Convegno nazionale
dei Delegati diocesani per l’Ecumenismo
Ancona, 2 marzo 2010
LE ANTICHE CHIESE ORIENTALI
UN QUADRO STORICO TRA ORIGINI E SVILUPPI ECUMENICI CONTEMPORANEI
Prof. Jean Paul Lieggi
0.
PREMESSA: LA DENOMINAZIONE
Con la denominazione di “Antiche Chiese Orientali” ci si riferisce alle Chiese di tradizione
alessandrina, siro-occidentale, siro-orientale ed armena.
Si tratta delle seguenti Chiese:
 di tradizione alessandrina
• la Chiesa copta
• la Chiesa etiopica
• la Chiesa eritrea
 di tradizione siro-occidentale
• la Chiesa siro-ortodossa
• la Chiesa malankarese
 di tradizione armena
• la Chiesa apostolica armena
[tutte queste chiese sono denominate anche “Chiese ortodosse orientali”]
 di tradizione siro-orientale
• la Chiesa assira dell’Oriente.
Queste Chiese non sono in piena in piena
comunione né con la chiesa di Roma né con le Chiese
ortodosse di tradizione bizantina.
Ciascuna di queste Chiese ha conosciuto, nel corso
dei secoli, il ristabilimento, da parte di alcuni dei suoi
fedeli, della piena comunione con Roma, dando vita così
alle Chiese orientali cattoliche:
 di tradizione alessandrina
• la Chiesa copta cattolica
• la Chiesa etiopica cattolica
 di tradizione siro-occidentale
• la Chiesa siro cattolica
• la Chiesa maronita
• la Chiesa malankarese cattolica
 di tradizione armena
• la Chiesa armena cattolica
 di tradizione siro-orientale
• la Chiesa caldea
• la Chiesa malabarese.
Le Antiche Chiese Orientali
1.
2
IL QUADRO STORICO
1.1.
Gli antefatti storici e il retroterra teologico
a) fondamento apostolico
b) la nascita delle diverse tradizioni teologiche e spirituali
 la lettura e interpretazione della Scrittura
 il mistero trinitario
1.2.
Le origini storiche delle divisioni delle Antiche Chiese Orientali:
le controversie cristologiche del V secolo
a) le posizione di Nestorio e di Cirillo;
b) la comprensione “equivoca” di physis: per alcuni era sinonimo di ousia (gli
antiocheni), per altri di hypostasis (gli alessandrini);
c) una sequenza “altalenante” di scelte conciliari da Efeso al Costantinopolitano II;
d) la scelta di Efeso porta ad una divisione all’interno della chiesa antiochena
 la Chiesa assira (siro-orientale, ad est dell’Eufrate), che si definisce “chiesa
d’Oriente”, non accolse Efeso, ed è per questo che è stata denominata
nestoriana. Comunque, si deve precisare che già nel 424 la Chiesa di SeleuciaCtesifonte aveva decretato la piena autonomia da Antiochia. Solo nel 484 il
concilio di Beth-Lapat adottò la cristologia nestoriana. Tale chiesa venera
Nestorio come santo;
 la chiesa siro-occidentale, seguendo l’accordo fatto dal vescovo Giovanni con
Cirillo nel 433, accolse Efeso;
e) la formula dogmatica di Calcedonia causa ulteriori divisioni tra le Chiese, in
quanto alcune non la accettano.
 Si tratta della chiesa …
• egiziana, denominata copta (dal greco aigyptos = Egitto, che diventa
qibt in arabo e coptus in latino1), che rifiuta la formula calcedonese
perché la considera nestoriana;
• siro-occidentale. «Pur orientata per mentalità al duofisismo, ricusò il
concilio di Calcedonia: per quanto i raffinati prodotti della teologia
più ellenizzata fossero potuti penetrare da queste parti, non si può
che leggere nella scelta complessiva il grido di indignazione contro
la tirannia politica e fiscale della corte bizantina»2;
• armena, che solo nel VI secolo rigetta formalmente e ufficialmente il
concilio di Calcedonia. Ancora una volta le ragioni sono da ricercare
nelle vicende politiche: «La svolta decisiva in senso antibizantino e,
quindi, anticalcedonita degli armeni ci sembra in gran parte dovuta
alla politica giustinianea che segnò la solenne proclamazione delle
intenzioni bizantine sull’Armenia, tese praticamente a fare di questa
una provincia dell’Impero»3.
 Per questo furono definite “monofisite” ma in realtà si deve distinguere il
monofismo reale (quello di Eutiche) dal monofismo verbale (si pensi soprattutto
a Severo, patriarca di Antiochia).
Cf. M. SHERIDAN, Le Chiese della tradizione alessandrina: copta, etiopica, eritrea, in Credere Oggi 25 (2005) n. 147, p. 21.
Questo fascicolo della rivista Credere Oggi, il n. 147, è interamente dedicato alle Antiche Chiese Orientali [da ora in poi
lo indicherò semplicemente con CredOg]. Da qui sono presi anche la cartina a pag. 1 di questi fogli (cf. CredOg, p. 150)
e il prospetto della situazione attuale delle Chiese orientali a pag. 4 di questi fogli (cf. CredOg, p. 149).
2 F. CARCIONE, Le Antiche Chiese Orientali, in CredOg, p. 13.
3 L.B. ZEKIYAN, L’armenia e gli armeni, Edizioni Guerini e Associati, Milano 2000, pp. 118-119, citato da R.
KENDIRJIAN, La tradizione ecclesiale armena, in CredOg, p. 82.
1
Le Antiche Chiese Orientali
3
 Una minoranza delle Chiese alessandrine e antiochene accolse il concilio: i
fedeli furono definiti melkiti per l’accettazione della linea dell’imperatore e
diedero vita al patriarcato greco-ortodosso di Alessandria e di Antiochia.
 Nel V secolo, sulla tomba del monaco Marone, sorge la chiesa maronita, di
tradizione siro-occidentale, che «rappresentò in Oriente l’unico caso di
un’opzione calcedonese non fagocitata dal rito bizantino»4. Questa chiesa
non ha mai rotto la comunione con la Chiesa di Roma.
1.3.
Precisazione dell’identità e sviluppo di queste Chiese
a) Le Chiese alessandrine e siro-occidentali
Nel 542 o 543 il patriarca di Alessandria Teodosio ordinò Giacomo Baradeo vescovo di
Edessa e questi viaggiò per tutto l’Oriente per provvedere ai bisogni pastorali dei noncalcedoniani ordinando numerosi vescovi (per questo tale Chiesa fu anche denominata giacobita)5.
La conquista dell’Egitto da parte degli arabi nel 641-642 (nel 635 era caduta nelle loro
mani la Persia e nel 636 Antiochia) mise fine ad ogni tentativo di recuperare i non-calcedonesi.
b) Le altre Chiese di tradizione alessandrina: la Chiesa etiopica e quella eritrea
c) La Chiesa assira
d) Le Chiese in India
I fedeli indiani che aderirono al cristianesimo per l’attività missionaria che la Chiesa
persiana realizzò in Malabar, soprattutto nel VI e VII secolo, furono anche detti “cristiani di san
Tommaso” ed erano legati canonicamente e liturgicamente alla Chiesa siro-orientale.
Nel XVI secolo i missionari portoghesi imposero l’interruzione dei rapporti di queste
Chiese con la Chiesa assira, l’adozione del rito latino e la soppressione dello stato metropolitano
autonomo della sede dei cristiani di san Tommaso (sinodo di Diamper nel 1599).
Dopo diverse traversie, il 20 febbraio 1700 papa Innocenzo XII eresse il vicariato
apostolico di Malabar per i cattolici orientali, ponendoli sotto la giurisdizione di “Propaganda
Fide”. Prima di quella data, «arrivate a Roma notizie sugli eventi tragici [che si stavano
consumando in India], papa Alessandro VII (1655-1667) mandò due commissari apostolici italiani:
padre Giuseppe di Santa Maria (Sebastiani) e padre Giacinto di San Vincenzo, entrambi
carmelitani scalzi […] il 22 febbraio 1659 Giuseppe di Santa Maria raggiunse Roma e sottopose a
“Propaganda Fide” il suo rapporto sulla chiesa indiana. Su raccomandazione della Congregazione
il papa decise di nominarlo vescovo titolare di Hierapolis e di rimandarlo in Malabar come
commissario apostolico […] concedendogli ampie facoltà per affrontare la situazione in loco. […]
Falliti tutti i tentativi di riconciliazione, l’1 febbraio 1663 mons. Giuseppe pubblicamente e
definitivamente scomunicò il falso vescovo Mar Tommaso dalla chiesa cattolica»6. Tommaso negli
anni 1648-1649, quando era arcidiacono dei cristiani di San Tommaso, aveva scritto delle lettere a
Roma e ad alcuni patriarchi orientali, descrivendo i torti subiti; non ricevendo alcun credito, il 3
gennaio 1653 decise, con un gruppo di sacerdoti e fedeli, di non obbedire più al vescovo latino e il
22 maggio dello stesso anno fu consacrato metropolita da dodici sacerdoti che gli imposero le
mani. Dopo la scomunica del 1663, Mar Tommaso allacciò «rapporti con il patriarca della chiesa
siro-ortodossa di Antiochia, chiamata nel corso della storia monofisita, pre-calcedonese, giacobita,
antica orientale e siro-occidentale»7 e nacque così la chiesa ortodossa malankarese. Il suo primo
vescovo consacrato validamente fu Mar Tommaso VI, consacrato nel gennaio 1772 da due vescovi
siro-ortodossi, che dopo la consacrazione prese il nome di Mar Dionisio I.
CARCIONE, p. 14.
Cf. M. AL-JAMIL, Le Chiese di tradizione siro-occidentale, in CredOg, p. 58.
6 P. PALLATH, Le Chiese Orientali dell’India, in CredOg, pp. 101-102.
7 Ivi, p. 105.
4
5
Le Antiche Chiese Orientali
4
e) La Chiesa armena
Fondamentale per la storia del popolo armeno, e quindi della chiesa armena, è la battaglia
di Avarayr (451) dove moltissimi armeni persero la vita per resistere all’invasione persiana che
mirava ad assimilare culturalmente e religiosamente le popolazioni conquistate. Fu questo evento,
o meglio il martirio vissuto dal popolo, a far sì che «l’annuncio cristiano, già penetrato nella
compagine politica e sociale del paese con la conversione ufficiale del regno, già assimilato nel
patrimonio culturale della nazione con la creazione del proprio alfabeto e la conseguente
formazione di una letteratura cristiana e nazionale a un tempo, raggiunge il radicamento più
profondo nella coscienza collettiva del popolo»8.
1.4.
I rapporti con la Chiesa di Roma
a) Le Chiese siro-orientali
I primi tentativi di ristabilimento dell’unione con Roma furono fatti dal missionario
francescano Giovanni da Montecorvino (1247-1328). Un ristabilimento ufficiale della comunione
con Roma fu sancito nel 1552; «la parte cattolica prese il nome di chiesa caldea (denominazione data
da papa Eugenio IV al concilio di Firenze [nella Benedictus sit Deus del 1445], mentre quella
rimasta indipendente preferì il nome di chiesa assira o d’Oriente»9.
C’è un patriarca caldeo in modo ininterrotto dal 1783. Uno strappo nei rapporti tra Chiesa
Caldea e Roma si ebbe in occasione del Vaticano I quando il patriarca Giuseppe VI Audo si schierò
con gli anti-infallibilisti; strappo ricucito dall’intenso lavoro ecumenico del patriarca Elia XIV e di
papa Leone XIII, culminato con la lettera enciclica Orientalium dignitas del 189510.
b)
c)
d)
e)
Le Chiese siro-occidentali
Le Chiese alessandrine
La Chiesa armena
Le Chiese orientali cattoliche in India
KENDIRJIAN, pp. 80-81.
P. NAJIM, Le Chiese gemelle d’Oriente: la Chiesa assira e la Chiesa caldea, in CredOg, p. 37.
10 Per celebrarne il centenario Giovanni Paolo II ha scritto la lettera apostolica Orientale lumen il 2 maggio 1995.
8
9
Le Antiche Chiese Orientali
1.5.
5
Una lezione per l’ecumenismo
a) Sullo stile e lo spirito del confronto teologico e del dialogo ecumenico
La ricerca ecumenica «si sforza di entrare nell’ottica dell’altro, di capirla per quanto è
possibile con simpatia e consonanza. È una disputa all’incontrario, una disputa d’amore, in cui le
parti cercano di capire e giustificare non il proprio punto di vista, ma quello del loro interlocutore.
Un tale sforzo e un tale metodo, lungi dall’essere un romanticismo infondato, si fondano su
principi evangelici e cattolici largamente accettati»11. E tali principi possono essere così
enumerati12:
 certezza che lo Spirito Santo protegge l’integrità della testimonianza della
fede della Chiesa
 riconoscimento dell’apostolicità delle Chiese dell’Oriente,
 ricorso alla tradizione indivisa qualora le diverse tradizioni avessero assunto
posizioni apparentemente contraddittorie,
 capacità di leggere la propria tradizione particolare all’interno di tutta la sua
storia e non solo degli ultimi o più diffusi sviluppi.
b) Liberarsi dai condizionamenti esterni e dalle logiche estranee alla fede
c) Fondare tutto sulla conoscenza reciproca e sull’ecumenismo spirituale, nella
prospettiva di un ecumenismo del Popolo di Dio
L’esito delle unioni ufficiali sancite al concilio di Firenze con le diverse Chiese orientali
mostra la necessità di porre qui il fondamento di ogni dialogo ecumenico. Lo mette in luce con
estrema lucidità lo storico domenicano padre Gerardo Cioffari:
Le carenze dell’ecumenismo teologico risaltano tutte dalla vicenda del concilio di Firenze del
1439. In quel concilio l’approccio teologico fu umanamente perfetto. Il dialogo era intenso, e così le
dispute e le controversie. La libertà di espressione era garantita, fino al punto da portare a vivaci
contrasti. Domenicani e francescani facevano tutto il possibile affinché le sessioni che si tenevano nelle
loro chiese fossero confortevoli e i documenti, anche rari, a disposizione delle due parti. I Greci erano
rappresentati da uomini di grande cultura come Bessarione, Isidoro di Kiev, Giorgio Scholario e Marco
di Efeso. Non mancavano rappresentanti di altre chiese, come quella russa. Al termine di un anno di
dispute e dialoghi, con pochissime eccezioni (importante quella di Marco di Efeso) tutti firmarono la
pace e l’unione ecclesiale. Si cantò il Te Deum e si annunciò a tutti: Si allietino i cieli ed esulti la terra. Ma
l’esultanza non durò a lungo. Il papa non fu in grado, come i papi dei secoli precedenti, di spingere i
principi a prendere le armi e difendere Costantinopoli. La città nel 1453 cadeva rovinosamente nelle
mani di Maometto II il Conquistatore. Un evento che diede fiato alle trombe dei nemici dell’unione.
Infatti, sembrava ovvio che il Signore avesse punito gli ortodossi greci che avevano tradito la fede
piegandosi all’unione con l’eretica Chiesa di Roma. E mentre in Russia si sviluppava la teoria di Mosca
terza Roma, nel mondo bizantino si alternavano patriarchi favorevoli e contrari all’unione, finché ai primi
del Cinquecento l’estraneazione delle due Chiese ristabilì de facto la divisione. Era fallito, dunque,
persino il più grande sforzo di dialogo nella storia della Chiesa. L’insegnamento del concilio di Firenze è
questo: Il dialogo teologico e delle gerarchie ecclesiastiche è necessario, ma insufficiente. Qualsiasi riunione
teologica o gerarchica è destinata a fallire. Per rendere efficace il dialogo teologico è necessario
preventivamente ristabilire il rispetto, la carità e la fiducia reciproca tra i fedeli delle rispettive
confessioni. È necessario cioè l’ecumenismo del Popolo di Dio. Ma affinché il popolo di Dio cresca nella
sensibilità ecumenica deve conoscere i cristiani di altre confessioni, stare a contatto gomito a gomito.
Solo così capirà che le reciproche calunnie dei secoli scorsi non avevano alcun fondamento13.
R. TAFT, Messa senza consacrazione? Lo storico accordo sull’Eucaristia tra la Chiesa cattolica e la Chiesa assira d’Oriente
promulgato il 26 ottobre 2001, in Divinitas 47 (2004) num. spec., p. 81.
12 Cf. ivi, pp. 81-82.
13 G. CIOFFARI, S. Nicola e la sua Basilica nel movimento ecumenico attuale, in Nicolaus 35 (2008) p. 24.
11
Le Antiche Chiese Orientali
2.
6
I DIALOGHI ECUMENICI CONTEMPORANEI
2.1.
Il dialogo ecumenico e i suoi frutti
2.2.
Le dichiarazioni comuni
a) In dialogo con la Chiesa armena
 Dichiarazione comune riguardo la ricerca della piena unità di Paolo VI e del
catholicos di Etchmiadzin Vasken I del 12 maggio 1970.
 Dichiarazione comune di Giovanni Paolo II e del catholicos Karekin I del 13
dicembre 1996.
 Dichiarazione comune di Giovanni Paolo II e del catholicos di Cilicia Aram I
del 1997.
b) In dialogo con la Chiesa copta
 Dichiarazione comune di Paolo VI e di papa Shenouda III del 10 maggio 1973.
 La Commissione mista approvò nel 1988 una breve formula cristologica che
riassumeva l’essenza della Dichiarazione comune del 1973.
c) In dialogo con le Chiese di tradizione siro-occidentale
 Dichiarazione comune di Giovanni Paolo II e del patriarca siro-ortodosso
Ignatius Zakka I del 23 giugno 1984.
• Vi si afferma che le due chiese professano la stessa fede in Cristo.
• «Un brano importante della Dichiarazione comune riguarda la
collaborazione pastorale: […]. Per la prima volta nell’ecumenismo
contemporaneo la chiesa cattolica e un’altra chiesa accettavano
reciprocamente e autorizzavano una tale possibilità»14.
 La commissione mista per il dialogo tra la Chiesa cattolica e la Chiesa
ortodossa siro-malankarese ha elaborato un Accordo dottrinale cristologico,
approvato dalle autorità delle due chiese e reso pubblico il 3 giugno 1990.
d) In dialogo con la Chiesa assira
 Dichiarazione cristologica comune di Giovanni Paolo II e del patriarca della
Chiesa assira dell’Oriente dell’11 novembre 1994.
• È interessante mettere a confronto questa Dichiarazione e il suo stile
con il contenuto e lo stile della Benedictus sit Deus (1445).
• Significative sono anche le parole che Giovanni Paolo II dedicò alla
Dichiarazione pochi giorni dopo la firma: «Il dialogo sereno e
approfondito con i fratelli della chiesa assira dell’Oriente ha
permesso di superare le incomprensioni che si verificarono in
occasione di tale concilio [quello di Efeso] e oggi condividiamo la
gioia di constatare che al di là di accenti teologici differenziati, unica
è la nostra fede in Cristo, vero Dio e vero uomo, e ugualmente
grande è il nostro amore per Maria, sua Madre santissima»15.
 Successivamente «il 15 agosto 1997 il patriarca Mar Dinkha IV (assiro) e il
patriarca Mar Raphael I Bidawid (caldeo) il 15 agosto 1997 hanno ratificato
un Decreto sinodale congiunto per la promozione dell’unità, firmato dai membri
dei sinodi di entrambe le chiese.
14
15
J. BONNY, Il dialogo ecumenico tra la Chiesa cattolica e le Antiche Chiese dell’Oriente, in CredOg, pp. 115-116.
Messaggio all’Angelus del 13 novembre 1994, cit. da NAJIM, nota 29 a p. 49.
Le Antiche Chiese Orientali
2.3.
7
Una lezione per l’ecumenismo
 Distinguere adeguatamente il contenuto della fede dalla sua formulazione
Giovanni XXIII fece di questa prospettiva l’orientamento fondamentale dei lavori del
Vaticano II. Di una disarmante chiarezza sono, infatti, le parole che pronunciò nel discorso di
apertura del Concilio.
3.
LE RICCHEZZE TEOLOGICHE E SPIRITUALI
DELLE ANTICHE CHIESE ORIENTALI
3.1.
Un caso emblematico: l’anafora di Addai e Mari
E’ una delle tre anafore prescritte dalla Chiesa assira per la celebrazione dell’eucaristia (con
quella di Nestorio e quella di Teodoro di Mopsuestia).
La sua particolarità è la mancanza delle parole dell’Istituzione (a differenza delle anafore di
Nestorio e di Teodoro nelle quali ci sono).
a) Il problema posto alla teologia latina dell’Eucaristia
Per la teologia latina la particolarità dell’Anafora costituisce un serio problema, in quanto
considera le parole dell’Istituzione come essenziali per la validità del sacramento. Ne è una riprova
il fatto che i missionari latini costrinsero i caldei e i malabaresi ad inserirle nell’anafora.
b) Il pronunciamento autorevole del magistero della Chiesa cattolica
Il 20 luglio 2001 il Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani ha
emanato un documento, elaborato unitamente alla Congregazione per la Dottrina della Fede e alla
Congregazione per le Chiese Orientali, dal titolo: Orientamenti per l’ammissione all’Eucaristia fra la
chiesa caldea e la chiesa assira dell’Oriente. Il testo, pubblicato il 26 ottobre dello stesso anno con un
articolo che ne chiarisce il contesto, il contenuto e l’applicazione pratica delle disposizioni ivi
contenute, rappresenta «un decreto epocale […] che riconosce la validità del sacrificio eucaristico
celebrato secondo la redazione originale dell’Anafora di Addai e Mari, ossia senza le parole
dell’Istituzione»16.
C’è chi lo ritiene «il più importante documento magisteriale cattolico dal Vaticano II in
poi»17 o chi giudica il risultato raggiunto «un autentico miracolo, vera opera dello Spirito
Santo»18.
c) Il carattere pastorale degli Orientamenti
d) La rilevanza teologica degli Orientamenti
TAFT, p. 76.
Ivi, p. 77.
18 C. GIRAUDO, L’anafora degli apostoli Addai e Mari: la “gemma orientale” della lex orandi, in Divinitas 47 (2004) num.
spec., pp. 122-123. Questo articolo riprende per intero, con piccoli ampliamenti ed un più ricco apparato critico,
l’articolo già pubblicato dall’autore con il titolo Addai e Mari, l’anafora della Chiesa d’Oriente: «ortodossa» anche senza le
parole istituzionali, in Rivista liturgica 89 (2002) pp. 205-215.
16
17
Le Antiche Chiese Orientali
8
e) L’invito rivolto al ministro della Chiesa assira
È una disposizione che merita di essere positivamente accolta per la rilevanza ecumenica
che assume. Infatti, «da un punto di vista ecumenico, può essere un’espressione corretta di rispetto
fraterno per i membri di altre Chiese che ricevono la Santa Comunione nella Chiesa assira
dell’Oriente e sono abituati, secondo la tradizione teologica e canonica della propria Chiesa, ad
ascoltare la recita delle parole dell’Istituzione in ogni preghiera eucaristica»19.
3.3.
Una lezione per l’ecumenismo
a) Non assolutizzare il proprio punto di vista e la propria prospettiva teologica
La storia della recezione dell’Anafora di Addai e Mari mostra che i liturgisti e i pastori non
furono in grado e non si preoccuparono di «spogliarsi della loro forma mentis incapace di mettersi
alla scuola della lex orandi»20.
b) Cogliere la diversità come ricchezza
Particolarmente viva al riguardo resta la lezione conciliare di UR 17.
Giovanni Paolo II se ne è fatto eco. Vent’anni dopo la promulgazione del Decreto
conciliare, «nella visita alla chiesa di Bari il 26 febbraio 1984, incontrando il metropolita ortodosso
di Myra Krisostomos Kostantinidis nella cripta della Basilica di san Nicola, il papa pronunciò un
discorso sulla vocazione ecumenica della Chiesa:
Il Vescovo di Roma viene pellegrino al sepolcro del santo vescovo di Myra e in lui rende
omaggio alla Chiesa d’Oriente. L’unità è il frutto maturo dello Spirito; essa è la forma che soltanto
l’amore può dare alla vita: essa non è assorbimento e neppure fusione. Le due chiese sorelle, d’Oriente e
d’Occidente, oggi comprendono che senza un ascolto reciproco delle ragioni profonde che sottendono in
ciascuna la comprensione di ciò che la caratterizza, senza un dono reciproco dei tesori della genialità, di
cui ciascuna è portatrice, la Chiesa di Cristo non può manifestare la piena maturità di quella forma
ricevuta all’inizio del Cenacolo. L’univa via percorribile passa per la dilatazione della mente e del cuore,
che ogni incontro presuppone.
Il completamento auspicato nella condivisione della “differente interpretazione delle fonti
comuni” (Y. Spiteris) non fa altro che porre in maggior risalto la sovrabbondante e multiforme
ricchezza del mistero di Cristo»21.
Una decina d’anni dopo, nella Lettera apostolica Orientale lumen ha ripreso il testo
conciliare e l’ha commentato con meravigliosa profondità.
L’Osservatore Romano, 26 ottobre 2001
GIRAUDO, p. 120. La necessità che la teologia, e di conseguenza la prassi pastorale, si metta alla scuola della lex
orandi è ben espressa nelle pagine seguenti dallo stesso Giraudo: «Possiamo affermare che, con questa dichiarazione, la
sistematica occidentale del secondo millennio si arrende all’evidenza – ma si arrende con l’onore delle armi! –, quasi a
dire: “Abbiamo esagerato con le nostre assolutizzazioni e incondizionate certezze, con i nostri sistematici sospetti, con
le nostre facili esclusioni. Abbandoniamo dunque la guida assoluta delle nostre teste pensanti, rimettiamoci con fiducia
alla scuola della lex orandi! Sarà essa a dirci che cosa l’Eucaristia è, e come la Chiesa di sempre la fa”» (ivi, p. 123).
21 J.P. LIEGGI, Elementi di una teologia ecumenica al servizio dell’incontro tra Oriente e Occidente, in Credere Oggi 29 (2009)
n. 174, pp. 130-131.
19
20
Le Antiche Chiese Orientali
9
DOCUMENTAZIONE
I.
In Egitto, nella Libia e nella Pentapoli sia mantenuta
l’antica consuetudine per cui il vescovo di Alessandria
abbia autorità su tutte quelle provincie, come è
consuetudine anche per il vescovo di Roma.
Ugualmente ad Antiochia e nelle altre provincie siano
conservati alle chiese i loro privilegi.
(can 6 del concilio di Nicea; COD 8-9)
II.
Professiamo perciò il signore nostro Gesù Cristo, il
Figlio di Dio, l’Unigenito, Dio perfetto e uomo
perfetto per anima razionale e corpo, nato dal Padre
prima dei tempi secondo la divinità, e negli ultimi
giorni egli stesso per noi e per la nostra salvezza nato
da Maria Vergine secondo l’umanità, consustanziale al
Padre secondo la divinità e consustanziale con noi
secondo l’umanità. Infatti è avvenuta l’unione di due
nature (duvo ga;r fuvsewn e{nwsi").
Perciò professiamo un solo Cristo, un solo Figlio, un
solo Signore. Secondo questo concetto dell’unione
senza confusione, professiamo la santa Vergine Madre
di Dio (qeotovkon), perché il Dio Logos si è incarnato e
si è fatto uomo e per questo concepimento ha unito a
sé il tempio che ha assunto da lei.
Quanto alle espressioni che gli evangelisti e gli
apostoli riferiscono al Signore, sappiamo che quegli
uomini che parlavano di Dio alcune le hanno
considerate in comune, riferendole all’unico prosopon,
altre invece le hanno divise, riferendole alle due
nature, e ci hanno trasmesso quelle degne di Dio
secondo la divinità di Cristo e quelle umili secondo la
sua umanità.
(Formula di unione del 433)
III.
Dichiarazione comune di Giovanni Paolo Il
e del catholicos degli Armeni Karekin I
(Roma, 13 dicembre 1996)
Mentre si accingono a concludere il loro solenne
incontro, nella profonda convinzione del suo
significato particolare per la continuità delle relazioni
tra la Chiesa cattolica e la Chiesa apostolica armena,
sua santità papa Giovanni Paolo II, vescovo di Roma, e
sua santità Karekin I, patriarca supremo e catholicos di
tutti gli armeni, rendono umilmente grazie al Signore
e Salvatore Gesù Cristo che ha permesso loro
d’incontrarsi nel suo amore, per pregare insieme, per
un fecondo dibattito sul loro comune desiderio di
ricercare una più perfetta unità nello Spirito Santo, e
per uno scambio di vedute sul modo secondo il quale le
loro chiese possono dare una più efficace testimonianza
al Vangelo in un mondo che va verso un nuovo
millennio nella storia della salvezza.
Papa Giovanni Paolo II e il catholicos Karekin I
prendono atto della profonda comunione spirituale che
già li unisce, e unisce i vescovi, il clero e i fedeli delle
loro chiese. Si tratta di una comunione con radici
profonde nella comune fede nella Trinità santa e
vivificante, fede proclamata dagli apostoli e trasmessa
attraverso i secoli dai tanti padri e dottori della chiesa,
da vescovi, sacerdoti, martiri alla loro sequela. Essi
constatano con gioia che i recenti sviluppi delle
relazioni ecumeniche e le discussioni teologiche,
condotte in spirito di amore cristiano e di fratellanza,
hanno dissipato molti dei malintesi ereditati dalle
controversie e dai dissensi del passato. Tali dialoghi e
incontri hanno preparato una salubre situazione di
comprensione reciproca e il ristabilimento di una più
profonda comunione spirituale basata sulla fede
comune nella santa Trinità, che le due chiese hanno
condiviso e condividono per mezzo del vangelo di
Cristo e nella santa tradizione della chiesa.
Essi prendono atto con particolare soddisfazione del
grande progresso compiuto dalle loro chiese nella loro
comune ricerca dell’unità in Cristo, il verbo di Dio
fatto carne. Dio perfetto nella sua divinità, uomo
perfetto nella sua umanità, la sua divinità è unita alla
sua umanità nella persona dell’unigenito Figlio di Dio,
in una unione che è reale, perfetta, senza confusione,
senza alterazione, senza divisione, senza forma di
separazione alcuna. La realtà di questa fede comune in
Gesù Cristo e nella stessa successione del ministero
apostolico è stata a volte oscurata o ignorata. Fattori
linguistici, culturali e politici hanno in sommo grado
contribuito all’insorgere di quelle divergenze
teologiche che hanno trovato espressione nella loro
terminologia di formulazione delle loro dottrine. Sua
santità papa Giovanni Paolo II e sua santità Karekin I
hanno espresso la ferma convinzione che, in virtù della
comune e fondamentale fede in Dio e in Gesù Cristo, e
quale risultato della presente dichiarazione, le
controversie e le deplorevoli divisioni a volte derivate
dai modi divergenti di esprimere tale fede, non
dovrebbero più continuare a influire negativamente
sulla vita e la testimonianza della chiesa oggi. Essi
dichiarano umilmente davanti a Dio il loro dolore per
queste controversie e dissensi, nella determinazione di
estirpare dalla mente e dalla memoria delle loro chiese
l’amarezza, le reciproche recriminazioni, e persino
l’odio che si sono manifestati in passato, e che possono
ancora oggi velare le relazioni veramente fraterne e
genuinamente cristiane tra le autorità e i fedeli di
entrambe le chiese, specie nel modo in cui tali relazioni
sono andate sviluppandosi in tempi recenti.
Le Antiche Chiese Orientali
10
IV.
Non siamo noi eretici o scismatici, come voi credete,
ma siamo ortodossi, secondo la confessione dei nostri
Padri spirituali, ed anatematizziamo per nome tutti gli
eretici: Ario, Macedonio, Nestorio, Eutiche e tutti
quelli che pensano come loro. Infatti, anche se diciamo
una la natura di Cristo, che vi pare sia eutichiano, però
vi aggiungiamo: inconfusa. Se non dicessimo
inconfusa, sarebbe un’eresia abominevole. Esattamente
come quando voi dite “due nature”, che è simile a
quanto diceva Nestorio, ma aggiungete indivise. Se
non aggiungeste “indivise” dicendo due le nature,
sarebbe un’eresia abominevole. Invece, mentre noi
diciamo una la natura inconfusa, voi dite due le nature
indivise. Ed unico e ugualmente corretto è il senso di
ambedue le espressioni.
(lettera del catholicos Movses III Tatevatsi,
del vescovo Khacatur Kesaratsi e del vardapet Aristakes
a papa Urbano VIII, 17 agosto 1626)
V.
Noi crediamo che il nostro Signore, Dio e Salvatore
Gesù Cristo, il Logos incarnato, è perfetto nella sua
divinità e perfetto nella sua umanità. Egli ha reso la
sua umanità una cosa sola con la sua divinità, senza
commistione né mescolanza, né confusione. La sua
divinità non si è separata dalla sua umanità neppure
per un momento o un battito di ciglia. Al tempo
stesso, noi anatematizziamo le dottrine sia di Nestorio
sia di Eutiche.
(Formula breve sulla cristologia,
12 febbraio 1988)
VI.
Dichiarazione comune di Giovanni Paolo II e
del Patriarca siro d’Antiochia Moran Mar Ignatius
Zakka I Iwas (Roma, 23 giugno 1984)
Il Santo Padre e il Patriarca siro ortodosso d’Antiochia
Sua Santità Moran Mar Ignatius Zakka I Iwas, hanno
sottoscritto la seguente dichiarazione comune:
1. Sua Santità Giovanni Paolo II, Vescovo di Roma,
Papa della Chiesa cattolica e sua Santità Moran Mar
Ignatius Zakka I Iwas, Patriarca d’Antiochia e di tutto
l’Oriente, Capo supremo della Chiesa siro ortodossa
universale, si inginocchiano in tutta umiltà di fronte al
trono esaltato e magnificato di nostro signore Gesù
Cristo, rendono grazia per questa mirabile opportunità
che è stata loro concessa di incontrarsi insieme nel suo
amore, per rafforzare ancora di più le relazioni tra le
nostre due Chiese sorelle, la Chiesa di Roma e la
Chiesa siro ortodossa d’Antiochia, relazioni già
eccellenti, grazie all’iniziativa intrapresa in comune da
sua Santità di felice memoria, papa Paolo VI e sua
Santità di felice memoria, Moran Mar Ignatius Jacoub
III.
2. È solenne desiderio di sua Santità Giovanni Paolo II
e di sua Santità Zakka I, di dilatare l’orizzonte della
loro fraternità e affermare, così facendo, le modalità
della profonda comunione spirituale che li unisce ed
unisce i prelati, il clero e i fedeli di entrambe le loro
Chiese, per consolidare questi legami di fede, speranza
e carità e progredire nella ricerca di una completa e
comune vita ecclesiale.
3. Innanzitutto, sua Santità Giovanni Paolo II e sua
Santità Zakka I confessano la fede delle loro due
Chiese, fede formulata dal Concilio di Nicea del 325
d.C., comunemente conosciuto come “Credo di Nicea”.
Essi comprendono oggi che le confusioni e gli scismi
avvenuti tra le loro Chiese nei secoli successivi, in
nessun modo intaccano o toccano la sostanza della
loro fede, poiché tali confusioni e scismi avvennero
solo a causa di differenze nella terminologia e nella
cultura e a causa delle varie formule adottate da
differenti scuole teologiche per esprimere lo stesso
argomento. Conseguentemente, non troviamo oggi
nessuna base reale per le tristi divisioni e per gli scismi
che avvennero poi tra di noi circa la dottrina
dall’incarnazione. Con le parole e nella vita, noi
confessiamo la vera dottrina su Cristo nostro Signore,
malgrado le differenze nell’interpretazione di questa
dottrina che sorsero all’epoca del Concilio di
Calcedonia.
4. Pertanto desideriamo riaffermare solennemente la
nostra professione di fede comune nell’incarnazione di
nostro signore Gesù Cristo, come hanno affermato nel
1971 papa Paolo VI e il patriarca Moran Mar Ignatius
Jacoub III. Essi negarono che vi fossero delle
differenze nella fede da loro confessata nel mistero del
Verbo di Dio divenuto carne e fatto uomo. A nostra
volta noi confessiamo che egli si è incarnato per noi,
assumendo un vero corpo e un’anima razionale. Egli
ha condiviso in tutto la nostra umanità eccetto il
peccato. Noi confessiamo che il nostro Signore e
nostro Dio, il nostro salvatore e re di ogni cosa, Gesù
Cristo, è perfetto Dio quanto alla sua divinità e
perfetto uomo quanto alla sua umanità. In lui la sua
divinità è unita alla sua umanità. Quest’unione è reale,
perfetta, senza mescolanza o commistione, senza
confusione, senza alterazione, senza divisione, senza la
minima separazione. Egli che è Dio eterno e
indivisibile, è diventato visibile nella carne e ha preso
la forma di un servo. In lui umanità e divinità sono
unite in un modo reale, perfetto, indivisibile e
inseparabile, e in lui tutte le sue proprietà sono
presenti e attive.
5. Poiché abbiamo la stessa concezione di Cristo,
confessiamo anche la stessa concezione del suo
mistero. Incarnato, morto e di nuovo risorto, il nostro
Signore, Dio e Salvatore ha trionfato sul peccato e
sulla morte. Per mezzo di lui, durante il tempo che va
dalla Pentecoste alla sua seconda venuta, periodo che è
anche la fase ultima del tempo, è dato all’uomo di fare
l’esperienza della nostra creazione, il regno di Dio,
lievito trasformatore (cf. Mt 13, 33), già presente in
mezzo a noi. Per questo, Dio ha scelto un nuovo
popolo, la sua Chiesa santa che è il corpo di Cristo. Per
mezzo della parola e per mezzo dei sacramenti, lo
Spirito Santo agisce nella Chiesa per chiamare ognuno
di noi e farci membri del corpo di Cristo. Coloro che
credono sono battezzati nello Spirito Santo, nel nome
della Santa Trinità, per formare un solo corpo e,
attraverso il sacramento dell’unzione della Cresima
(Confermazione), la loro fede è resa perfetta e
Le Antiche Chiese Orientali
rafforzata dallo stesso Spirito.
6. La vita sacramentale trova nella santa Eucaristia il
suo compimento e il suo vertice, in modo tale che è
attraverso l’Eucaristia che la Chiesa realizza e rivela la
sua natura nel modo più profondo. Attraverso la santa
Eucaristia, l’evento della Pasqua di Cristo si dilata su
tutta la Chiesa. Attraverso il santo Battesimo e la
Cresima, infatti, i membri di Cristo sono uniti dallo
Spirito Santo, sono innestati sul Cristo; e attraverso la
santa Eucaristia la Chiesa diventa ciò che essa è
destinata ad essere attraverso il Battesimo e la
Cresima. Per mezzo della comunione con il Corpo e il
Sangue di Cristo, i fedeli crescono in questa misteriosa
divinizzazione che, attraverso lo Spirito Santo, fa sì
che abitino nel Figlio come figli del Padre.
7. Gli altri sacramenti che la Chiesa cattolica e la
Chiesa siro ortodossa d’Antiochia hanno in comune in
un’unica e stessa successione del ministero apostolico,
cioè i Sacri Ordini, il Matrimonio, la Riconciliazione
dei penitenti e l’Unzione degli infermi, convergono
verso quella celebrazione della santa Eucaristia che è il
fulcro della vita sacramentale e la massima espressione
visibile della comunione ecclesiale. Questa comunione
dei cristiani tra di loro e delle Chiese locali raccolte
attorno ai loro legittimi vescovi, si realizza
nell’assemblea comunitaria che confessa la stessa fede,
che tende nella speranza verso il mondo che verrà,
nell’attesa del ritorno del Salvatore ed è unita dallo
Spirito Santo che abita in essa con un amore che non
viene mai meno.
8. Dal momento che essa è la massima espressione
dell’unità cristiana tra i fedeli e tra i vescovi e i
sacerdoti, la santa Eucaristia non può ancora essere
celebrata tra noi. Una tale celebrazione presuppone
una completa identità di fede, identità di fede che
ancora non esiste fra di noi. Alcune questioni, in
effetti, necessitano ancora di essere risolte per quanto
si riferisce alla volontà del Signore per la sua Chiesa,
come anche per quanto riguarda implicazioni
dottrinali e particolari canonici delle tradizioni proprie
alle nostre comunità, che sono rimaste troppo a lungo
nella separazione.
9. La nostra identità di fede, per quanto non ancora
completa, ci permette tuttavia di prevedere la
collaborazione tra le nostre Chiese nella cura
pastorale, in situazioni che, al giorno d’oggi, sono
frequenti, sia a causa della dispersione dei nostri fedeli
attraverso il mondo, sia per le precarie condizioni di
questa difficile epoca. Non è raro il fatto che i nostri
fedeli trovino moralmente o materialmente impossibile
accedere ad un sacerdote della loro propria Chiesa. Nel
desiderio di venire incontro alle loro necessità e
avendo a mente il loro vantaggio spirituale, li
autorizziamo, in tali casi, e quando ne hanno bisogno,
a chiedere i sacramenti della Penitenza, dell’Eucaristia
e dell’Unzione degli infermi a sacerdoti legittimi
dell’una o l’altra delle nostre due Chiese sorelle. Dalla
collaborazione pastorale dovrebbe logicamente
derivare la collaborazione nella formazione dei
sacerdoti e nell’educazione teologica. Si incoraggiano i
vescovi a promuovere una compartecipazione nelle
strutture di educazione teologica, ogni qual volta essi
lo giudichino possibile. Nel fare questo, non
11
dimentichiamo certo che è nostro dovere fare ancora
tutto ciò che è nelle nostre capacità per realizzare la
piena comunione visibile tra la Chiesa cattolica e la
Chiesa siro ortodossa d’Antiochia, e imploriamo
incessantemente il nostro Signore di accordarci
quell’unità che è la sola a permetterci di dare al mondo
una testimonianza del Vangelo concorde e unanime.
10. Ringraziando il Signore che ci ha permesso questo
incontro nella gioia consolante della fede che abbiamo
in comune (cf. Rm 1, 12) e che ci ha permesso di
proclamare davanti al mondo il mistero della Persona
del Verbo incarnato e della sua opera di salvezza,
fondamento incrollabile di questa fede comune, ci
impegniamo solennemente a fare tutto ciò che ci sarà
possibile per rimuovere gli ultimi ostacoli che si
frappongono ancora alla piena comunione tra la Chiesa
cattolica e la Chiesa siro ortodossa di Antiochia, per
far sì che, con un solo cuore e con una sola voce, noi
possiamo predicare la parola che è: “la vera luce che
illumina ogni uomo” e “dà il potere di diventare figli di
Dio ai credenti nel suo nome” (cf. Gv 1, 9-12).
VII.
Dichiarazione Cristologica comune
tra la Chiesa Cattolica
e la Chiesa Assira dell’Oriente (11 novembre 1994)
Sua Santità Papa Giovanni Paolo Il, Vescovo di Roma
e Papa della Chiesa cattolica e Sua Santità Mar Dinkha
IV, Catholicos-Patriarca della Chiesa assira
dell’Oriente, rendono grazia a Dio che ha ispirato loro
questo nuovo incontro fraterno.
Essi lo considerano un passo fondamentale del
cammino verso la piena comunione che dovrà essere
ristabilita tra le loro Chiese. In effetti, essi possono,
d’ora in poi, proclamare insieme davanti al mondo la
loro fede comune nel mistero dell’Incarnazione.
Quali eredi e custodi della fede ricevuta dagli Apostoli,
così come essa è stata formulata dai nostri Padri
comuni nel Simbolo di Nicea, noi confessiamo un solo
Signore Gesù Cristo, figlio unigenito di Dio, nato dal
Padre prima di tutti i secoli, il quale, giunta la
pienezza dei tempi, è disceso dal cielo e si è fatto uomo
per la nostra salvezza. Il Verbo di Dio, la seconda
Persona della Santa Trinità, per la potenza dello
Spirito Santo si è incarnato assumendo dalla Santa
Vergine Maria un corpo animato da un’anima
razionale, con la quale egli fu indissolubilmente unito
sin dal momento del suo concepimento.
Perciò il nostro Signore Gesù Cristo è vero Dio e vero
uomo, perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua
umanità, consustanziale con il Padre e consustanziale
con noi in ogni cosa, eccetto il peccato. La sua divinità
e la sua umanità sono unite in un’unica persona, senza
confusione né cambiamento, senza divisione né
separazione. In lui è stata preservata la differenza delle
nature della divinità e dell’umanità, con tutte le loro
proprietà, facoltà ed operazioni. Ma lungi dal
costituire “un altro e un altro”, la divinità e l’umanità
sono unite nella persona dello stesso ed unico Figlio di
Dio e Signore Gesù Cristo, il quale è l’oggetto di una
sola adorazione.
Le Antiche Chiese Orientali
Cristo pertanto non è un “uomo come gli altri” che Dio
avrebbe adottato per risiedere in lui ed ispirarlo, come
è il caso dei giusti e dei profeti. Egli è invece lo stesso
Verbo di Dio, generato dal Padre prima della
creazione, senza principio per quanto è della sua
divinità, nato negli ultimi tempi da una madre, senza
un padre, per quanto è della sua umanità. L’umanità
alla quale la Beata Vergine Maria ha dato la nascita è
stata sempre quella dello stesso Figlio di Dio. Per
questa ragione la Chiesa assira dell’Oriente eleva le
sue preghiere alla Vergine Maria quale “Madre di
Cristo nostro Dio e Salvatore”. Alla luce di questa
stessa fede, la tradizione cattolica si rivolge alla
Vergine Maria quale “Madre di Dio” e anche quale
“Madre di Cristo”. Noi riconosciamo la legittimità e
l’esattezza di queste espressioni della stessa fede e
rispettiamo la preferenza che ciascuna Chiesa dà ad
esse nella sua vita liturgica e nella sua pietà.
Tale è l’unica fede che noi professiamo nel mistero di
Cristo. Le controversie del passato hanno condotto ad
anatemi pronunciati nei confronti di persone o di
formule. Lo Spirito del Signore ci accorda di
comprendere meglio oggi che le divisioni così
verificatesi erano in larga parte dovute a malintesi.
Tuttavia, prescindendo dalle divergenze cristologiche
che ci sono state, oggi noi confessiamo uniti la stessa
fede nel Figlio di Dio che è diventato uomo perché noi,
per mezzo della sua grazia, diventassimo figli di Dio.
D’ora in poi, noi desideriamo testimoniare insieme
questa fede in Colui che è Via, Verità e Vita,
annunciandola nel modo più idoneo agli uomini del
nostro tempo e affinché il mondo creda nel Vangelo di
Salvezza.
Il mistero dell’Incarnazione che noi professiamo
insieme non è una verità astratta ed isolata. Esso
riguarda il Figlio di Dio inviato per salvarci.
L’economia della salvezza, che ha la sua origine nel
mistero della comunione della Santa Trinità - Padre,
Figlio e Spirito Santo - è portata a compimento
attraverso la partecipazione a questa comunione,
secondo la grazia, nella Chiesa una, santa, cattolica e
apostolica, Popolo di Dio, Corpo di Cristo e Tempio
dello Spirito.
I credenti diventano membra di questo corpo
attraverso il sacramento del Battesimo, per il cui
tramite, per mezzo dell’acqua e dell’azione dello
Spirito, essi rinascono come creature nuove. Essi sono
confermati dal sigillo dello Spirito Santo, che il
sacramento dell’unzione conferisce. La loro comunione
con Dio e tra loro è pienamente realizzata dalla
celebrazione dell’unica offerta di Cristo nel sacramento
dell’eucaristia. Tale comunione è ristabilita per i
membri peccatori della Chiesa quando essi sono
riconciliati con Dio e gli uni con gli altri per mezzo del
sacramento
del
Perdono.
Il
sacramento
dell’ordinazione al ministero sacerdotale nella
successione apostolica è garante, in ogni Chiesa locale,
dell’autenticità della fede, dei sacramenti e della
comunione.
Vivendo di questa fede e di questi sacramenti, le
Chiese cattoliche particolari e le Chiese assire
particolari possono, di conseguenza, riconoscersi
reciprocamente come Chiese sorelle. Per essere piena e
12
totale, la comunione presuppone l’unanimità per
quanto riguarda il contenuto della fede, i sacramenti e
la costituzione della Chiesa. Poiché tale unanimità, alla
quale tendiamo, non è stata ancora raggiunta, non
possiamo purtroppo celebrare insieme l’eucaristia che
è il segno della comunione ecclesiale già pienamente
ristabilita.
Tuttavia, la profonda comunione spirituale nella fede e
la reciproca fiducia che già esistono tra le nostre
Chiese, ci autorizzano d’ora in poi a considerare come
sia possibile testimoniare insieme il messaggio
evangelico e collaborare in particolari situazioni
pastorali, tra le quali, e in modo speciale, nel campo
della catechesi e della formazione dei futuri sacerdoti.
Rendendo grazia a Dio che ci ha concesso di riscoprire
ciò che già ci unisce nella fede e nei sacramenti, ci
impegniamo a fare tutto il possibile per rimuovere
quegli ostacoli del passato che impediscono ancora il
raggiungimento della piena comunione tra le nostre
Chiese, per poter rispondere meglio all’appello del
Signore per l’unità dei suoi discepoli, una unità che
deve essere evidentemente espressa in modo visibile.
Per superare tali ostacoli, costituiamo un comitato
misto per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e
la Chiesa assira dell’Oriente.
VIII.
Sia benedetto Dio (Benedictus sit Deus), Padre del signore
nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni
consolazione (2Cor 1,3) che accompagna con molti e
grandi favori, e concede esito più felice di quanto noi
meritiamo al nostro anelito per la salvezza del popolo
cristiano e alle continue attività con cui cerchiamo di
favorirla, come è proprio del nostro ufficio pastorale, e
nella misura in cui ci è concesso dall’alto.
Dopo aver celebrata l’unione della Chiesa orientale
con quella occidentale nel concilio ecumenico
fiorentino e dopo il ritorno degli Armeni, dei Giacobiti
e dei popoli della Mesopotamia, abbiamo inviato il
nostro venerabile fratello Andrea, arcivescovo di
Kolossi, in Oriente e all’isola di Cipro, perché con la
sua predicazione e l’esposizione dei decreti riguardanti
la loro unione e il loro ritorno, confermasse nella fede
ricevuta i Greci, gli Armeni e i Giacobiti residenti in
quelle terre, e, secondo le nostre esortazioni e
ammonimenti, cercasse di ricondurre alla vera fede
quelli di altre sette lontani dalla vera dottrina (quos ex
aliis sectis a vera doctrina alienos), seguaci di Nestorio o
di Macario.
Tutto questo egli lo eseguì con somma diligenza, in
forza della sua sapienza e delle altre virtù ricevute da
Dio, datore di ogni grazia. Infatti dopo varie e
molteplici discussioni, eliminò finalmente dai loro
cuori anzitutto ogni impura dottrina nestoriana, che
asseriva Cristo essere un semplice uomo e la
beatissima Vergine non la madre di Dio ma la madre
del Cristo, poi gli errori di Macario d’Antiochia, uomo
di somma empietà, il quale, pur professando che Cristo
è vero Dio e vero uomo, tuttavia asseriva esservi in lui
solo la volontà e l’operazione divina lasciando poco
spazio alla sua umanità.
Le Antiche Chiese Orientali
Con l’aiuto di Dio egli convertì i nostri venerabili
fratelli Timoteo, metropolita dei Caldei, che fino a quel
momento nell’isola di Cipro erano chiamati nestoriani
in quanto seguaci di Nestorio, ed Elia, vescovo dei
Maroniti, che nello stesso regno era ritenuto
contaminato con tutta la sua nazione dalle dottrine di
Macario, e lo riportò alla vera fede con tutto il popolo
e i chierici dell’isola di Cipro a lui soggetti. A questi
prelati e a tutti i loro fedeli, egli trasmise la fede e la
dottrina che la Chiesa sacrosanta ha sempre coltivato e
osservato e essi l’accolsero con somma venerazione, in
una pubblica e solenne assemblea delle diverse nazioni
del regno, svoltasi nella chiesa metropolitana di Santa
Sofia.
Dopo ciò i Caldei mandarono fino a noi il predetto
Timoteo, loro metropolita, e anche Elia, vescovo dei
Maroniti, ci mandò un inviato perché entrambi
rendessero la solenne professione di fede secondo la
dottrina della Chiesa romana, quella fede che per
l’aiuto del Signore e l’autorità del beato Pietro
apostolo è rimasta sempre incontaminata. Infatti
davanti a noi, in questa sacra congregazione generale
del concilio ecumenico lateranense, il metropolita
Timoteo, con venerazione e devozione, professò quella
stessa fede e dottrina, prima nella sua lingua caldea
trodotta in greco, e poi ritradotta dal greco al latino,
con queste parole: «Io Timoteo, arcivescovo di Tarso,
metropolita dei Caldei di Cipro, per me e per tutte le
popolazioni a me affidate nell’isola di Cipro dichiaro e
prometto solennemente a Dio immortale, Padre, Figlio
e Spirito Santo, e a te, santissimo e beatissimo padre,
Eugenio IV papa, e a questa sacrosanta apostolica sede
e a questa santa e venerabile congregazione, che per
l’avvenire rimarrò sempre nella tua obbedienza e in
quella dei tuoi successori e della sacrosanta chiesa
romana, in quanto unica madre e capo di tutte le altre
chiese.
Allo stesso modo prometto che in avvenire sempre
crederò e professerò che lo Spirito Santo procede dal
Padre e dal Figlio, come insegna e professa la santa
Chiesa romana; che in avvenire crederò sempre e
riconoscerò in Cristo due nature, due volontà, una
ipostasi e due operazioni; che in avvenire confesserò e
approverò sempre e tutti i sette sacramenti della
Chiesa romana, come essa li crede, insegna e predica;
che in avvenire non userò olio nella santa eucaristia;
che in avvenire crederò, confesserò, predicherò e
insegnerò sempre tutto ciò che crede, confessa,
insegna e predica la sacrosanta Chiesa romana e che
tutto quello che essa riprova, colpisce con anatema e
condanna, anch’io lo riprovo, lo colpisco con anatema e
lo condannerò sempre anche in futuro, specialmente le
empietà e le bestemmie del pericolosissimo eresiarca
Nestorio, e ogni altra eresia che si manifesti contro
questa santa, cattolica e apostolica Chiesa. […]».
[…] Nessuno, d’ora in poi, potrà definire eretici il
metropolita dei Caldei, il vescovo dei Maroniti e il
clero e i popoli loro affidati o qualcuno tra essi, o
indicare come Nestoriani i Caldei. Se qualcuno
trasgredirà questa nostra disposizione, comandiamo
che sia scomunicato […].
(Bolla di unione dei Caldei e dei Maroniti di Cipro
Benedictus sit Deus, 7 agosto 1445; COD 589-591)
13
IX.
Lo scopo principale di questo concilio non è la
discussione di questo o quel tema della dottrina
fondamentale della chiesa, in ripetizione diffusa
dell’insegnamento dei padri e dei teologi antichi e
moderni quale si suppone sempre ben presente e
familiare allo spirito.
Per questo non occorreva un concilio. Ma dalla
rinnovata, serena e tranquilla adesione a tutto
l’insegnamento della chiesa nella sua interezza e
precisione, quale ancora splende negli atti conciliari
del Tridentino e del Vaticano I, lo spirito cristiano,
cattolico e apostolico del mondo intero, attende un
balzo innanzi verso una penetrazione dottrinale e una
formazione delle coscienze; è necessario che questa
dottrina certa e immutabile, che deve essere
fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in
modo che risponda alle esigenze del nostro tempo.
Altra cosa è infatti il deposito stesso della fede, vale a dire le
verità contenute nella nostra dottrina, e altra cosa è la
forma con cui quelle vengono enunciate, conservando ad
esse tuttavia lo stesso senso e la stessa portata.
Bisognerà attribuire molta importanza a questa forma
e, se sarà necessario, bisognerà insistere con pazienza
nella sua elaborazione; e si dovrà ricorrere ad un modo
di presentare le cose che più corrisponda al magistero,
il cui carattere è preminentemente pastorale.
(GIOVANNI XXIII, Discorso Gaudet mater ecclesia
nella solenne apertura del concilio, 11 ottobre 196222)
X.
Orientamenti per l’ammissione all’Eucaristia
fra la Chiesa caldea e la Chiesa assira dell’Oriente
(Roma, 20 Luglio 2001)
Data la situazione di grande indigenza di molti fedeli
caldei e assiri, nei loro paesi d’origine e nella diaspora,
la quale impedisce a molti di loro una normale vita
sacramentale secondo la propria tradizione, e nel
contesto ecumenico del dialogo bilaterale fra la Chiesa
cattolica e la Chiesa assira dell'Oriente, è stato
richiesto di disporre per l'ammissione all'Eucaristia fra
la Chiesa caldea e la Chiesa assira dell'Oriente. La
richiesta è stata dapprima esaminata dalla Commissione
congiunta per il Dialogo teologico fra la Chiesa cattolica e
la Chiesa assira dell'Oriente. I presenti orientamenti
sono stati successivamente elaborati dal Pontificio
Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani in
accordo con la Congregazione per la Dottrina della Fede
e la Congregazione per le Chiese Orientali.
1. Necessità pastorale
La richiesta di ammissione all'Eucaristia fra la Chiesa
caldea e la Chiesa assira dell'Oriente è connessa alla
particolare situazione geografica e sociale nella quale
vivono attualmente i loro fedeli. A causa di svariate e a
volte drammatiche circostanze, molti fedeli assiri e
EV 1, 54* - 55* (il corsivo è mio). Questo testo è stato
esplicitamente ripreso da Giovanni Paolo II nella lettera enciclica Ut
unum sint del 25 maggio 1995 (cf. n. 18; EV 14, 2700).
22
Le Antiche Chiese Orientali
caldei hanno lasciato il loro paese d’origine e sono
emigrati in Medio Oriente, in Scandinavia, in Europa
occidentale, in Australia e in Nord America. Poiché, in
una diaspora tanto estesa, ciascuna comunità locale
non può disporre di un sacerdote, numerosi fedeli
caldei e assiri si trovano in una situazione di necessità
pastorale per quanto riguarda l'amministrazione dei
Sacramenti. Documenti ufficiali della Chiesa cattolica,
come il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 671,
§2-§3 e il Direttorio per l'Applicazione dei Principi e delle
Norme sull’Ecumenismo, n. 123, stabiliscono norme
speciali per tali situazioni.
2. Riavvicinamento ecumenico
La richiesta è anche connessa all'attuale processo di
riavvicinamento ecumenico in atto fra la Chiesa
cattolica e la Chiesa assira dell'Oriente. Con la
Dichiarazione comune cristologica, firmata nel 1994 da
Papa Giovanni Paolo II e dal Patriarca Mar Dinkha
IV, è stato risolto il principale problema dogmatico fra
la Chiesa cattolica e la Chiesa assira dell'Oriente. Di
conseguenza, anche il riavvicinamento ecumenico fra
la Chiesa caldea e la Chiesa assira dell'Oriente è
prevenuto ad una ulteriore fase di sviluppo. Il 29
novembre 1996, il Patriarca Mar Raphaël Bidawid e il
Patriarca Mar Dinkha IV hanno firmato un elenco di
proposte comuni nell’intento di pervenire al
ristabilimento della piena unità ecclesiale fra le due
eredi storiche dell'antica Chiesa dell'Oriente. Il 15
agosto 1997 i Sinodi delle due Chiese hanno approvato
tale programma e lo hanno confermato con un
«Decreto Sinodale Congiunto». I due Patriarchi hanno
approvato, con l’appoggio dei rispettivi Sinodi,
un'ulteriore serie di iniziative volte a promuovere il
progressivo ristabilimento della loro unità ecclesiale.
La Congregazione per le Chiese Orientali e il Pontificio
Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani
incoraggiano tale processo.
3. L'Anafora di Addai e Mari
La principale questione per la Chiesa cattolica nei
riguardi dell’accoglimento della richiesta, si riferiva al
problema della validità dell'Eucaristia celebrata con
l'Anafora di Addai e Mari, una delle tre Anafore
tradizionalmente in uso nella Chiesa assira
dell'Oriente. L’Anafora di Addai e Mari è singolare in
quanto, da tempo immemorabile, essa è adoperata
senza il racconto dell’Istituzione. Poiché la Chiesa
cattolica considera le parole dell'Istituzione
Eucaristica parte costitutiva e quindi indispensabile
dell'Anafora o Preghiera Eucaristica, essa ha condotto
uno studio lungo e accurato sull'Anafora di Addai e
Mari da un punto di vista storico, liturgico e teologico,
al termine del quale, il 17 gennaio 2001, la
Congregazione per la Dottrina della Fede è giunta alla
conclusione che quest'Anafora può essere considerata
valida. Sua Santità Papa Giovanni Paolo II ha
approvato tale decisione. La conclusione a cui si è
giunti si basa su tre principali argomenti.
In primo luogo, l'Anafora di Addai e Mari è una delle
più antiche anafore, risalente ai primordi della Chiesa.
Essa fu composta e adoperata con il chiaro intento di
celebrare l'Eucaristia in piena continuità con l'Ultima
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Cena e secondo l'intenzione della Chiesa. La sua
validità non è mai stata ufficialmente confutata, né
nell'Oriente né nell'Occidente cristiani.
In secondo luogo, la Chiesa cattolica riconosce la
Chiesa assira dell'Oriente come autentica Chiesa
particolare, fondata sulla fede ortodossa e sulla
successione apostolica. La Chiesa assira dell'Oriente ha
anche preservato la piena fede eucaristica nella
presenza di nostro Signore sotto le specie del pane e
del vino e nel carattere sacrificale dell'Eucaristia.
Pertanto, nella Chiesa assira dell'Oriente, sebbene essa
non sia in piena comunione con la Chiesa cattolica, si
trovano «veri sacramenti, soprattutto, in forza della
successione apostolica, il sacerdozio e l'Eucaristia»
(Unitatis redintegratio, n. 15).
Infine, le parole dell'Istituzione Eucaristica sono di
fatto presenti nell'Anafora di Addai e Mari, non in
modo narrativo coerente e ad litteram, ma in modo
eucologico e disseminato, vale a dire che esse sono
integrate in preghiere successive di rendimento di
grazie, lode e intercessione. Infine, le parole
dell'Istituzione Eucaristica sono di fatto presenti
nell'Anafora di Addai e Mari, non in modo narrativo
coerente e ad litteram, ma in modo eucologico e
disseminato, vale a dire che esse sono integrate in
preghiere successive di rendimento di grazie, lode e
intercessione.
4. Orientamenti per l'ammissione all'Eucaristia
Considerando: la tradizione liturgica della Chiesa
assira dell'Oriente; la chiarificazione dottrinale circa la
validità dell'Anafora di Addai e Mari; il contesto
attuale in cui vivono i fedeli assiri e caldei; le relative
norme previste nei documenti ufficiali dalla Chiesa
cattolica; il processo di riavvicinamento fra la Chiesa
caldea e la Chiesa assira dell'Oriente, si formulano le
seguenti disposizioni:
1. In caso di necessità, i fedeli assiri possono
partecipare a una celebrazione caldea della Santa
Eucaristia e ricevere la Santa Comunione; parimenti, i
fedeli caldei per i quali è fisicamente o moralmente
impossibile accostarsi ad un ministro cattolico,
possono partecipare a una celebrazione assira della
Santa Eucaristia e ricevere la Santa Comunione.
2. In entrambi i casi, i ministri assiri e caldei celebrano
la Santa Eucaristia secondo le prescrizioni e i costumi
liturgici della loro propria tradizione.
3. Quando dei fedeli caldei partecipano a una
celebrazione assira della Santa Eucaristia, il ministro
assiro è caldamente incoraggiato a introdurre
nell'Anafora di Addai e Mari le parole dell'Istituzione,
secondo il benestare espresso dal Santo Sinodo della
Chiesa assira dell'Oriente.
4. Le suddette considerazioni sull'uso dell'Anafora di
Addai e Mari e i presenti orientamenti per
l'ammissione all'Eucaristia, si intendono esclusivamente per la celebrazione eucaristica e per
l'ammissione all'Eucaristia dei fedeli della Chiesa
caldea e della Chiesa assira dell'Oriente, a motivo della
necessità pastorale e del contesto ecumenico sopra
menzionati.
Le Antiche Chiese Orientali
XI.
Anafora di Addai e Mari
- La grazia del Signore nostro [Gesù Cristo, e l’amore di Dio Padre,
e la comunione dello Spirito Santo sia con tutti noi, ora e in ogni
tempo, e nei secoli dei secoli!]!
- Amen.
- In alti siano le vostre menti!
- A te [sono], Dio [di Abramo e di Isacco e di Israele, re lodabile].
- L’oblazione a Dio, Signore di tutti, viene offerta!
- È conveniente e giusto.
<1. Prefazio> È degno di lode da tutte le nostre bocche
e di confessione da tutte le nostre lingue
il Nome adorabile e lodabile del Padre e del Figlio
[e dello Spirito Santo,
che creò il mondo nella sua grazia,
e i suoi abitanti nella sua pietà,
e redense gli uomini nella sua clemenza,
e fece una grande grazia ai mortali.
La tua grandezza, Signore, adorano mille migliaia
[di [esseri] superiori
e diecimila miriadi di Angeli,
le schiere di [esseri] spirituali, ministri di fuoco e di spirito,
insieme ai Cherubini e ai Serafini santi
lodano il tuo Nome,
vociferando e lodando [incessantemente
e gridando l’uno all’altro e dicendo]:
<2. Sanctus> Santo, santo, [santo è il Signore Dio potente;
pieni sono il cielo e la terra delle sue lodi.
Osanna nei luoghi eccelsi e osanna al Figlio di David!
Benedetto colui che viene e verrà nel nome del Signore.
Osanna nei luoghi eccelsi!]
<3. Post-Sanctus> E con queste potenze celesti
[ti confessiamo, Signore,
anche noi tuoi servi deboli e infermi e miseri,
perché facesti a noi una grande grazia che non si più pagare:
poiché rivestisti la nostra umanità
per vivificarci attraverso la tua divinità,
ed elevasti la nostra oppressione,
e rialzasti la nostra caduta,
e risuscitasti la nostra mortalità,
e rimettesti i nostri debiti,
e giustificasti la nostra condizione di peccato,
e illuminasti la nostra mente,
e superasti, Signore nostro e Dio nostro, i nostri avversari,
e facesti risplendere la debolezza della nostra natura inferma
con le misericordie abbondanti della tua grazia.
E per tutti [i tuoi aiuti e le tue grazie verso di noi
ti rendiamo lode e onore e confessione e adorazione,
ora e in ogni tempo, e nei secoli dei secoli. Amen.
<4. Intercessione per i Padri> Tu, Signore,
[nelle tue molte misericordie,
di cui non riusciamo a parlare,
fa’ memoria buona di tutti i padri retti e giusti
che furono graditi dinanzi a te
nella commemorazione del corpo e sangue del tuo Cristo,
che ti offriamo sopra l’altare puro e santo
come tu ci insegnasti;
e concedi a noi la tua tranquillità e la tua pace
per tutti i giorni del mondo,
affinché tutti gli abitanti della terra conoscano
che tu sei Dio, il solo vero Padre,
e tu mandasti il Signore nostro Gesù Cristo, Figlio tuo e diletto tuo;
e lui stesso, Signore nostro e Dio nostro,
ci insegnò nel suo vangelo vivificante
tutta la purità e santità dei profeti e degli apostoli,
e dei martiri e dei confessori,
e dei vescovi e dei presbiteri e dei ministri,
e di tutti i figli della santa Chiesa cattolica,
che furono segnati con il segno vivo del battesimo santo.
<5. Quasi-racconto + 6. Anamnesi> E anche noi, Signore,
tuoi servi deboli e infermi e miseri,
che siamo radunati e stiamo dinanzi a te in questo momento,
abbiamo ricevuto nella tradizione la figura che viene da te,
giacché ci allietiamo e lodiamo, ed esaltiamo e commemoriamo,
e celebriamo e facciamo questo mistero grande e tremendo
della passione e morte e resurrezione
[del Signore nostro Gesù Cristo.
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<7. Epiclesi sulle oblate> Venga, Signore, lo Spirito tuo santo,
e riposi sopra questa oblazione dei tuoi servi,
e la benedica e la santifichi,
<8. Epiclesi sui comunicanti> affinché sia per noi, Signore,
per l’espiazione dei debiti e per la remissione dei peccati,
e per la grande speranza della resurrezione dai morti,
e per la vita nuova nel regno dei cieli
con tutti coloro che furono graditi dinanzi a te.
<9. Dossologia> E per tutta la tua economia mirabile verso di noi
ti confessiamo e ti lodiamo incessantemente,
nella tua Chiesa redenta nel sangue prezioso del tuo Cristo,
con bocche aperte e a volti scoperti,
rendendo [lode e onore e confessione e adorazione
al Nome tuo vivo e santo e vivificante,
ora e in ogni tempo, e nei secoli dei secoli.
Amen.
XII.
La Costituzione Pastorale “sulla Chiesa nel mondo
contemporaneo” consta di due parti, ma è un tutto
unitario. Viene detta “pastorale” appunto perché sulla
base di principi dottrinali intende esporre
l’atteggiamento della Chiesa in rapporto al mondo e
agli uomini d’oggi. Pertanto, né alla prima parte
manca l’intenzione pastorale, né alla seconda
l’intenzione dottrinale.
(GS, nota 1; EV 1, p. 1253)
XIII.
Nell’indagare la verità rivelata in Oriente e in
Occidente furono usati metodi e prospettive diverse
per giungere alla conoscenza e alla confessione delle
realtà divine (ad divina cognoscenda et confitenda). Non
fa quindi meraviglia che alcuni aspetti del mistero
rivelato siano talvolta percepiti in modo più adatto e
posti in miglior luce dall’uno che non dall’altro,
cosicché si può dire allora che quelle varie formule
teologiche non di rado si completino, piuttosto che
opporsi.
(UR 17; EV 1, 553)
XIV.
La mia mente si volge al patrimonio cristiano
dell'Oriente. Non intendo descriverlo né interpretarlo:
mi metto in ascolto delle Chiese d'Oriente che so
essere interpreti viventi del tesoro tradizionale da esse
custodito. Nel contemplarlo appaiono ai miei occhi
elementi di grande significato per una più piena ed
integrale comprensione dell'esperienza cristiana e,
quindi, per dare una più completa risposta cristiana
alle attese degli uomini e delle donne di oggi. […]
Voglio qui avvicinarmi con rispetto e trepidazione
all'atto di adorazione che esprimono queste Chiese,
piuttosto che individuare questo o quel punto
teologico
specifico,
emerso
nei
secoli
in
contrapposizione polemica nel dibattito tra Occidentali
e Orientali.
L'Oriente cristiano fin dalle origini si mostra
multiforme al proprio interno, capace di assumere i
tratti caratteristici di ogni singola cultura e con un
sommo rispetto di ogni comunità particolare. Non
possiamo che ringraziare Dio, con profonda
commozione, per la mirabile varietà con cui ha
consentito di comporre, con tessere diverse, un
mosaico così ricco e composito.
(GIOVANNI PAOLO II, Orientale lumen n. 5)
ALCUNE PISTE
PER L’APPROFONDIMENTO
BIBLIOGRAFIA
In generale sull’Oriente Cristiano
F. CARCIONE, Le Chiese d’Oriente. Identità, patrimonio e quadro storico generale, San Paolo, Cinisello Balsamo 1998
L’autore dedica alle Antiche Chiese Orientali le pp. 178-267, dopo aver presentato nelle pagine
precedenti le origini della cristianità orientale e le Chiese di tradizione bizantina.
E.G. FARRUGIA (ed.), Dizionario enciclopedico dell’Oriente cristiano, Pontificio Istituto Orientale, Roma 2000
In generale sulle Antiche Chiese Orientali
Fascicolo n. 147 di Credere Oggi 25 (2005) n. 3: è interamente dedicato alle Antiche Chiese Orientali.
E’ possibile leggerne il sommario, l’editoriale e l’articolo introduttivo sul sito internet della rivista:
http://www.credereoggi.it/upload/2005/sommario147.asp .
Sulle questioni teologiche legate alla definizione del concilio di Calcedonia
e le sue conseguenze ecclesiali
A. DUCAY (ed.), Il concilio di Calcedonia 1550 anni dopo, LEV, Città del Vaticano 2003
Raccoglie gli atti del Simposio svoltosi presso la Pontificia Università della Santa Croce nel 2001.
Le diverse relazioni hanno presentato la dottrina cristologica di Calcedonia, i suoi fondamenti biblici,
il valore e i limiti della formulazione dogmatica del concilio, la sua ricezione ecclesiale e la storia dei
conflitti e della riconciliazione che ne sono nati.
Sull’anafora di Addai e Mari
La rivista Divinitas ha dedicato tutto un fascicolo (47 [2004] numero speciale, pp. 1-285) agli Orientamenti del 2001.
Nei diversi contributi si presenta innanzitutto uno status quaestionis e si da’ spazio successivamente al
dibattito suscitato dal documento del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani.
SITI WEB
Dalle pagine del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani:
• documenti del dialogo con le Chiese Ortodosse Orientali:
http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/chrstuni/sub-index/index_ancientoriental-ch_it.htm
• documenti del dialogo con la Chiesa Assira dell’Oriente:
http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/chrstuni/sub-index/index_eastassyrian_it.htm
Tra i siti segnalati nel fasc. di Credere Oggi (cf. pp. 147-148) si raccomanda la consultazione di:
• http://www.pro-oriente.at/?site=ka000204
Pagina dedicata alle Antiche Chiese Orientali all’interno del sito (tutto in tedesco!) della
Fondazione “Pro Oriente” di Vienna. Contiene una presentazione delle diverse Chiese,
informazioni circa la loro gerarchia e indicazioni di siti specifici per ciascuna di esse.
• http://www.cnewa.org/generalpg-verus.aspx?pageID=184
Pagina dell’agenzia CNEWA (che si occupa dell’aiuto alle Chiese orientali) dedicata alla
presentazione delle Chiese Orientali con il rimando al testo fondamentale di Ronald Roberson e
alcuni importanti dati statistici che riguardano queste Chiese.
Racccomando la consultazione di http://it.wikipedia.org/wiki/Chiese_orientali_antiche :
è la voce dedicata alle “Antiche Chiese Orientali” in Wikipedia.
E’ davvero ben fatta e contiene rimandi ad ulteriori voci per ciascuna delle Chiese,
all’interno delle quali si possono trovare le indicazioni di ulteriori siti web.
Per la presenza in Italia delle Antiche Chiese Orientali: http://www.cesnur.org/religioni_italia/chiese_ortodosse.htm