I farmaci broncodilatatori nel trattamento della broncopneumopatia

Editoriale
Vol. 96, N. 3, Marzo 2005
Pagg. 148-150
I farmaci broncodilatatori
nel trattamento della broncopneumopatia cronica ostruttiva
Domenico Lorenzo Urso
Riassunto. I farmaci broncodilatatori per via inalatoria sono considerati uno dei principali trattamenti della broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO). Le linee guide
GOLD raccomandano l’utilizzo continuato di broncodilatatori, per via inalatoria, a lunga
durata d’azione nei pazienti con BPCO già dallo stadio moderato di malattia
(VEMS/FVC<70% del predetto ed VEMS<80% del predetto).
Parole chiave. Anticolinergici‚ β2-agonisti, broncodilatatori, broncopneumopatia cronica
ostruttiva, teofillina.
Summary. Bronchodilators in the treatment for chronic obstructive pulmonary disease.
Inhaled bronchodilators are considered one of the principal treatments for chronic
obstructive pulmonary disease (COPD). In the GOLD guidelines inhaled long acting
bronchodilators are raccommended in patients witch moderate and severe COPD
(VEMS/FVC<70% predicted and VEMS<80% predicted).
Key words. Anticholinergic, β2-agonist, bronchodilator, chronic obstructive pulmonary
disease, theophylline.
La broncopneumopatia cronica ostruttiva
(BPCO) è un quadro nosologico caratterizzato dalla progressiva limitazione del flusso aereo che non
è completamente reversibile. Tale riduzione del
flusso di solito è progressiva ed associata ad una risposta infiammatoria polmonare in seguito all’inalazione di particelle o di gas nocivi. La BPCO costituisce la più comune malattia polmonare cronica e la sua frequenza è in aumento negli ultimi
anni. Ciò sembra in relazione con l’aumento dell’età media della popolazione e con la persistenza dei
più comuni fattori di rischio (tra cui il più importante è il fumo di sigaretta). L’impatto crescente
della BPCO ha stimolato la ricerca di nuovi interventi terapeutici e l’ottimizzazione delle strategie
di trattamento. Una collaborazione internazionale
ha dato vita al Progetto Mondiale per la Diagnosi,
il Trattamento e la Prevenzione della Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (Global Iniziative for
Chronic Obstructive Lung Disease-GOLD)1.
La diagnosi di BPCO dovrebbe essere presa in
considerazione in tutti i pazienti che lamentano tosse con escreato o dispnea e/o una storia di esposizione ai fattori di rischio per la malattia. La diagnosi va poi confermata dalla spirometria. Quest’ultima dimostra, nel paziente affetto da BPCO, la
riduzione dell’indice di Tiffenau (VEMS/FVC<70%).
La stadiazione della malattia in lieve, moderata, grave e molto grave avviene sulla base della
riduzione percentuale del VEMS (o FEV1) dopo
broncodilatazione1. In particolare, sono compresi
nello stadio lieve i pazienti che in presenza di riduzione dell’indice di Tiffenau (VEMS/FVC<70%)
hanno un VEMS > 80% del valore teorico (dopo
broncodilatazione); lo stadio moderato è caratterizzato da un valore di VEMS inferiore all’80% del
valore teorico (dopo broncodilatazione) ma superiore al 50% del valore teorico (dopo broncodilatazione); lo stadio grave è quello in cui il valore di
VEMS è compreso tra il 50 ed il 30% del valore teorico (dopo broncodilatazione); allo stadio molto
grave appartengono i pazienti in cui il valore di
VEMS è inferiore al 30% del valore teorico (dopo
broncodilatazione).
Nel trattamento generale della BPCO vi sono
provvedimenti che modificano la storia naturale
della malattia come l’abolizione dell’abitudine al
fumo2, un miglior controllo delle riacutizzazioni,
l’O2 terapia nei pazienti affetti da insufficienza respiratoria cronica3 e la nutrizione adeguata4; e
provvedimenti farmacologici che migliorano la
funzionalità respiratoria, la qualità della vita e la
tolleranza allo sforzo e che riducono l’incidenza
delle riacutizzazioni.
Unità Operativa di Pronto Soccorso, Ospedale Civile Vittorio Cosentino, Cariati Marina (Cosenza).
Pervenuto il 26 novembre 2004.
D.L. Urso: I farmaci broncodilatatori nel trattamento della broncopneumopatia cronica ostruttiva
Le linee guida GOLD, aggiornate al 2003, identificano i broncodilatatori (β2-agonisti, anticolinergici e teofillinici) come i farmaci più efficaci nel
trattamento della BPCO. Se, in passato, la reversibilità dell’ostruzione bronchiale era utilizzata
per individuare i pazienti che potevano trarre beneficio dalla somministrazione di questi farmaci,
attualmente vi è generale accordo sul fatto che la
risposta acuta al broncodilatatore non è predittiva
della risposta a lungo termine e che molti pazienti con BPCO traggono beneficio dall’uso regolare di
questi farmaci anche in assenza di evidenti e significative variazione del FEV1 (<200 ml) nel test
eseguito in acuto. Gli effetti dei broncodilatatori si
traducono nel prevenire e controllare i sintomi, ridurre la frequenza e la gravità delle riacutizzazioni e migliorare la tolleranza allo sforzo1.
Le più recenti linee guida GOLD raccomandano un approccio a scalare nel trattamento della
malattia. Nello stadio lieve della malattia è utile il
trattamento con broncodilatatori short acting, negli stadi successivi viene affermata la necessità di
una terapia continuata con farmaci broncodilatatori long acting. Le GOLD non esprimono preferenze tra broncodilatatori β2-agonisti, anticolinergici e teofillinici; il farmaco deve essere scelto in
base alla sua disponibilità locale ed alla risposta
individuale. Quest’ultima deve essere valutata sia
come controllo dei sintomi sia come incidenza degli effetti indesiderati. Le linee guida sottolineano
comunque la preferenza per i broncodilatatori a
lunga durata d’azione somministrabili per via inalatoria. Tali farmaci non sono tuttavia scevri da effetti collaterali, che devono essere tenuti presenti
nel momento in cui si decide di introdurli in terapia nel paziente affetto da BPCO 1: egli infatti è,
nella maggior parte dei casi, un soggetto anziano
affetto da patologie concomitanti che aumentano i
rischi di effetti collaterali.
Gli anticolinergici con ammonio quaternario,
somministrabili per via inalatoria, che comprendono l’ipratropio bromuro, l’ossitropio bromuro ed
il tiotropio bromuro, determinano il loro effetto
broncodilatatore mediante un’interazione con i recettori muscarinici della muscolatura liscia bronchiale. L’ipratropio bromuro e l’ossitropio bromuro
determinano una broncodilatazione che è più pronlungata di quella dei β2-agonisti short acting (salbutamolo)5 ma nettamente inferiore ai β2-agonisti
long acting (salmeterolo e formoterolo)6, broncodilatazione che tende a mantenersi nella terapia cronica7. La breve durata d’azione (6-8 ore) necessita
di più somministrazioni giornaliere con effetti negativi sulla compliance terapeutica.
Un netto progresso nella efficacia della terapia
con farmaci anticolinergici è stata segnato dalla
recente introduzione in terapia del tiotropio bromuro. Quest’ultimo si è dimostrato efficace in monosomministrazione8 con effetti broncodilatatorii
più evidenti rispetto all’ipratropio, anche se gravato da una maggiore incidenza di effetti collaterali rappresentati, quasi esclusivamente, da secchezza delle fauci9. Altro effetto collaterale degli
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anticolinergici, segnalato nella somministrazione
in aerosol, può verificarsi quando erroneamente il
farmaco viene erogato nell’occhio ed è rappresentato da un aumento della pressione oculare con
conseguenti crisi glaucomatose in pazienti affetti
da glaucoma ad angolo chiuso. L’assorbimento sistemico degli anticolinergici è praticamente assente, per cui essi possono essere assunti con sicurezza nei pazienti con ipertrofia prostatica.
I farmaci β2-agonisti, distinti in short acting
(salbutamolo, fenoterolo e terbutalina) e long acting (salmeterolo e formoterolo), sono dotati di un
effetto broncodilatatore superiore agli anticolinergici, almeno nei pazienti giovani-adulti, mentre la
loro efficacia tende a ridursi nell’anziano. Questa
riduzione di efficacia può essere dovuta ad una riduzione del numero dei recettori oppure ad una riduzione della loro efficienza10. Numerosi studi
hanno dimostrato l’efficacia dei β2-agonisti con effetti benefici sui sintomi, sulla tolleranza allo sforzo e sulla qualità della vita11,12. Un limite nell’impiego dei farmaci simpaticomimetici nell’anziano è
il rischio di effetti collaterali, che sono generalmente dose dipendenti: essi sono rappresentati da
tremori muscolari, tachicardia, aritmie cardiache
nonché da squilibri metabolici ed idroelettrolici
(ipoglicemia ed ipopotassiemia).
Le metilxantine sono considerati broncodilatatori di seconda scelta rispetto ad anticolinergici
e β2-agonisti, poiché la finestra terapeutica di questi farmaci è minore nell’anziano rispetto al giovane adulto. Il rischio di effetti tossici da teofillina
aumenta nell’anziano anche a causa della riduzione della clearance renale, della diminuzione dell’efficienza metabolica epatica, della concomitante
presenza di cardiopatie scompensate e delle interazioni farmacologiche con numerosi farmaci di
uso comune (anti-H2, macrolidi, chinolonici, allopurinolo)13. Gli effetti collaterali più significativi
sono rappresentati da tremori, insonnia, convulsioni ed aritmie cardiache .
Il contemporaneo utilizzo di farmaci con
diverso meccanismo d’azione e diversa durata aumenta l’entità della broncodilatazione, riducendo al minimo l’insorgenza di effetti
collaterali14.
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Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. Domenico Lorenzo Urso
Via Veneto, 23
87063 Cariati Marina (Cosenza)
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