PLOTINO E IL NEOPLATONISMO
Introduzione
Il Neoplatonismo è quella particolare interpretazione del pensiero di Platone che ne venne data in età
ellenistica e diventò la principale scuola filosofica antica a partire dal III secolo.
Sorto all'epoca dell'Impero Romano, in seguito alla sua caduta il neoplatonismo andrà ad influenzare
soprattutto la filosofia occidentale, distinguendosi dal platonismo di marca bizantina, rimasto più fedele al
Platone della tradizione.
Il neoplatonismo nacque in un particolare momento storico, in cui l’uomo sembrava avvertire una profonda
crisi interiore e si accorgeva della caducità della realtà sensibile. Era l'epoca del tardo ellenismo, un periodo di
grandi difficoltà e sconvolgimenti, preludio della caduta dell’Impero romano, ma culturalmente fecondo per la
varietà di correnti filosofiche e religiose da cui fu caratterizzato e per il fatto che proprio allora stava
cominciando a diffondersi il messaggio cristiano mescolato con altri culti (specie orientali). Convenzionalmente il
neoplatonismo viene fatto iniziare con l'attività di Plotino di Licopoli, che visse nella prima metà del III secolo e
studiò ad Alessandria d'Egitto, dove fu allievo di Ammonio Sacca. Qui assimilò i fermenti culturali sia della
filosofia greca che della mistica orientale, egiziana ed asiatica. Di fronte alle incertezze del suo tempo, Plotino si
rese conto di essere alle soglie di una nuova epoca, e sentì la necessità di ricorrere alla saggezza e alla sapienza
degli antichi quali strumenti per mettere in salvo l’anima, purificandola dalle passioni ed elevandola
all’intelligenza.
Intorno ai quarant’anni si trasferì quindi a Roma dove fondò una scuola neoplatonica. Qui Plotino elaborò
un'esegesi del pensiero platonico che integrava in esso dottrine aristoteliche e in parte anche stoiche, ispirandosi
all'opera di filosofi precedenti come Numenio di Apamea, Alessandro di Afrodisia e Filone di Alessandria. In
primo luogo, tuttavia, egli intendeva rifarsi al pensiero razionalista di Parmenide e degli eleati basato
sull’identità di essere e pensare, a partire dalla quale essi avevano ricondotto l’intera realtà all’unità. Il metodo di
cui costoro si erano serviti era la logica formale di non-contraddizione, secondo cui un pensiero evita di
contraddirsi solo quando riconosce di avere in se stesso la verità dell’essere. Al di fuori di questa suprema unità
di essere e pensiero si rimane nella contrapposizione di soggetto e oggetto, i quali secondo logica non possono
sussitere l'uno senza l'altro perché si implicano a vicenda.
Da Platone egli riprese poi la distinzione tra mondo iperuranio, dove ha sede una tale unità, razionalità e
perfezione, e mondo terreno sottoposto alla divisione, alla caducità, e al non-senso. Egli conservò anche la
definizione di filosofia come eros e come dialettica, colla quale ricucire queste lacerazioni e approdare al regno
delle idee, in cui consiste la dimensione eterna del vero, del buono e del bello.
Plotino tuttavia conciliò le idee platoniche anche con la filosofia di Aristotele: partendo dalla natura, egli
notava come negli organismi sia presente un unico sostrato o logos da cui scaturisce il molteplice. Mentre
l'artigiano costruisce l'uno a partire dai molti, cioè assemblando più parti tra loro, la vita al contrario sembra
nascere da un principio semplice che si articola nel complesso. Plotino chiamò Anima del mondo la sostanza
vitale da cui prendono forma le piante, gli animali, e gli esseri umani. I gradi inferiori della natura possono
evolversi e formare gli organismi più intelligenti e progrediti perché l'intelligenza dev'essere già presente dentro
di lei. Ciò secondo Plotino era possibile appunto perché l'Anima discende da quelle Idee platoniche che per il suo
tramite diventano aristotelicamente le ragioni immanenti e formanti degli organismi. Le Idee per lui restavano
tuttavia trascendenti, e concepite come infinite sfaccettature di un medesimo Pensiero autocosciente, che
pensandosi si rende oggetto a se stesso; in esso consisteva così l'identità parmenidea di essere e pensiero. Tale
identità era però ancora l'unione di due realtà distinte, benché coincidenti. Secondo Plotino occorreva allora
ammettere il puro Uno al di sopra di questa stessa identità, quale principio supremo del Tutto. In tal modo egli
formulò la dottrina delle tre ipostasi, costituite dall'Uno, l'Intelletto e l'Anima.
Diffusione e correnti
Il neoplatonismo si impose come corrente dominante della tarda antichità e soppiantò le altre principali
correnti filosofiche imperiali, soprattutto lo stoicismo e l'aristotelismo, ottenendo una posizione di egemonia non
solo tra i filosofi pagani, ma anche tra i cristiani. Il dibattito intorno al platonismo e all'interpretazione che ne
aveva dato Plotino portarono alla fondazione di diverse scuole, alcune delle quali concorrenti le une con le altre,
che si situavano nei principali centri di insegnamento delle nuove dottrine. Le principali scuole neoplatoniche
furono:
scuola di Roma, fondata da Plotino e continuata dai suoi discepoli Porfirio e Amelio;
scuola di Alessandria, che ebbe tra i suoi esponenti Olimpiodoro e la filosofa Ipazia;
scuola siriaca, fondata da Giamblico, discepolo di Porfirio, che si distinse per la sua revisione
delle teorie del fondatore e per il marcato recupero delle tradizioni neopitagoriche e della sapienza
contenuta nel cosiddetto Corpus Hermeticum;
scuola di Atene, i cui maggiori esponenti furono Plutarco di Atene e Siriano, e i cui risultati ci
sono testimoniati dalle opere di Proclo;
scuola di Pergamo, fondata da Edesio di Cappadocia e che ebbe nell'imperatore Giuliano uno dei
principali rappresentanti.
Anche in ambito cristiano il neoplatonismo conobbe notevole diffusione, soprattutto a partire dal circolo
intellettuale che si era formato a Milano verso la fine del III secolo, attorno alla figura dell'arcivescovo Ambrogio:
fu grazie ai contatti con il cenacolo milanese che Agostino, il futuro vescovo di Ippona e Padre della Chiesa
conobbe il pensiero dei "filosofi platonici" che furono così determinanti nel suo allontanamento dal
manicheismo. L'ultima costruzione della filosofia antica ebbe fine con la chiusura della Scuola di Atene nel 529, in
seguito all'editto giustinianeo, che proibì ai pagani l'insegnamento
Filosofia come esegesi
Come praticamente tutte le scuole filosofiche post-ellenistiche, anche il neoplatonismo considera la filosofia
prima di tutto come esegesi, cioè interpretazione dei testi. I filosofi neoplatonici non si consideravano per nulla
degli innovatori, quanto piuttosto dei fedeli lettori dei dialoghi del maestro. Il loro compito non era elaborare
nuove dottrine, ma portare alla luce il vero messaggio degli scritti platonici. Anche per questo, le opere che di
loro ci sono giunti - e in ogni caso la maggior parte degli scritti che produssero - sono per lo più commenti ai testi
di coloro che consideravano i pensatori più importanti che li avevano preceduti: Platone e Aristotele in primo
luogo, ma anche la tradizione ermetica e neopitagorica. Nonostante i loro proclami di assoluta fedeltà, i pensatori
neoplatonici non vanno considerati dei semplici ripetitori: il loro pensiero porta notevoli tratti di originalità, e
condizionerà fortemente l'interpretazione che della filosofia antica daranno le epoche successive. Quello che si
definiva (e spesso si definisce tutt'oggi nei manuali) platonismo è in realtà la dottrina neoplatonica.
Dottrina
Il Sole come simbolo astrologico dell'Uno, in una stampa rinascimentale
I punti salienti delle sistemazioni dottrinali delle varie correnti neoplatoniche e soprattutto del pensiero del
massimo esponente di questa filosofia, Plotino, possono essere così schematizzati:
L'intero cosmo deriva la sua esistenza da un principio primo ineffabile, totalmente trascendente
e buono, chiamato da Plotino "Uno"
La potenza infinita dell'Uno genera l'universo attraverso un processo spontaneo e necessario,
chiamato processione o apòrroia, tramite il quale l'energia vitale emanata dall'Uno penetra ovunque,
formando i diversi livelli di cui è costituita la realtà: per Plotino sono l’Intelletto e l’Anima;
Il processo di emanazione avviene per natura, non meccanicamente o in vista di un fine
deliberato, come quando l’uomo compone artificialmente più parti tra di loro, bensì in maniera
organica, a partire da un principio assolutamente semplice e irriproducibile. La visione neoplatonica
del mondo è pertanto agli antipodi del meccanicismo determinista, perché anti-antropomorfa;
Al punto più basso dell’emanazione c’è la materia, la quale è un inganno perché in realtà è un
semplice non-essere. Essa è il luogo delle presenze oscure e maligne, ma è anche indice di qualcosa di
superiore: è un segnale, “nunzio dell’Intellegibile”, decifrando il quale l’uomo riconosce il primato
dell’uno rispetto al molteplice;
Le anime umane sono decadute dalla loro condizione iniziale, nella quale erano unite all'anima
del tutto e assolutamente libere dai bisogni del corpo. In seguito a questo atto di tracotanza, che le ha
portate a volersi separare dall'anima del mondo e ad interessarsi eccessivamente del corpo a loro
affidato, esse vivono in una condizione di dimenticanza e di lontananza dalla loro reale condizione,
"come prìncipi in esilio".
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Lo scopo dell'uomo si configura perciò come un cammino di liberazione dalle conseguenze della
caduta, e dai falsi bisogni che la eccessiva attenzione per i corpi ha imposto alle anime. Al termine di
questo percorso l'anima riacquisirà il suo status iniziale, e la coscienza della propria felicità.
A tali principi sono connessi alcuni punti chiave, che vengono ora esaminati in dettaglio:
Polarità e ciclo alessandrino
Secondo la concezione neoplatonica, il mondo è teso tra due poli: a un’estremità si trova Dio o l’Uno, che è la
luce divina; all’altra c’è il buio assoluto, dove questa luce non giunge. Il buio però non esiste veramente, perché
consiste soltanto in una mancanza di luce. I due estremi, dunque, sono in realtà uno solo. Questo tema della
polarità che si risolve in unità, permea, come vedremo, tutto il sistema neoplatonico.
Ad esempio, l'articolarsi della realtà dal semplice al complesso ha come riflesso l’articolarsi del pensiero. Esso
infatti si può svolgere in due direzioni opposte ma complementari: verso l’unità intuitiva o verso la dispersione
discorsiva. Come questi due procedimenti sono solo apparentemente antitetici, così anche l’Uno e il molteplice
vanno conciliati organicamente l’uno con l’altro, essendo due facce di una stessa realtà. In polemica contro le
dottrine empiriste della conoscenza, il neoplatonismo sostiene che la conoscenza non deriva dall’esperienza.
Tutto il sapere giace già a livello inconscio nella nostra mente per una sorta di innatismo delle idee, che si
risvegliano tramite il contatto coi sensi non per una nostra volontà deliberata, ma in virtù di una reminiscenza
involontaria. La vera sapienza è quella che nasce dalla ragione e non dai sensi. Anche qui tuttavia la razionalità e
la sensibilità sono visti in un’ottica bipolare di complementarietà, come lo sono l’Uno e il molteplice, l’essere e il
non-essere, il bene e il male. In maniera simile a un organismo, composto armonicamente di tante singole parti
che sono a sua volta un uno, e nelle quali opera una particolare idea o "lògos" genetico, così anche il pensiero
neoplatonico vuole partire da un principio assolutamente semplice articolandolo nella complessità, senza
perdere tuttavia la visione organica d'insieme, e ritrovando ogni volta l'uno dentro il molteplice.
Analogamente, il processo di emanazione che avviene per necessità dal punto più alto a quello più basso, ha il
suo contraltare nella libertà dell'uomo, il quale, unico fra tutte le creature, ha la possibilità di compiere il
percorso a ritroso (epistrofé) tramite la purificazione e la catarsi. Il conflitto tra processione e contemplazione,
tra la necessità dei condizionamenti in cui risiede il male, e la possibilità umana di scegliere il bene, si risolve
quindi in un cerchio.
Teologia negativa
La polarità del mondo, costituita dalle due estremità, permetteva di stabilire un rapporto dialettico tra di esse,
essendo l'una il negativo dell'altra. Ad esempio, la verità (assunta come il polo positivo) diventava definibile
tramite il suo negativo, ovvero la falsità. Così, pur affermando che l'Uno si trova al di là di tutto, persino del
pensiero logico, il sistema neoplatonico non intendeva presentarsi come un mero salto nell'irrazionale o
nell'intuizione mistica, ma diventò anzi quella corrente filosofica che ha fornito al pensiero occidentale lo
strumento critico della teologia negativa. Ricorrendo a tale strumento, la teologia neoplatonica mirava a ricucire,
tramite l'uso della dialettica e della logica formale, quell'unità immediata di soggetto e oggetto, spirito e materia,
che nel mondo sensibile appariva invece terribilmente frantumata in un dualismo insanabile.
L'Uno è indefinibile di per sé, in quanto se definito verrebbe delimitato; ma ci si può avvicinare a Lui dicendo
piuttosto ciò che l’Uno non è, eliminando tutti quegli attributi che altrimenti lo renderebbero finito: non è
volontà, né atto morale, né coscienza. L'Uno è semmai ciò che rende possibile la coscienza, la quale nella forma
dell'Intelletto o Noùs ci fa accorgere della realtà fenomenica. Ma la fonte del pensiero è anche il limite del
pensiero, il punto in cui questo si annichila: la sorgente della razionalità non può essere a sua volta
razionalizzata, essendo realtà e ragione l'una il negativo dell'altra. La filosofia pertanto, nel ricercare la realtà
ultima da cui ha origine, deve riconoscere di non essere la verità, ma solo un'emanazione di questa, e deve quindi
cancellarsi negando se stessa fino a quando, uscendo da sé, ci si trovi in estasi. La filosofia culmina così nella
religione; l'estasi è l'identificazione dell'anima individuale con Dio, il quale può essere posseduto solo lasciandosi
possedere da Lui.
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Nel neoplatonismo pagano Dio restava comunque un'entità impersonale, che si rivela indirettamente, e a cui è
possibile risalire solo tramite la consapevolezza del suo contrario, cioè del falso, mentre la verità rimane
qualcosa di assolutamente inconsapevole.
Assoluto come potenza
L'Uno è così da un lato inconoscibile, dall'altro però va ammesso come condizione del costituirsi della
razionalità stessa, per un'impossibilità logica di dare altrimenti una spiegazione al molteplice. Per spiegare il
modo con cui l'Uno genera la dispersione, e instaura con essa un rapporto dialettico di reciproca
complementarietà e polarità, si imponeva di pensare l'Assoluto non come una realtà statica e definita una volta
per tutte, perché in tal caso significava oggettivarlo e renderlo conoscibile, bensì di concepirlo come potenza
infinita, come attività mai conclusa che genera continuamente se stessa, e oggettivandosi crea il mondo.
"Potenza" è da intendersi qui non in senso aristotelico, come passaggio all'atto (essendo l'Uno già del tutto
autosufficiente in quanto causa di sé), ma viceversa come capacità di donare all'infinito la propria natura. Si
trattava di una concezione nuova e originale nel panorama della filosofia greca, con tratti ancora una volta simili
a quelli delle filosofie orientali. Cusano nel Quattrocento dirà in maniera simile che l'universo è l'esplicarsi in
grande della potenza di Dio.
Così anche Plotino concepiva l'Uno superiore allo stesso Essere (cioè superiore alla realtà oggettiva), come
pura energia che per la sua sovrabbondanza trabocca, emanando da sé la seconda ipostasi dell’Intelletto, il quale
genera a sua volta la terza ipostasi dell’Anima. La molteplicità viene emanata perché il momento della divisione è
essenziale come quello dell'unità, essendo due termini dialetticamente legati. Il processo di emanazione non è
però il risultato di un'attività finalistica o antropomorfa, perché l’Uno non si propone alcuno scopo, ma genera in
maniera involontaria e spontanea. Assegnare ragioni a una tale potenza generatrice era peraltro impossibile,
perché la ragione prende ad agire solo ad un certo punto della discesa in poi, cioè nella fase in cui le
determinazioni intelligibili (o idee) in cui si specifica l’Intelletto divengono, attraverso l’Anima, la ragione del
presentarsi in un certo modo della realtà sensibile. Al di sopra di questo livello la ragione è presente solo in
forma eminente, cioè nella sua radice intuitiva unitaria, ma non sviluppa ancora un’attività discorsiva e quindi
giustificatrice.
Il motivo per cui l'assoluto incondizionato si rende condizionato, dando luogo alla necessità, può essere
compreso solo ricorrendo ad analogie, immaginando ad esempio l'Uno come volontà che radia all'esterno di sé il
risultato della sua natura attributiva (essendo la natura della volontà quella di volere), o come un sole che emana
la luce fuori di sé. La necessità della dispersione scende quindi fino al punto più basso rappresentato dalla
materia: anche il male in essa presente ha perciò una sua causa, perché sottostà ad una necessità cieca, ed è
pertanto inevitabile; è il regno dell’apparenza e degli inganni del mondo, dal quale il filosofo cerca di risollevare
gli uomini, indicando loro la via della salvezza e della libertà.
Vitalità del mondo
L'idea centrale del neoplatonismo è che la natura, in quanto generata dalla potenza infinita dell'Uno, non è una
combinazione meccanica e accidentale di più parti, ma è animata da un’unità interiore che obbedisce alle leggi
che essa stessa si dà, e autodeterminandosi si articola nel molteplice. Questa unità vitalizzatrice veniva chiamata
“anima del mondo”, un concetto filosofico destinato ad avere molta fortuna in Occidente. In virtù di questo
principio, tutto l'universo era concepito armonicamente come un unico grande Organismo, penetrato da energie
spirituali, e nel quale anche gli oggetti apparentemente inanimati sono dotati di vita propria. Ciò avviene perché
ogni elemento della realtà risulta animato da un particolare lògos o idea, che rappresenta la ragione del suo
costituirsi: le idee platoniche erano viste cioè come il principium individuationis degli organismi, come la forza
che li differenzia "plasmandoli" per così dire dall'interno secondo un fine prestabilito, in maniera simile
all’entelechia aristotelica, o ai caratteri genetici di un individuo.
Le idee inoltre sono al contempo causa essendi e causa cognoscendi, ovvero rappresentano la causa per cui il
mondo risulta fatto così, e grazie a cui possiamo conoscerlo. In esse pertanto si trova anche il fondamento
soggettivo del nostro pensare: per i neoplatonici il pensiero non è un fatto, un concetto collocabile in una
dimensione temporale, ma un atto fuori dal tempo. Il pensiero pensato, posto cioè in maniera quantificabile e
finita, è per essi un'illusione e un inganno, perché nel pensare una realtà sensibile, questa non si pone come un
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semplice oggetto, ma è in realtà soggetto che si rende presente al pensiero. In altri termini, la caratteristica
principale del pensiero è quella di possedere la mente, non di essere posseduto, e comporta dunque il rapimento
della coscienza da parte del suo stesso oggetto.
Ancora una volta soggetto e oggetto erano visti così come i poli di un'unità, senza la quale nulla è pensabile, e
nulla può vivere. Qualunque vivente infatti, a differenza di un ingranaggio, non può essere spaccato, altrimenti
muore, senza poter essere ricomposto. Il "semplice" che è alla base del complesso non può essere un’entità
materiale, perché qualunque oggetto esteso spazialmente può essere pensato diviso a metà. La polemica dei
neoplatonici fu rivolta di conseguenza contro il meccanicismo democriteo, secondo cui tutta la realtà è composta
di singole parti o atomi, che combinerebbero esternamente e meccanicamente gli organismi, in un modo per così
dire artificiale. Secondo i neoplatonici invece, gli atomi non possono costituire il principio primo perché sono a
loro volta potenzialmente divisibili; la vita nasce non in forma meccanica o programmabile, ma da un principio
semplice, autònomo e immateriale, che non opera “deliberando” né è riproducibile pragmaticamente nei suoi
passaggi. Esso origina i molti dall’uno; l’uomo invece costruisce artificialmente l’uno a partire dai molti.
Schopenhauer nell’Ottocento dirà similmente che la vita viene da una volontà non progettuale e pertanto “cieca”.
Questo principio è l'anima, che è il vero centro della persona. L'anima funge da tramite: da un lato è rivolta verso
l'unità superiore dell'intellegibile, ma per la sua cecità è portata a discendere disperdendosi nel molteplice; essa
ha così una doppia natura, fonte di lacerazioni e dualismi.
Esoterismo e gerarchie cosmiche
I cardini del sistema neoplatonico sono posti in tal modo nell'attenzione alla strutturazione ontologica del
mondo, nella sempre più marcata separazione tra il mondo sensibile, imperfetto, e il mondo noetico perfetto e
primo, e nella ricerca del cammino di liberazione che l'anima deve percorrere per ritrovare la sua condizione
originaria. Poiché soltanto l’anima del sapiente sa compiere però una tale ascesa, si viene a creare una profonda
differenza tra i pochi eletti che riescono a raggiungere la salvezza e la moltitudine dei sofferenti che, incapaci di
raggiungerla, restano ciechi alla luce; la filosofia neoplatonica assume così i connotati di una dottrina esoterica
rivolta solo a pochi iniziati.
Tutti questi elementi erano per i pensatori neoplatonici già contenuti nelle opere di Platone. Per esempio, nella
parte finale del Parmenide Plotino leggeva la sua dottrina delle ipostasi, mentre il percorso di liberazione poteva
facilmente essere dedotto dalle dottrine contenute nel Fedone o nella Repubblica, come per esempio il famoso
mito della caverna. Al suo interno il pensiero neoplatonico conobbe un dinamismo, che portò a rivedere le
interpretazioni precedenti e ad elaborare nuove dottrine. Con il pensiero di Giamblico alcuni cardini della
filosofia di Plotino — come la discussa dottrina dell'anima non discesa — vennero abbandonati, mentre si fecero
più forti il disprezzo per la corporeità e l'afflato religioso. Giamblico sostenne l'importanza della teurgia, un
insieme di pratiche magiche, in parte dedotte dalla tradizione ermetica, che permettevano all'anima dell'uomo di
mettersi in contatto con i livelli superiori della realtà.
Un'altra tendenza sempre più marcata fu la gerarchizzazione del cosmo: le tre ipostasi plotiniane (dopo l'Uno
la realtà conosceva i livelli dell'Intelletto, dell'Anima e del mondo sensibile) vennero al loro interno divise in più
sotto-livelli. Anche qui si riteneva che la maggior parte delle anime riuscissero a percepire unicamente l'aspetto
materiale e fenomenico della realtà fermandosi al livello più basso, mentre soltanto pochi uomini fossero in
grado di vedere, col pensiero e non coi sensi (arguendole per via negativa), le varie gerarchie in cui è strutturato
l'universo. Nei pensatori più tardi, per esempio Proclo, ad ognuno degli aspetti della processione derivante
dall'Uno venne quindi associata una divinità del pantheon ellenistico.
Così nonostante la sua concezione monistica veniva salvato al contempo l'impianto del politeismo tradizionale,
e fu per questo che il neoplatonismo pagano, a partire se non dal suo fondatore, quantomeno da Porfirio e
Giamblico, lottò strenuamente contro la diffusione sempre più forte della religione cristiana, contestando i
presupposti teologici del pensiero della Chiesa, come la dottrina dell'incarnazione o quella della Trinità. Se ne
trova eco nella polemica tra Celso e Origene, testimoninata dal Contra Celsius di quest'ultimo. La battaglia
raggiunse l'apice sotto l'impero di Giuliano, che cercò di rifondare il culto pagano rileggendolo sulla base della
filosofia neoplatonica. Dopo il suo fallimento, il neoplatonismo, pur battuto, continuò a sopravvivere, e arrivò a
produrre alcuni dei suoi più importanti pensatori nello stesso ambito cristiano.
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