File - Tante storie per la testa

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Jerome S. Bruner e lo Strutturalismo Pedagogico
Nel panorama della cultura americana della seconda metà del XX secolo, J. S. Bruner è stato il
fondatore dello strutturalismo educativo, metodo applicabile a un ampio spettro di discipline, tra
cui, la psicologia, la pedagogia, la linguistica e le tecnologie della comunicazione.
In quel momento storico egli rappresenta il dopo Dewey, il grande pedagogista statunitense che,
con le sue Scuole Attive , aveva dominato lo scenario educativo americano nei precedenti 60 anni.
John Dewy
Le Scuole Attive o Progressive, fondate da J. Dewey e dai suoi allievi W. H. Kilpatrick e E.
Parkurst tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, erano chiamate Scuole “Attive” perché
al centro del processo educativo ponevano l’alunno che doveva essere tenuto sempre attivo,
motivato e impegnato in progetti operativi di attività manuali, artigianali e pratiche che costituivano
le premesse degli altri apprendimenti. L’istruzione formale del leggere, dello scrivere e del far di
conto, riassunta brevemente nella formula delle tre R (writing, reading and rekoning), era un
obiettivo importante che consentiva l’acquisizione e la conservazione dell’informazione, nonché la
continua riorganizzazione dell’esperienza considerata il perno di tutta l’attività educativa. La
conoscenza, la cultura e le attività simboliche venivano dopo ed erano conseguenti all’esperienza
pratica delle cose.
In queste scuole venivano utilizzati metodi democratici educando gli alunni al rispetto degli altri e
dei loro valori come preparazione alla convivenza democratica nella società degli adulti già
multietnica e pluralista. Con il mito dell’azione e della filosofia dell’educazione democratica delle
coscienze popolari avevano istruito e formato diverse generazioni di americani che avrebbero
dovuto vivere nell’opulenza del consumismo e nella tranquillità della pace universale.
Invece, paradossalmente, quasi per ironia della sorte e a dispetto della democrazia predicata a voce
e praticata nelle scuole, sono state proprio quelle generazioni che hanno dovuto combattare le due
Guerre Mondiali, decine di conflitti locali ed hanno sperimentato per la prima volta gli effetti
devastanti della bomba atomica sull’umanità.
Ma per onestà storica bisogna pur dire che queste generazioni, se da un lato hanno messo a ferro e a
fuoco il suolo del pianeta, dall’altro lato hanno dato un contribuito importante a liberare l’umanità
dal cancro dei totalitarismi ideologici e dalle dittature militari più spietate che hanno disseminato
orrore e odio, vendetta e morte sulla faccia della terra.
Col passare del tempo molti americani, figli di questa tradizione educativa democratica, sono
cresciuti e sono diventati ufficiali dell’esercito, comandanti delle forze armate o diplomatici, per
cui, ebbero l’opportunità di esportare le loro esperienze delle Scuole Attive in molti altri paesi del
Mondo Occidentale, compresa l’Italia del Dopoguerra e del post-Fascismo.
Ma con l’avvento della società industriale degli anni ’50, il sistema scolastico statunitense, basato
sull’attivismo pedagogico e sugli indirizzi educativi spontaneistici sui quali esse si reggevano
apparivano ormai superati, obsoleti e non più in grado di rispondere efficacemente ai bisogni e alle
urgenze dei nuovi tempi.
Pertanto, tramontata l’Era Dewey, agli orizzonti della storia si affaccia l’Era Bruner.
Jerome S. Bruner
Verso la fine degli anni 50 e nei primi anni 60, quest’ insigne studioso si presenta come la voce
nuova, rappresenta la nuova bussola, o meglio la nuova stella polare che orienta diversamente le
scelte di politica scolastica della Nazione, indicando le linee guida del nuovo sviluppo educativo di
cui ha bisogno la nuova società industriale e tecnologica statunitense.
Professore di psicologia e direttore del Centro Studi Cognitivi dell’Università di Harvard, balzò
all’attenzione del mondo scientifico internazionale, quando, nel mese di settembre del 1959, ottenne
dal governo americano l’incarico di dirigere la Conferenza di Woods Hole, organizzata a Cape Cod,
nel Massachusetts.
Era un Convegno di 35 scienziati tra psicologi, biologi, fisici, matematici, pedagogisti e linguisti,
incaricati di elaborare nuovi programmi dell’area scientifica per le scuole americane.
Erano i tempi caldi roventi della Guerra Fredda e gli americani soffrivano il patema d’animo di
essere da un momento all’altro sorpassati dai russi, non soltanto nella corsa agli armamenti, ma
anche nella gara per le scoperte scientifiche e per le conquiste spaziali. Tanto più si sentivano
spronati ad agire per il fatto che, qualche anno prima, i sovietici avevano lanciato il primo sputnik
nella spazio e avevano annunciato un massiccio programma d’investimenti nel settore spaziale.
Pertanto gli scienziati, riuniti in convegno a Woods Hole sotto la guida del Bruner, dovevano
elaborare nuovi programmi scientifici per le scuole americane, dalle elementari all’università,
funzionali per coltivare le intelligenze e formare i cervelli pensanti delle nuove scienze e delle
nuove tecnologie industriali, militari, elettroniche e informatiche. Queste nuove leve di giovani
talenti, in pochi decenni, avrebbero rivoluzionato, non soltanto il sistema scolastico, ma, con esso,
anche quello delle comunicazioni fatte in tempo reali riducendo in breve tempo il pianeta a un
villaggio globale.
Naturalmente già da allora Bruner avvertiva: “Indubbiamente il sapere scientifico è quello che
garantirà lo sviluppo economico della società futura, ma esso comporta anche i rischi di una
competizione esasperata e disumana della società. Le humane litterae hanno educato le nuove
generazioni per secoli e millenni, ma ora non sono più in grado di farlo da sole”. L’optimum
sarebbe quello di integrare il contributo delle scienze e delle tecnologie (rappresentato
simbolicamente dalla mano destra) con quello delle arti creative come la poesia, la letteratura e le
arti belle (rappresentato, metaforicamente, dalla mano sinistra).
Come il contributo bilanciato di entrambe le mani é necessario al buon funzionamento del corpo
umano, così il contributo equilibrato delle due culture, quella scientifica e quella umanistica, è
necessario per la formazione delle nuove menti e per uno sviluppo integrale della persona umana
nella nuova società, ormai già proiettata verso la futura globalizzazione.
Faremo cenni fugaci a questa riforma soltanto per quanto riguarda l’aspetto pedagogico che
costituisce la cerniera generale che connette attorno a sé il tessuto organico anche delle altre
discipline.
Intanto le sue istanze erano state discusse, approvate e rilanciate dagli scienziati presenti , tanto che,
nella sua relazione conclusiva ai lavori congressuali, il Bruner sintetizza le proposte del Convegno
da portare al Governo di Washington in quattro concetti generali, i quattro punti più importanti
concordati dai convegnisti:
1) fare emergere la struttura della disciplina nei processi di apprendimento;
2) individuare l’età giusta per l’inizio dell’ apprendimento;
3) la complementarità tra il pensiero intuitivo e il pensiero analitico;
4) il ruolo della motivazione all’apprendimento.
1) La struttura
Per quanto concerne il primo punto, il concetto di struttura è ambivalente nel senso che essa
esprime sia i concetti generali, le idee madri della disciplina, sia il metodo di studio, ossia la
strategia utilizzata dalla mente umana per semplificare le nozioni, acquisire, conservare e
riutilizzare l’informazione al momento giusto.
“Le strutture, dice l’Autore, sono le idee organizzatrici che mirano a connettere e semplificare
l’esperienza: in fisica si è scoperta l’idea di forza, in chimica di combinazione, in psicologia quella
di motivazione, in letteratura quella di stile. La storia della cultura è la storia delle grandi idee
organizzative e strutturali” (Bruner, Armando, 1964).
Insegnare agli alunni a pensare per strutture, inizialmente può essere un’impresa didattica molto
difficile, ma ne vale la pena di farlo perché il tempo e le risorse profuse daranno sicuramente buoni
frutti in termini di miglioramento qualitativo dell’apprendimento e della formazione delle menti dei
discenti.
Si può incominciare con la geografia dando agli alunni delle ultime classi delle elementari una carta
muta degli Stati Uniti e chiedendo loro di localizzare, attraverso il ragionamento fatto per strutture
razionali, la posizione delle principali città della Nazione. L’esercizio piace agli alunni perché la
consegna stimola diverse componenti dell’intelligenza stessa: la distribuzione spaziale dei centri
urbani; la posizione fisica (pianura, coste, montagna); il clima; le infrastrutture (strade, porti,
aeroporti, canali fluviali); i bisogni e le condizioni della vita; la produzione e l’economia; il sistema
dei trasporti e delle comunicazioni e tutto quello che serve a una grande città per mantenere attiva la
vita dei suoi abitanti.
Analogamente si può fare per le altre discipline: la storia, la letteratura, la filosofia. Non solo, lo
stesso discorso vale anche per le materie scientifiche: la psicologia, la linguistica, la biologia,
l’antropologia, la fisica e la matematica.
L’insegnamento per strutture attiva altri fattori dell’apprendimento, quali:
– l’interesse per la disciplina, che fa scaturire la motivazione allo studio;
– la memoria, che consente d’inserire i ricordi della memoria a breve termine nella mappa
neurologica generale, per cui, le cose che sfuggono alla memoria automatica vengono ricuperate
dalla memoria logica attraverso un processo di ricostruzione razionale;
– il transfer, che indica la capacità di trasferire le abilità acquisite in un campo, ad un altro campo
della conoscenza e della ricerca;
– la continuità educativa, come fattore di sviluppo unitario del percorso formativo.
2) L’età giusta per l’apprendimento
Per quanto attiene al secondo punto della Relazione, l’Autore scrive:
“Si può insegnare qualunque cosa in forma onesta a chiunque in qualsivoglia età proprio perché
qualunque idea può essere tradotta in modo corretto e utile nelle forme di pensiero proprie del
fanciullo di età prescolastica. Queste prime rappresentazioni possono essere in seguito riprese,
approfondite e precisate meglio”.
Pertanto egli condivide l’opinione della Montessori, secondo cui, il momento più produttivo per
l’apprendimento della lettura e della scrittura è quello dei periodi critici o sensitivi, tra i tre e i
quattro anni. In quella fase dello sviluppo, grazie alla plasticità neurologica della mente
assorbente, egli è in grado di assorbire tutte le informazioni, buone o cattive che siano, diffuse
nell’ambiente; e lo fa inconsciamente senza compiere alcuno sforzo.
Il Bruner, come la Montessori, è un ambientalista, per cui, nel processo educativo attribuisce un
ruolo di fondamentale importanza all’ambiente familiare, sociale e soprattutto scolastico
frequentato dall’alunno. Nell’era di un avanzato processo di sviluppo industriale e tecnologico,
nonché di un’imminente stagione di globalizzazione dell’informazione anche nel mercato delle idee
e della cultura, non è più opportuno aspettare la romantica fioritura e la spontanea maturazione
dell’alunno, intorno ai sei anni di età, per iniziare il normale processo di alfabetizzazione. A
quell’età è già troppo tardi e molte strutture mentali si sono già consolidate perdendo la naturale
plasticità degli anni precedenti, per cui, l’apprendimento diventa un lavoro imposto, frutto di uno
sforzo della volontà.
Pertanto spetta all’istruzione precedere, accompagnare e dirigere il processo di sviluppo.
Egli si rifà allo schema del Piaget, secondo cui, lo sviluppo avviene per fasi e stadi. Ma,
contrariamente all’opinione dello studioso ginevrino secondo cui la scansione tra fasi e stadi
avviene esclusivamente per processo di maturazione naturale degli organi, il Bruner pensa che le
fasi e gli stadi possano essere influenzati dall’intervento educativo esterno, operato attraverso
l’istruzione. Perciò, secondo lui, le fasi di sviluppo possono essere anticipate, accelerate e guidate
dall’apprendimento.
Un altro fattore importante dell’apprendimento precoce è l’insegnamento a spirale. Ora, visto che
si può insegnare tutto a tutti a qualsivoglia età, è bene introdurre il bambino fin dall’età precoce “a
quei concetti e a quelle forme di apprendimento che più tardi faranno di lui un uomo colto”.
Pertanto l’insegnamento a spirale é quella forma d’insegnamento che inizia in tenera età in termini
essenziali semplicissimi per tornare più volte su se stesso, in forme sempre più allargate e più
complete, durante il curriculum scolastico dell’alunno, dalle elementari all’università e oltre. E’ il
principio pedagogico razionale che giustifica la presenza dei vari ordini di scuola e dei cicli interni
biennali e triennali, nei quali si articola il sistema educativo della Nazione.
3) Rapporti tra pensiero intuitivo e pensiero analitico
Alla domanda: che cos’è l’intuizione? Si può rispondere in molti modi; ma la risposta più semplice
e più immediata appare la seguente: è l’atto di apprendere al volo una verità provvisoria ancora non
dimostrata. Comporta il pregio della produttività del pensiero, ma anche il rischio dell’errore. Per
evitare questo rischio, le feconde idee dell’intuizione vanno sottoposte alla prova dimostrativa del
pensiero analitico. Cioè ogni frutto dell’intuizione va filtrato con il potere logico della ragione
dimostrativa con lo stesso rigore analitico con cui si dimostrano i teoremi di matematica.
Sostiene il Bruner al riguardo: “Lo sviluppo del pensiero intuitivo è uno dei fini che molti
insegnanti di matematica e di scienze si propongono. Si è spesso lamentato che nella scuola
secondaria la geometria piana di solito si insegna prestando eccessiva attenzione alle tecniche e alle
prove formali e che sarebbe necessario preoccuparsi molto di più dello sviluppo degli studenti che
hanno buona disposizione intuitiva per la geometria e che sono bravi di fronte alle prove, ma non
altrettanto nello stabilirne la validità o nel connetterle ad altre, di fronte a cui si siano già cimentati
… Perciò matematici, fisici e biologi sottolineano il valore del pensiero intuitivo per un approccio
più immediato alle rispettive discipline”.
Egli ritiene che il pensiero intuitivo sia quello adatto a produrre nuove e originali sintesi creative
nell’ apprendimento di qualsiasi disciplina: matematica, scienze, letteratura, arte e tecnologia.
Ciò perché il pensiero intuitivo non procede con la prudenza dei piccoli passi e per cogenza logicodimostrativa, ma per percezione improvvisa della totalità del problema. L’individuo fornisce la
risposta immediata, giusta o sbagliata che sia, ma senza avere un’idea chiara del procedimento
seguito per arrivare alla soluzione del problema stesso.
D’altronde il metodo intuitivo ha avuto sempre un ampio spazio nella storia dell’educazione: da
Rousseau a Pestalozzi e a Fröebel, da Herbart a Ferrante Aporti, da Capponi a Lambruschini e a
Gabelli.
4) La motivazione all’apprendimento
La motivazione è data dalla pulsione psichica naturale volta ad acquisire nuove conosceze e nuovi
comportamenti .
Talvolta agisce in maniera inconscia. Così nasce la motivazione del bambino per il gioco, per la
lettura, per la scrittura, per lo sport e così via. Quando diventa un fatto cosciente, più
appropriatamente, prende il nome di interesse.
Nelle scuole tradizionali le risorse mentali dell’interesse e della motivazione venivano attivate
attraverso forme di motivazione estrinseca, rappresentate dai premi per gli alunni “bravi” e dai
castighi per quelli “pigri” o “disobbedienti”. Nelle due categorie spesso venivano sommariamente
cumulati elementi di profitto e tratti di comportamento. E non è detto che il fenomeno sia
scomparso nelle scuole attuali.
Al riguardo il Bruner scrive: “C’è un problema di equilibrio tra premi esteriori e premi interiori.
Molto è stato scritto sul ruolo della ricompensa e della punizione nell’apprendimento, ma molto
poco sul ruolo dell’interesse, della curiosità, del piacere e della scoperta. Ma se vogliamo abituare
l’allievo a processi sempre più lunghi di apprendimento, nei programmi bisogna dare maggiore
importanza alle soddisfazioni interiori, quale l’accrescersi della consapevolezza e della capacità di
pensare e al piacere intrinseco che scaturisce dalle nuove conoscenze”.
La motivazione di raro nasce spontaneamente, ma è una pulsione che va coltivata attraverso i vari
fattori che contribuiscono ad attivarla, quali:
– la curiosità, che è la propensione naturale dell’uomo (in certa misura presente anche negli
animali) a conoscere e ad esplorare l’ambiente circostante;
– il desiderio di competenza, che è l’aspirazione naturale dell’uomo ad acquisire la conoscenza e
l’esperienza necessarie per fare bene le cose;
– il modello d’identificazione, che è la tendenza dell’individuo a modellare se stesso, i suoi
comportamenti e le sue aspirazioni sulla figura di un’altra persona adulta, ammirata e stimata per la
sua prestanza fisica o per le sue qualità intellettuali o morali. Le figure di riferimento più
comunemente imitate sono quelle dei genitori, degli insegnanti, dei campioni dello sport o della
fiction;
– la reciprocità del sapere, che è data dallo scambio di informazioni, di conoscenze e di
esperienze. E’ lo spirito di cooperazione che scaturisce spontaneamente nei lavori di gruppo, dove
ognuno dà il suo contributo per raggiungere un obiettivo comune.
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