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ENTECAVIR: QUALI NOVITA’ PORTA IN TERAPIA?
La nuova terapia oggi disponibile in Italia per il trattamento di pazienti con epatite
cronica da virus HBV è entecavir - farmacologicamente un ciclopentile analogo
guanosinico, inibitore selettivo dell’HBV DNA polimerasi – molecola scoperta,
sviluppata e messa a punto interamente nei laboratori di ricerca Bristol Myers Squibb,
farmaco orale, once a day.
Entecavir risponde ad un bisogno clinico rilevante: disporre di nuove terapie efficaci nel
trattamento dell’epatite cronica da HBV sia nei pazienti naive cioè mai trattati in
precedenza, che in quelli lamivudino-resistenti cioè già trattati ma diventati ‘resistenti’ a
lamivudina, terapia fino ad oggi più utilizzata nella cura dell’epatite B cronica in tutto il
mondo.
Entecavir dà inoltre nuove speranze di cura efficaci anche per pazienti definiti
‘speciali’ quali quelli HBeAg negativi (una forma meno tipica dell’epatite B), quelli con
co-infezione da aids ed epatite B (HIV-HBV), quelli con epatite scompensata cioè con
compromissione in corso della funzionalità del fegato.
Fino ad oggi esistevano tre terapie approvate in Europa per il trattamento dell’epatite
cronica da HBV: alfa-interferone, lamivudina e adefovir dipivoxil. L’alfa interferone
agisce come immunomodulatore mentre lamivudina e adefovir (analoghi nucleosidici/nucleotidici) inibiscono direttamente la replicazione virale.
Le terapie finora esistenti presentano però efficacia a lungo termine limitata e possibili
svantaggi: ad esempio, quando la scelta terapeutica cade sugli analoghi nucleosidici, il
trattamento continuativo è gravato dal rischio di creare mutanti virali resistenti alla
terapia.
L’entecavir è l’unico farmaco oggi utilizzato per la terapia dell’HBV in grado di inibire
tutte e tre le fasi della replicazione del virus.
Entecavir è indicato per pazienti adulti con epatite B cronica, malattia epatica
compensata e evidenza di replicazione virale attiva, evidenza di persistente aumento dei
livelli sierici (nel sangue) della aminotransferasi (ALT) ed epatite cronica diagnosticata
mediante biopsia.
Obiettivo: abbassare la carica virale a livelli non rilevabili
Nel trattamento dell’epatite B cronica, l’obiettivo è abbassare la carica virale fino a
livelli non rilevabili mediante la terapia antivirale.
Uno studio aperto e randomizzato condotto su 65 pazienti con epatite B cronica
(HBeAg positivi) mai trattati con antivirali ha dimostrato che i pazienti che hanno
ricevuto terapia orale con entecavir hanno dimostrato una riduzione più marcata della
carica virale, sia dopo 12 che 24 settimane di trattamento, rispetto a quelli che hanno
ricevuto adefovir.
In particolare il 45% dei pazienti trattati con entecavir e il 13% di quelli trattati con
adefovir hanno raggiunto livelli non rilevabili di carica virale dopo 24 settimane. In
questo studio il livello non rilevabile di carica virale è stato definito come livello di
HBV DNA inferiore a 300 copie/ml, misurato mediante una metodica standard, la
reazione a catena della polimerasi o PCR.
La sicurezza del trattamento tra i due gruppi è comparabile, con un’incidenza simile di
eventi avversi severi: 3% per entecavir (n=1), 9% con adefovir (n=3) e di tutti gli eventi
69% per entecavir (n=25), 79% con adefovir (n=26). Gli eventi avversi di grado 3-4
sono stati il 6% con entecavir (n=2) e 15% con adefovir (n=5). Nessun paziente ha
sospeso la terapia con entecavir per eventi avversi. Un paziente che assumeva adefovir
ha interrotto la terapia per evento avverso. In entrambi i gruppi non è si verificato
nessun caso di morte.
Soppressione della carica virale
I risultati di un recente studio a tre anni (144 settimane), presentato al 57° meeting
annuale dell’American Association for the Study of Liver Diseases (AASLD) di Boston
(Usa) a fine 2006, dimostrano che entecavir è in grado di sopprimere la quantità di virus
HBV al di sotto dei livelli rilevabili nel 90% dei pazienti HBe-antigene positivi - la
forma più comune di epatite B cronica nei Paesi occidentali - mai trattati in precedenza
con analoghi nucleosidici (la terapia finora più utilizzata) e in terapia alla 96a settimana.
In questo gruppo di pazienti (119), i livelli non rilevabili sono definiti quali quantitativi
di HBV DNA (carica virale) inferiori a 300 copie/ml, misurati mediante la metodica
standard PCR.
La soppressione della carica virale è una delle possibili misure dell’efficacia del
trattamento: ridurre la carica virale a livelli non rilevabili per un tempo sufficientemente
lungo è un importante obiettivo della terapia dell’epatite B cronica. I pazienti sono stati
precedentemente trattati per 96 settimane nel braccio entecavir dello studio ETV-022
che compara efficacia e sicurezza di una dose di 0,5 mg di entecavir rispetto a
lamivudina 100 mg al giorno, in pazienti con epatite B cronica HBeAg-positivi che non
avevano assunto alcuna terapia precedente. In questo gruppo di pazienti trattati per 3
anni, la normalizzazione dell’alanin-transferasi (ALT), indice di infiammazione e/o di
danno delle cellule epatiche, è stata osservata a 144 settimane nell’80% dei pazienti in
terapia con entecavir.
Tutti i pazienti di questo stesso gruppo erano HBeAg-positivi e il 16% di loro ha
ottenuto la sieroconversione (indice di rimozione del virus e di immunità di lungo
periodo) attorno alla 144a settimana. Test sierologici sono stati condotti da un
laboratorio di coordinamento dopo la 96a settimana e da laboratori delocalizzati nel
terzo anno di studio.
Durante il terzo anno di trattamento in questo gruppo, l’8% dei pazienti ha avuto un
evento serio e l’89% ha avuto un qualche evento avverso nel corso del terzo anno.
Eventi di grado 3-4 sono stati registrati nell’11% dei pazienti alla 144a settimana. Non
si è evidenziata interruzione dello studio a causa di eventi avversi durante questo terzo
anno di cura. I più comuni eventi avversi che hanno colpito circa il 10% dei pazienti
sono stati: infezioni dell’alto tratto delle vie respiratorie (30%), cefalee (22%), tosse
(18%), diarrea (18%), influenza (16%), orofaringiti (14%) e dolori alto-addominali
(10%). Due pazienti in questa coorte sono deceduti, ma queste morti non sono state
attribuite ad entecavir. Nessun paziente ha evidenziato alterazioni consistenti dei livelli
ALT nel terzo anno.
Basso sviluppo di resistenze ed alta barriera genetica
Il cccDNA (covalently closed circular DNA) è una forma di genoma virale localizzata
nel nucleo della cellula epatica che rappresenta la riserva di virus nella cellula.
Se il virus smette di riprodursi per effetto dei farmaci ma rimane presente come
cccDNA, il virus riprende a riprodursi non appena i farmaci vengono sospesi. In teoria
gli antivirali si potrebbero sospendere solo quando non è rimasta una sola cellula del
fegato che contiene cccDNA.
Ogni giorno vengono prodotte milioni di miliardi di particelle virali. Non sono tutte
uguali. Sopravvivono e si riproducono solo quelle più adatte ad infettare nuove cellule
ed a riprodursi in quell’individuo.
Somministrando un farmaco antivirale, se questo non è abbastanza potente e specifico,
si possono selezionare ceppi di virus resistente che rapidamente rimpiazzano il virus
sensibile all’antivirale, rendendo meno efficace questo farmaco.
Entecavir ha un basso rischio di sviluppare tale resistenza. Sono necessarie almeno tre
mutazioni differenti per generare un ceppo virale resistente ad entecavir: si tratta
pertanto di un farmaco ad “alta barriera genetica”.
Gli studi 022 e 027 di confronto diretto tra entecavir e lamivudina hanno dimostrato che
nei pazienti naive (che non avevano ricevuto precedenti trattamenti) a 96 settimane di
terapia non è stata documentata resistenza ad entecavir.
Inoltre nei pazienti resistenti alla lamivudina (studio 027) trattati con entecavir a 96
settimane è stato evidenziato il 9% di casi di rebound virologico (ricomparsa del virus)
associati a resistenza al farmaco.
Efficacia e sicurezza a lungo termine
L’ETV-022, studio di coorte, ha valutato l’efficacia e la sicurezza a lungo termine
dell’entecavir in pazienti con epatite B cronica HBeAg-positivi che hanno assunto per 3
anni l’entecavir.
Alla 144a settimana di trattamento con entecavir il 90% (107 su 119) dei pazienti con
epatite B cronica HBeAg-positivi di questa coorte avevano livelli non rilevabili di carica
virale (HBV DNA <300 copie/ml) e l’80% (95 su 119) avevano normalizzazione delle
ALT (ALT ≤1 volta in più rispetto al limite di norma).
Attorno alla 144a settimana il 33% (35 su 106) dei pazienti hanno perso l’antigene ‘e’
(HBeAg) e per il 16% (17 su 105) si è registrata sieroconversione.
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