratterizzatasi per un ruolo
storicamente “debole”, la giurisprudenza dell’Adunanza Plenaria si connota oggi come una
costante sistemica fondamentale del nostro ordinamento, soprattutto nella materia dei contratti
pubblici, confermando appieno la tendenza generale che vede le alte Magistrature della
Repubblica sempre più cariche di lavoro118.
Se la formulazione di cui all’art. 99 del Codice del processo amministrativo ha
indubbiamente rafforzato il ruolo dell’Adunanza secondo il modello della Cassazione, lo
spazio oggi concretamente assunto dal Plenum nella materia dei contratti pubblici non sembra
potersi ascrivere – solo e soltanto – all’intervenuta riforma del rito del deferimento119.
La sensazione è che tra (continue) novelle legislative, orientamenti giurisprudenziali
contraddittori, disposizioni ANAC120 non sempre intelligibili, l’Adunanza venga via via ad
assumere un ruolo di certazione – inteso proprio nel senso più pieno del termine ovvero
quello di “produrre certezza” – in assenza del quale il sistema sarebbe già imploso da tempo.
118
Il fenomeno del c.d. sovraccarico dei ruoli della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione
rappresenta oramai un dato ampiamente noto, non solo agli operatori del settore.
119
Circa il rafforzamento del ruolo dell’Adunanza Plenaria nel “nuovo” CPA, per tutti, E. CASETTA,
Manuale di diritto amministrativo, XV edizione, Milano, 2013, p. 835 ss.; C. MIGNONE – PM
VIPIANA, Manuale di giustizia amministrativa, Padova, 2013, p. 11 ss.
120
Emblematico si pone il caso dei “Criteri interpretativi in ordine alle disposizioni dell’artt. 38,
comma 2-bis, e 46, comma 1-ter, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163” di cui alla Determinazione n. 1, dell’8
gennaio 2015 e successivo Comunicato del Presidente del 25 marzo 2015.
119
LA SICUREZZA SUL LAVORO NEGLI APPALTI PUBBLICI
CONSIDERAZIONI A SEGUITO DELLE DIRETTIVE UE DEL 2014
Matteo Porricolo
(Dottorando Università degli Studi
del Piemonte Orientale)
SOMMARIO: 1. I rapporti tra il Codice dei contratti pubblici e il Testo unico della
salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. - 2. Le principali responsabilità delle figure
garanti. - 3. Il sistema sanzionatorio - 4. La sicurezza nelle fasi precedenti l’esecuzione. - 5. Il
dibattito giurisprudenziale sull’omessa indicazione degli oneri. - 6. Conclusioni
1. Per quanto la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro siano esigenze da tempo
sentite e tutelate a livello comunitario121, le tre recenti direttive UE122 non dettano particolari
disposizioni in materia123; né allo stato attuale a riguardo si rinviene altro nel d.d.l. italiano per
il
recepimento di tali direttive (A.S. 1678, nel momento in cui si scrive all’esame in
Commissione). Con tale legge si intende delegare il Governo ad adottare un decreto
121
Già il previgente D. lgs. 19 settembre 1994, n. 626 recepiva una serie di direttive CEE riguardanti il
miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori.
122
Si tratta della direttiva 2014/23/UE del 26 febbraio 2014 del Parlamento europeo e del Consiglio
sull'aggiudicazione dei contratti di concessione; della direttiva 2014/24/UE del 26 febbraio 2014 del
Parlamento europeo e del Consiglio sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE e della
direttiva 2014/25/UE del 26 febbraio 2014 del Parlamento europeo e del Consiglio sulle procedure
d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali.
123
La direttiva appalti al 41° considerando stabilisce: «Nessuna disposizione della presente direttiva
dovrebbe vietare di imporre o di applicare misure necessarie alla tutela dell’ordine, della moralità e
della sicurezza pubblici, della salute, della vita umana […]».
Al 99°: «Possono essere oggetto dei criteri di aggiudicazione o delle condizioni di esecuzione
dell’appalto anche misure intese alla tutela della salute del personale coinvolto nei processi produttivi
[…]».
120
legislativo che assuma le forme di un testo normativo denominato “Codice degli appalti
pubblici e delle concessioni”, andando così a superare il vigente Decreto legislativo 12 aprile
2006, n. 163.
Invero, l’attuale “Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi” (di seguito,
breviter, anche “Codice appalti” o “il Codice”) non rappresenta ovviamente la sedes materiae
della disciplina della sicurezza sul lavoro, essendo questa posizione ricoperta dal Testo unico
di cui al d. lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (di seguito “Testo unico” o “il T.U.”).
Per quanto esuli, quindi, tale materia dall’ambito applicativo delle direttive, sarà
comunque opportuno che il legislatore coordini le due fonti tenendo presente che il T.U.
81/2008 fa espressi riferimenti al d. lgs. 163/2006 laddove, al Titolo IV, detta “Misure per la
salute e sicurezza nei cantieri temporanei o mobili”.
La portata globale dell’applicazione delle norme (e quindi anche agli appalti pubblici),
oltre a evincersi da specifiche disposizioni iniziali124, si desume nella parte in cui vengono
fornite la definizioni di “Committente” e “Responsabile dei lavori”, due fra i principali
soggetti interni alla stazione appaltante che il T.U. individua per l’addebito degli obblighi in
tema di sicurezza.
In particolare «Nel caso di appalto di opera pubblica, il committente è il soggetto
titolare del potere decisionale e di spesa relativo alla gestione dell'appalto» (art. 89, c.1, l. b,
secondo periodo).125
E «Nel campo di applicazione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e
successive modificazioni, il responsabile dei lavori è il responsabile unico del
procedimento»126 (art. 89, c.1, l. c, secondo periodo).
Cfr. l’art. 2 - “Definizioni” e l’art. 3, c. 1, secondo cui: «Il presente decreto legislativo si applica a
tutti i settori di attività, privati e pubblici, e a tutte le tipologie di rischio». Si tratta del cd. “principio
della circolarità della sicurezza sul lavoro”. Cfr. CHIARA TRULLI, La sicurezza sul lavoro nella
pubblica amministrazione, DEI, Roma, 2012, p. 251.
125
Diversamente dal caso della nomina a datore di lavoro, che può far risorgere la responsabilità dei
vertici politici in caso di omessa individuazione o di individuazione non conforme (ex art. 2, c.1, l. b,
ult. periodo, T.U.), manca qui un’espressa garanzia del genere. E’ stato però correttamente osservato
che, onde evitare illegittime responsabilità da posizione, è corretto ritenere la disposizione estendibile
a questo caso, ad es., per culpa in eligendo o vigilando su dirigenti o funzionari cui è stato affidato il
potere decisionale o qualora non siano state disposte risorse necessarie per rendere effettivo il potere
di spesa relativo alla gestione dell'appalto.
Cfr. CARINCI, CESTER, MATTAROLO, SCARPELLI, Tutela e sicurezza del lavoro negli appalti privati e
pubblici: inquadramento giuridico ed effettività, Utet, Torino, 2011, pp. 411 ss.
126
Si ricordi che ai sensi dell’art. 10 c. 1 del Codice: «Per ogni singolo intervento da realizzarsi
mediante un contratto pubblico, le amministrazioni aggiudicatrici nominano, ai sensi della legge 7
124
121
A tali disposizioni fa eco il D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 – Regolamento applicativo
del codice –
stabilendo che «Il responsabile del procedimento assume il ruolo di
responsabile dei lavori, ai fini del rispetto delle norme sulla sicurezza e salute dei lavoratori
sui luoghi di lavoro» (art. 10, c. 2), oltre una lunga serie di specifiche incombenze.
Il legislatore della riforma dovrà altresì tener presente che il T.U. del 2008 fa ulteriori
richiami all’attuale Codice appalti. Prima fra tutti, la clausola dell’art. 26, c. 7: «Per quanto
non diversamente disposto dal decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, come da ultimo
modificate dall'articolo 8, comma 1, della legge 3 agosto 2007, n. 123, trovano applicazione
in materia di appalti pubblici le disposizioni del presente decreto», che individua, così, una
competenza residuale a favore del Testo unico rispetto al Codice appalti.127
2. Com’è noto, allontanandosi da quel concetto di “gestione a proprio rischio” in capo
all’appaltatore (di cui all’art. 1655 c.c.), il legislatore non ha voluto esonerare del tutto i
soggetti interni all’amministrazione (o il committente privato) dall’assolvimento dei compiti
in materia di salute e sicurezza, individuando un complesso sistema di riparto tra i suddetti e
quelli appartenenti all’azienda titolare del rapporto di lavoro. Si è venuto così a creare un
triplice sistema di garanzie, che coinvolge “sia le fasi antecedenti l'affidamento, con la
agosto 1990, n. 241, un responsabile del procedimento, unico per le fasi della progettazione,
dell'affidamento, dell'esecuzione».
127
Altri sono i richiami. Ad esempio, in tema di rapporti tra committenti, responsabili dei lavori,
datori delle imprese affidatarie e datore delle imprese in subappalto l’art. 100, c. 6 bis, del T.U.
stabilisce che : «Nel campo di applicazione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive
modificazioni, si applica l’articolo 118, comma 4, secondo periodo, del medesimo decreto
legislativo». E’una norma che istituisce una responsabilità solidale tra affidatario e subappaltatore
anche relativamente agli adempimenti degli obblighi di sicurezza.
O ancora, all’art 26 (Obblighi connessi ai contratti d'appalto o d'opera o di somministrazione):
«Il datore di lavoro committente promuove la cooperazione e il coordinamento […] elaborando un
unico documento di valutazione dei rischi [D.U.V.R.I. N.d.R] che indichi le misure adottate per
eliminare o, ove ciò non è possibile, ridurre al minimo i rischi da interferenze […]. Nell'ambito di
applicazione del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 , tale documento è redatto,
ai fini dell'affidamento del contratto, dal soggetto titolare del potere decisionale e di spesa relativo
alla gestione dello specifico appalto». (comma 3).
«Nei casi in cui il contratto sia affidato dai soggetti di cui all’articolo 3, comma 34, del decreto
legislativo 12 aprile 2006, n. 163 [la "centrale di committenza", N.d.R], o in tutti i casi in cui il datore
di lavoro non coincide con il committente, il soggetto che affida il contratto redige il documento di
valutazione dei rischi da interferenze recante una valutazione ricognitiva dei rischi standard relativi
alla tipologia della prestazione che potrebbero potenzialmente derivare dall’esecuzione del contratto.
Il soggetto presso il quale deve essere eseguito il contratto, prima dell’inizio dell’esecuzione, integra
il predetto documento riferendolo ai rischi specifici da interferenza presenti nei luoghi in cui verrà
espletato l’appalto […] » (comma 3 ter).
122
cosiddetta verifica di idoneità tecnico-professionale delle imprese esterne, sia la fase
contrattuale, con nuovi adempimenti in materia di valutazione dei rischi interferenziali e di
definizione dei costi connessi alla gestione della sicurezza nello specifico appalto”; sia infine
la fase esecutiva, “con la definizione di precisi obblighi per il committente e gli appaltatori in
tema di cooperazione e di coordinamento”.128
L’art. 90 individua gli “Obblighi del committente o del responsabile dei lavori”:
l’alternativa che vi si legge è data dal fatto che il secondo è il «soggetto che può essere
incaricato dal committente per svolgere i compiti ad esso attribuiti dal presente decreto» (art.
89, c.1, l. c, primo periodo), facoltà consentita qualora il committente non disponga delle
competenze necessarie ad onorare tali funzioni.
Di fatti, ai sensi dell’art. 93, c. 1, «Il committente è esonerato dalle responsabilità
connesse all'adempimento degli obblighi limitatamente all'incarico conferito al responsabile
dei lavori», di modo che quest’ultimo diventa l’alter ego del committente ai fini della
sicurezza in cantiere. 129
Nell’ambito degli appalti pubblici, si è però discusso della natura di tale nomina: una
corrente ha sostenuto che si tratti di una nomina facoltativa, salvo che, una volta designato il
responsabile dei lavori, questi non possa essere che il Responsabile unico del procedimento di
cui al “Codice appalti”, stante il precitato secondo periodo dell’art. 89, c.1, l. c.130
IVAN PIETROLUONGO, GIUSEPPE SARTORIO, L’omessa indicazione degli oneri di sicurezza negli
appalti pubblici, in Urbanistica e appalti, 2013, 2, 222.
Sul riparto di responsabilità, GIULIO BENEDETTI, Gli adempimenti di sicurezza sul lavoro nel contratto
di appalto pubblico e privato, in ISL - Igiene & Sicurezza del Lavoro, 10, 2011, pp. 696-700.
Pre riforma, ADRIANA MORGANTE, Le posizioni di garanzia nella prevenzione antinfortunistica in
materia di appalto, in Riv. it. dir. e proc. pen., fasc.1, 2001, pagg. 88 e ss.
129
Per un inquadramento sui compiti e responsabilità del R.U.P. in materia di sicurezza sul lavoro:
MARCO MASI, Contratti per lavori pubblici: responsabile del procedimento anche per la tutela in
cantiere, in Ambiente & Sicurezza, 2011, 4, pp. 12-18
E C. TRULLI, La sicurezza sul lavoro nella pubblica amministrazione, cit., p. 286 ss.
Sull’esonero di responsabilità del committente che nomina il Responsabile dei lavori v. ELENA
CARUSO in LUIGI MONTUSCHI (a cura di), La nuova sicurezza sul lavoro: commento al D. lgs. 9
aprile 2008, n. 81 e successive modifiche, Zanichelli, Bologna, 2011, (vol. III, norme penali e
processuali, a cura di GAETANO INSOLERA), pp. 158-162.
130
Così VALENTINA PASQUARELLA, La valorizzazione della dimensione prevenzionistica degli appalti
pubblici tra vecchie e nuove fonti normative, in Lavoro nelle p.a., fasc.2, 2009, pp. 285 e ss., che
scrive: “L'espressione che identifica il responsabile dei lavori con il RUP, in virtù della facoltatività di
tale ruolo, va intesa nel senso che, laddove il committente ritenga di nominarlo, il responsabile dei
lavori può essere soltanto il RUP; in caso contrario, il committente adempierà personalmente a tutti gli
obblighi prevenzionistici, e di conseguenza il RUP, che rimane una figura obbligatoria nei lavori
pubblici, sarà tenuto solo allo svolgimento dei compiti connessi alle fasi di progettazione, di
affidamento e di esecuzione di lavori, servizi e forniture.
128
123
A questa impostazione si è contrapposta la visione di chi ha ritenuto l’automatismo
della nomina a responsabile dei lavori in capo al R.U.P., a prescindere da qualsivoglia
incarico espresso da parte del committente.131
Gli altri due soggetti responsabili interni alla stazione appaltante sono il “coordinatore
in materia di sicurezza e di salute durante la progettazione dell'opera”, definito come
«soggetto incaricato, dal committente o dal responsabile dei lavori, dell'esecuzione dei
compiti di cui all'articolo 91» (art. 89, c.1, l. e) e il “coordinatore in materia di sicurezza e di
salute durante la realizzazione dell'opera”, ovvero il «soggetto incaricato, dal committente o
dal responsabile dei lavori, dell'esecuzione dei compiti di cui all'articolo 92, che non può
essere il datore di lavoro delle imprese affidatarie ed esecutrici o un suo dipendente o il
responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) da lui designato» (art. 89, c.1, l.
f).132
Va tenuto conto, però, che, anche a seguito di tali designazioni, la legge non esonera il
committente o il responsabile dei lavori da una serie di responsabilità, precisate con rimando
dall’art. 93, c. 2.
A tali figure di garanti, come si è detto, si affiancano senza sostituirli, i datori di
lavoro, i dirigenti e i preposti delle imprese affidatarie e delle imprese esecutrici, ossia i reali
titolari del rapporto con il lavoratore, nonché i loro incaricati.
3. A seguire il complesso di prescrizioni specifiche da adottarsi nei cantieri, il Titolo
IV del decreto termina col Capo III, dedicato alle sanzioni e, nello specifico si annoverano gli
articoli da 157 a 160 disciplinanti rispettivamente le sanzioni per i committenti e i
La figura del RUP è quindi obbligatoria - facoltativa - obbligatoria: è obbligatoria nell'ambito della
regolamentazione degli appalti pubblici; è facoltativa quale responsabile di lavori, perché potrebbe
non essere nominato dal committente pubblico; diventa di nuovo obbligatoria, in caso di nomina del
responsabile di lavori, in quanto tale ruolo deve essere obbligatoriamente ricoperto dal RUP”.
131
Aderisce a quest’ultima tesi MIRKO TRAPÈ, Sicurezza sul lavoro: i compiti del RUP, in
www.altalex.com, 9 luglio 2014.
Per l’automatismo anche C. TRULLI, La sicurezza sul lavoro nella pubblica amministrazione, cit., p.
278.
Cfr. anche CARINCI, CESTER, MATTAROLO, SCARPELLI, Tutela e sicurezza del lavoro negli appalti
privati e pubblici: inquadramento giuridico ed effettività, cit., pp. 419 ss.
132
Sui compiti e responsabilità dei coordinatori, v. C. TRULLI, La sicurezza sul lavoro nella pubblica
amministrazione, cit., pp. 310 e ss.
124
responsabili dei lavori, le sanzioni per i coordinatori, quelle per i datori di lavoro e dirigenti e,
infine, quelle per i lavoratori autonomi.133
Il d.lgs. 81/2008 nella parte sanzionatoria adopera un sistema di non agevole lettura,
stabilendo ivi la pena e facendo rinvio per l’individuazione della fattispecie agli articoli
precedenti che enucleano l’obbligo. Lo “statuto penale” della sicurezza sul lavoro ha optato
per un doppio binario134: ossia certe condotte vengono punite a titolo di contravvenzione (con
sola ammenda, ammenda e arresto o solo arresto), mentre altre violazioni, dal disvalore
inferiore, comportano l’applicazione di sole sanzioni amministrative.
Le disposizioni generali in materia penale e di procedura penale si trovano al Titolo
XII, che si apre con una disposizione per quanto forse superflua, di grande aiuto per
l’interprete per muoversi nel complesso di norme del T.U.: «Quando uno stesso fatto è punito
da una disposizione prevista dal titolo I e da una o più disposizioni previste negli altri titoli,
si applica la disposizione speciale» (art. 298). Il che significa che per la risoluzione del
conflitto apparente di norme, conformemente all’art. 15 c.p., rispetto alle violazioni contenute
nella parte generale prevalgono quelle dei titoli seguenti che dettano una disciplina particolare
per i vari settori di rischio. Ne è un esempio la sicurezza nei cantieri temporanei o mobili, qui
analizzata.
L’accertamento delle violazioni in oggetto è retto da un sistema particolare, che la vale
la pena sintetizzare: le contravvenzioni in materia di igiene, salute e sicurezza sul lavoro
previste dal decreto o contenute in altra fonte legislativa, per le quali sia prevista la pena
alternativa dell'arresto o dell'ammenda ovvero la pena della sola ammenda, giovano, in
ragione dell’art. 301, della procedura di prescrizione ed estinzione del reato contenuta nel
Capo II del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758.
In base all’art. 20 del testo normativo da ultimo indicato, una volta accertata la
violazione «l'organo di vigilanza, nell'esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria di cui
all'art. 55 del codice di procedura penale, impartisce al contravventore
prescrizione,
un'apposita
fissando per la regolarizzazione un termine non eccedente il periodo di
tempo tecnicamente necessario. Tale termine è prorogabile a richiesta del contravventore,
Per un’analisi nel dettaglio dei vari illeciti, v. PIERLUIGI RAUSEI, Illeciti e sanzioni : il diritto
sanzionatorio del lavoro, Ipsoa, Milanofiori – Assago, 2013, pp. 592 ss.
134
Cfr. ELENA CARUSO in LUIGI MONTUSCHI (a cura di), cit. (vol. III, norme penali e processuali, a
cura di GAETANO INSOLERA), p. 158.
133
125
per la particolare complessità o per l'oggettiva difficoltà dell'adempimento. In nessun caso
esso può superare i sei mesi. […]
Con la prescrizione l'organo di vigilanza può imporre specifiche misure atte a
far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro.
Resta fermo l'obbligo dell'organo di vigilanza di riferire al pubblico ministero la
notizia di reato inerente alla contravvenzione ai sensi dell'art. 347 del codice di procedura
penale».
L’art. 22 prende in considerazione il caso inverso, ossia quando sia
il pubblico
ministero a prendere notizia di una contravvenzione di propria iniziativa ovvero la riceva
da terzi, dovendo esso darne immediata comunicazione all'organo di vigilanza.
In ogni caso, il procedimento penale resta sospeso dal momento dell'iscrizione della
notizia di reato nel registro di cui all'art. 335 c.p.p. fino al momento in cui il pubblico
ministero riceve la comunicazione dell’adempimento o dell’inadempimento (art. 23, c.1).
L’art. 21 regola i due casi: «Entro e non oltre sessanta giorni dalla scadenza del
termine fissato nella prescrizione, l'organo di vigilanza verifica se la violazione è stata
eliminata secondo le modalità e nel termine indicati dalla prescrizione.
Quando risulta l'adempimento alla prescrizione, l'organo di vigilanza ammette il
contravventore a pagare in sede amministrativa, nel termine di trenta giorni, una somma
pari al quarto del massimo dell'ammenda
stabilita
per la contravvenzione commessa.
Entro centoventi giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, l'organo
di
vigilanza comunica al pubblico ministero l'adempimento
alla prescrizione, nonché
l'eventuale pagamento della predetta somma.
Quando risulta l'inadempimento alla prescrizione, l'organo di vigilanza
ne
dà
comunicazione al pubblico ministero e al contravventore entro novanta giorni dalla
scadenza del termine fissato nella prescrizione».
In breve, si aprono quindi due vie: l’estinzione del reato se il contravventore adempie
alla prescrizione impartita dall'organo di vigilanza nel termine fissato e provvede al
pagamento previsto in via amministrativa; in caso contrario si riattiva il procedimento penale
per l’accertamento della contravvenzione.
126
Gli atti dell’organo di vigilanza, costituendo esercizio di funzioni di polizia
giudiziaria, si ritengono non impugnabili in sede amministrativa o giudiziaria con ricorso al
T.A.R. L’eventuali doglianze dovranno essere risolte all’interno del procedimento penale.135
Sul tema è intervenuta a più riprese la Corte Costituzionale dichiarando infondata la
questione di legittimità costituzionale di taluni articoli del Capo II del decreto legislativo 19
dicembre 1994, laddove il rimettente aveva trascurato che, «nel caso in cui le conseguenze
dannose o pericolose del reato risultino eliminate per effetto di una regolarizzazione
spontanea o a seguito dell'osservanza di prescrizioni irritualmente impartite, non vi sono
ostacoli a che il contravventore venga ammesso al pagamento della somma determinata a
norma dell'art. 21 del D.Lgs. n. 758 del 1994, così da poter usufruire dell'estinzione del reato
disciplinata dall'art. 24 del medesimo decreto».136 Ciò in ossequio alla duplice ratio cui
tendono le norme in questione: assicurare l'effettività dell'osservanza delle misure di
prevenzione e di protezione e conseguire una consistente deflazione processuale.
Sin qui si è analizzata la procedura estintiva per le contravvenzioni punite con la pena
alternativa dell'arresto o dell'ammenda ovvero la pena della sola ammenda; ma il T.U.
prevede sistemi ripristinatori anche per gli illeciti amministrativi e per le contravvenzioni
punite col solo arresto.
Nel primo caso, l’art. 301 bis dispone: «In tutti i casi di inosservanza degli obblighi
puniti con sanzione pecuniaria amministrativa il trasgressore, al fine di estinguere l’illecito
amministrativo, è ammesso al pagamento di una somma pari alla misura minima prevista
dalla legge qualora provveda a regolarizzare la propria posizione non oltre il termine
assegnato dall’organo di vigilanza mediante verbale di primo accesso ispettivo».
Mentre, secondo l’art. 302, per le contravvenzioni punite con la sola pena dell’arresto,
il giudice può, su richiesta dell’imputato, sostituire la pena irrogata nel limite di dodici mesi
con il pagamento di una somma determinata secondo i criteri di ragguaglio di cui all’articolo
135 c.p.. La sostituzione può avvenire solo quando siano state eliminate tutte le fonti di
rischio e le conseguenze dannose del reato e la somma non può essere comunque inferiore a
2.000 €. La conversione non è consentita quando la violazione ha prodotto un infortunio da
135
MANUEL FORMICA in LUIGI MONTUSCHI (a cura di), cit. (vol. III, norme penali e processuali, a
cura di GAETANO INSOLERA), pp. 315-316.
136
C. Cost. Ord. 4.6.2003, n. 192. Conformi: Ord. 28.5.1999, n. 205; Ord. 16.12.1998, n. 416;
Sent.18.2.1998, n. 19.
127
cui sia derivata la morte ovvero una lesione personale che abbia comportato l’incapacità di
attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo superiore ai quaranta giorni.
Decorso un periodo di tre anni dal passaggio in giudicato della sentenza che ha operato
la sostituzione senza che l’imputato abbia commesso ulteriori reati tra quelli previsti dal T.U.,
ovvero i reati di omicidio colposo o lesioni personali colpose commesse con violazione delle
norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, il reato si estingue.
4. La rilevanza della sicurezza nei luoghi di lavoro spicca, comunque, anche nella fasi
precedenti dell’aggiudicazione, essendo approntato un insieme di norme atte a evitare che gli
oneri per la sicurezza, che gravano sulle aziende, rientrino nel gioco a ribasso dei prezzi.137
Tali oneri sono stati definiti come “quei costi che l'impresa sostiene per predisporre le misure
preventive e protettive necessarie per l'eliminazione o riduzione dei rischi da interferenze
delle lavorazioni individuate nel DUVRI (il Documento Unico per la Valutazione dei Rischi),
o nel Piano di sicurezza e di coordinamento.”138
Innanzitutto, fra i principi generali si stabilisce che il principio di economicità possa
essere subordinato, entro i limiti in cui sia espressamente consentito dalle norme vigenti e dal
codice, ai criteri, previsti dal bando, ispirati a esigenze sociali, nonché alla tutela della salute e
dell'ambiente e alla promozione dello sviluppo sostenibile (art. 2, c. 2, Codice appalti).
In particolare «Nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione
dell’anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici, di
servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia
adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza, il quale
deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all’entità e alle
caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture. Ai fini del presente comma il costo del
lavoro è determinato periodicamente, in apposite tabelle, dal Ministro del lavoro e della
previdenza sociale […]» (art. 86, c. 3 bis, del Codice, poi recepito dall’art. 26, c. 6, del T.U.).
137
Per una riflessione in proposito, cfr. ad es. FRANCO SCARPELLI, Regolarità del lavoro e regole
della concorrenza: il caso degli appalti pubblici, in Riv. giur. del lavoro e della prev. soc., 2006, 4,
761-773.
E VALENTINA PASQUARELLA, La valorizzazione della dimensione prevenzionistica degli appalti
pubblici tra vecchie e nuove fonti normative, cit.
138
IVAN PIETROLUONGO, GIUSEPPE SARTORIO, L’omessa indicazione degli oneri di sicurezza negli
appalti pubblici, cit.
128
«Il costo relativo alla sicurezza non può essere comunque soggetto a ribasso d’asta».
(art. 86, c. 3 ter).
Dal tenore delle suesposte disposizioni deriva che “nella predisposizione della gara
[…], i costi relativi alla sicurezza derivanti dalla valutazione delle interferenze devono essere
specificamente indicati […] separatamente dall'importo dell'appalto posto a base d'asta, con
preclusione di qualsivoglia facoltà di ribasso dei costi stessi […], in virtù della preclusione
legale di indisponibilità di detti oneri da parte dei concorrenti, trattandosi di costi necessari,
finalizzati con tutta evidenza alla massima tutela del bene costituzionalmente rilevante
dell'integrità dei lavoratori”.139
L’art. 38 del D. Lgs. 163/2006 regola i requisiti di ordine generale delle imprese
concorrenti, stabilendo, tra l’altro, che «Sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di
affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere
affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti: […] che hanno
commesso gravi infrazioni debitamente accertate alle norme in materia di sicurezza e a ogni
altro obbligo derivante dai rapporti di lavoro […]» (c. 1, l. e).
Circa i criteri di valutazione delle offerte anormalmente basse, l’art. 87, c. 4 non
ammette giustificazioni in relazione agli oneri di sicurezza, nonché al piano di sicurezza e
coordinamento, e richiede , nella valutazione dell'anomalia, la stazione appaltante tenga conto
dei costi relativi alla sicurezza, che devono essere specificamente indicati nell'offerta e
risultare congrui rispetto all'entità e alle caratteristiche dei servizi o delle forniture.
Nel Regolamento attuativo (D.P.R. 207/2010) sono poi individuati, all’art. 39, il
“Piano di sicurezza e di coordinamento” e il “Quadro di incidenza della manodopera”140
I. PIETROLUONGO, G. SARTORIO, L’omessa indicazione degli oneri di sicurezza negli appalti
pubblici, cit.
140
«Il piano di sicurezza e di coordinamento è il documento complementare al progetto esecutivo,
finalizzato a prevedere l'organizzazione delle lavorazioni più idonea, per prevenire o ridurre i rischi
per la sicurezza e la salute dei lavoratori, attraverso l'individuazione delle eventuali fasi critiche del
processo di costruzione, e la definizione delle relative prescrizioni operative. Il piano contiene misure
di concreta fattibilità, e' specifico per ogni cantiere temporaneo o mobile ed e' redatto secondo quanto
previsto nell'allegato XV al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81. La stima dei costi della sicurezza
derivanti dall'attuazione delle misure individuate rappresenta la quota di cui all'articolo 16, comma 1,
punto a.2).
2. I contenuti del piano di sicurezza e di coordinamento sono il risultato di scelte progettuali ed
organizzative conformi alle misure generali di tutela di cui all'articolo 15 del decreto legislativo 9
aprile 2008, n. 81, secondo quanto riportato nell'allegato XV al medesimo decreto in termini di
contenuti minimi. In particolare la relazione tecnica, corredata da tavole esplicative di progetto, deve
prevedere l'individuazione, l'analisi e la valutazione dei rischi in riferimento all'area e
139
129
5. Si osservi in chiusura il dibattito giurisprudenziale che ha riguardato la questione se
fosse ugualmente obbligo per i concorrenti partecipanti ad una gara segnalare l'importo degli
oneri economici imputati esclusivamente alle misure di sicurezza sul lavoro, anche se ciò non
fosse previsto espressamente dal bando.
L’inciso che ha dato adito ai dubbi è stato il secondo periodo dell’art. 87, c. 4 del
Codice: «Nella valutazione dell'anomalia la stazione appaltante tiene conto dei costi relativi
alla sicurezza, che devono essere specificamente indicati nell'offerta e risultare congrui
rispetto all'entità e alle caratteristiche dei servizi o delle forniture», non trattando
apparentemente degli appalti di lavori.
Circoscrivendo l’analisi alle pronunce degli ultimi anni, secondo un primo
orientamento l'inosservanza delle norme del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei
contratti pubblici) che impongono l'indicazione preventiva dei costi di sicurezza avrebbe
implicato - anche in assenza di espressa comminatoria del bando di gara - la sanzione
dell'esclusione, in quanto avrebbe reso l'offerta incompleta sotto un profilo particolarmente
rilevante alla luce della natura costituzionalmente sensibile degli interessi protetti e avrebbe
inoltre impedito alla stazione appaltante un adeguato controllo sull'affidabilità dell’offerta
stessa.141
Di altro avviso fu il Supremo Consesso Amministrativo l’anno successivo, nella
pronuncia in cui, onerando le amministrazioni aggiudicatrici, in sede di predisposizione dei
bandi di gara, di indicare i costi relativi alla sicurezza derivanti dalla valutazione delle
interferenze (i quali, a pena d'illegittimità, vanno specificamente separati dall'importo
dell'appalto posto a base d'asta), dichiarò l’annullamento degli atti di gara impugnati. 142
Si ritornò in seguito nel filone della prima sentenza analizzata, stabilendo che la
mancata indicazione, nel disciplinare di gara, dell'obbligo per le imprese partecipanti di far
luogo alla indicazione dei costi per la sicurezza da rischio specifico o aziendale non esimeva il
concorrente dalla specificazione di tale elemento. Sulla scorta del dato normativo di cui agli
all'organizzazione dello specifico cantiere, alle lavorazioni interferenti ed ai rischi aggiuntivi rispetto
a quelli specifici propri dell'attività delle singole imprese esecutrici o dei lavoratori autonomi.
3. Il quadro di incidenza della manodopera e' il documento sintetico che indica, con riferimento allo
specifico contratto, il costo del lavoro di cui all'articolo 86, comma 3-bis, del codice. Il quadro
definisce l'incidenza percentuale della quantità di manodopera per le diverse categorie di cui si
compone l'opera o il lavoro.»
Cfr. anche l’art. 131 del Codice (“Piani di sicurezza”) e l’art. 100 del T.U. “Piano di sicurezza e
coordinamento”.
141
C.d.S. sez. V, 23-7-2010, n. 4849.
142
C.d.S. Sez. III, 3-10-2011, n. 5421.
130
artt. 86 e 87, comma quarto, del Codice degli appalti (D.Lgs. n. 163 del 2006) e dell'art. 26,
comma sesto, D.Lgs. n. 81 del 2008, invero, doveva attribuirsi ai costi suddetti la valenza di
un elemento essenziale dell'offerta a norma dell'art. 46, comma primo bis, Codice dei
contratti, la cui mancanza rendeva la stessa incompleta e come tale, già di per solo,
suscettibile di determinare la esclusione del concorrente che l'avesse in tal modo formulata.143
Il forte contrasto giurisprudenziale veniva evidenziato da una pronuncia poco
successiva, con la quale i Giudici di Palazzo Spada riconoscevano in via generale
l’obbligatorietà dell'indicazione dei costi per la sicurezza nell'offerta economica pur in
assenza di indicazioni nella legge di gara; salvo però rilevare che, laddove le indicazioni al
riguardo nel bando di gara fossero tali da portare obbiettivamente ad errare in buona fede o
addirittura idonee ad orientare verso una interpretazione legittimante la non esposizione
nell'offerta economica dei costi in questione, doveva essere dichiarata l’illegittimità
dell’esclusione dell'impresa concorrente che, vista tale obiettiva ambiguità, avesse presentato
l'offerta senza l'esposizione dei detti costi.144
Si contraddistingueva nuovamente di segno contrario a quella che l’aveva preceduta la
sentenza, per la quale, essendo la legge la fonte dell’obbligo di indicazione degli oneri per la
sicurezza, sarebbe stata irrilevante la circostanza che la lex specialis di gara non avesse
richiesto la medesima indicazione, rendendosi altrimenti scusabile una ignorantia legis.145
La giurisprudenza amministrativa continuava sul suo percorso altalenante facendo poi
un distinguo: l'obbligo di indicare nell'offerta di gara gli oneri per la sicurezza aziendale
sarebbe valso solo per gli appalti di servizi e forniture, in quanto per gli appalti di lavori
sarebbe occorso fare riferimento alla quantificazione ad opera della stazione appaltante.146
Il Consiglio di Stato rimaneva su questa tesi anche nel 2014. La motivazione sarebbe
stata dovuta alla ragione per cui nelle gare d'appalto l'obbligo di indicazione, in sede di
offerta, del costo relativo alla sicurezza sarebbe imposto dal legislatore, ex art. 87, comma
4, d.lgs. 163/2006 (Codice degli appalti), esclusivamente per le procedure relative agli appalti
di servizi e forniture mentre in materia di lavori pubblici la quantificazione sarebbe rimessa al
piano di sicurezza e coordinamento ex art. 100 d.lgs. n. 81/2008, predisposto dalla stazione
appaltante ai sensi dell'art. 131 d.lgs. 163/2006; fermo restando l'obbligo di verifica
143
C.d.S. Sez. III, 28-08-2012, n. 4622.
C.d.S. Sez. VI, 20-09-2012, n. 4999.
145
C.d.S. Sez. III, 03-07-2013, n. 3565.
146
C.d.S. Sez. V, 09-10-2013, n. 4964.
144
131
dell'adeguatezza degli oneri per tutti i contratti pubblici in forza dell'art. 86, comma 3 bis del
Codice degli appalti.147
Due sentenze di poco successive, però, propendevano per la legittimità
dell’aggiudicazione di una gara di appalto di lavori in favore di un'impresa che non avesse
indicato specificamente, nell'offerta economica, gli oneri per la sicurezza aziendale148.
A fine anno contribuiva anche il Consiglio di Giustizia amministrativa149. I giudici
siciliani, in ragione delle più recenti sentenze, hanno reputato che la giurisprudenza appaia
attualmente orientata nel senso di ritenere illegittima l'esclusione dagli appalti di servizi dei
concorrenti che non abbiano preventivamente indicato i costi per la sicurezza aziendale.
«Nella specie» scrivono «l'omessa indicazione dei costi della sicurezza ("aziendale", o
"interna") non è stata prevista dal bando di gara quale causa di esclusione del concorrente; e
ciò essenzialmente in quanto la recente giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. C.G.A., ord.
26 settembre 2014, n. 475) si è andata sempre più orientando nel senso della condivisione per
la tesi che la violazione di adempimenti non espressamente previsti (né specificamente
sanzionati con l'esclusione) dal bando di gara, né dalla legge, non sia "legittimamente
sanzionabile con l'esclusione, ... dovendosi accordare prevalenza, rispetto al meccanismo di
eterointegrazione, al principio di affidamento. […]
A supporto della soluzione interpretativa cui questo Consiglio aderisce si rileva che
l'obbligo di indicare i costi per la sicurezza interna viene ricavato dagli articoli 86 e 87 del
codice dei contratti pubblici; senonché, tali norme riguardano la verifica di anomalia delle
offerte e, d'altra parte, neppure la legge prevede espressamente alcuna conseguenza in
termini di esclusione dell'offerente (dell'incongruenza di ricavare in via interpretativa
fattispecie escludente sia già trattato sopra)».
Sulla questione è intervenuta finalmente l’Adunanza Plenaria del 20 marzo 2015, su
rimessione della V Sezione «per l’esame della questione di diritto attinente alla corretta
interpretazione dell’art. 87, comma 4, del Codice, che il primo giudice ha ritenuto norma da
cui discende l’obbligo per le imprese partecipanti di indicare, a pena di esclusione, gli oneri
relativi alla sicurezza in maniera analitica sin dal momento di presentazione delle offerte.»
All’esito dell'udienza pubblica del giorno 25 febbraio 2015 è stato espresso tale
principio di diritto: «Nelle procedure di affidamento di lavori i partecipanti alla gara devono
147
C.d.S. Sez. V, 07-05-2014, n. 2343.
C.d.S Sez. V, 17-06-2014, n. 3056 e C.d.S. Sez. III, 24-06-2014, n. 3195.
149
C.G.A., ud. 10-12-2014; dep. 24-03-2015, n. 305.
148
132
indicare nell’offerta economica i costi interni per la sicurezza del lavoro, pena l’esclusione
dell’offerta dalla procedura anche se non prevista nel bando di gara». È stata pertanto
accolta l’impostazione più gravosa per le imprese, ma senz’altro di maggior tutela per i
lavoratori.
Si dice nella sentenza «Non appare coerente, infatti, imporre alle stazioni appaltanti
di tenere espresso conto nella determinazione del valore economico di tutti gli appalti
dell’insieme dei costi della sicurezza, che devono altresì specificare per assicurarne la
congruità, e non imporre ai concorrenti, per i soli appalti di lavori, un identico obbligo di
indicazione nelle offerte dei loro costi specifici, il cui calcolo, infine, emergerebbe soltanto in
via eventuale, nella non indefettibile fase della valutazione dell’anomalia; così come non si
rinviene la ratio di non prescrivere la specificazione dei detti costi per le offerte di lavori,
nella cui esecuzione i rischi per la sicurezza sono normalmente i più elevati.»
Secondo l’Adunanza Plenaria, una lettura differente delle norme si porrebbe in
contrasto coi principi superiori di tutela dei lavoratori, di rango costituzionale.
«Per evitare» prosegue «una soluzione ermeneutica irragionevole e incompatibile con
le coordinate costituzionali si deve allora accedere ad una interpretazione degli articoli 26,
comma 6, del d.lgs. n. 81 del 2008 e 86, comma 3-bis, del Codice, nel senso che l’obbligo di
indicazione specifica dei costi di sicurezza aziendali non possa che essere assolto dal
concorrente, unico in grado di valutare gli elementi necessari in base alle caratteristiche
della realtà organizzativa e operativa della singola impresa […]».
«Consegue che, ai sensi dell’art. 46, comma 1-bis, del Codice, l’omessa specificazione
nelle offerte per lavori dei costi di sicurezza interni configura un’ipotesi di “mancato
adempimento alle prescrizioni previste dal presente codice” idoneo a determinare
“incertezza assoluta sul contenuto dell’offerta” per difetto di un suo elemento essenziale, e
comporta perciò, anche se non prevista nella lex specialis l’esclusione dalla procedura
dell’offerta difettosa per l’inosservanza di un precetto a carattere imperativo […]»
6. Si è tentato qui di mostrare come la normativa sugli appalti e quella della sicurezza
sul lavoro siano intensamente intrecciate.
133
Si auspica allora che il legislatore, tenuto conto di ciò, riformi la materia dei contratti
pubblici avendo ben presente, tra l’altro, come l’igiene, la salute e la sicurezza siano obiettivi
imprescindibili.
Visti i dibattiti giurisprudenziali sul tema forse non ancora sopiti e le incertezze che
colgono spesso gli operatori del settore, l’intervento cui l’Unione ci invita dovrà essere
l’occasione anche per rendere più chiara questa materia per sua natura complessa.
135
LE CAUSE DI ESCLUSIONE FRA NORMATIVA NAZIONALE
E RECEPIMENTO DELLA DIRETTIVA APPALTI 2014/24/UE
Matteo Timo
(Dottorando Università di Genova)
SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. Cenni alla disciplina della Direttiva n. 2014/24/UE in
materia di cause di esclusione. - 3. Aspetti problematici della normativa interna all’indomani
del recepimento delle direttive europee del 2014.
1. Premessa
Il pacchetto di direttive adottato dall’Unione Europea150, come già è stato chiarito in
apertura del presente convegno151, è in grado di offrire l’occasione per un generale
ripensamento della normativa italiana di disciplina degli appalti e delle concessioni così come
elaborata nel recepimento delle precedenti direttive del 2004152. Questa considerazione non
solo si impone come necessaria alla luce delle consistenti innovazioni di cui le nuove direttive
del 2014 sono foriere, ma si rende essenziale anche con esclusivo riferimento alla normativa
nazionale.
Il legislatore italiano procedette al recepimento delle disposizioni comunitarie
redigendo un unico testo normativo costituito dal D.Lgs. n. 163 del 12.04.2006 cosiddetto
150
Direttive nn. 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del
26 febbraio 2014. In proposito si veda N. TORCHIO, Le nuove direttive europee in materia di appalti e
concessioni, in www.lineeavcp.it, 2014.
151
Si veda, in questo convegno, il contributo di P.M. VIPIANA, Il recepimento delle direttive come
occasione per la riforma della normativa italiana in tema di appalti pubblici e concessioni.
152
Direttive nn. 2004/17/CE e 2004/18/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 31 marzo
2004.
136
“Codice De Lise” o “Codice dei contratti pubblici”: questo ampio corpus di regole è, infatti,
stato oggetto di ampie critiche concernenti sia la tecnica redazionale sia la difficoltà
interpretativa, ma, ad ogni modo, appare oggi inadeguato a sostenere il recepimento delle
direttive del 2014.
Con maggior attenzione all’oggetto del presente contributo, appare doveroso
premettere che la disciplina interna delle cause di esclusione costituisce un interessante campo
di prova delle considerazioni che sono state formulate poco sopra e più in generale nei primi
contributi di questo convegno153: infatti, benché la Direttiva 2014/24/UE (relativa agli appalti
nei settori ordinari) non introduca – come meglio sarà indicato nel proseguio – una disciplina
radicalmente innovativa, la regolamentazione contenuta nel D.Lgs. 163/2006 e inerente ai
requisiti di partecipazione è stata oggetto di critiche, poiché ritenuta frammentaria e di
difficoltosa interpretazione e, conseguentemente, ha alimentato l’incertezza degli operatori
economici e delle stazioni appaltanti, accrescendo il contenzioso amministrativo. Si tratta di
considerazioni di lampante evidenza confermate dal numero di interventi, in questa materia,
del giudice amministrativo, degli studiosi di diritto ma anche dell’Autorità di settore e dello
stesso legislatore.
Proprio in ordine a quest’ultimo, si deve rilevare come i recenti interventi154 sulla
normativa nazionale possano in certo senso ritenersi un’anticipazione del diritto europeo, ma
appaiono ancora gravati da pesanti dubbi di conformità ai canoni di flessibilità155 e di
semplificazione che sono tipici delle scelte compiute dall’Unione Europea. Infatti, dalla
lettura delle disposizioni della direttiva appalti concernenti gli obiettivi strategici perseguiti
dall’Unione156 emerge un’attenzione alla flessibilità, intesa come maggiore libertà per le
amministrazioni nella scelta della procedura concorsuale (con evidente invito al maggior
impiego delle procedure negoziate157), accompagnata da un palese stimolo alla
semplificazione amministrativa e normativa158, del quale l’Esecutivo italiano, in sede di
153
Ci si riferisce alla relazione di P.M. VIPIANA, cit. e a quella di R. GISONDI, Commento alla direttiva
2014/24/UE relativa agli appalti nei settori ordinari.
154
Con ciò si intendono le modifiche apportate alla disciplina interna delle cause di esclusione nel
2011 e nel 2014, di cui sarà ampiamente trattato nel paragrafo 3.
155
F. DINI, La nuova direttiva appalti nel segno della flessibilità e della negoziazione, in
www.lineeavcp.it, 2014.
156
H.C. CASAVOLA, Le regole e gli obiettivi strategici per le politiche Ue 2020, in Gior. dir. amm.,
2014, pp. 1135 ss.
157
Considerando n. 42, Direttiva 2014/24/UE.
158
Sulla differenza fra le varie figure di semplificazione: P.M. VIPANA, I procedimenti amministrativi.
La disciplina attuale ed i suoi aspetti problematici, Padova, 2012, pp. 137 ss; F. SATTA Liberalizzare e
137
redazione del disegno di legge delega per il recepimento delle nuove direttive, ha colto
appieno la portata proponendo l’abrogazione dell’attuale codice dei contratti pubblici e la
redazione di un nuovo ed unico codice ispirato, per quanto in questa sede ci concerne, alla
certezza giuridica, alla riduzione degli oneri documentali e alla semplificazione
procedimentale159.
Gli elementi indicati assumono significativo rilievo in tema di cause di esclusione ove
la normativa italiana, benché racchiusa nei suoi profili generali in soli due articoli160, sembra
non aver mai preso in considerazione le direttrici oggi dettate esplicitamente dal legislatore
europeo (e dall’Esecutivo italiano) ma che, in ogni caso, costituiscono principi generali,
precedentemente già conosciuti ma raramente applicati, di buona tecnica redazionale degli atti
normativi.
Le indicate disposizioni legislative sulle cause di esclusione, non a caso, sono state
ritenute partecipi dei seguenti gruppi di problemi che affliggono il sistema italiano degli
appalti: a) incertezza, aumento del contenzioso161, difficoltà nel raggiungimento della naturale
conclusione degli appalti, maldestro o inadeguato impiego dei fondi a disposizione della
pubblica amministrazione e conseguente spreco di risorse162; b) stratificazione della
normativa ed impiego disinvolto della decretazione d’urgenza; c) difficoltà per le stazioni
appaltanti di rendere concretamente operativa nelle procedure di aggiudicazione la normativa
semplificare, in Dir. amm., 2012, 1-2, pp. 184 ss. e G. VESPERINI, Semplificazione amministrativa, in
S. Cassese (diratto da), Dizionario di diritto pubblico, Milano, 2006, Vol. VI, pp. 5479 ss.
159
Si veda Atto Senato n. 1678, presentato dal Presidente del Consiglio dei Ministri alla seduta del 18
novembre 2014, recante Disegno di legge delega per l’attuazione delle direttive 23, 24 e 25 del 26
febbraio 2014, disponibile in www.senato.it: in particolare, già la relazione governativa di
accompagnamento, a pagina 3, evidenzia la direttrice della certezza giuridica «secondo un approccio
alla disciplina degli appalti e delle concessioni di tipo sostanzialmente diverso da quello previsto
nell’attuale contesto normativo, caratterizzato da una regolamentazione troppo puntuale». Inoltre
l’art. 1 D.D.L., lettere c) ed f), esplicitamente parlano di certezza del diritto, semplificazione dei
procedimenti e riduzione degli oneri documentali.
160
Artt. 38 e 46, D.Lgs. 163/2006. Peraltro, accogliendo pienamente le osservazioni di attenta dottrina
(B.G. MATTARELLA, La trappola delle leggi. Molte, oscure, complicate, Bologna, 2011), si osserva
come problemi di incertezza giuridica non discendano solo dall’ipertrofia normativa ma anche dalla
presenza di poche disposizioni redatte in modo non chiaro o contraddittorio.
161
Relazione governativa all’Atto Senato N. 1678/2014, p. 3.
162
N. TORCHIO, op. cit., nonché P. SESTITO (Capo del Servizio di Struttura economica della Banca
d’Italia), Recepimento delle direttive europee in materia di contratti pubblici, redatta per
Commissione 8a della Camera dei Deputati, 16 giugno 2014, disponibile in wwwbancaditalia.it. In
quest’ultimo contributo si evidenzia, da un lato, come la carenza di finanziamenti sia una tipicità
italiana successiva al 2009 e, dall’altro lato, come le risorse stanziate per investimenti pubblici a
partire dagli anni ’90 fossero conformi alla media europea: l’Autore, pertanto, desume la presenza di
un inefficiente utilizzo delle risorse dovuto anche alla «disorganicità della normativa di riferimento».
138
del codice dei contratti pubblici (e, nello specifico, quella concernente le cause di esclusione e
i requisiti di partecipazione).
La molteplicità di aspetti problematici cui si è fatto brevemente cenno amplifica il già
vivo interesse163 degli studiosi di diritto in ordine ai requisiti generali di partecipazione e alle
cause di esclusione: si rende, quindi, necessario un attento esame della materia in sede di
recepimento delle nuove direttive al fine di non incorrere nuovamente nelle incognite della
regolamentazione attuale. La circostanza, per la quale il legislatore delegato dovrà porre
significativa attenzione al tema che ci occupa, si desume dal rilievo in forza del quale gli
articoli 38 e 46 del codice dei contratti pubblici sono stati interessati, nel corso del solo ultimo
anno, da una novella legislativa, da tre pronunce dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di
Stato e da due chiarimenti dell’Autorità di settore164.
Si ritiene opportuna, pertanto, una sintetica individuazione delle principali criticità
della normativa italiana che si auspica possano trovare rimedio nel futuro “codice degli
appalti pubblici e delle concessioni”165.
2. Cenni alla disciplina della Direttiva n. 2014/24/UE in materia di cause di
esclusione
All’esame delle complessità scaturenti dall’attuale codice dei contratti pubblici, giova
premettere una sintetica trattazione delle cause di esclusione così come disciplinate dalla
Direttiva n. 24 del 2014 inerente agli appalti nei settori ordinari.
La suddetta direttiva reca la disciplina dei cosiddetti “requisiti generali” di
partecipazione nell’art. 57 rubricato, non a caso, “motivi di esclusione”.
L’art. 57 della Direttiva n. 24166 si pone in parziale continuità con la precedente
disciplina comunitaria contenuta nell’art. 45 della Direttiva 2004/18/CE. Assimilabile è,
F. APERIO BELLA, Riflessioni sul requisito di “moralità professionale”: vecchi dubbi e nuove
soluzioni alla luce del “Decreto sviluppo” n. 70 del 2011, convertito nella L. n. 106 del 2011, in A.
LEONI, Sull’applicazione del Codice dei contratti pubblici coordinato da Maria Alessandra Sandulli e
Francesco Cardarelli, in Foro amm. TAR, 2011, 10, pp. 1067 ss.
164
Ci si riferisce, come sarà chiarito nel proseguio, rispettivamente al D.L. n. 90 del 24 giugno 2014,
convertito nella L. 11 agosto 2014, n. 114; sentenze dell’Adunanza Plenaria n. 9 del 25 febbraio 2014,
n. 16 del 30 luglio 2014 e n. 3 del 20 marzo 2015; Determinazione A.N.AC. n. 1 dell’8 gennaio 2015 e
Comunicato del Presidente A.N.AC. del 25 marzo 2015.
165
Denominazione desunta dall’art. 1, comma 1, lett. b, D.D.L. A.S. 1678.
163
139
infatti, la struttura di fondo dei due articoli: così come l’art. 45 Direttiva n. 18 prevedeva una
contrapposizione fra cause di esclusione “obbligatorie” (paragrafo 1) e cause di esclusione
“facoltative” (paragrafo 2), così il nuovo art. 57 Direttiva n. 24 dispone, ricorrendo le ipotesi
di cui al primo paragrafo, che «le amministrazioni aggiudicatrici escludono un operatore
economico dalla partecipazione […]» e, verificandosi le evenienze di cui al paragrafo 4, che
«le amministrazioni aggiudicatrici possono escludere […]» riproponendo, in tal modo, la
distinzione fra cause di esclusione obbligatorie e facoltative.
Tuttavia, si ha ragione di credere che il medesimo paragrafo 4 dell’art. 57 consenta che
gli Stati membri, ricorrendo le stesse ipotesi di esclusione facoltativa, impongano alla stazione
appaltante l’esclusione del concorrente, così equiparando le cause facoltative a quelle
obbligatorie167: la nuova Direttiva appare allora più precisa della precedente, il cui art. 45 si
limitava all’elencazione delle ipotesi riferibili alle due tipologie di esclusione, senza precisare
la possibilità per lo Stato membro di rendere vincolante la causa di esclusione facoltativa.
La maggiore analiticità dell’art. 57 si percepisce anche nella previsione di un’apposita
“micro disciplina” della causa di esclusione inerente alla violazione della normativa tributaria
e previdenziale: appositamente, il paragrafo 2 introduce l’obbligatorietà dell’esclusione
dell’operatore economico che non abbia «ottemperato agli obblighi relativi al pagamento di
imposte o contributi previdenziali» qualora tale inottemperanza sia stata accertata con
provvedimento vincolante e definitivo in conformità alla legislazione vigente del paese di
stabilimento dell’operatore o del paese di appartenenza dell’amministrazione aggiudicatrice.
La disciplina specifica sull’esclusione per il mancato pagamento di imposte e di
mancato versamento di contributi previdenziali, assume particolare valenza se letta in
raffronto con il primo paragrafo dello stesso articolo 57: infatti, mentre quest’ultimo richiede
espressamente che la condanna – rilevante ai fini dell’esclusione obbligatoria – sia stata
pronunciata con sentenza passata in giudicato, il paragrafo secondo al secondo comma
introduce un quid pluris, prevedendo una fattispecie di esclusione facoltativa (ma che può
diventare obbligatoria su previsione dello Stato membro) qualora l’amministrazione
aggiudicatrice abbia a propria disposizione mezzi adeguati per provare l’inadempimento.
C. LACAVA, Le nuove procedure, la partecipazione e l’aggiudicazione, in Gior. dir. amm., 2014,
12, pp. 1141 ss.
167
Scelta, peraltro, seguita dal legislatore italiano nel recepimento della precedente direttiva
2004/18/CE.
166
140
In altri termini, mentre la causa di esclusione obbligatoria del paragrafo 1 richiede
sempre l’accertamento con efficacia di cosa giudicata, la causa si esclusione di cui al
paragrafo 2 richiede la definitività dell’accertamento solo per l’esclusione obbligatoria, ma
permette – al secondo comma – di giungere all’esclusione facoltativa (rectius obbligatoria su
scelta dello Stato membro) per gli stessi motivi sulla scorta dell’apprezzamento ad opera
della stazione appaltante di qualunque adeguato mezzo: ad avviso di scrive, si tratta di una
disposizione sulla quale il legislatore nazionale dovrà, in sede di recepimento, fornire
opportune precisazioni, atteso che non solo gli stessi motivi possono condurre
simultaneamente all’esclusione obbligatoria e a quella facoltativa, ma anche che l’operatore
economico potrebbe trovarsi a giustificare il proprio operato in una materia, quale quella
tributaria, nella quale il nostro ordinamento appronta rigide garanzie amministrativoprocedimentali e giurisdizionali a tutela del contribuente168.
Tali considerazioni si fanno maggiormente stringenti alla luce della tradizione italiana
di assimilare le previsioni di esclusione nell’unica categoria delle cause obbligatorie: una
conferma di questa scelta legislativa interna condurrebbe sempre all’obbligatorietà
dell’esclusione del partecipante qualora la stazione appaltante ritenga dimostrabile
l’inottemperanza al pagamento di imposte o contributi previdenziali senza che sia necessaria
l’intermediazione delle amministrazioni e dell’autorità giudiziaria preposta a tale
accertamento.
In ogni caso, un limite a tali disposizioni si desume dallo stesso paragrafo 2 169, il quale
all’ultimo comma dispone l’inapplicabilità dei due periodi precedenti qualora l’operatore
abbia adempiuto o si sia impegnato al versamento: in ogni caso, all’accertamento della
fattispecie di cui al secondo comma del paragrafo 2 dovrebbe riconoscersi sempre un’ampia
possibilità di soccorso istruttorio alla stazione appaltante al fine di mettere l’operatore
economico nella condizione di dimostrare il rispetto della normativa fiscale e previdenziale170.
Garanzie tipiche di un sistema incentrato sulla riserva di legge di cui all’art. 23 Cost.
Anche il successivo paragrafo 3, comma 2, invita gli Stati membri ad evitare la sanzione
dell’esclusione, in virtù del principio di proporzionalità, qualora le somme non versate siano esigue
ovvero nei casi in cui l’operatore economico non avrebbe potuto ottemperare prima della formulazione
della presentazione della domanda di partecipazione o dell’offerta.
170
Un’interpretazione del genere peraltro risulta coerente con il sempre maggior spazio che la
legislazione tributaria riconosce al contraddittorio endoprocedimentale fra Pubblica amministrazione e
contribuente nella formazione dell’atto di accertamento fiscale.
168
169
141
Ulteriori innovazioni rilevabili nel testo dell’art. 57 attengono, in primo luogo, alla
previsione – al paragrafo 3 – di una disciplina maggiormente dettagliata171 della possibilità di
derogare in via eccezionale alle cause di esclusione obbligatorie e a quelle del paragrafo 2,
qualora sussistano «esigenze imperative connesse ad un interesse generale», fra le quali, per
tabulas, sono annoverate la tutela dell’ambiente172 e la salute pubblica.
Con maggiore rigore l’art. 57, Direttiva n. 24, estende a tutte le fasi della procedura la
doverosità – ovvero la possibilità ove prevista – di esclusione dell’operatore che si trovi in
una delle condizioni di cui ai paragrafi 1, 2 e 4.
Di verso opposto sono, invece, le previsioni di cui al paragrafo 6, le quali introducono
le cosiddette “self-cleaning measures”173 manifestamente ispirate al principio di massima
partecipazione alla procedura di aggiudicazione. Il favor partecipationis espresso dalla norma
in esame consente di superare il dato formale della presenza di una pertinente causa di
esclusione (anche quando la stessa derivi da una pronuncia di condanna penalmente rilevante
e munita dell’efficacia della res iudicata174, a meno che nei confronti dell’operatore non sia
stata pronunciata una sentenza definitiva, che ai sensi del comma 3, paragrafo 6, lo escluda
espressamente dalla partecipazione agli appalti), ammettendo la partecipazione, qualora
l’operatore sufficientemente dimostri la sua affidabilità.
La disposizione costituisce qualcosa in più del semplice principio di collaborazione
procedimentale o del dovere di soccorso istruttorio175, in quanto non è volta all’eliminazione
di errori o carenze meramente formali che impediscono all’amministrazione di verificare la
reale sussistenza dei requisiti richiesti: infatti, il paragrafo 6 concerne casi in cui l’operatore
non dispone dei requisiti generali di partecipazione in quanto rientra nelle situazioni
disciplinate dai paragrafi 1 e 4 (rispettivamente cause di esclusione obbligatorie e facoltative).
L’art. 45 della Direttiva 2004/14/CE si limitava, al paragrafo 1, a statuire la possibilità per gli Stati
membri di preveder deroghe per esigenze imperative di interesse generale.
172
La previsione di deroghe alle cause di esclusione obbligatorie al fine di tutelare aspetti sociali ed
ambientali rientra nella più ampia volontà, espressa dal legislatore europeo nelle Direttive del 2014, di
affiancare alle regole pro-competitive e concorrenziali anche la garanzia di determinati standard
ambientali e sociali in linea con la strategia “Europa 2020”. In proposito, si vedano H.C. CASAVOLA,
op. cit. e N. TORCHIO, op. cit.
173
C. LACAVA, op. cit. e F. DI CRISTINA, La prevenzione dell’illegalità e l’interazione tra le
amministrazioni, in Gior. dir. amm., 2014, 12, pp. 1160 ss., il quale parla di «ravvedimento
procedimentale» (p. 1161).
174
Ciò si desume dal tenore letterale della disposizione che prevede l’applicazione della previsione del
paragrafo 6 a tutti gli operatori che si trovino nelle situazioni di cui ai precedenti paragrafi 1 e 4.
175
In tal senso si pone come ulteriore a quanto già previsto dalla normativa italiana agli artt. 38,
comma 2-bis e 46, commi 1 e 1-ter, c.c.p.
171
142
Tuttavia, il citato paragrafo si pone in un’ottica “supersostanziale”, permettendo all’aspirante
aggiudicatario di dimostrare di essersi redento dai motivi di esclusione, ancorché derivanti
dalla sanzione penale176: in proposito, al comma 2, il paragrafo 6 esemplifica gli elementi di
“prova” a disposizione dell’operatore quali il risarcimento del danno, la collaborazione con
l’Autorità giudiziaria e l’adozione di provvedimenti volti alla prevenzione di futuri illeciti o
reati.
Il paragrafo da ultimo esaminato introduce, pertanto, un elemento di forte innovazione
nella regolamentazione delle cause di esclusione delle procedure di aggiudicazione che non
trova un omologo nel diritto interno e che, conseguentemente, dovrà essere recepito dal
legislatore delegato: la trasposizione dell’art. 57, Direttiva n. 24, nel diritto nazionale impone
dunque, da un lato, un ripensamento delle attuali previsioni concepite dal codice dei contratti
pubblici e, dall’altro lato, offre l’occasione per addivenire ad una complessiva semplificazione
e razionalizzazione della medesima normativa.
È opportuno, di conseguenza, mettere in risalto quelle complessità che il legislatore
delegato – si auspica – avrà l’opportunità di rimuovere.
3. Aspetti problematici della normativa interna all’indomani del recepimento delle
direttive europee del 2014
In virtù delle disposizioni contenute nel codice dei contratti pubblici, la stazione
appaltante, in linea generale, può procedere ad escludere dalla gara un operatore economico
allorché il medesimo si riveli privo dei requisiti di ammissione e di partecipazione richiesti
dalle disposizioni di legge vigenti177.
La disciplina italiana delle cause di esclusione, come è stato ricordato poco sopra, si
articola fondamentalmente in due disposizioni rinvenibili nel D.Lgs. 163/2006: le suddette
disposizioni sono l’art. 38, concernente i “requisiti di ordine generale”, e l’art. 46 oggi
rubricato “documenti e informazioni complementari – tassatività delle cause di esclusione”.
176
La Direttiva potrebbe, benché sotto il profilo economico, essere tramite di una interpretazione
estensiva dell’art. 27 Cost. e della funzione rieducativa della pena: pare, infatti, desumersi un
orientamento del Legislatore europeo a non rendere di per sé vincolante la sanzione penale quale causa
di esclusione, allorché l’operatore economico si sia sostanzialmente riabilitato.
177
L. DE GREGORIIS, A lo parlare agi mesura: potere di soccorso istruttorio e non tassatività del
principio di tassatività delle cause di esclusione dalle gare di appalto, in Foro amm., 2014, 9, pp.
2268 ss.
143
La prima delle due disposizioni indicate costituisce recepimento dell’art. 45, Direttiva
n. 2004/18/CE, e rappresenta la disposizione sulla quale il legislatore delegato dovrà
concentrarsi maggiormente al momento del recepimento dell’art. 57 della nuova Direttiva n.
24 del 2014.
In ordine alla disposizione in parola, possono, in linea generale, articolarsi alcune
osservazioni: a) in primo luogo, è doveroso ricordare che, nella compilazione dell’art. 38, il
legislatore del 2006178 ha optato per la redazione di un’unica elencazione di cause di
esclusione tutte qualificate come obbligatorie, nonostante l’art. 45 della Direttiva 18
prevedesse la distinzione fra ipotesi obbligatorie e facoltative. Benché la scelta normativa
italiana possa ricondursi alla volontà di ridurre al minimo la discrezionalità della Pubblica
amministrazione, tutelando in misura crescente sia la partecipazione degli operatori
economici, sia la stessa stazione appaltante dall’eventuale aggiudicazione a soggetto privo
delle opportune caratteristiche, occorre ribadire che anche la nuova direttiva del 2014
ripropone la distinzione – pur riconoscendo agli Stati membri la possibilità di tributare
valenza obbligatoria alle cause facoltative – fra carenze che comportano necessariamente
l’esclusione e quelle che non impongono tale conseguenza: peraltro, come riportato, il
legislatore delegato potrà rinnovare la scelta del 2006, ma tale scelta dovrà coordinarsi con la
pressante domanda di flessibilità formulata nella nuova direttiva e con la necessità di chiarire
definitivamente il rapporto fra unica elencazione e istituti della tassatività e del soccorso
istruttorio di cui si dirà poco oltre; b) si deve rimarcare, altresì, la presenza già nell’attuale art.
38 di strumenti di semplificazione quali le dichiarazioni sostitutive ex D.P.R. n. 445 del 28
dicembre 2000, previste dal comma 2, e gli strumenti sanatori di cui al recentissimo comma
2-bis179.
La seconda delle disposizioni indicate, vale a dire l’art. 46 codice dei contratti
pubblici, permette di addentrarsi immediatamente nell’analisi dell’argomento che occupa
questo ultimo paragrafo e relativo agli aspetti problematici del combinato disposto degli artt.
38 e 46.
Preliminarmente non ci si può esimere da una considerazione inerente la tecnica
legislativa impiegata dal nostro legislatore: se, originariamente, in ognuno dei due articoli
poteva essere riconosciuta una regolamentazione autonoma ancorché coordinata, oggi
178
P.L. PELLEGRINO, Le procedure concorsuali nel codice dei contratti pubblici ex D.LG. 12 aprile
2006, n. 163, in Giur. merito, 2008, 6, pp. 1203 ss.
179
Del quale si tratterà nel proseguio del presente paragrafo.
144
l’impiego, quantomeno disinvolto, della decretazione d’urgenza impone una difficoltosa
operazione di esegesi delle norme, che indubbiamente si pone in contrasto con le finalità di
semplificazione amministrativa e normativa desumibili tanto dalla Direttiva n. 24, quanto dal
D.D.L. delega A.S. 1678/2014. Non a caso, nonostante due significativi interventi operati con
il cosiddetto “decreto sviluppo” del 2011180 e con il D.L. 90/2014181 - quest’ultimo, si ricordi,
intervenuto posteriormente alle nuove direttive – permangono ancora significativi dubbi
interpretativi in ordine a due profili: da un lato, il principio di tassatività; dall’altro lato, il
dovere di soccorso istruttorio.
A) Il cosiddetto “principio di tassatività delle cause di esclusione” è stato disciplinato
nel corpus dell’art. 46 codice dei contratti pubblici mediante l’inserimento di un comma 1-bis
ad opera dell’art. 4 del citato D.L. 70/2011. Il nuovo comma, ex lege qualificato come
principio di tassatività182, dispone che la stazione appaltante debba procedere all’esclusione
nel caso in cui i candidati abbiano violato le prescrizioni previste dal codice degli appalti
medesimo, dal regolamento o da altre norme di legge, ovvero nel caso in cui si verifichino
circostanze tali da far ritenere violati i principi di segretezza e di corretta individuazione del
contenuto e della provenienza delle domande e delle offerte. Con regola innovativa, il comma
1-bis dispone, altresì, che i bandi e le lettere di invito non possano contenere ulteriori
previsioni a pena di esclusione e che, in ogni caso, eventuali previsioni di siffatto tenore sono
viziate di nullità.
La ratio sottesa a tale elaborazione normativa si identifica nella volontà, tipica della
tradizione italiana, di circoscrivere la discrezionalità della pubblica amministrazione nella
disciplina delle procedure concorsuali183 e, di converso, di eliminare la funzione di lex
specialis di gara riconosciuta al bando in grado precedentemente di prescrivere, a pena di
esclusione, requisiti e condizioni ulteriori a quelli voluti dalla legge: questo orientamento si
180
D.L. n. 70 del 13 maggio 2011, convertito in L. n. 106 del 12 luglio 2011, in proposito A. LEONI,
op. cit.
181
D.L. n. 90 del 24 giugno 2014 recante “misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza
amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari”, convertito nella L. 11 agosto 2014, n. 114, si
veda P. PROVENZANO, Brevi considerazioni a margine della disciplina sugli oneri dichiarativi ex art.
38 D.Lgs. 163/2006 contenuta nell’art. 39 del Decreto Legge n. 90/2014, in www.giustamm.it, 2014 e,
più in generale, M.A. SANDULLI, Il D.L. 24 giugno 2014 n. 90 e suoi effetti sulla giustizia
amministrativa. Osservazioni a primissima lettura, in www.federalismi.it, 2014, 14.
182
Il D.L. 70/2011 ha infatti provveduto alla sostituzione della rubrica dell’art. 46 c.c.p. inserendovi
l’esplicito riferimento al principio di tassatività.
183
P.L. PELLEGRINO, op. cit.
145
identifica nella concezione “classica” del diritto italiano degli appalti pubblici184 volto a
identificare nella normativa concorsuale lo strumento di tutela non tanto della concorrenza e
della partecipazione dei candidati, quanto espediente per impedire che la Pubblica
amministrazione, facendo massiccio ricorso alla propria discrezionalità, maldestramente
impieghi le risorse pubbliche o, addirittura, adotti comportamenti collusivi o corruttivi.
Come è stato efficacemente assodato in una delle relazioni di apertura del
convegno185, l’adesione della Repubblica Italiana alla Comunità europea prima e all’Unione
successivamente ha imposto il superamento della normativa di contabilità pubblica degli anni
’20 del secolo scorso al fine del perseguimento dell’obiettivo di massima concorrenzialità
insito nel mercato unico: obiettivo, quest’ultimo, che oggi è affiancato dai più volte
annoverati fini di flessibilità, semplificazione, sostenibilità ed innovazione degli appalti.
La disposizione in esame dovrebbe, quindi, essere interpretata sì come delimitazione
della discrezionalità, ma orientandola al fine della tutela del favor partecipationis e
dell’esclusione quale extrema ratio – principio questo d’altra parte già studiato anche
nell’ordinamento interno186 – impedendo alla Stazione appaltante di usufruire della
discrezionalità per raggiungere scopi che non siano riconducibili all’individuazione
dell’offerente più qualificato.
Si deve, peraltro, precisare che il principio di tassatività, così come formulato dal
legislatore d’urgenza, è risultato di difficile applicazione, nonché di complicata integrazione
all’interno del sistema delle clausole di esclusione previsto dal codice degli appalti pubblici,
tanto che la Sesta Sezione del Consiglio di Stato187 ha ritenuto opportuno investire
l’Adunanza Plenaria di alcune questioni di diritto attinenti tanto all’ambito di applicazione
temporale quanto a quello oggettivo del principio in parola: in particolar modo, i quesiti
elaborati dalla Sezione remittente erano tesi a comprendere se alla nuova disciplina fosse
attribuibile valore retroattivo, quali fossero i rapporti con il dovere di soccorso di cui al primo
comma dello stesso articolo 46 c.c.p. e se le clausole esclusive della legge di gara, prive di
base normativa, fossero illegittime.
184
P. CERBO, La scelta del contraente negli appalti pubblici fra concorrenza e tutela della «dignità
umana», in Foro amm. TAR, 2010, 5, pp. 1875 ss. G. CORSO, Manuale di diritto amministrativo,,
2013, pp. ss.
185
R. GISONDI, cit.
186
N. MACCABENI, L’esclusione dalla partecipazione alla gara come ultima ratio, in
www.giustamm.it.
187
Ordinanza n. 2681 del 17 maggio 2013 annotata da G. CAPUTI, Il soccorso istruttorio al vaglio
della Plenaria. “Una buona idea” ed una “chiara traiettoria”?, in www.giustamm.it, 2013
146
L’organo di vertice della giustizia amministrativa, nella nota pronuncia n. 9 del
2014188, ha fornito significativi chiarimenti che non solo hanno permesso di superare le
incertezze che parevano desumersi dalle precedenti statuizioni della Plenaria medesima 189, ma
che possono fornire un utile supporto per il recepimento delle direttive del 2014.
L’Adunanza Plenaria, che in prima battuta ha escluso l’applicazione retroattiva della
tassatività, ha preso posizione nel senso di riconoscere al principio di tassatività un valore
“sostanziale”190, riferibile all’attribuzione di rilevanza esclusivamente a quelle cause di
esclusione significative per gli interessi in gioco e inderogabili tanto per la stazione appaltante
quanto per il concorrente: si ricordi che la stessa Plenaria afferma che la suddetta rilevanza è
frutto del bilanciamento effettuato aprioristicamente e direttamente dal legislatore per il
tramite della legge e discende non solo dall’espressa previsione della pena dell’esclusione, ma
da qualsiasi prescrizione normativa di carattere imperativo imposta a pena di decadenza,
inammissibilità, irricevibilità e simili191. Il Collegio, infine, giunge ad affermare che la
clausola del bando che introduca una clausola di esclusione innovativa non prevista dalla
normativa vigente è nulla e dunque disapplicabile autonomamente dalla stazione appaltante o,
successivamente, dal giudice.
I principi di diritto espressi dalla Plenaria ci permettono di formulare una
delimitazione dell’ambito di operatività delle clausole di esclusione nell’ordinamento italiano:
esse vengono circoscritte alle sole ipotesi espressamente previste dalla legge, permettendo una
identificazione della tassatività con il più generico principio della riserva di legge 192. Ne
consegue la neutralizzazione di qualsivoglia discrezionalità dell’amministrazione nella
disciplina delle cause di esclusione.
Richiamata la normativa vigente e la consolidata elaborazione giurisprudenziale193,
occorre soffermarsi brevemente sulla compatibilità della normativa interna con il portato della
188
Adunanza Plenaria sentenza n. 9 del 25 febbraio 2014: si ricorda che nella stessa sentenza la
Plenaria ha anche affrontato l’annosa questione del cosiddetti “ricorsi reciprocamente escludenti”; in
proposito si rinvia a L. FERRARA, L’Adunanza plenaria ritorna sul ricorso incidentale escludente. Un
errore di fondo?, in Gior. dir. amm., 2014, 10, pp. 918 ss.
189
In proposito, nonostante ripetuti interventi della Plenaria nel corso degli anni, permaneva una
significativa problematicità nell’applicazione della disciplina generale delle cause di esclusione: si
veda L. BERTONAZZI, Le sentenze della plenaria nn. 10 e 20 del 2012: alcune perplessità a prima
lettura, in www.giustamm.it, 2012.
190
Ad. Pl. 9/2014, paragrafo 6.1.5.
191
Ad. Pl. 9/2014, paragrafo 6.1.4.
192
DE GREGORIIS, cit.
193
Il dettato della Plenaria n. 9/2014 in ordine agli articoli 38 e 46 è ribadito dalle successive
Adunanze Plenarie nn. 16 del 30 luglio 2014 e 3 del 20 marzo 2015.
147
Direttiva n. 24 del 2014: quest’ultima – lo si desume dai numerosi riferimenti alle procedure
negoziate – pare richiedere agli Stati membri una maggiore fiducia nelle scelte
discrezionali194 e la predisposizione di un contesto normativo meno dettagliato195, il quale
potrebbe identificarsi nella previsione di disposizioni legislative generali specificate da
provvedimenti vincolanti dell’Autorità di settore, alla quale potrebbe attribuirsi una autonoma
legittimazione a ricorrere all’Autorità giudiziaria – sul modello di quanto previsto per
l’AGCM dall’art. 21-bis, L. 287/1990 – avverso gli atti distortivi delle regole concorsuali196.
In tale contesto, il principio di tassatività, se interpretato nella sua valenza sostanziale,
come assodato dalla Plenaria, non pare porsi in contrasto con le finalità dell’Unione europea,
ma richiederebbe al massimo uno sforzo chiarificatore del legislatore delegato in ordine ad
una più analitica individuazione delle cause di esclusione: ciò consentirebbe di evitare il
continuo ricorso all’analisi giurisprudenziale per identificare le disposizioni normative munite
di forza escludente, ma non esplicitamente indicate dalla legge.
Significativi dubbi sulla compatibilità con i principi della Direttiva n. 24 – almeno
nell’ottica della semplificazione normativa – emergono, invece, dal combinato disposto fra il
principio di tassatività e il dovere di soccorso, come di seguito sarà immediatamente esposto.
B) Il principio del soccorso istruttorio, disciplinato dall’art. 46 c.c.p., attiene,
fondamentalmente, alla disciplina delle conseguenze dell’omessa o irregolare produzione di
certificati, documenti e dichiarazioni nella procedura di gara197: la finalità dell’istituto, almeno
nella sua configurazione generale, è tesa ad attribuire irrilevanza alle mere violazioni formali
della normativa concorsuale e a garantire la partecipazione alla gara dell’operatore che sia
incorso nella violazione medesima. Tuttavia, l’esegesi della norma in esame ha condotto a
diverse modalità applicative, le quali sono state influenzate dallo stratificarsi di interventi
normativi sull’originario art. 46 c.c.p.: in un primo momento, il già esaminato “decreto
sviluppo” del 2011 aggiungendo il comma 1-bis, ha previsto il principio di tassatività delle
cause di esclusione e, in un secondo momento, il D.L. 90/2014 198 è intervenuto introducendo
194
P. SESTITO, op. cit.
Di divieto di “goldplanting” parla anche la relazione al D.D.L. delega A.S. 1678/2014, p. 3.
196
È quanto viene consigliato dal Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione in sede di
audizione presso la Commissione lavori pubblici del Senato della Repubblica il 18 febbraio 2015 in
sede di esame del D.D.L. delega A.S. 1678/2014, disponibile in www.anticorruzione.it.
197
A. LEONI, op. cit.
198
R. DE NICTOLIS, Le novità dell’estate 2014 in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi
e forniture, in www.federalismi.it, 2014.
195
148
una disciplina di dettaglio del soccorso istruttorio, manipolando contestualmente gli artt. 38 e
46 c.c.p.
Una prima considerazione di ordine generale può nuovamente esporsi in riferimento
alla cattiva tecnica legislativa consistente nell’intervento ripetuto sulla normativa vigente
attraverso lo strumento della decretazione d’urgenza. L’incertezza che scaturisce da una
siffatta metodologia è espressa in modo cristallino dalla disposizione in esame: il legislatore
d’urgenza ha alterato l’essenzialità della normativa originaria dell’art. 46 c.c.p. inserendovi in
successione i commi 1-bis e 1-ter. Emblematica è, peraltro, l’interpolazione del comma 1-ter
il quale, in forza del D.L. 90/2014, ha significativamente modificato la natura del soccorso
istruttorio quando, da un lato, questa era appena stata chiarita dall’Adunanza Plenaria n.
9/2014 e, dall’altro lato, erano già pendenti i termini per il recepimento della direttiva n. 24
del 2014.
Ciò esposto, occorre una sintetica disamina della natura del soccorso istruttorio con lo
scopo di chiarire la consistenza della normativa italiana all’indomani del recepimento delle
nuove direttive europee.
Come indicato poche righe più in alto, la disciplina italiana del soccorso istruttorio di
cui al primo comma dell’art. 46 c.c.p. e, conseguentemente, la sua interpretazione, sono state
sostanzialmente immutate sino al 2011, quando il D.L. n. 70 ha inserito nello stesso articolo
46 c.c.p. il principio di tassatività al nuovo comma 1-bis.
L’Adunanza Plenaria n. 9/2014199, interrogata sui rapporti sussistenti fra i due
istituti200, ha specificato la loro separatezza, pur rilevando che entrambi sono volti al
soddisfacimento di esigenze di certezza, speditezza e semplificazione dell’azione
amministrativa: tale interpretazione veniva rafforzata dal rilievo che il D.L.70/2011 si era
limitato all’inserimento di un nuovo comma senza novellare la restante parte dell’articolo.
La Plenaria201 addiveniva all’elaborazione di un principio di diritto che accoglieva la
tradizionale distinzione fra “regolarizzazione” e “integrazione”202 della documentazione di
gara: la prima consentita, a meno che l’adempimento non fosse previsto a pena di esclusione,
la seconda sempre vietata, risolvendosi in una violazione della par condicio dei concorrenti.
Peraltro, si osserva che la Plenaria, nell’elaborare il principio di diritto, pare ricondurre il
199
Paragrafo 7.4.5.
G. CAPUTI, op. cit.
201
Paragrafo 7.5.
202
M. MONTEDURO, Dichiarazioni non conformi a clausole del bando sanzionate con l’esclusione: il
labile “discrimen” tra «integrazione» e «modificazione», in Foro amm. TAR, 2007, 12, pp. 3667 ss.
200
149
divieto di integrazione alla espressa previsione della clausola escludente 203, lasciando aperta
la strada per un’interpretazione sostanziale che permetta l’integrazione ove la carenza
documentale sia ascrivibile a prescrizioni non comportanti l’esclusione.
Nonostante sia intercorso un breve lasso di tempo dalla pronuncia n. 9/2014, il
ragionamento della Plenaria deve oggi essere ampiamente rimodulato, in seguito al
sopraggiungere del D.L. 90/2014, sia in ordine alla separatezza fra tassatività e soccorso
istruttorio204 sia in merito alla distinzione fra regolarizzazione ed integrazione.
La “riforma” del 2014 ha proceduto, in primo luogo all’inserimento di un nuovo
comma 2-bis all’interno dell’art. 38205, il quale si qualifica come previsione “speciale” di
soccorso istruttorio in ordine alle carenze degli elementi e delle dichiarazioni sostitutive con i
quali il candidato attesta il possesso dei requisiti richiesti a pena di esclusione (ovviamente
“obbligatoria”). La specialità del comma 2-bis, rispetto alla previsione generale di cui all’art.
46 comma 1, si identifica in una sorta di “rivoluzione” del diritto italiano, ispirato fino a pochi
mesi prima (Plenaria n. 9/2014) alla netta distinzione fra regolarizzazione consentita ed
integrazione vietata. Il nuovo comma dell’art. 38, infatti, esplicitamente parla di «mancanza,
incompletezza, ed ogni altra irregolarità essenziale», alle quali consegue l’obbligo per il
concorrente di versare una sanzione pecuniaria e il dovere206 della stazione appaltante di
attivare il subprocedimento di soccorso, assegnando un termine al concorrente perché siano
«rese, integrate o regolarizzate le dichiarazioni necessarie». Dal tenore letterale della norma
emerge che non solo l’irregolarità della dichiarazione, ma anche la radicale mancanza possa
essere sanata: il concorrente – continua il medesimo comma 2-bis – potrà essere escluso solo
qualora
non
ottemperi
alla
produzione
documentale
entro
i
termini
assegnati
dall’amministrazione. A queste regole si aggiunge, sempre nel comma 2-bis, la totale
203
Si legge infatti nel paragrafo 7.5. alla lettera a): «nelle procedure di gara disciplinate dal codice dei
contratti pubblici, il "potere di soccorso" sancito dall'art. 46, co.1, del medesimo codice (d.lgs. 12
aprile 2006, n. 163) - sostanziandosi unicamente nel dovere della stazione appaltante di regolarizzare
certificati, documenti o dichiarazioni già esistenti ovvero di completarli ma solo in relazione ai
requisiti soggettivi di partecipazione, chiedere chiarimenti, rettificare errori materiali o refusi, fornire
interpretazioni di clausole ambigue nel rispetto della par condicio dei concorrenti - non consente la
produzione tardiva del documento o della dichiarazione mancante o la sanatoria della forma omessa,
ove tali adempimenti siano previsti a pena di esclusione dal codice dei contratti pubblici, dal
regolamento di esecuzione e dalle leggi statali».
204
Lo stretto legame fra la nuova disciplina del soccorso istruttorio e quella della tassatività è
evidenziata dalla Determinazione n. 1 dell’8 gennaio 2015 dell’A.N.AC., disponibile in
www.anticorruzione.it.
205
R. DE NICTOLIS, op. cit.
206
Doverosità riconosciuta dall’Adunanza Plenaria n. 16 del 30 luglio 2014.
150
irrilevanza delle irregolarità non essenziali e delle dichiarazioni non indispensabili, per le
quali è fatto divieto alla stazione appaltante di applicare alcuna sanzione pecuniaria o di
richiedere alcuna regolarizzazione.
Il comma in esame non si limita ad una procedimentalizzazione del soccorso
istruttorio, ma incide anche sulla disciplina dei requisiti di ordine generale, la carenza
documentale dei quali non potrà comportare l’esclusione automatica in conseguenza degli
accertamenti della stazione appaltante, ma sarà sempre subordinata, se essenziale,
all’esperimento del soccorso istruttorio.
Tuttavia, come rilevato dall’Adunanza Plenaria nella sentenza n. 16 del 30 luglio
2014, la scelta del legislatore d’urgenza potrebbe rivelarsi infelice nel momento in cui si
dovesse concretamente distinguere fra irregolarità “essenziale” e “non essenziale”: l’Autorità
Nazionale Anticorruzione207, in proposito, ha chiarito che sarebbe essenziale ogni carenza,
mancanza o irregolarità che non consenta di stabilire se il singolo requisito contemplato dal
comma 1 dell’art. 38 sia posseduto o meno da un certo soggetto.
Ciò nonostante, l’esegesi fornita dall’Autorità di settore pare permette una corretta
applicazione del “nuovo soccorso istruttorio” nei limiti dell’art. 38 c.c.p.: maggiori perplessità
potrebbero, invece, desumersi dalla generalizzazione della medesima disciplina, compiuta dal
D.L. 90/2014, con l’inserimento del comma 1-ter all’art. 46 c.c.p.
Non a caso, il legislatore delegato, nell’estendere il nuovo soccorso istruttorio alla
generalità delle carenze documentali desumibili dal codice dei contratti pubblici, non ha
ritenuto opportuno modificare né il primo né il comma 1-bis dello stesso articolo 46 c.c.p.: da
ciò si potrebbe desumere che il comma 1-ter si ponga in rapporto di genere a specie,
quantomeno, con il comma 1208. Ne consegue che, al di fuori dalle ipotesi specificamente
Determinazione n. 1 dell’8 gennaio 2015 dell’A.N.AC., cit., p. 6.
In ordine, invero, al comma 1-bis e al principio di tassatività non paiono sussistere particolari
perplessità. La tassatività delle cause di esclusione continua ad essere interpretata così come statuito
dalla Plenaria nella sentenza n. 9 del 2014: ne consegue che solo le cause di esclusione desumibili
dalla legge possono ritenersi legittime, ma per la loro applicazione sarà necessario attivare, se le
relative irregolarità o carenze sono essenziali, il nuovo soccorso istruttorio, a maggior ragione per tutte
le cause di esclusione che disciplinate direttamente dall’art. 38 rientrano nel suo comma 2-bis.
Qualche incertezza, per il vero, potrebbe desumersi per tutte quelle cause di esclusione non esplicite
che sono desumibili (Ad. Pl. n. 9/2014) da prescrizioni imperative, le quali, non rientrando nell’art. 38
c.c.p., non potrebbero usufruire dei benefici del suo comma 2-bis: per queste ultime potrebbe profilarsi
un dubbio sull’applicabilità dell’art. 46, comma 1 oppure comma 1-ter c.c.p., anche se, con
un’interpretazione ispirata al principio di proporzionalità e di massima partecipazione, potrebbero
ritenersi assimilate alla cause ex art. 38 e dunque rientrare nel comma 1-ter dell’art. 46 avendo così più
numerose possibilità di sanatoria.
207
208
151
riconducibili all’art. 38 – il quale attualmente per tabulas prevede uno specifico soccorso
istruttorio – in tutte le altre eventualità non ci si potrebbe esimere da una interpretazione
conforme al disposto generale del primo comma dell’art. 46 c.c.p.
Il comma da ultimo citato prevede che le stazioni appaltanti, solo ove necessario,
provvedano a chiedere al concorrente di fornire chiarimenti – da cui la tradizionale
ammissione di sole regolarizzazioni – il contenuto di certificati, documenti e dichiarazioni
presentati: dal tenore letterale del nuovo articolo 46, appare che il primo comma sia derogato
dal comma 1-ter, quantomeno per tutto quello che concerne le dichiarazioni presentate dal
concorrente e da soggetti terzi, posto che espressamente il medesimo comma 1-ter le
richiama. Se ne desume che ogni tipo di carenza o mancanza inerente alle dichiarazioni
richieste dalla normativa vigente potrà essere sanata, prima che si addivenga ad una
esclusione del concorrente.
Di più articolata complessità appare invece il riferimento del primo comma a
certificati e documenti che, invece, non sono annoverati nell’ultimo comma dell’art. 46 c.c.p.:
in questo caso, potrebbe profilarsi la soluzione di ritenerli in ogni caso sanabili qualora
dispongano del requisito di “elemento essenziale” (ex art. 38 comma 2-bis per il tramite
dell’art. 46, comma 1-ter); in caso contrario, almeno per una interpretazione strettamente
letterale, dovrebbero permanere nella disciplina del primo comma ed essere sanabili
esclusivamente mediante lo strumento della regolarizzazione.
Delineata per sommi capi la recente normativa nazionale, sono di tutta evidenza tanto i
fini perseguiti dal legislatore, quanto le difficoltà applicative.
Da un lato appare, infatti, palese l’intenzione del legislatore d’urgenza – come
riconosciuto dal giudice amministrativo e dall’Autorità di settore209 – di porre rimedio ad una
propensione eccessivamente formalistica del diritto italiano degli appalti e di perseguire
invece un approccio sensibilmente più sostanziale teso all’accertamento in concreto della
sussistenza dei requisiti di partecipazione. Elementi, questi, che sono in linea con le due
seguenti tendenze: in primo luogo, con i criteri cui si ispira in generale il procedimento
amministrativo italiano nell’ottica della collaborazione210 fra amministrazione (o meglio
responsabile del procedimento) e cives, ma anche di progressiva dequotazione, nella
209
Come esplicitamente affermato dalla Plenaria nelle due sentenze del 2014 che sono state
precedentemente citate e dall’A.N.AC. nelle Determinazione 1/2015.
210
S. TARULLO, Il responsabile del procedimento tra amministrazione solidale e collaborazione
procedimentale, in www.giustamm.it, 2009.
152
disciplina della legge generale sul procedimento amministrativo, del vizio formale sin dal
2005211; in secondo luogo, con i principi della nuova Direttiva n. 24 del 2014 la quale impone
un minor peso agli aspetti formali212, semplificando gli oneri a carico dell’operatore213.
D’altra parte, l’intervento legislativo del 2014 sembra porsi in continuità con la
crescente complicazione della normativa italiana, proprio per gli aspetti interpretativi prima
evidenziati. Il legislatore delegato del recepimento dovrà quindi prendere coscienza
dell’allontanamento della Direttiva n. 24 non solo dalla teoria formalistica delle cause di
esclusione, ma anche dalla complessità normativa e amministrativa in genere, quali elementi
che si pongono in contrasto con il principio di concorrenza.
Non a caso, l’articolata disciplina italiana delle cause di esclusione dovrà essere
necessariamente confrontata con alcuni istituti radicalmente innovativi della Direttiva n. 24:
in primo luogo, la possibilità di sanare eventuali irregolarità senza riferimenti
l’assoggettamento a sanzione pecuniaria214 e, in secondo luogo, il già indicato “selfcleaning”
che, superando il mero diritto all’integrazione documentale, permette una concreta
dimostrazione dell’affidabilità dell’operatore anche in costanza di causa di esclusione.
In proposito R. CHIEPPA, Il regime dell’invalidità del provvedimento amministrativo, in R. Chieppa
e R. Giovagnoli (a cura di), Manuale breve di diritto amministrativo, Milano, 2009, disponibile in
www.giustamm.it;
212
P. SESTITO, op. cit.
213
Chiaramente esemplifica questa tendenza la previsione del documento di gara unico europeo –
DGUE.
214
Art. 59, Direttiva 2014/24/UE, in proposito Comunicato del Presidente A.N.AC. del 25 marzo
2015, in www.anticorruzuione.it.
211
153
Recent working papers
The complete list of working papers is can be found at
http://polis.unipmn.it/index.php?cosa=ricerca,polis
*Economics Series
Q
**Political Theory and Law

Al.Ex Series
Quaderni CIVIS
2015 n.221** Piera Maria Vipiana and Matteo Timo: Le direttive UE del 2014 in tema di
appalti pubblici e concessioni
2015 n.220
Gianna Lotito, Matteo Migheli and Guido Ortona: Competition and its effects on
cooperation – An experimental test
2015 n.219
Marco Novarese and Viviana Di Giovinazzo: Not Through Fear But Through
Habit. Procrastination, cognitive capabilities and self-confidence
2014 n.218** Nicola Dessì et al. (DRASD): OPAL – Osservatorio per le autonomie locali
N.5/2014
2014 n.217*
Roberto Ippoliti: Efficienza tecnica e geografia giudiziaria
2014 n.216** Elena Ponzo et al. (DRASD): OPAL – Osservatorio per le autonomie locali
N.5/2014
2014 n.215
Gianna Lotito, Anna Maffioletti and Marco Novarese: Are better students really
less overconfident? - A preliminary test of different measures
2014 n.214*
Gloria Origgi, Giovanni B. Ramello and Francesco Silva: Publish or Perish.
Cause e conseguenze di un paradigma
2014 n.213** Andrea Patanè et al. (DRASD): OPAL – Osservatorio per le autonomie locali
N.4/2014
2014 n.212** Francesco Ingravalle et al.: L’evento. Aspetti e problemi
2013 n.211** Massimo Carcione: La garanzia dei diritti culturali: Recepimento delle norme
internazionali, sussidarietà e sistema dei servizi alla cultura .
Case study: La valorizzazione della Cittadella di Alessandria e del sito storico
di Marengo.
2013 n.210** Massimo Carcione: La garanzia dei diritti culturali: Recepimento delle norme
internazionali, sussidarietà e sistema dei servizi alla cultura
2013 n.209** Maria Bottigliero et al. (DRASD): OPAL – Osservatorio per le autonomie locali
N.3/2013
2013 n.208** Joerg Luther, Piera Maria Vipiana Perpetua et. al.: Contributi in tema di
semplificazione normativa e amministrativa
2013 n.207*
Roberto Ippoliti: Efficienza giudiziaria e mercato forense
2013 n.206*
Mario Ferrero: Extermination as a substitute for assimilation or deportation: an
economic approach
2013 n.205*
Tiziana Caliman and Alberto Cassone: The choice to enrol in a small university:
A case study of Piemonte Orientale
2013 n.204*
Magnus Carlsson, Luca Fumarco and Dan-Olof Rooth: Artifactual evidence of
discrimination in correspondence studies? A replication of the Neumark method
2013 n.203** Daniel Bosioc et. al. (DRASD): OPAL – Osservatorio per le autonomie locali
N.2/2013
2013 n.202* Davide Ticchi, Thierry Verdier and Andrea Vindigni: Democracy, Dictatorship
and the Cultural Transmission of Political Values
2013 n.201** Giovanni Boggero et. al. (DRASD): OPAL – Osservatorio per le autonomie
locali N.1/2013
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