Fichte

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FILOSOFIA
FICHTE E L’IDEALISMO
© GSCATULLO
(
Fichte
Il Romanticismo
Il termine Romanticismo, inizialmente riferito al romanzo cavalleresco d’avventura e di amore, indica un
movimento filosofico, letterario e artistico che, nato in Germania alla fine del Settecento, ha trovato la sua
acme nell’Europa dei primi decenni dell’Ottocento.
Una definizione più precisa del concetto di romanticismo è più complessa da fornire, a tal proposito si
segnalano due lezioni:
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una prima lettura ne sottolinea l’esaltazione del sentimento, comune a tutti i rappresentanti del
circolo tedesco di Jena e in tutti i letterati europei seguaci delle loro idee anti-classicistiche. Questa
interpretazione del Romanticismo, che è quella più vicina al pensare comune, privilegia
esclusivamente l’aspetto letterario e artistico, mettendo in ombra le componenti filosofiche del
movimento.
una seconda interpretazione, di origine più recente, tende a considerare il Romanticismo come un
fenomeno più ampio, di mentalità, frutto dei cambiamenti socio-politici dell’epoca. All’interno di
questa definizione può rientrare dunque anche l’idealismo post-kantiano. Tuttavia diventa ancora
più arduo definire delle peculiarità del movimento, che non a torto è stato definito “dai mille volti”.
Caratteri del Romanticismo
Tratti comuni alla sensibilità e alla cultura romantica sono: la critica all’illuminismo, la ricerca dell’Assoluto,
una nuova concezione della storia e della natura.
La Ragione
Complice la sanguinaria esperienza della Rivoluzione francese e del militarismo napoleonico, la ragione
esaltata dai philosophes illuministi fu unanimemente condannata, seppur a più livelli, dai Romantici, che la
consideravano incapace di comprendere la realtà profonda dell’uomo, dell’universo e di Dio, e di accedere,
in definitiva, alla metafisica.
Da questa base ogni esponente del Romanticismo percorrerà una sua strada nel tentativo di raggiungere
l’assoluto: il movimento letterario dello Sturm und Drang (tempesta e impeto) identifica nel sentimento
questa via, Fichte nello sforzo etico, Hegel nella dialettica e Schelling nell’arte.
La sehnsucht, l’ironia e il titanismo.
Altro motivo ricorrente nella cultura romantica è la concezione della vita come inquietudine, aspirazione,
brama, sforzo incessante. I Romantici ritengono infatti l’uomo preda di un demone dell’infinito che lo porta
ad una vita in uno stato di continua irrequietezza e tensione perenne, in un costante tentativo di
superamento del finito. Questo desiderio frustrato di qualcosa si può concretizzare nel termine tedesco
sehnsucht. L’irraggiungibilità e l’impossibilità di soddisfare questo desiderio conducono spesso alla noia
esistenziale.
Altri due atteggiamenti propri dei Romantici sono l’ironia, intesa come coscienza dei propri limiti e della
finitezza della realtà, e dal titanismo, un atteggiamento di sfida e di ribellione, proprio di chi si propone di
combattere pur sapendo che alla fine risulterà perdente. Deve il suo nome al titano greco Prometeo, con il
quale si identificano molti autori Romantici, simbolo della ribellione fallimentare – rubò secondo il mito il
fuoco agli dei per darlo agli uomini - e impossibile da realizzare che viene però perseguita lo stesso.
L’amore
Importante nel Romanticismo tedesco il tema dell’amore: considerato il sentimento più forte e l’estasi
suprema, vita della vita stessa, è articolato in tre caratteristiche: la globalità, facendo sintesi di anima e corpo,
spirito e istinto; la ricerca dell’unità degli amanti, nella completa fusione delle anime e dei corpi; e l’essere
cifra dell’assoluto, ovvero la tendenza a caricarsi di significati simbolici e metafisici, come l’unione degli
amanti che diventa simbolo dell’armonia universale e della congiunzione tra uomo e natura, finito e infinito.
La storia
In antitesi all’anti-storicismo illuministico i Romantici sviluppano una particolare concezione della storia
elaborando una teoria che pone al centro di essa non l’uomo ma la provvidenza. La storia non è dunque il
susseguirsi delle vicende e delle azioni umane, ma degli interventi di un’entità extra e sovra-umana; si utilizza
a tal proposito l’immagine di una mano che muove gli eventi secondo un piano di progresso.
Non è possibile, secondo questa concezione, ritenere parte della storia irrazionale, inutile o non necessaria,
poiché essa è considerata come un processo globalmente positivo che tende al progresso e alla perfezione.
Ne consegue inoltre che è assurdo, come era tendenza dei filosofi illuministi, “giudicare la storia”, infatti:
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si tratterebbe di processare Dio;
si criticherebbe una parte di un processo complessivamente positivo;
si negherebbe, giudicando il passato con i valori del presente, l’individualità e l’autonomia delle
singole epoche.
Fichte
L’idealismo
I critici immediati di Kant
Dopo Kant un gruppo di filosofi, definiti “critici” o suoi “seguaci immediati”, tra cui figurano Karl Leonhard
Reinhold (1758-1823), Gottlob Ernst Shulze (1761-1833), Salomon ben Joshua (detto Maimon, 1754-1800) e
Jakob Sigismund Beck (1761-1840). Questi pensatori rivolsero la loro attenzione ai dualismi lasciati dal
criticismo, alla ricerca di un principio unico su cui fondare una nuova e salda filosofia. Punto chiave su cui
concentrarono la loro riflessione è il concetto di noumeno, che giudicarono filosoficamente inammissibile,
per due ragioni:
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Kant sostiene l’esistenza di qualcosa che non è pensato né pensabile, rappresentato né
rappresentabile. La cosa in sé si configura in tal senso come un concetto impossibile, la cui
formulazione è inammissibile.
Nel definire il noumeno come causa delle nostre sensazioni, Kant entra in contraddizione: applica
infatti il concetto di causa ed effetto alla cosa in sé, mentre esso è valido solamente per il fenomeno.
L’idealismo romantico
Il termine idealismo nell’accezione comune indica l’attrazione e l’attaccamento a determinati ideali o valori;
in filosofia indica invece tutte quelle visioni del mondo che privilegiano la dimensione “ideale” della realtà
rispetto a quella del “materiale”, e che sostengono in definitiva che la realtà “vera” sia “spirituale”. È il caso
del cristianesimo e del platonismo.
Quest’accezione in filosofia non ha avuto particolare fortuna, ed il termine è oggi utilizzato principalmente
per riferirsi all’idealismo gnoseologico o all’idealismo romantico. Il primo indica tutti quei sistemi di pensiero
secondo cui «il mondo è una mia rappresentazione» (Schopenhauer). Il secondo fa riferimento alla corrente
filosofica post-kantiana originatasi in Germania. Quest’ultimo idealismo fu chiamato anche trascendentale,
perché fonda sull’io penso la conoscenza, soggettivo, contrapponendolo a Spinoza nella riduzione della
Sostanza ad un principio unico soggettivo, o assoluto, sostenendo la tesi che l’io è il principio unico di tutto.
Dal kantismo al fichtismo
Se per Kant l’io era qualcosa di finito, poiché non creava la realtà ma si limitava ad ordinarla secondo le sue
forme a priori del pensiero, e rimaneva sottesa alla sua nozione quella di cosa in sé, Fichte, in accordo con i
primi critici post-kantiani che ritenevano inammissibile il concetto di noumeno, la abolisce e propone un io
infinito, entità creatrice (fonte di tutto ciò che esiste) e infinita (priva di limiti esterni). Per far ciò è evidente
come, rispetto a Kant, sposti l’attenzione della sua riflessione filosofica da un piano gnoseologico ad uno
metafisico, non chiedendosi più come l’uomo possa conoscere, ma ipotizzando la struttura della realtà.
Postulando l’io (lo spirito) come fondamento della realtà stessa, Fichte avanza la tesi per cui «tutto è spirito».
Con i termini io e spirito Fichte intende l’umanità non come insieme biologico di individui ma come entità
autocosciente, razionale e libera. È necessario spiegare come, se tutto sia spirito, possano esistere la natura
e la materia. Esse sono per Fichte il prodotto dialettico dello spirito-creatore: gli idealisti, sposando il concetto
di dialettica che considerano un presupposto per l’esistenza l’opposizione tra due concetti (es. il positivo
esiste e si può definire perché c’è il negativo, la tesi per l’antitesi, ecc.), ritengono che la natura sia un
prodotto dello spirito stesso per esistere, ovvero quell’ente necessario che gli si opponga perché lo definisca.
La natura, e la realtà, è dunque creata dallo spirito, come momento dialettico necessario perché egli viva.
L’uomo è allora lo scopo e la ragion d’essere dell’universo stesso, attributi propri di Dio, con cui Fichte fa
coincidere l’io: lo spirito dialetticamente inteso, il soggetto che si costituisce tramite l’oggetto. È la prima
forma di panteismo spiritualistico (Dio = spirito = uomo), che si differenzia sia dal panteismo naturalistico
(Deus sive natura) che dal trascendentismo delle religioni monoteiste.
Vita e Scritti
Biografia
Fichte nacque a Rammenau il 19 maggio 1762 da una famiglia poverissima. Studiò teologia a Jena e a Lipsia.
Lavorò come precettore privato in Germania e a Zurigo, dove conobbe Johanna Rahn che sposò nel 1793. Nel
1790 tornò a Lipsia dove entrò in contatto con il pensiero di Kant, che influenzò notevolmente la sua
formazione, tanto che l’anno dopo si recò a Königsberg per far leggere a Kant il manoscritto della sua prima
opera: Saggio di una critica di ogni rivelazione, composta nel pieno spirito del kantismo tanto che quando
comparve anonima nel 1792 fu ritenuta inizialmente del filosofo delle Critiche fin quando non smentì lui
stesso indicando il vero autore.
Sempre nel 1791, mentre stava scrivendo una difesa sugli editti del governo prussiano che limitavano la
libertà di stampa e istituivano la censura, gli fu negato il nullaosta per la stampa del suo Saggio e qualche
mese dopo venne rifiutata anche la pubblicazione della seconda parte della Religione nei limiti della semplice
ragione di Kant. Questi due episodi fecero mutare completamente la posizione di Fichte che nel 1793
pubblicò un’anonima Rivendicazione della libertà di pensiero.
Nel 1794 fu professore all’Università di Jena fino al 1799. Appartengono a questo periodo la prima
esposizione della dottrina della scienza e le applicazioni di essa ai domini della morale e del diritto.
Nel 1799 scoppiò la polemica sull’ateismo: per aver pubblicato un articolo sul “Giornale filosofico” di Jena
intitolato Sul fondamento della nostra credenza nel governo divino del mondo (1798) in cui identificava Dio
con l’ordine morale, Fichte fu accusato di ateismo in un libello anonimo. Il governo prussiano proibì il giornale
e chiese al governo di Weimar di punire Fichte e Friedrich Karl Forberg, direttore del giornale. Dopo alcune
vicende il caso si risolse costringendo il filosofo alle dimissioni.
Allontanatosi da Kena, Fichte si recò a Berlino. Nominato professore ad Erlangen nel 1805, si recò a
Königsberg durante l’invasione napoleonica e di lì tornò a Berlino dove pronunciò, durante l’occupazione
francese, i Discorsi alla nazione tedesca (1807-1808), in cui riteneva necessaria una nuova forma di
educazione e sosteneva il primato del popolo tedesco. Fu professore a Berlino e rettore di quella Universitù.
Morì il 29 gennaio 1814 per una febbre infettiva contratta dalla moglie mentre curava i soldati feriti.
Opere
La produzione di Fichte si interessa dapprima all’esigenza dell’azione morale, cui subentra una speculazione
circa la fede religiosa, giustificata tramite la dottrina della scienza. La sua opera può essere suddivisa in tre
parti: I primi scritti (1792-1794), in cui si sente più forte l’influenza del suo maestro Kant, da cui si distaccherà
per costruire una filosofia dell’infinito nelle opere della maturità (1794-1800), sino ad un’ultima
rielaborazione della sua filosofia nelle opere dell’ultimo Fichte (1800-1812).
Elenco delle opere di Fichte:
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Versuch einer Kritik aller Offenbarung (Saggio di una critica di ogni rivelazione), 1792
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Grundlage der gesamten Wissenschaftslehre (Fondamenti dell'intera dottrina della scienza),
versioni del 1794, 1798, 1801, 1804, 1810, 1812
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Einige Vorlesungen über die Bestimmung des Gelehrten (Lezioni sulla missione del dotto), 1794
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Grundlage des Naturrechts (Fondamenti del diritto naturale), 1796

System der Sittenlehre (Sistema della dottrina morale), 1798
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Bestimmung des Menschen (La missione dell'uomo), 1801

Philosophie der Maurerei. Briefe an Konstant (Filosofia della massoneria),1802 - 1803

Grundzüge des gegenwärtigen Zeitalters (I tratti fondamentali dell'età presente), 1805

Anweisung zum seeligen Leben (Introduzione alla vita beata), 1806

Reden an die deutsche Nation (Discorsi alla nazione tedesca), 1807 - 1808
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Transzendentale Logik (Logica trascendentale), due corsi di lezione del 1812
La «dottrina della scienza»
L’infinitizzazione dell’io
Kant aveva riconosciuto nell’io penso il principio supremo di tutta la conoscenza, e lo aveva definito come un
atto di autodeterminazione esistenziale che supponeva come già data l’esistenza (della realtà), un’attività
limitata in qualche modo dall’intuizione sensibile (dalla realtà).
Nella sua interpretazione del kantismo, Reinhold si pose il problema dell’origine della materia sensibile.
Schulze, Maimon e Beck avevano dimostrato l’impossibilità della derivazione di essa dal noumeno, ovvero
dalla cosa in sé, che avevano dichiarato inaccettabile. Già Maimon e Beck avevano tentato di attribuire al
soggetto la produzione del materiale sensibile, risolvendo nell’io l’intero mondo della conoscenza.
Fichte riprende quest’ultima strada e la sviluppa. Se l’io è l’unico principio, non solo formale, ma anche
materiale, del conoscere, se cioè alla sua attività non si devono solo i pensieri (organizzazione della realtà)
ma anche la realtà stessa, cioè crea l’esistenza materiale oggetto della conoscenza, l’io non è solo finito, ma
anche infinito.
I principi della «dottrina della scienza»
Obbiettivo di Fichte è la costruzione di un sistema filosofico che vada oltre la ricerca della scienza ma diventi
scienza della scienza, cioè ricerca di un sapere che individui il principio su cui si fonda la validità di ogni
scienza, e che a sua volta si fondi sullo stesso principio.
Questo principio è l’Io, o l’autocoscienza (intesa come consapevolezza di sé): si può affermare che un
qualcosa esiste solo rapportandolo alla nostra coscienza, facendo dunque dell’oggetto un essere-per-noi, e
la coscienza è a sua volta fondata sull’autocoscienza.
AUTOCOSCIENZA > COSCIENZA > ESSERE
La deduzione – ovvero la dimostrazione e la giustificazione di tutta la realtà per mezzo dell’Io – di Fichte è
assoluta, o metafisica, e si propone di far derivare dall’Io sia il soggetto che l’oggetto del conoscere. La
deduzione, che lui basa sull’Io, non dimostra però l’esistenza di quest’ultimo.
I principi fondamentali della deduzione fichtiana sono tre:
1. L’Io pone sé stesso. Partendo dalla legge di identità A=A, Fichte afferma che tale legge necessita per
essere vera di un principio primo che ponga A come esistente, ed identifica questo principio con l’Io.
Esso però non può affermare nulla senza prima affermare la propria esistenza. Io = Io. L’Io dunque
non ha bisogno di essere posto da altri ma si pone da sé, è l’autocreazione cui si giunge tramite
l’intuizione intellettuale, ovvero quando l’Io percepisce sé stesso. Per Fichte infatti percepire =
produrre (nella mente) = creare.
2. L’Io pone il non-io. L’Io, dopo aver posto sé stesso, pone qualcosa che è altro da sé, un non-io
appunto, che è comunque nell’Io. Questo passaggio è necessario per il conoscere, poiché la
conoscenza è sempre conoscenza di qualcos’altro, non avrebbe senso un soggetto (l’Io) senza
un’oggetto (il non-io)!
3. L’Io oppone nell’Io all’io divisibile un non-io divisibile. Si giunge alla situazione concreta del mondo,
dove la molteplicità dei soggetti è limitata dalla molteplicità degli oggetti.
Si noti in merito a questi principi che i passaggi non vanno interpretati in modo cronologico, bensì logico. La
dottrina della scienza non vuole ricostruire come si è arrivati alla situazione attuale, ma spiegare la natura
come esistente solo come momento dialettico della vita dell’Io, e quindi per l’Io e nell’Io. Si deve puntualizzare
inoltre che l’Io è contemporaneamente finito, poiché limitato dal non-io, e infinito al tempo stesso, poiché il
non-io ne è parte. L’Io infinito inoltre altro non è che l’insieme degli io finiti, pur perdurando nel tempo il
primo e soggetti alla nascita e alla morte i secondi.
Meta ideale degli io finiti è l’Io infinito, vittorioso sui propri ostacoli e privo di limiti, cui tutti tendono in un
incessante Steben (sforzo) che non può mai concludersi. Nella Dottrina della scienza si cela un messaggio
velato: raggiungere l’Io Infinito, libero dal limite esterno (natura) ed interno (egoismo ed istinti irrazionali),
spirito per eccellenza è l’obbiettivo dell’uomo.
Idealismo e dogmatismo
Nella Prima introduzione alla dottrina della scienza Fichte afferma che l’idealismo e il dogmatismo sono gli
unici due sistemi filosofici possibili. Sostiene infatti che la filosofia ha come scopo di individuare il fondamento
dell’esperienza, quest’ultima si fonda su due enti, l’oggetto, e il soggetto. La filosofia – sostiene – non può
che partire da uno per spiegare l’altro: l’idealismo parte dal soggetto (l’Io) per spiegare l’oggetto, al contrario
il dogmatismo consiste nel partire dalla cosa per spiegare l’Io.
Nessuno dei due sistemi, sostiene Fichte, è dimostrabile né riesce a confutare direttamente quello opposto.
Si chiede dunque cosa spinga «un uomo ragionevole» a scegliere l’uno piuttosto che l’altro. Fichte individua
la scelta tra idealismo e dogmatismo come fondata su una presa di posizione in campo etico: là dove il
dogmatismo, per conformazione, porta al materialismo e al fatalismo, deve negare la libertà dell’uomo,
mentre l’idealismo vi costruisce sopra la sua intera dottrina. Sono – dice – gli uomini passivi rispetto al mondo
che scelgono il dogmatismo, mentre chi ha fatto esperienza della propria libertà e della propria capacità di
agire sul mondo non può che scegliere l’idealismo.
La dottrina della conoscenza
Dall’azione reciproca dell’Io e del non-io nascono sia la conoscenza, sia l’azione morale. La prima, chiamata
anche rappresentazione, il realismo dogmatico la ritiene sia il prodotto di una cosa esterna sull’io empirico,
presupponendo che la cosa sia indipendente dall’io e anteriore ad esso. Anche Fichte ritiene che la
rappresentazione sia un’attività del non-io sull’Io, ma essendo il non-io un prodotto dell’Io, l’azione è come
se fosse “riflessa”, partendo in realtà dal soggetto. In questo modo Fichte può dichiararsi realista ed idealista
al tempo stesso.
Per spiegare come sia possibile che il non-io appaia come sussistente di per sé, pur essendo un effetto dell’Io,
Fichte introduce la teoria dell’immaginazione produttiva, quest’ultima è l’atto con cui l’Io pone/crea il nonio. Sull’inconsapevolezza di questo atto, Fichte spiega che la coscienza presuppone che il soggetto abbia già
davanti a sé l’oggetto del conoscere, e dunque il problema non si porrebbe. Infine il non-io, pur essendo
prodotto dell’Io, non è una parvenza ingannatrice, ma una realtà di fronte cui si trova ogni io empirico.
La dottrina morale
Il primato della ragion pratica
Ma perché l’io pone il non-io? Fichte sostiene che il motivo è morale: l’Io pone il non-io ed esiste come attività
conoscente solo per poter agire, ha cioè bisogno per l’azione di una realtà esterna e di un limite da poter
superare. In questo modo Fichte afferma il primato dell’io pratico su quello teoretico, e fonda il primato della
ragion pratica su solide basi.
Per realizzare sé stesso l’Io, essenzialmente libero, deve agire e agire moralmente. Ma l’azione morale può
avvenire – secondo quanto già sosteneva Kant – solo dove vi sia Streben, ovvero un ostacolo da vincere. In
questo caso l’ostacolo è il non-io, la materia su cui l’Io-spirito deve trionfare. Questo processo di trionfo
avviene tramite la conoscenza (del non-io), che è riappropriazione e superamento del limite.
La missione del dotto
Obbiettivo dell’Io è dunque la libertà. Ma per raggiungere lo scopo – cioè la riappropriazione dell’Io infinito
– è necessario che vi collaborino tutti gli io finiti. Così l’io-finito non è solo costretto a limitare la propria
libertà ma anche a rendere liberi gli altri, in vista della completa unificazione del genere umano: è lo Streben
sociale dell’Io.
Per realizzare questo scopo sono chiamati a collaborare quanti possiedono una maggior consapevolezza
teorica, i dotti. Per Fichte il dotto, che deve essere l’uomo moralmente migliore del suo tempo, deve
diventare maestro ed educatore del genere umano, perché il fine supremo di ogni singolo uomo è il
perfezionamento morale di tutto l’uomo.
La politica
La società
Fichte propone la costituzione di una società perfetta di esseri liberi e ragionevoli, che si realizza tramite lo
Stato, che è solo il mezzo: il suo obbiettivo è rendersi inutile in favore della società perfetta. È basato su una
visione contrattualistica ed antidispotica dello Stato, dove lo scopo del contratto sociale è l’educazione alla
libertà che, qualora non fosse garantito, permetterebbe implicitamente il diritto alla rivoluzione.
Nella visione di Fichte coesistono una prospettiva individualistica, poiché l’Io pone a se stesso una sfera di
diritti naturali inviolabili di libertà, proprietà e conservazione, ed una prospettiva di statalismo socialistico
autarchico: lo Stato deve impedire la povertà e regolare la vita pubblica (idee espresse nello Stato
commerciale chiuso), sorvegliando la produzione e la distribuzione dei beni, nonché essere autosufficiente
sul piano economico. Questo per evitare conflitti tra gli stati che nascono, secondo Fichte, da interessi
economici contrastanti, che il libero mercato genererebbe.
Missione della Germania
Nei Discorsi alla nazione tedesca Fichte sostiene la necessità di una nuova educazione destinata al popolo e
alla nazione, capace di trasformare la struttura psichica e fisica delle persone. Ma gli unici a poter promuovere
questa nuova educazione sono i Tedeschi, unici ad aver conservato una stessa lingua e cultura, ed in tal senso
unici possessori di una patria.
Realizzato da Paolo Franchi il 02/12/2015, 5BC (A.S. 2015/16). AMDG
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