Tra laicità e pluralismo
Comunità di fede
e spazio pubblico
di Paolo Naso
“Un gentile venne dinanzi a Shammai e gli disse: ‘Convertimi
a condizione di insegnarmi l'intera Torà mentre io sono su un piede solo’.
[Shammai] lo spinse via con il regolo da costruttore che aveva in mano.
[Il gentile] venne dinanzi a Hillel e [questi] lo convertì.
Gli disse [Hillel prima di convertirlo]: ‘Ciò che ti è odioso
non farlo al tuo prossimo. Questa è l'intera Torà
e il resto è spiegazione. Vai e studia!’”
Come tante volte ci ha insegnato Amos Luzzatto, le antiche parole del Talmud1 ci regalano una
sintesi molto chiara di ciò che la tradizione biblica pone al centro della fede: assieme al rapporto
con Dio, il rapporto con il prossimo. Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te; fai agli altri
ciò che vuoi sia fatto a te. È il principio fondamentale della ‘regola d’oro’ che, sia pure in formule
diverse, troviamo nei testi delle grandi tradizioni religiose.
Il tema ricorrente è quel legame inscindibile tra rapporto con Dio e rapporto con l’umanità. Lo
racconta bene un midrash – restiamo nella tradizione ebraica – in cui un giovane membro di una
scuola talmudica chiedeva ai maestri come mai Dio avesse consegnato a Mosè due tavole della
legge. E la risposta fu che la prima legava l’uomo al Santo dei santi; la seconda al suo prossimo.
Tutte due erano di pietra. “Ebbene – si chiede il midrash concludendo – quale delle due era la più
pesante”2?
Il racconto non risponde: lascia intendere che pesano tutte e due allo stesso modo.
D’altra parte, per citare una tradizione religiosa assai diversa, quella Baha’i, il suo profeta –
Bahá’u’lláh – ci ha lasciato parole quanto mai suggestive: “Sii un tesoriere per il povero, un
ammonitore per il ricco, l'esauditore del pianto del bisognoso… Non essere ingiusto con nessuno e
sii mansueto con tutti gli uomini. Sii una fiaccola per coloro che camminano nelle tenebre, una gioia
per l'addolorato, un mare per l'assetato, un rifugio per l'angosciato, un sostegno e un difensore per la
vittima dell'oppressione... Sii un asilo per l'estraneo, un balsamo per il sofferente, una torre
incrollabile per il fuggitivo”3.
1
Talmud Babli, Shabbat 31.
Aldo Sonnino, Racconti chassidici dei nostri tempi, La Giuntina, Firenze 1995, p. 80.
3
http://www.bahai.com/ibahai/pag26b.htm
2
Un ragionamento sulle religioni e le politiche sociali può partire da queste antiche
considerazioni. Il servizio al prossimo è un elemento costitutivo e trasversale di tutte le grandi
tradizioni religiose. Ne consegue che le comunità di fede dispongono di una riserva etica ricca e
preziosa che può aiutare a definire e arricchire ciò che oggi chiamiamo – laicamente – politiche
sociali.
Lo dice bene un documento strategico del ministro per l’Interno del governo della Gran
Bretagna: “Le comunità di fede sono dei cancelli che garantiscono l’accesso alle enormi riserve di
energia e impegno dei loro membri e possono essere di grande importanza per lo sviluppo della
società civile…”4.
Mi pare una strategia di rilievo, elaborata non a caso nel contesto di uno dei Paesi europei che
hanno una più lunga esperienza multiculturale e multireligiosa: le comunità di fede possono
svolgere un ruolo importante nell’ambito della definizione di politiche sociali. Esse, infatti, sono
portatrici di sensibilità, valori ed esperienze che possono utilmente arricchire e innervare dei
processi politici.
Al contrario, viene da dire che senza il valore aggiunto di un ethos – proprio delle comunità
culturali e quindi anche di quelle religiose – i processi politici rischiano di diventare pura tecnica di
governo, fredda e distante dal cuore dei cittadini.
Lo spiegava bene uno degli architetti della nuova Europa, Jacques Delors: “Se non riusciamo nei
prossimi dieci anni a dare all’Europa un’anima, una spiritualità, un significato, abbiamo perso la
partita. Con il solo talento giuridico o il solo know-how economico l’Europa è condannata a fallire.
Senza un lungo respiro non è possibile realizzare l’Unione Europea”.5
Tesi ampiamente condivisa dal cardinale Carlo Maria Martini secondo cui “non possiamo
aspettarci che l’Europa diventi migliore e più abitabile solo dal pur necessario rinnovamento
istituzionale…C’è bisogno di cittadini europei migliori. Ciò ha a che fare, per esempio, con la
valorizzazione delle proposte educative e con la responsabilità civile nell’interrogarsi e decidersi
attorno ai valori.”6
La Carta costituzionale europea
In questo quadro, il riferimento alla situazione europea è necessario e fondante: in particolare è
evidente che l’architrave fondamentale della nostra riflessione debba essere l’articolo 52 che
afferma: “L'Unione rispetta e non pregiudica lo status di cui godono negli Stati membri, in virtù del
Home Office – Faith Community Unit, Working Together, Co-operation Between Government and Faith
Communities, febbraio 2004.
5
Jacques Delors, Mémoires, Plon, Paris 2004, pp. 511.
6
Carlo Maria Martini, Sogno un’Europa dello Spirito, Piemme, Casale Monferrato 1999, p. 279.
4
diritto nazionale, le Chiese e le associazioni o comunità religiose. L'Unione rispetta ugualmente lo
status di cui godono, in virtù del diritto nazionale, le organizzazioni filosofiche e non confessionali.
Riconoscendone l'identità e il contributo specifico, l'Unione mantiene un dialogo aperto,
trasparente e regolare con tali Chiese e organizzazioni”.
Siamo quindi posti di fronte a una via europea alla laicità che potremmo definire ‘del dialogo’ o,
secondo una formula che abbiamo utilizzato in altri saggi, “per addizione”, “un modello di laicità
dinamico, nel quale si afferma che – nella distinzione dei ruoli e delle funzioni – esiste una
relazione tra lo Stato e le comunità di fede, e si riconosce che tale relazione possa avere una
funzione virtuosa nell’organizzazione sociale” 7.
Una spiccata caratteristica di questo modello di laicità è il pluralismo. E non intendiamo un
semplice rispetto per le diverse opzioni culturali, etiche e religiose che si danno all’interno di una
comunità civile, ma un percorso attivo di sostegno e di valorizzazione delle diverse componenti
culturali e religiose di una società.
Sotto questo profilo l’Italia è un Paese che sconta pesanti ritardi: a differenza di altri Paesi
europei non ha conosciuto, se non marginalmente, la Riforma protestante; ha assistito alla
repressione delle minoranze religiose storiche che, sia pure all’interno di enclave protette, si erano
radicate al suo interno: ebrei e valdesi. Successivamente la Controriforma ha distrutto altre presenze
che pure si stavano affermando. In età più recente, l’Italia è stata il Paese delle leggi razziali e delle
violente discriminazioni dei pentecostali e di altre denominazioni evangeliche. E anche
l’immigrazione islamica, che costituisce il più importante fenomeno di dinamizzazione del quadro
religioso nazionale, arriva in Italia con decenni di ritardo rispetto ad altri Paesi europei.
Ne consegue un pluralismo ancora parziale, giuridicamente non tutelato a pieno, socialmente
poco visibile, mediaticamente oscurato.
Tuttavia oggi è evidentemente più facile raccontare l’Italia come un “mosaico della fede” 8,
composto da diverse tessere che convivono l’una a fianco dell’altra. Potremmo scoprirle in un
viaggio virtuale che ci portasse alla cattedrale ortodossa di San Giorgio dei greci a Venezia e alle
valli valdesi del Piemonte; all’ashram induista di Altare (Savona) e al monastero buddista
Santacittarama a Frassosabino (Rieti); al Centro Betel dei Testimoni di Geova alla Bufalotta, a
Roma, e al tempio sikh di Novellara (Reggio Emilia); alla moschea di Roma, la più grande
d’Europa, o alla sinagoga della stessa città che raccoglie l’eredità spirituale della più antica
comunità ebraica fuori dal territorio dell’Israele biblico. Il nostro viaggio potrebbe continuare
virtualmente all’infinito raggiungendo centri baha’ì, stazioni dell’Esercito della Salvezza, gruppi
della Christian Science, Hare Krisna, templi dei Santi degli ultimi giorni: i Mormoni.
7
8
Paolo Naso, Laicità, Emi, Bologna 2006, p. 55.
cfr. Paolo Naso, Il mosaico della fede. Le religioni degli italiani, Baldini e Castoldi, Milano 2000.
È l’Italia delle religioni che oggi si esprime, secondo i dati del Cesnur, in oltre seicento comunità
di fede9. Una realtà importante, poco conosciuta ma assolutamente meritevole di attenzione tanto
sotto il profilo socio-culturale quanto di quello più specificamente spirituale.
È esattamente il senso delle diverse ‘consulte delle religioni’ che sorgono in diverse città e
regioni italiane. Penso al lavoro svolto a Roma dove diverse comunità di fede hanno sottoscritto un
protocollo d’intesa con il Comune che ha reso possibile realizzare importanti pubblicazioni10,
filmati, incontri e convegni.
Una clausola di laicità
Le comunità di fede possono quindi statutariamente contribuire all’elaborazione di politiche
sociali ma – e vorrei sottolinearlo con grande forza – solo nel quadro di una compiuta e rigorosa
laicità dello Stato.
Solo una piena e matura laicità, infatti, può tutelare il pluralismo e la libertà di coscienza di ogni
individuo; solo riaffermando il principio laico dell’autonomia della decisione politica, le diverse
opzioni etiche che si danno all’interno di ogni società complessa potranno trovare una sintesi e una
mediazione nell’interesse generale della comunità civile. Purtroppo non sempre le religioni hanno
coscienza di questo dato fondamentale che è alla base della cultura giuridica della modernità ma
che, solo, può garantire al tempo stesso la convivenza da una parte e la più ampia libertà religiosa e
di coscienza dall’altra.
Questa ‘clausola di laicità’, infine, è quella che consente a una comunità civile di raggiungere
una mediazione su temi delicati e controversi. Non dobbiamo nasconderci, infatti, che se su temi
che qui definiamo ‘sociali’ registriamo ampie convergenze tra diverse comunità di fede, non è
affatto così sulle questioni etiche: basti pensare alla vivacità e alla complessità del dibattito su temi
come aborto, eutanasia, fecondazione assistita, coppie di fatto tanto in Italia quanto, per esempio, in
Olanda, Spagna o Belgio.
Sono temi che non contrappongono – come spesso si vuole dire – governi laici e comunità
religiose; spesso, infatti, la contrapposizione è interna sia ai governi sia alle comunità religiose.
Se la laicità definisce la cornice giuridica di una società plurale, occorre promuovere al tempo
stesso un’etica dell’accoglienza e del dialogo. Il pluralismo non può essere il prodotto di un
insieme di norme; è anche una cultura, un modo di pensare e di agire all’interno della comunità
civile.
9
Cfr. Massimo Introvigne e PierLuigi Zoccatelli (a cura di), Enciclopedia delle religioni in Italia, Elledici, Velar,
Leumann (Torino) – Gorle (Bergamo) 2006.
10
Segnaliamo Roma delle religioni – The Rome of Religions, Edup, Roma 2004 ed È festa, CNT 2005.
Etica dell’accoglienza
È un tema forte della tradizione ebraica che si radica già negli scritti della Genesi. Sotto la
quercia di Mamre, Abramo accoglie tre angeli, a lui stranieri, non membri del suo popolo, si mette
al loro servizio e prepara un lauto pasto: “Abramo sedeva all'ingresso della tenda, nell'ora più calda
del giorno”, quando si ha voglia di dormire, di abbandonarsi al sonno. “Alzò gli occhi e vide che tre
uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall'ingresso della tenda e
si prostrò fino a terra, dicendo: Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre
senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po’ d’acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi
sotto l’albero” (Gen: 18,1-4). Fa quindi preparare focacce e un vitello tenero e buono.
Varrà la pena ricordare che questa immagine biblica ha ispirato una delle icone della tradizione
ortodossa più note al mondo: sono i famosi tre angeli di Rubliov dove Abramo e Sara, coloro che
accolgono, addirittura spariscono dalla scena che viene interamente occupata dagli stranieri, da
coloro che sono accolti e che l’autore eleva a espressione della trinità. Dio stesso si propone
all’uomo nella veste dello straniero.
E ancora, nel libro dell’Esodo si legge “Non molesterai il forestiero né l'opprimerai, perché voi
siete stati forestieri nel paese di Egitto” (Es 22,20).
La condizione di estraneità sembra essere una condizione universale e per questo capace di
costruire legami e norme. “Il Signore rende giustizia all'orfano e alla vedova, ama il forestiero e gli
dà pane e vestito. Amate dunque il forestiero”. (Dt 10: 18-19).
In società plurali, caratterizzate dalla presenza di stranieri o di ‘nuovi cittadini’, l’antico
messaggio ebraico dell’accoglienza acquista una rilevanza molto particolare.
E ci pare importante metterlo in relazione con un valore complementare come quello
dell’integrazione. Per ragioni più che ovvie è un tema che ricorre nelle comunità islamiche che si
radicano in Europa e che iniziano a esprimere una propria originalità di elaborazione teologica e
sociale. “La maggior parte dei musulmani in Europa, come negli Stati Uniti – spiega Tarik
Ramadan, il nome di maggiore spicco dei nuovi intellettuali musulmani europei – segue una via
riformista, che rivendica come principio base il pluralismo democratico. Per costoro, il testo e la
pratica religiosa non sono incompatibili con la via moderna. In Spagna, in Svezia, nei Paesi Bassi,
ovunque vada, un numero crescente di quadri di associazioni musulmane fa lo stesso discorso: ‘È la
nostra Europa! È la nostra terra, il nostro luogo di vita!’…Non voglio essere meno musulmano per
essere più europeo. Voglio poter coniugare pienamente le due cose11”.
Si tratta di affermazioni che devono essere prese molto sul serio perché ci aiutano a ragionare
sull’islam reale, in carne e ossa, che talvolta scopriamo molto diverso e distante dalla raffigurazione
11
Tarik Ramadan (intervista a), “Islam. Una rivoluzione silenziosa in Europa”, in Missione oggi, giugno-luglio 2000.
prevalente nei media occidentali o dalla pre-comprensione che ne abbiamo sfogliando l’atlante
geopolitico dei conflitti mediorientali. Le pagine che il Corano dedica ai poveri, alla giustizia, al
rispetto per chi è diverso nel colore della pelle, nella lingua e nella religione sono un patrimonio
prezioso dell’umanità che non può essere negato o ignorato assolutizzando le spinte fondamentaliste
che si registrano nell’islam così come in altre tradizioni religiose. “La carità non consiste nel
volgere i volti verso l'Oriente e l'Occidente – leggiamo in questo sacro testo – ma nel credere in
Allah e nell'Ultimo Giorno, negli Angeli, nel Libro e nei Profeti e nel dare, dei propri beni, per
amore Suo, ai parenti, agli orfani, ai poveri, ai viandanti diseredati, ai mendicanti e per liberare gli
schiavi; assolvere l'orazione e pagare la decima” [2:177].
È un tema, quello dell’unità del genere umano, al centro della rivelazione di
Bahá'u'lláh, il fondatore della fede Baha’ì: “Colui che è il Signore, il Compassionevole –
afferma – nutre nel Suo cuore il desiderio di contemplare l'intera razza umana come un'unica anima
e un solo corpo".
Conclusione. Nel dialogo
Una società pluralista non cresce con la moltiplicazione di ghetti chiusi. Implode.
Il pluralismo richiede scambio, comunicazione, dialogo. È un processo dinamico che
va ben oltre la semplice registrazione delle differenze.
I valori che attraversano le comunità di fede solo talvolta sono peculiari a ciascuna
di esse; in altri casi le attraversano trasversalmente, accomunandole l’una alle altre.
Magari inconsapevolmente. Ce lo racconta molto bene un apologo della tradizione
mistica dell’islam, il sufismo, raccolta da Gialal ad-din Rumi. Narra di quattro
viandanti ai quali era stata affidata una moneta. Il primo era persiano e voleva
acquistare dell’angur; il secondo, arabo, voleva dell’inab; il terzo, turco, pretendeva
dell’uzum. Infine il quarto, greco, intendeva acquistare dello staffil. La discussione
degenerò e scoppiò un litigio finché non giunse un saggio che spiegò che, con nomi
diversi, volevano tutti la stessa cosa, semplicemente dell’uva.
È importante avere coscienza di questa possibile condivisione. A volte tendiamo a
considerare nostro esclusivo monopolio ciò che invece abbiamo in comune con altri:
ne nascono incomprensioni, gelosie, intolleranza, fratture sociali.
Il dialogo nasce scoprendo e valorizzando ciò che si ha in comune.
Ma non solo. E anche questo vorrei dirlo, concludendo, con un racconto: un
midrash della tradizione ebraica. È la storia di un vecchio rabbino, pio e saggio che
giunse alla fine dei suoi giorni. “Gli angeli che andarono a prelevarlo per l’ultimo
viaggio gli chiesero: rabbi, tu che hai vissuto una vita di santità e hai diritto di recare
con te, in cielo, una cosa grata al tuo cuore, dicci che cosa vuoi portare”. “Desidero –
sussurrò il rabbi – portare con me il suono della campana che si trova nei pressi del
mio villaggio”12.
Come abbiamo imparato da Amos in anni e anni di incontri e convegni
interreligiosi, il dialogo nasce e cresce anche imparando ad amare ciò che non ci
appartiene.
12
●
Aldo Sonnino, Racconti chassidici dei nostri tempi, La Giuntina, 1995, p. 49.