In ricordo di Jerome Seymour Bruner (1915-2016) Provare ad offrire un’idea del monumentale contributo di Jerome Seymour Bruner alla ricerca in Psicologia e sull’Educazione sarebbe un compito troppo arduo per poter pensare di affrontarlo in un così breve testo. Per questo motivo cercheremo di utilizzare una chiave di lettura specifica nella consapevolezza della parzialità di tale scelta: considereremo come Bruner abbia concorso a determinare alcuni punti di svolta che hanno introdotto delle vere e proprie rotture di paradigma nella ricerca psicologica e negli studi sull’educazione. Seguendo l’analisi dell’opera di Bruner proposta da Liverta Sempio (1998) possiamo individuare almeno tre di questi passaggi cruciali. Il primo punto si svolta riguarda l’esordio della sua attività scientifica dagli anni Quaranta agli anni Settanta. In uno scenario scientifico-culturale dominato dal comportamentismo, Bruner avvia i suoi studi sulla percezione, entrando in rotta di collisione con l’assunto comportamentista dell’oggettività della percezione degli stimoli: nelle sue ricerche Bruner dimostra che la percezione non è una riproduzione neutrale della realtà, ma è un atto interpretativo guidato da bisogni e valori del soggetto. Con il suo lavoro apre quindi la strada alla svolta cognitivista, verso la concezione di una mente attiva, capace di andare al di là dell’informazione data, concezione che si rifletterà sul suo lavoro di ricerca sull’educazione. Nel 1959 Bruner viene chiamato a presiedere la Conferenza sull’Educazione di Woods Hole, promossa dall’Accademica Nazionale delle Scienze, in cui matematici, fisici, biologi, chimici, psicologi e pedagogisti si confrontano sulla necessità di riformare il sistema della scuola primaria e secondaria USA. Esito della conferenza fu l’uscita nel 1960 del rapporto di revisione del sistema scolastico con il titolo “The process of education”. In esso Bruner, realizzando una rilettura critica di Dewey, propone di focalizzare l’insegnamento delle discipline intorno alle "idee organizzatrici" che caratterizzano ogni insieme di conoscenze, ovvero quelle scoperte che mirano a connettere e semplificare l’esperienza (come ad esempio la forza di gravità in fisica, la metacognizione in psicologia, la selezione naturale in biologia, ecc..). La storia della cultura è quindi la storia dello sviluppo delle grandi idee organizzatrici, idee che progressivamente consentono di formulare ipotesi sempre più articolate sull’uomo e sulla realtà. Nel corso degli anni ‘60 Bruner continua ad occuparsi di processi di apprendimento e di programmi scolastici, e scrive alcune opere divenute di riferimento sul versante educativo: “Toward a Theory of Instruction” (1966), e “Studies in Cognitive Growth” (1966). Le idee sviluppate da Bruner in quel periodo, tra cui quella del “Curricolo a Spirale” (rivisitare le idee organizzatrici di una disciplina più volte nel corso del curricolo scolastico, fino a raggiungere una loro piena comprensione) ebbero ampia diffusione in molti paesi furono punto di riferimento per diverse riforme anche in anni successivi, tra cui quella dei programmi della scuola elementare italiana del 1985. Un secondo punto di svolta è rappresentato dagli studi sul linguaggio, realizzati da Bruner a partire dagli anni Settanta ed originati dalla convinzione che il linguaggio influisca sui processi cognitivi: si pongono qui le basi per una psicologia di matrice interazionista, in cui la mente è concepita non come un processore isolato di informazioni, ma come una entità che caratterizza la sua attività dentro una relazione intersoggettiva. In questi anni, seguendo il lavoro di Vygotskij, Bruner teorizza un ruolo fondamentale per l’interazione sociale nello sviluppo della cognizione e del linguaggio in particolare. Quest’ultimo viene acquisito nel contesto di interazioni significative tra bambino e care-givers, i quali favoriscono l’apprendimento mediante una funzione di "scaffolding" (impalcatura cognitiva) che Bruner definisce Language Acquisition Support System (LASS). Il terzo punto di svolta si caratterizza, infine, per la rilevanza conferita da Bruner alla dimensione narrativa nel rapporto tra individuo e realtà, in cui centrale è il ruolo della cultura. Il linguaggio verbale, fortemente intriso della cultura in cui siamo immersi, introduce il bambino nei modi di ragionare caratteristici della sua cultura di appartenenza: lo sviluppo linguistico è quindi strettamente connesso allo sviluppo cognitivo dell’individuo e a sua volta il linguaggio verbale plasma lo sviluppo del soggetto secondo la “cultura” presente nel suo contesto. Si tratta di un contributo fondamentale che contribuisce all’affermarsi del costruttivismo sociale ed apre la strada alla Psicologia Culturale dell’Educazione, il cui manifesto è rappresentato dal testo “The Culture of Education” (1996). In tale lavoro Bruner esprime attraverso 9 principi una nuova idea di scuola, un’istituzione che promuova un’esperienza educativa significativa in cui gli studenti possano essere al contempo fruitori e creatori di cultura. Aosta, 7.06.16 Stefano Cacciamani