Chiara, la luce attraverso la filosofia

MATTEO PERRINI
CHIARA, LA LUCE ATTRAVERSO LA FILOSOFIA1
Chiara Albini frequentava l'ultimo anno del liceo classico quando la conobbi. Venne da me per
avere «qualche lezione di approfondimento critico», come mi disse presentandosi, sul pensiero di Kant.
A scuola faceva bene in filosofia e aveva un insegnante di primissimo ordine; tuttavia, avendo avvertito
che il criticismo kantiano metteva in gioco le sue convinzioni, volle subito fare i conti con esso, senza
rinviare ad un altro momento quello che avvertiva come un'urgenza dello spirito. Io, che non amavo
affatto impartire lezioni private, in quel caso cedetti. Iniziò così una delle cose più belle della mia vita:
una comunicazione libera, da anima ad anima, di riflessioni che riguardavano il senso stesso della vita e
l'impegno a cercare con tutta l'anima la verità in qualsiasi campo. Ben presto, com'era giusto, il tramite
abituale divenne il libro. Di libri ottimi ce ne sono pochi, ma è un'esperienza spirituale meravigliosa
meditarli e discuterli insieme a chi cerca con animo puro. E Chiara era un'interlocutrice molto
intelligente e di prorompente franchezza, che andava all'essenziale senza scantonare – è una tentazione
per chi è giovane – in questioncelle periferiche o capziose.
All'università Chiara scelse, com'era prevedibile, la facoltà di Filosofia e il saldo impianto
tomistico-personalistico della scuola di Padova fu da lei sostanzialmente condiviso. In quegli anni i
nostri contatti divennero sporadici, pur rimanendo cordiali.
Tornammo a rivederci più spesso per la scelta della tesi di laurea. Tra i possibili argomenti Chiara
volle studiare il problema dell'impianto dei valori nella storia attraverso la concezione di un pensatore
contemporaneo profondo e anticonformista, Nicola Petruzzellis, la cui opera prima, Il valore della
storia, edita nel 1939, era apparsa all'esule Luigi Sturzo di fondamentale importanza, di gran lunga la
migliore tra quelle elaborate in connessione con la metafisica del realismo spiritualistico. In quel
tempo, essendosi resa libera al liceo scientifico Luzzago una cattedra per l'insegnamento di storia e
filosofia, chiesi al rettore padre Simpliciano Olgiati, di assegnarla senza indugio a Chiara, divenuta nel
frattempo «signora Mattei». Credo di non aver mai dato consiglio più opportuno e fecondo di bene.
Chiara in cattedra mostrò ben presto di trovarsi al posto giusto, là dove la destinava la sua
vocazione. Infatti, in lei la passione per la ricerca si saldava perfettamente al bisogno di associare a sé,
in un alto cammino, coloro che erano affidati alla sua responsabilità e al suo amore. Di certo Chiara si
riconosceva nelle parole che il più umano tra i filosofia pre-cristiani, Lucio Anneo Seneca, rivolge al
suo corrispondente: «Io desidero trasfondere in tutte le mie conquiste. Nessuna cosa mi diletterebbe,
ancorché eccellente e proficua, se dovessi riconoscerla esclusivamente per me solo. Ho gioia di
apprendere qualche cosa solo in quanto possa insegnarla. Se mi fosse concessa la sapienza a patto di
tenerla chiusa in me stesso e di non comunicarla, la rifiuterei» (Lettere a Lucilio, 6). Mai forse è stata
così efficacemente espressa, come in queste poche frasi, la vocazione dell'educatore. E Chiara era
un'educatrice autentica. La volontà di servire l'umanità degli adolescenti nella scuola, attraverso
l'insegnamento della filosofia, fu la «via» che Chiara percorse, il suo «lavoro»: un lavoro in cui
l'aggiornamento culturale è senz'altro condizione necessaria, ma non sufficiente, per insegnar bene.
Chiara si rese conto che quanto più ci sta a cuore l'istruzione educativa, che abbia cioè valore
formativo, tanto più ci si deve occupare dei modi migliori di insegnare la propria disciplina. Il metodo,
però, era e fu sempre per lei mezzo rispetto al fine e non feticcio, immodificabile a priori o, peggio,
brevetto di cui vantare l'esclusiva. Dotata di superiore buon senso, di ironia e di auto-ironia, nonché di
un sincero sentire cristiano, Chiara percepì sempre che l'efficacia educativa dipende in ultimi istanza
dal fattore umano, dal tipo di relazione reciproca tra insegnante e studenti, da quell'insieme di
atteggiamenti che il professore assume di fronte ai giovani.
1
Giornale di Brescia, 31 luglio 1996.
Discutevamo spesso di procedimenti didattici, ma il segreto vero del suo far bene scuola
consisteva soprattutto nella determinazione di voler essere di più come persona per dare di più come
docente. L'intensità che riusciva a conquistare, giorno per giorno, a livello di esistenza personale, si
traduceva in lei in capacità di dono per i suoi studenti. Di qui quel carattere di vivacità gioiosa, di
limpida sincerità, di comprensione materna ed insieme esigente del suo stile di insegnante. Non ci si
deve meravigliare, pertanto, che la professoressa Chiara ispirasse simpatia e confidenza, permettendo
così agli allievi di lavorare senza risparmio. Per questo anche gli studenti meno dotati per la filosofia le
volevano bene e vedevano in lei un modello di umanità che afferra il cuore.
Vi è poi un'altra dimensione della vita e della personalità di Chiara, che anima dall'interno la sua
attività d'insegnante: è la sua fede nel Cristo dei Vangeli, una fede attinta dalla Scrittura e dalla Chiesa,
ripensata e approfondita con vigore, resa vittoriosa su ciò che la nega e, peggio, ne è la contraffazione.
Quella fede ha reso luminoso anche il duro tirocinio del suo soffrire. La virile lotta col male, prima, e
poi la rinuncia a tutto – rinuncia che alla fine divenne dolce e totale – sono l'ultima e la più alta lezione
di cui quella piccola grande donna ci ha fatto dono. È una cosa giusta e degna per i suoi colleghi e i
suoi concittadini far memoria di chi ha alimentato in tanti cuori la fiamma dello spirito, prodigando per
i giovani tutte le risorse dell'intelligenza e della sua stessa giovinezza. Sono le persone, gli insegnanti
come Chiara – loro che lavorano sodo, ma in silenzio – che meritano non solo l'interesse, ma
l'ammirazione incondizionata e la riconoscenza di coloro che credono nella bellezza e nella santità della
vita.