SETTIMANA 16-2014 v8:Layout 1 22/04/2014 14.33 Pagina 1 Via Scipione Dal Ferro 4 - 40138 Bologna Periodico settimanale tariffa R.O.C.: “Poste Italiane s.p.a. - Sped. in A. P. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art.1, comma 1, DCB Bologna 27 aprile 2014 www.dehoniane.it www.dehoniane.it/settimana 16 attualità pastorale Dopo Costantino fedi e laicità La spinta per fare del cristianesimo la religione dell’impero fu avversata da san Martino. Capacità critica similare è oggi richiesta alle fedi per non subire la privatizzazione della fede. L’insufficiente laicità e le nostalgie della cristianità. Il caso francese e le domande per tutti. Si pensa talvolta, parlando di una «svolta costantiniana», che la conversione di Costantino nel 312, quando diventa signore di Roma dopo la sua vittoria al ponte Milvio, e l’editto di tolleranza firmato a Milano da Licinio nel 313, significhino l’avvio di un impero da subito cristiano. Le cose non sono andate così. La cristianizzazione del sistema imperiale costituisce un lungo processo storico, segnato da rapporti di forza politici e religiosi, con un ritorno del paganesimo con Giuliano l’apostata, verso il 360, e una molto lenta trasformazione delle mentalità. Si dovrebbe distinguere meglio le tappe di questa complessa evoluzione: c’è stato anzitutto, con Costantino e a partire dall’editto di Milano, la fine delle persecuzioni anticristiane e un insieme di misure che manifestano una tolleranza sempre più ampia rispetto ai cristiani. Ci sarà, alla fine del secolo, con Teodosio, la separazione ufficialmente proclamata fra impero e religione pagana, che si accompagna, con l’editto di Tessalonica, nel febbraio del 380, con il riconoscimento pubblico della fede cattolica come legge dell’impero e religione di stato. Martino il riformatore. Ma l’intervento del potere pubblico in favore del cristianesimo non deve oscurare la permanenza del pa- ganesimo in numerosi settori della società, in particolare nell’aristocrazia senatoriale a Roma, dove uomini di cultura, come il prefetto Simmaco, si oppongono all’affermazione della fede cristiana, e anche nelle campagne dove le devozioni pagane restano molto vive, come lo mostrano, in Gallia, le polemiche del monaco e vescovo Martino. Non bisogna perdere di vista questo scarto che resta profondo fra potere politico che favorisce la religione cristiana e le mentalità che restano attaccate alle tradizioni pagane. Si deve tener conto delle metamorfosi di tali tradizioni durante il Basso Impero, dopo il terzo secolo; come hanno chiarito Henri-Irénée Marrou e Peter Brown, gli uomini e donne della tarda antichità, a differenza dei pagani dei due primi secoli, sono affascinati dall’esperienza religiosa. Si interrogano sull’aldilà. Cercano di comprendere il mistero del mondo e delle divinità. La cristianizzazione dell’impero non deve oscurare l’effervescenza religiosa interna al paganesimo. Se mai dovessimo stabilire un rapporto fra impero romano in via di cristianizzazione e società moderne, bisogna da subito prendere le misure di una radicale differenza. Nel mondo dell’antichità pagana, poi cristiana, fra vita religiosa e vita politica prevalgono relazioni di alleanza. La religione o le religioni ispirano e animano le città. Ne sono il cemento. Potere politico e potere religioso beneficiano, ciascuno a suo modo, della sacralità che supera l’individuo. Per dirlo in forma diretta, il cristianesimo poco a poco succede al paganesimo come religione di stato. Constatazione esplicita che può avviare giudizi più o meno perentori che segnano l’intera lettura della storia della Chiesa. Dopo Adolf von Harnack, alcuni la considerano una deriva costante e un tradimento dell’evangelo di Cristo, sognando un ritorno alle origini presunte pure da ogni compromissione col potere politico. > pag. 16 Don Milani e poi? Il cardinale di Firenze, G. Betori, ha annunciato su Toscana oggi (20 aprile) la formale riabilitazione del volume di Milani, Esperienze pastorali (Lef, 1958). Non ci fu nessun decreto di condanna ma la comunicazione della Congregazione della dottrina della fede al card. E. Della Costa di ritirare il libro dal commercio per motivi contingenti, evitando ristampe. Cambiate le contingenze, viene meno ogni sospetto. Il Regno lo presentò ampiamente e positivamente (n. 12,1958) con un dossier e una recensione di S. Burgalassi, accettando poi le disposizioni del S. Ufficio (n.1,1959). La geniale novità dell’impostazione pastorale del priore di Barbiana venne aspramente criticata anche se ha continuato ad alimentare lo zelo pastorale di molti preti e laici. L’attuale è una bella notizia velata dal rammarico del ritardo e delle occasioni perdute. Essa diventa un’appassionata richiesta di invenzione e di coraggio nell’annuncio del Vangelo a cui le nostre comunità cristiane non possono sottrarsi. etica La Corte e l’eterologa p. 3 vita ecclesiale I due papi “santi” p. 4 società La guerra “istituzionalizzata” p. 7 cultura Le “parole” di M. Veladiano p. 14 settimana 27 aprile 2014 | n° 16 A lla fine dell’anno anniversario dell’editto di Milano (firmato nel febbraio del 313), in occasione della visita all’Accademia di Francia del patriarca Bartolomeo di Costantinopoli, il 28 febbraio scorso, l’accademico mons. Claude Dagens, arcivescovo di Angoulême, ha letto quell’avvenimento sulla base delle sfide di oggi. Non per segnalare le continuità (cf. l’intervento del card. Angelo Scola nel dicembre del 2012 in Sett. 1/2013 p. 3), ma le discontinuità e i richiami. Dalla polarità cristianesimo-paganesimo si passa a laicità-religioni, con suggestioni che stimolano sia la Chiesa come gli stati. 1 SETTIMANA 16-2014 v8:Layout 1 22/04/2014 14.33 Pagina 16 > segue da pag. 1 settimana 27 aprile 2014 | n° 16 Di fronte a tali interpretazioni critiche, è possibile opporvi una realtà storica, spesso mal conosciuta ma molto vivace. Dal IV secolo la fede cristiana in Dio si manifesta come una forza critica, o piuttosto come istanza di discernimento: si tratta di sapere chi è veramente conforme alla verità del Cristo e all’Evangelo nella relazione fra stato cristiano e Chiesa. 16 La croce non la porpora. Le testimonianze migliori del fenomeno si trovano in un testo che è stato molto largamene conosciuto e diffuso dalla fine del quarto secolo. Si tratta della Vita Martini, composta dal monaco Sulpizio Severo e nel quale si percepisce perché alcuni ambienti, soprattutto monastici, non accettino che la Chiesa franco-romana e i suoi vescovi si accomodino al secolo. Martino è il prototipo del combattimento spirituale e della denuncia dei compromessi con il potere politico. Si sa che il soldato Martino, venuto dalla Pannonia, ha incontrato il Cristo nella persona di un povero con cui ha condiviso il mantello, vicino ad Amiens, durante un inverno molto freddo. Ma non sempre si conosce un secondo racconto in cui, alla fine della stessa Vita Martini, il vescovo di Tours è testimone di un’apparizione di Satana, travestito da Cristo imperatore, coperto con un mantello di porpora e con un diadema sul capo. Di fronte all’apparizione trionfante, Martino smaschera rapidamente la prepotenza: «No – afferma – il Signore Gesù non ha affatto predetto che tornerà rivestito di porpora, né di un diadema ostensivo. Per quanto mi riguarda, non crederò alla venuta di Cristo, se non si presenta con gli abiti e l’aspetto che aveva nella sua passione e se non porta chiari i segni della croce» (S. Sévère, Vita Martini, 24.7, traduzione di J. Fontaine, Sources chrétiennes 133, p. 309). Divenuto vescovo, Martino è stato fedele alla sua scoperta giovanile: sa che la sola forza dei cristiani è quella che viene dalla croce di Gesù Cristo. Non è per nulla un santo trionfante. È un uomo che ha vissuto sotto il segno del dono di sé e della povertà. Non solo lotta per la causa di Cristo, ma comprende se stesso dalla parte del Cristo rifiutato, perseguitato, oggetto di disprezzo e di insulti, per tutto il tempo delle sue lotte per l’evangelizzazione delle campagne. Davanti a un potere politico diventato cristiano, afferma nei suoi atti la primazia della sequela e dell’imitazione del Cristo povero. Così si manifesta la missione profetica della Chiesa davanti all’impero cristiano: non si tratta solo di resistere alle potenze del mondo, si tratta di rendere esplicita la libertà della Chiesa e la volontà di far agire la carità del Cristo nel mondo. Si può dire che Martino è stato nel IV secolo un vescovo riformatore nella Chiesa franco-romana. Inscriversi nella laicità. Sono convinto che la fede cristiana in Dio può e deve inscriversi nelle nostre società cosiddette moderne, con tutto quello che le caratterizza, i cui tratti sono indicati da parole spesso astratte come desacralizzazione, secolarizzazione, de-cristianizzazione e pluralismo religioso. Ma l’importante non è contenuto nei termini, bensì nell’esigenza primaria di «inscriversi» (la parola è di Péguy). Essa significa che, come cristiani, non ci rassegniamo ad essere spettatori impotenti di evoluzioni irresistibili che condannerebbero il cristianesimo ad un’evacuazione più o meno totale. Come è detto nella Lettera dei vescovi ai cattolici di Francia del 1996: «Ci teniamo ad essere riconosciuti non solo come eredi, solidali d’una storia nazionale e religiosa, ma anche come cittadini, che partecipano della vita attuale della società francese, che ne rispettano la laicità costitutiva e che desiderano manifestarvi la vitalità della loro fede». Ma, prima di evocare le condizioni e le esigenze dell’inscrizione del cristianesimo dentro la nostra società, va riconosciuto il balzo vertiginoso che oso fare, passando senza precauzioni dal IV al XXI secolo e dall’impero divenuto cristiano alla Repubblica divenuta laica. È anzitutto chiaro che il sacro non è pervasivo di tutto l’ordine politico moderno, anche se esiste, alla fine del XIX secolo, una sacralità repubblicana, dotata di una filosofia, di una morale e di un personale con l’incarico di incarnarla. Bisogna ancora precisare: il modello che regge il mondo dell’antichità pagana, poi cristiana, è un modello di relazioni ordinarie fra il piano religioso e il piano politico. Le nostre società moderne sono sempre più rette da un modello fatto, se non di separazione, quanto meno di distinzione e di distanza fra Chiesa e stato, fra le autorità spirituali e le autorità politiche. Con l’affermazione conseguente della non confessionalità dello stato e del suo non coinvolgimento nell’ambito religioso. Tenendo conto di ciò, resta da capire la parte più complessa: la situazione offerta alle religioni e specialmente alla religione cristiana, e più specificatamente ancora alla Chiesa cattolica e ai cattolici, nella società francese attuale. marginalizzazione e presenza, sono senza dubbio interdipendenti. Da un lato, le credenze religiose sono rinviate alla sfera della vita individuale, a quello che si chiama il privato. Può succedere a dei credenti, cattolici o protestanti, che vivono nella nostra società, di interiorizzare tale separazione tra fede personale e impegno pubblico. L’ambito del credere resta un settore a lato dell’esistenza, come un segreto nascosto nella coscienza. I giovani subiscono talvolta le conseguenze di tale privatizzazione della fede. Hanno difficoltà a esprimere le loro ragioni di credere, soprattutto quando li si deride. Vi è qui un necessario lavoro educativo: come dare ai giovani cristiani i modi di dire in libertà le ragioni della fede davanti a chi afferma le ragioni di altre adesioni religiose, ebree o islamiche, come anche non-credenti e agnostiche? D’altro lato – ed è il paradosso – le religioni sono oggi esposte sulla piazza pubblica. E questo vale anzitutto per l’islam che è diventata la seconda religione più praticata di Francia e il referente principale della laicità, dal momento che un ministro dell’Interno, divenuto presidente della Repubblica, imitando Napoleone che, nel 1807, ha unificato gli ebrei di Francia sotto un unico Gran Rabbinato, ha cercato di organizzare il culto musulmano. Da questo momento ciò che si dice e si pensa di tutte le religioni dipende da ciò che si dice e si pensa dell’islam e dei musulmani, nei quali molti percepiscono una minaccia per l’ordine pubblico, soprattutto se si considera che tale religione relativamente nuova non sembra capace di integrarsi nel regime di laicità. Davanti a queste reazioni malfidenti più o meno giustificate, che valgono anche in rapporto coi cattolici, il potere politico oscilla fra due estremi: o percepisce realtà e manifestazioni religiose come mi- Claude Dagens arcivescovo di Angoulême ATTUALITÀ n. 16 - 27 aprile 2014 settimanale - anno 49 (69) Tariffa R.O.C.: “Poste Italiane s.p.a. - Sped. in A.P. – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bologna” direz. e redazione: v. Scipione Dal Ferro 4 40138 Bologna - tel. 051/3941511 - fax 3941399 Per verifiche e abbonamenti ufficio abbonamenti tel. 051/3941255 - fax 051/3941299 v. Scipione Dal Ferro 4 - 40138 Bologna c.c.p. 264408 intestato a: Centro Editoriale Dehoniano spa - Bologna Stampa: Italiatipo litografia - Ferrara Credere e partecipare. Siamo posti davanti a un fenomeno paradossale. Le religioni sono oggi, a un tempo, respinte, più o meno marginalizzate, eppure presenti sulla scena politica. Nel bene e nel male le due caratteristiche, nacce almeno potenziali da denunciare, o colloca il valore delle religioni nell’ambito sociale o culturale come forze di solidarietà o istituzioni di memoria, soprattutto se dispongono di un ricco patrimonio. Ma, al di là di queste reazioni opposte e difficilmente gestibili, esiste una difficoltà più radicale che tocca il terreno educativo. Si tratta della «rottura della tradizione e della trasmissione» che si è prodotta nella nostra società da circa quarant’anni. Ogni educatore deve affrontare una sfida di rilievo: come permettere alle giovani generazioni di appropriarsi di una storia il più possibile comune, con valori comuni e non solo con differenze e preferenze individuali? E come far comprendere – e comprendere noi stessi – che abbiamo bisogno di questa memoria comune per affrontare il presente, tanto più che esso è segnato dall’incertezza e spesso dalla paura del futuro? Permettetemi un sogno. In questa settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, ortodossi, protestanti e cattolici, non chiedo di pregare ma di sperare che – a parte le enormi difficoltà che ci sono davanti, le incomprensioni persistenti, i radicalismi risorgenti da ogni dove, e in particolare dall’ambito religioso e politico – ci siano fra noi uomini e donne semplicemente ragionevoli capaci di un confronto aperto, di spiegare i termini che usano, in particolare laicità e religione e anche cristianesimo, che si impegnano ad offrire agli altri la possibilità di fare appello alla propria coscienza, alla libertà della coscienza e all’intelligenza e – perché no – alla loro reale disponibilità al rispetto, alla comprensione e all’amore. Abbiamo la libertà di compiere questa missione, se lo vogliamo. Reg. Trib. di Bologna n. 3238 del 22-12-1966 Articoli, lettere, materiali vari inviati al giornale non si restituiscono. 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