Capitolo 11 Il patrimonio ecclesiastico

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Edizioni Simone - Vol. 32/1 Compendio di diritto del ecclesiastico
Capitolo 11Il patrimonio ecclesiastico
SommarioSezione Prima: Concetto e partizione. - 1. Definizione e partizione del
patrimonio ecclesiastico. - 2. L’edificio destinato al culto. - 3. Le pertinenze
dell’edificio di culto. - 4. Costruzione, conservazione e riparazione. - 5.
Cimiteri e sepolcri. - 6. I beni culturali di interesse religioso. - 7. Le cose
mobili destinate al culto. - 8. I beni patrimoniali ecclesiastici. - Sezione
Seconda: L’amministrazione del patrimonio ecclesiastico. - 1. I controlli
canonici.- 2. Il sistema di pubblicità. - 3. Il diritto di prelazione dello Stato
sui beni immobili. - 4. Gli acquisti degli enti ecclesiastici.
Sezione Prima
Concetto e partizione
1.Definizione e partizione del patrimonio ecclesiastico
Il patrimonio ecclesiastico è un’espressione del tutto sconosciuta dalla legge canonica
e pressocché ignorata dal legislatore italiano (Dalla Torre). Con essa si identifica
quel complesso di beni mobili ed immobili che l’ordinamento statuale riconosce sottoposto al potere dell’autorità ecclesiastica (proprietaria o no dei beni stessi), per il
raggiungimento dei propri fini.
Restano, di conseguenza, esclusi dal patrimonio ecclesiastico:
— i beni destinati solo dalla volontà privata a scopi di culto;
— i beni che lo Stato, senza riconoscimento della Chiesa, volesse dedicare a scopi di
culto.
Si deve pertanto concludere che il patrimonio ecclesiastico non può ritenersi di una
vastità tale da comprendere tutti i beni aventi scopi di culto ma, nel contempo, non può
essere ristretto ai soli beni appartenenti agli enti ecclesiastici.
In particolare, le «cose» e i «beni» nell’ordinamento canonico, a seconda del modo
con cui soddisfano i bisogni del culto, sono sottoposti a regimi giuridici differenti e
si distinguono in:
1) beni o cose sacre, destinati, in seguito a consacrazione o benedizione, al culto
divino in modo «diretto»: ad es. chiesa, arredi, paramenti sacri. Fra le cose sacre
una posizione di gran lunga più importante hanno gli edifici destinati al culto;
2) beni temporali o beni ecclesiastici comuni, destinati a finalità temporali: servono
al culto in modo «indiretto» in quanto costituiscono fonte di reddito per il mantenimento del clero, l’ufficiatura della chiesa, etc.
La trattazione sulle cose e i beni non può prescindere dalla considerazione dell’art.
831 codice civile, primo comma, norma capace di fornire una regolamentazione generale alla disciplina del patrimonio ecclesiastico: «I beni degli enti ecclesiastici sono
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soggetti alle norme del presente codice, in quanto non è diversamente disposto dalle
leggi speciali che li riguardano».
2.L’edificio destinato al culto
Gli edifici di culto possono essere definiti come luoghi nei quali i fedeli di una determinata confessione, sia singolarmente che collettivamente, esercitano le loro funzioni
di culto (Tedeschi), nonché quei locali nei quali non si svolgono funzioni di culto ma
atti comunque a questi ricollegabili (Barillaro).
Tra i beni o cose sacre destinati direttamente al culto divino una posizione importante
ricoprono gli immobili, detti anche luoghi sacri (1), e tra questi particolarmente le chiese.
Col nome di «chiesa» si intende (così il can. 1214 cod. dir. can.) «un edificio sacro
destinato al culto divino, ove i fedeli abbiano il diritto di entrare ed esercitare soprattutto pubblicamente tale culto».
Relativamente agli edifici di culto, l’art. 5 del Concordato del 1984, unificando gli
artt. 9 e 10 del Concordato del 1929, prevede che questi non possano essere requisiti, occupati, espropriati o demoliti se non per gravi ragioni e previo accordo con
la competente autorità ecclesiastica. Inoltre, la forza pubblica non può entrare in
tali edifici senza avvisare l’autorità ecclesiastica, a meno che non si tratti di casi di
urgente necessità.
L’art. 831, co. 2, c.c., ponendo in essere una disciplina innovativa rispetto alla legislazione preconcordataria, ha stabilito che gli edifici destinati al culto cattolico, anche se
appartenenti a privati, non possono essere sottratti a tale destinazione, neppure per effetto
di alienazione, fino a che tale destinazione non sia cessata in conformità della legge.
Disposizioni analoghe sono previsti anche per i culti acattolici.
Mentre l’art. 5 del nuovo Concordato del 1984 (così come gli artt. 9 e 10 Conc. 1929)
parlano semplicemente di «edifici aperti al culto», il codice civile, al co. 2 dell’art.
831, parla invece di «destinazione all’esercizio pubblico del culto».
Ciò dimostra chiaramente che il legislatore ha voluto operare una differenziazione
ritenendo di non dover tutelare il vincolo di destinazione ove esso non abbia per scopo
l’esercizio pubblico del culto nell’edificio, ma solo l’uso privato di culto.
Non si ha, pertanto, esercizio pubblico se il culto, che nell’edificio si celebra, è destinato
solo agli appartenenti ad una comunità religiosa, ad una confraternita, ad un seminario, ad una scuola, ad un ospizio, senza che vi siano ammesse altre persone: occorre,
come ricorda Jemolo, che si abbia «la celebrazione a porte aperte, potendo accedere
chiunque, senza dover giustificare un titolo di ammissione».
Mancando l’esercizio pubblico del culto l’art. 831, co. 1, c.c., è inapplicabile, anche
agli oratori (can. 1223) e alle cappelle private (can. 1226) che, d’altra parte, il codice
di diritto canonico tratta in un capitolo separato rispetto alle chiese vere e proprie.
(1) Secondo il can. 1205 cod. dir. can., sono sacri «quei luoghi che vengono destinati al culto divino o alla
sepoltura dei fedeli mediante la dedicazione o la benedizione, a ciò prescritte dai libri liturgici».
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La cessazione della destinazione degli edifici in argomento, può avvenire solo «in
conformità delle leggi che li riguardino» (art. 831, c.c.). In mancanza di norme statuali
disciplinanti le modalità di cessazione si deve aver riguardo alle disposizioni dell’autorità ecclesiastica (v. canoni 1211, 1212, 1222 cod. dir. can., in specie l’ultimo che
prevede la riduzione della chiesa a uso profano non indecoroso).
3.Le pertinenze dell’edificio di culto
La condizione giuridica relativa alle chiese si estende, naturalmente, alle pertinenze,
cioè ai locali cosiddetti accessori, che, pur avendo una autonomia strutturale, assolvono
a una funzione complementare in ordine all’esercizio del culto.
Non è rilevante la materiale unicità di costruzione dei locali suddetti con l’edificio
principale destinato a culto, bensì la loro destinazione durevole, attuale ed effettiva al
servizio dell’edificio principale (De Stefano).
In base a tale criterio, è pacifico in dottrina che, a riguardo di tutte le chiese, siano da
considerarsi pertinenze la sacrestia e il campanile, qualche divergenza è sorta, invece,
per i locali adibiti ad uffici parrocchiali, ad abitazione del Parroco (cd. casa canonica)
o del Vescovo (episcopio), ed ancor più per quelli adibiti a sede di organizzazioni di
movimenti ecclesiali o utilizzati per ricreatorio, trattenimenti sportivi o culturali (es.
sale conferenze).
Una volta assodata la qualità di pertinenza di un bene, esso viene attratto nell’orbita
dell’edificio principale con la conseguente estensione, nei suoi confronti, dello speciale
regime riservato dal legislatore civile agli edifici destinati al culto.
4.Costruzione, conservazione e riparazione
A) Costruzione
La tutela della libertà religiosa, sia a livello costituzionale che legislativo, si esplica nel
garantire la libera manifestazione del proprio credo in modo effettivo, ossia attraverso
il diritto di fruire di un luogo specificamente dedicato al culto.
In tal senso, in relazione ai rapporti con la Chiesa cattolica, l’art. 5, n. 3, del Concordato
del 1984 prevede che lo Stato terrà conto delle esigenze religiose della popolazione per
quanto concerne la costruzione di nuovi edifici di culto cattolico.
L’art. 53 della L. 222/1985 precisa che detti edifici (e pertinenti opere parrocchiali), se costruiti con
contributi regionali e comunali, «non possono essere sottratti alla loro destinazione, neppure per
effetto di alienazione, se non sono decorsi venti anni dalla erogazione del contributo». Tale vincolo,
da trascriversi nei registri immobiliari, può comunque essere estinto, prima del compimento del
termine, d’intesa tra autorità ecclesiastica e autorità civile erogante e previa restituzione delle
somme percepite a titolo di contributo, in proporzione alla riduzione del termine. La norma sancisce,
infine, la nullità per gli atti e i negozi che comportino violazione del vincolo.
La giurisprudenza ha ritenuto che i patroni ex titulo aedificationis, sono obbligati a restaurare o
riedificare le chiese sotto la comminatoria della decadenza.
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Previsioni analoghe a quelle dettate dall’art. 53 della legge n. 222 del 1985 sono
contenute anche nell’art. 28 della legge n. 101 del 1989 con riferimenti agli edifici di
culto ebraici e nell’art. 11 della legge n. 126 in relazione agli edifici di culto ortodossi,
nell’art. 15 della legge n. 127 in relazione agli edifici di culto della Chiesa di Gesù
Cristo dei santi degli ultimi giorni.
B) Conservazione e riparazione
Per quanto concerne gli oneri relativi alla conservazione degli edifici di culto e alle
riparazioni, resesi necessarie per l’ordinario decorso del tempo, la disciplina è dettata
dalla L. 10/1977, per la quale chiese ed altri edifici per servizi religiosi sono stati classificati tra le opere di urbanizzazione secondarie per le quali i Comuni sono autorizzati
a provvedere con specifici finanziamenti.
Anche il D.P.R. n. 380 del 2001 (Testo Unico dell’Edilizia) qualifica come opere di
urbanizzazione secondaria le chiese e gli altri edifici religiosi, ma lo stesso provvedimento normativo ha abrogato l’art. 12 della legge n. 10 del 1977, che prevedeva che
presso ogni Comune fosse istituito un fondo destinato alla realizzazione delle opere
di urbanizzazione primaria e di quelle di urbanizzazione secondaria, costituito dalle
somme percepite per il rilascio delle concessioni edilizie e per l’applicazione delle
sanzioni amministrative irrogate per le violazione delle norme urbanistiche.
Le Regioni, tuttavia, forti delle competenze di legislazione concorrente in materia di
governo del territorio riconosciute dall’art. 117 della Costituzione, hanno provveduto
comunque a disciplinare l’erogazione dei contributi comunali in favore dell’edilizia
religiosa e ad introdurre anche finanziamenti regionali diretti.
In alcuni casi le leggi regionali hanno erogato tali contributi soltanto a favore della Chiesa cattolica
e delle confessioni i cui rapporti cono lo Stato siano regolate mediante intesa.
Tale discriminazione è stata censurata dalla Corte Costituzionale (sent. n. 195 del 1993 e n. 346
del 2002), in quanto un intervento dei pubblici poteri che trova la sua giustificazione nell’esigenza
di assicurare uno sviluppo equilibrato ed armonico dei centri abitativi e nella realizzazione di servizi
pubblici in senso ampio, compresi quelli religiosi, non può introdurre come elemento di discriminazione l’esistenza di un’intesa. È invece legittimo e non discriminatorio che la legislazione richieda
che la confessione abbia una presenza organizzata nell’ambito dei Comuni ove potranno essere
realizzati gli interventi previsti.
5.Cimiteri e sepolcri
In diritto canonico, costituiscono luoghi sacri, oltre le chiese, quelli destinati alla
sepoltura dei fedeli: cioè cimiteri e sepolcri.
Oggi i cimiteri possono essere di proprietà sia dei Comuni (o di più Comuni consorziati) facenti parte del demanio comunale, che di persone giuridiche ecclesiastiche
(confraternite, associazioni religiose etc.) o di privati.
Il loro uso è sempre governato dalla legislazione relativa alla polizia mortuaria ed il
relativo diritto di proprietà è sottoposto alle restrizioni che discendono dalla destinazione di quei luoghi di sepoltura.
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Circa la condizione giuridica:
— i cimiteri comunali sono beni di natura demaniale e seguono il regime giuridico di questi beni
(art. 824 c.c.). La spesa per la loro costruzione rientra tra quelle obbligatorie dei Comuni;
— quelli privati sono di proprietà dei titolari;
— quelli ecclesiastici sono sottoposti anche alle norme del diritto canonico (canoni da 1240 a
1243) oltre che a quelle di diritto statuale.
Nei cimiteri comunali possono esservi tombe, sepolcri, cappelle appartenenti ai privati, edificate
su suolo demaniale a seguito di concessioni amministrative. Al riguardo merita precisare quanto
al diritto del concessionario, la sua identità ad un diritto reale sui generis, che trova fondamento
nelle norme speciali che lo riguardano, consistente per taluni aspetti ad un diritto ora di servitù
ora di superficie.
Quanto alla concessione amministrativa con la quale si legittimi la realizzazione dell’opera, risulta
in dottrina ora identificata con una concessione di tipo costitutiva, ora traslativa ed in ultimo quale
vero e proprio diritto amministrativo.
Disposizioni specifiche sono dettate dall’art. 16 della legge n. 101 del 1989 con riferimento ai
cimiteri ebraici, dall’art. 27 della legge n. 127 del 2012 di ratifica dell’intesa con la Chiesa di Gesù
Cristo dei santi degli ultimi giorni, dell’art. 9 della legge n. 245 del 2012 di ratifica dell’intesa con
l’Unione Buddhisti italiani, dell’art. 10 della legge n. 246 del 2012 di ratifica dell’intesa con l’Unione
Induista italiana.
In genere si tratta dell’obbligo di prevedere nei piani regolatori cimiteriali reparti speciali per la
sepoltura su richiesta dell’autorità confessionale competente o la concessione di aree adeguate
nel cimitero, della previsione del rispetto delle prescrizioni rituali nei cimiteri della confessione e
nella inumazione nei reparti destinati alla confessione, del rispetto della propria tradizione nel
trattamento delle salme.
6.I beni culturali di interesse religioso
A) Edifici di culto d’interesse storico o artistico
In Italia le chiese costituiscono spesso monumenti d’arte di fama mondiale.
L’art. 12 del nuovo Concordato, in relazione al culto cattolico, stabilisce che Santa Sede
e Repubblica Italiana, nel rispettivo ordine, collaborano per la tutela del patrimonio
storico ed artistico. Tale previsione non è altro che un’applicazione specifica del principio dell’art. 1 del nuovo Concordato, secondo il quale i due soggetti, indipendenti e
sovrani, collaborano per la promozione dell’uomo e del bene del Paese.
Il comma 2 dello stesso articolo 12 introduce il principio della regolamentazione
pattizia, al fine di armonizzare le esigenze di carattere religioso con la salvaguardia,
la valorizzazione e il godimento dei beni culturali d’interesse religioso appartenenti
ad enti e istituzioni ecclesiastiche.
Sulla base di tale disposizione sono state stipulate intese sia a livello nazionale che regionale.
In particolare, a livello nazionale, vanno ricordate l’intesa del 2000, relativa alla conservazione
e consultazione degli archivi d’interesse storico e delle biblioteche degli enti e istituzioni
ecclesiastiche, cui si è data esecuzione con D.P.R. 16 maggio 2000, n. 189 (v. infra) e l’intesa del
2005, relativa alla tutela dei beni culturali di interesse religioso appartenenti a enti e istituzioni
ecclesiastiche, fra C.E.I. e Ministro per i beni e le attività culturali, a cui si è data esecuzione, con
D.P.R. 4 febbraio 2005, n. 78.
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In base al disposto del citato articolo 117 Cost., la tutela del patrimonio culturale,
ossia l’esercizio delle funzioni e la disciplina delle attività dirette ad individuare i beni
costituenti il patrimonio culturale e a garantirne la protezione e la conservazione per fini
di pubblica fruizione, spetta allo Stato, mentre la valorizzazione dello stesso, ossia
l’esercizio delle funzioni e la disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza
del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione
pubblica del patrimonio stesso, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura, spetta
alla competenza legislativa concorrente delle Regioni.
Le leggi che recepiscono le intese con le confessioni acattoliche hanno introdotto anche per
esse principi analoghi, volti a favorire la tutela e la valorizzazione dei beni costituenti il patrimonio
culturale, storico, materiale o morale di tali confessioni attraverso la collaborazione fra queste
ultime e la Repubblica italiana. In alcuni casi tale collaborazione si concretizza nella costituzione
di commissioni miste. La legge n. 175 del 2005 introduce, poi, a livello unilaterale disposizioni
per la salvaguardia del patrimonio culturale ebraico in Italia.
L’art. 9 del D.Lgs. n. 42 del 2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), infine,
conferma la nozione di bene culturale di interesse religioso introdotta dal nuovo
Concordato, estendendola però ai beni di appartenenza di tutte le confessioni religiose
e imponendo la collaborazione di Stato e Regioni, da una parte, e delle competenti
autorità delle confessioni religiose, dall’altra, relativamente alle esigenze di culto. L’art.
9, co. 2 richiama le disposizioni stabilite dalle intese concluse sulla base dell’art. 12
del nuovo Concordato e dalle leggi emanate sulla base delle intese sottoscritte con le
confessioni acattoliche (2).
Se i beni culturali di interesse religioso appartengono, invece, ad enti pubblici (Stato, Regioni,
Comuni), si applica il regime del demanio pubblico, rivestendo tali beni natura di beni demaniali
(demanio culturale).
B) Gli archivi degli enti ecclesiastici
Sotto la comune denominazione di archivi ecclesiastici si accorpano tutti gli istituti
che riflettono la multiforme attività della Chiesa cattolica: oltre a quello Pontificio Vaticano, che ha sede presso la Città del Vaticano, rientrano in questa tipologia anche gli
archivi diocesani, situati in ogni curia arcivescovile, quelli di capitoli, curie, parrocchie,
confraternite, ordini religiosi e monastici.
In ottemperanza al dettato legislativo ex art. 12 del nuovo Concordato è stato emanato
il D.P.R. 16 maggio 2000, n. 189, col quale è stata resa esecutiva l’Intesa, del 18-42000, tra il Ministro per i beni e le attività culturali e il presidente della Conferenza
episcopale italiana relativa alla conservazione e consultazione degli archivi d’interesse
storico e delle biblioteche degli enti e istituzioni ecclesiastiche.
(2) Il D.Lgs. 26-3-2008, n. 62 annovera gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti accanto agli enti pubblici
e alle persone giuridiche senza scopo di lucro. Conseguentemente deve ritenersi applicabile agli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, la disciplina prevista dal Codice dei beni culturali.
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L’art. 1 del D.P.R. 189/2000 stabilisce che, per agevolare la conservazione e la consultazione degli archivi in oggetto, i medesimi devono essere depositati, ove ciò sia
indispensabile, «presso l’archivio storico della diocesi competente per territorio».
A fronte di eventuali soppressioni di parrocchie o di diocesi, gli archivi delle strutture soppresse
«vengono depositati presso l’archivio della parrocchia o presso quello storico della diocesi cui le
medesime vengono ad appartenere a seguito del provvedimento di soppressione».
Infine, nel caso di archivi appartenenti a istituti di vita consacrata o a società di vita apostolica, il
deposito, qualora sia necessario, viene effettuato «presso l’archivio storico della provincia corrispondente», oppure, in mancanza di questo, «presso l’archivio storico generale o presso struttura
analoga, purché siti in territorio italiano, dei medesimi istituti o società».
Il successivo art. 2, a sua volta, impegna le autorità ecclesiastiche sia ad «assicurare
la conservazione e a disporre l’apertura alla consultazione degli archivi» in oggetto,
sia a dotare, in particolare, gli archivi storici diocesani (ai quali la C.E.I. destina «specifici finanziamenti nell’ambito delle risorse disponibili») di personale qualificato,
di inventari e di strumenti di corredo aggiornati, nonché di un apposito regolamento,
che, approvato dalle suddette autorità sulla base di uno schema-tipo predisposto dalla
C.E.I., serva a disciplinare, tra l’altro, l’orario di apertura al pubblico e, d’intesa con
il Ministero, i termini di consultazione.
Inoltre, le competenti autorità ecclesiastiche vengono chiamate a promuovere:
— l’inventariazione del materiale documentario e archivistico;
— l’adozione di adeguati dispositivi di vigilanza, custodia e sicurezza;
— i controlli sul rispetto della normativa civile e canonica in materia di divieto di alienazione, trasferimento ed esportazione di beni culturali (vigilando anche, per quanto di loro competenza,
sulla circolazione del materiale documentario e archivistico nel mercato antiquario).
C) Le biblioteche degli enti ecclesiastici
Per quanto riguarda le biblioteche, l’art. 5 del D.P.R. 189/2000 precisa, anzitutto, che il
Ministero per i beni e le attività culturali e la Conferenza episcopale italiana concordano:
— sul principio che i beni librari di interesse storico appartenenti ad enti e istituzioni
ecclesiastiche «rimangano nei rispettivi luoghi di conservazione»;
— sulla necessità di rendere disponibili tutti i possibili interventi atti a garantire la
sicurezza delle biblioteche appartenenti agli enti e alle istituzioni di cui sopra;
— sull’opportunità di utilizzare come sistema di riferimento (per quanto concerne
l’informatizzazione dei processi di cooperazione tra biblioteche) la rete italiana per
le informazioni e i servizi bibliografici del Servizio bibliotecario nazionale (SBN),
allo scopo di garantire, anche mediante l’apposita integrazione dei sistemi, «l’uniformità dei formati di descrizione catalografica, la diffusione delle informazioni
bibliografiche e l’erogazione dei servizi».
Circa gli interventi di competenza specifica della Chiesa cattolica, il successivo art. 6
chiarisce che l’autorità ecclesiastica s’impegna a:
a) garantire la conservazione e disporre l’apertura alla consultazione delle biblioteche
appartenenti ad enti e istituzioni ecclesiastiche;
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b) assicurare l’inventariazione, la catalogazione e la revisione dei cataloghi esistenti;
c) agevolare la consultazione, le riproduzioni e il prestito, provvedendo comunque a
tutelare il patrimonio raro e di pregio;
d) dotare tali biblioteche di personale qualificato, di inventari e cataloghi aggiornati,
nonché di un apposito regolamento.
L’art. 7 del D.P.R. 189/2000, a sua volta, indica gli interventi di competenza specifica
dello Stato, dunque del Ministero, nell’ambito del quale le strutture dirigenziali centrali
deputate all’amministrazione dei beni librari e degli istituti culturali provvedono alla
costituzione di un gruppo permanente di lavoro che, anche in attuazione degli orientamenti formulati dall’«Osservatorio centrale per i beni culturali di interesse religioso
di proprietà ecclesiastica», è tenuto a:
— coordinare le richieste d’intervento in favore delle biblioteche contenute nell’elenco
trasmesso dalla C.E.I. al Ministero;
— formulare pareri e proposte per tutto quanto concerne la formazione del personale
e le attività di inventariazione, catalogazione e tutela del patrimonio librario.
Infine, per quanto concerne gli interventi attuati in collaborazione tra la Chiesa cattolica e lo Stato, l’art. 8 del D.P.R. 189/2000 precisa che il Ministero e la C.E.I. sono
chiamati a collaborare nei seguenti settori: beni librari di diocesi, parrocchie ed enti
soppressi; tutela contro i furti e le alienazioni abusive; vigilanza sul mercato antiquario;
prestiti e mostre; calamità naturali.
7.Le cose mobili destinate al culto
A) Le cose sacre
Nell’interno delle chiese si trovano vari beni mobili, destinati per l’esercizio del culto
e per l’amministrazione dei sacramenti: altari, immagini sacre, vasi e arredi sacri,
paramenti e biancheria, candelabri, confessionali, banchi, tutte cose che vanno sotto il
nome di «sacre suppellettili».
Tali beni trovandosi con la chiesa in un rapporto di accessorietà, debbono essere
considerate quali pertinenze di mobili ad immobile, con conseguente estensione ad
esse del regime della cosa principale (chiesa) salvo sia diversamente disposto (art.
818, co. 1, c.c.).
Tra le cose mobili destinate al culto assumono una rilevanza particolare le «cose sacre»
quelle, cioè, che secondo l’ordinamento canonico (can. 1171) «sono state destinate al
culto divino con la dedicazione o la benedizione» e che, anche se in possesso di privati,
«non debbono essere adoperate per usi profani o impropri» (calici, pissidi, patene,
ostensori, nonché crocifissi ed immagini). Ad esse è assicurata una tutela particolare:
l’art. 514, n. 1, c.p.c. stabilisce, infatti, che sono assolutamente impignorabili «le cose
sacre e quelle che servono all’esercizio del culto».
Scopo del legislatore è stato quello di evitare che tali cose (soprattutto i cd. vasi sacri e i paramenti
liturgici) potessero, indecorosamente, essere messi in commercio e venduti all’asta pubblica.
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B) Le campane
Tra le cose mobili destinate al culto un posto a sé occupano le campane.
L’autorità ecclesiastica ha sempre rivendicato a sé il potere di regolamentare il modo
e i tempi di suonare le campane: può comunque verificarsi, specie nei piccoli centri,
che, in base a titolo specifico o a consuetudine, il Comune possa avere il diritto di usare
le campane nelle ricorrenze di feste nazionali civili. In tal caso (uso promiscuo), l’uso
deve essere regolato da reciproci accordi onde evitare inconvenienti (ad es. pretesa
dell’uso di campane per un funerale civile).
Si ammette anche l’uso «profano» delle campane, allorché si tratti di annunciare un pericolo (le
cd. «campane a martello»).
Il suono delle campane che superi la normale tollerabilità può costituire illecito civile ai sensi dell’art.
844 c.c., oltre che integrare la fattispecie penale del disturbo delle occupazioni o del riposo delle
persone di cui all’art. 659 c.p., punita con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a 309 euro.
A questa forma di «inquinamento acustico» va equiparato il richiamo del Muezin dei
fedeli dell’islam alla preghiera nelle moschee se viene utilizzato un altoparlante o altro
apparato elettronico che tenga toni insopportabilmente alti.
Si noti che la riguardo è previsto l’uso di appositi strumenti di misurazione della sorgente
sonora che fanno fede ai decibel non superabili per integrare il reato di inquinamento
acustico.
8.I beni patrimoniali ecclesiastici
A differenza dei beni sacri, i beni patrimoniali (detti anche beni temporali) costituiscono quella parte del patrimonio ecclesiastico, appartenente agli enti ecclesiastici, e
sono destinati a finalità (appunto temporali) quali il mantenimento del clero, l’acquisto
dei mezzi necessari all’ufficiatura delle chiese, le spese per festività religiose etc.
Tali beni possono essere:
— mobili, come, ad esempio, il danaro liquido, i titoli di credito (pubblici e privati) e
spesso anche derrate o altro offerte dai fedeli e benefattori (grano, vino, olio etc.);
— immobili, come, ad esempio, case e terreni: vengono anche denominati beni redditizi
se dati in affitto o concessi in enfiteusi.
Il Concordato del 1929, in relazione al culto cattolico, ha completamente ribaltato il
precedente sistema sopprimendo l’obbligo di assoggettare a conversione i beni immobili
degli enti ecclesiastici, per cui questi ultimi, in base alla normativa vigente, possono,
oggi, possedere liberamente beni immobili.
Vi è anzi da aggiungere che l’appartenenza di un bene immobile ad un ente ecclesiastico
comporta, da un lato, determinate agevolazioni fiscali e, dall’altro, l’assoggettamento
del bene stesso a norme particolari per quanto riguarda la sua amministrazione e la
sua alienazione.
A seguito del Concordato del 1929 non si ebbe, però, la restituzione dei beni tolti alla
Chiesa in base alle leggi eversive di epoca cavouriana.
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In considerazione delle difficoltà pratiche, che certamente sarebbero insorte, le parti contraenti
preferirono regolare questo tipo di rapporti a mezzo di apposita Convenzione finanziaria (facente parte, a tutti gli effetti, degli accordi lateranensi), nella quale fu fissata una indennità, parte in
contanti parte in consolidato, che lo Stato ha pagato alla Santa Sede al momento dello scambio
delle ratifiche degli accordi.
Sezione Seconda
L’amministrazione del patrimonio ecclesiastico
1.I controlli canonici
In base al disposto dell’art. 7, n. 5 del nuovo Concordato, l’amministrazione dei beni
appartenenti agli enti ecclesiastici è soggetta ai controlli previsti dal diritto canonico;
viene inoltre precisato che gli acquisti di questi enti sono però soggetti anche ai controlli
previsti dalle leggi italiane per gli acquisti delle persone giuridiche.
La norma, in effetti, conferma l’art. 30, co. 1, del Concordato del 1929 ove era detto che la gestione
dei beni appartenenti a qualsiasi istituto ecclesiastico ed associazione religiosa era sottoposta al
controllo delle competenti autorità della Chiesa, escluso ogni intervento da parte dello Stato italiano.
Questo principio, nettamente innovativo del sistema preconcordatario, sta a significare
che:
a) tutta l’amministrazione dei beni ecclesiastici in Italia deve svolgersi, di regola, in
conformità delle norme stabilite in materia dal diritto canonico, fatta eccezione delle
deroghe di cui alle disposizioni concordatarie e civili (da interpretarsi quest’ultime
restrittivamente, stante il carattere derogativo);
b) le normative canoniche disciplinando il ruolo, i diritti ed i doveri degli amministratori
e dei rappresentanti degli enti ecclesiastici, hanno forza di legge nell’ordinamento
italiano in virtù di un espresso rinvio formale.
Previsioni analoghe sono contenute anche nelle leggi che recepiscono le intese con
le confessioni acattoliche.
Per quanto concerne invece gli altri culti, gli artt. 13-15 e gli artt. 18-19 del R.D. n. 289 del 1930
prevedono che la vigilanza dell’autorità governativa possa esplicarsi anche sulla base delle norme
eventualmente contenute nel decreto di riconoscimento della personalità giuridica e in ogni caso
comprenda la facoltà di ordinare visite ed ispezioni agli istituti, la dichiarazione di nullità di atti o
deliberazioni degli istituti quando contengono violazioni di leggi o di regolamenti, l’autorizzazione
ad atti e contratti costituenti alienazioni di beni.
Al riguardo si segnala l’art. 13 della L. 15-5-1997, n. 127, modificato dalla L. 22-6-2000, n. 192, con
il quale si è abrogato a tutte le disposizioni che prescrivono autorizzazioni per l’acquisto di
immobili o per accettazione di donazioni, eredità e legati da parte di persone giuridiche, ovvero il
riconoscimento o autorizzazioni per l’acquisto di immobili o per accettazione di donazioni, eredità
e legati da parte delle associazioni, fondazioni e ogni altro ente non riconosciuto.
Il patrimonio ecclesiastico
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2.Il sistema di pubblicità
Il nuovo Concordato, in omaggio al principio della certezza del diritto e nell’intento
di contemperare tale riconoscimento d’efficacia con gli interessi dei terzi che entrino
in un rapporto negoziale con gli enti ecclesiastici, la L. 222/1985 prevede adeguate
forme di pubblicità stabilendo:
a) all’art. 5, che gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti devono iscriversi nel
registro delle persone giuridiche previsto dal codice civile e che in detto registro
devono risultare, tra l’altro, le norme di funzionamento e i poteri degli organi di
rappresentanza dell’ente;
b) all’art. 18, che, ai fini dell’invalidità o inefficacia di negozi giuridici posti in essere da enti ecclesiastici, non possono essere opposte a terzi, che non ne fossero a
conoscenza, le limitazioni dei poteri di rappresentanza o l’omissione di controlli
canonici che non risultino dal codice di diritto canonico o dal registro delle persone
giuridiche.
È stata comunque assicurata anche la pubblicità (e quindi la conoscibilità) dei provvedimenti canonici con cui la Santa Sede, a norma del can. 638, §3, cod. dir. can., e la Conferenza Episcopale
Italiana (C.E.I.), a norma dei cann. 1277 e 1295 cod. dir. can., determinano quali atti siano da
qualificare come eccedenti l’ordinaria amministrazione, nonché il limite di competenza per valore
oltre il quale, alla competenza del Superiore (per gli enti esenti dalla giurisdizione vescovile) o dal
Vescovo ad autorizzare l’atto, subentra quella della Santa Sede.
L’art. 11 del reg. di attuazione della L. 222/1985 (D.P.R. 33/1987) prevede, infatti, che detti provvedimenti siano comunicati dalla C.E.I. al Ministro dell’interno entro trenta giorni dalla promulgazione
nell’ordinamento della Chiesa e che chiunque vi abbia interesse possa richiedere alla Prefettura
del luogo ove risiede copia delle relative deliberazioni.
3.Il diritto di prelazione dello Stato sui beni immobili
Con l’istituzione degli istituti del sostentamento del clero è cessato il controllo dello
Stato sugli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione previsto per i precedenti enti
beneficiali ecclesiastici. L’art. 37 L. 222/1985 prevede, però, che allo Stato venga riconosciuto un diritto di prelazione sui beni immobili di valore eccedente i 774.685,35
euro (rivalutabili secondo gli indici ISTAT) che i suddetti istituti intendano vendere.
Funzione della norma è quella di assicurare che tali beni non vengano distolti dalla
funzione pubblica cui sono destinati.
La procedura per l’esercizio di tale diritto è la seguente: l’istituto che intenda vendere un bene
immobile deve comunicare al Prefetto competente per il luogo in cui l’immobile è ubicato tale sua
intenzione ed il prezzo di vendita. Il Prefetto può, in un termine di sei mesi, comunicare all’istituto
interessato la decisione dello Stato, del Comune, dell’Università, della Regione o della Provincia
di esercitare il diritto di prelazione; decorso tale termine l’istituto può procedere entro tre anni
alla vendita per il prezzo indicato. Il diritto di prelazione non vale se l’acquirente è un altro ente
ecclesiastico o per il caso operi altro diritto di prelazione sia legale (3) che convenzionale. In caso
(3) Si pensi ad esempio alla prelazione prevista in tema di comunione ereditaria, art. 732 codice civile.
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Capitolo 11
di inosservanza dell’onere di notifica al Prefetto, il contratto di compravendita è nullo a differenza
di quanto è previsto nelle altre ipotesi di prelazione legale, ove il diritto concesso viene tutelato
attraverso la attribuzione al titolare di un diritto di riscatto.
4.Gli acquisti degli enti ecclesiastici
A) Generalità
L’incremento che il patrimonio ecclesiastico può subire (sia a titolo oneroso che gratuito,
sia per atto inter vivos che mortis causa) era sottoposto originariamente al controllo
ordinario e generale da parte dello Stato, alla stregua di tutte le persone giuridiche,
pubbliche o private.
Già l’art. 30, co. 2, Conc. 1929 stabiliva che gli istituti ecclesiastici e le associazioni
religiose, provviste di personalità giuridica civile, potessero acquistare beni, «salve le
disposizioni delle leggi civili concernenti gli acquisti dei corpi morali».
Tale principio, di carattere generale, veniva ribadito in altre norme pattizie:
a) l’art. 27 Conc., pur sancendo la libera amministrazione da parte della Santa Sede delle basiliche
indicate in detto articolo e dei collegi di missione, soggiungeva che «restano, tuttavia, in ogni
caso applicabili le leggi italiane concernenti gli acquisti del corpi morali»;
b) l’art. 11 Tratt. prevedeva che anche gli acquisti degli enti centrali della Chiesa cattolica fossero
soggetti alle disposizioni delle leggi italiane concernenti gli acquisti dei corpi morali.
Il principio è stato in seguito solennemente riaffermato nell’art. 7, n. 5 del nuovo
Concordato, ove si dice che «gli acquisti degli enti ecclesiastici sono però soggetti
anche ai controlli previsti dalle leggi italiane per gli acquisti delle persone giuridiche».
Disposizioni analoghe erano previste anche nelle leggi che recepiscono le intese con
le confessioni acattoliche, oltre che negli artt. 16 e 17 del R.D. n. 289 del 1930 per i
culti ammessi.
B) L’abolizione dell’autorizzazione governativa
Il legislatore del 1942, al fine di controllare il fenomeno della cd. manomorta ed evitare
che cospicui patrimoni fossero concentrati nelle mani di soggetti di diritto privi di uno
scopo prettamente economico, sottraendo così ricchezza al commercio e agli scambi,
impose con l’art. 17 c.c. che per l’acquisto di immobili, a qualsiasi titolo, oneroso e
gratuito, e per l’accettazione di donazioni o eredità ed il conseguimento di legati, la
persona giuridica dovesse richiedere un’autorizzazione governativa (4).
L’art. 7 n. 5 del nuovo Concordato, disponendo che «gli acquisti degli enti ecclesiastici
sono soggetti anche ai controlli previsti dalle leggi italiane per gli acquisti delle persone
giuridiche», sanciva l’applicabilità dell’art. 17 c.c. agli enti ecclesiastici; in esecuzione
di tale norma, l’art. 17 della L. 20-5-1985, n. 222 stabiliva che gli acquisti compiuti
(4) La competenza a concedere l’autorizzazione per le persone giuridiche operanti esclusivamente nella materia
indicata dall’art. 117 Cost. e le cui finalità statutarie si esauriscono nell’ambito di una sola Regione, fu poi trasferita
alle Regioni con l’art. 15 del d.P.R. 24-7-1977, n. 616.
Il patrimonio ecclesiastico
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dagli enti ecclesiastici riconosciuti dovessero sottostare alle leggi civili relative alle
persone giuridiche e, quindi, essenzialmente alle disposizioni previste dall’art. 17,
dall’art. 600, dall’art. 782, dall’art. 786 c.c., nonché dagli artt. 5, 6 e 7 delle disp. att. c.c.
L’art. 17, co. 2 c.c., precisava che senza l’autorizzazione garantiva, l’acquisto e l’accettazione sarebbero stati inefficaci.
In seguito all’abrogazione dell’art. 17 c.c. ad opera dell’art. 13 della L. 15-5-1997, n.
127 (cd. Bassanini), gli enti ecclesiastici possono acquistare diritti reali immobiliari
senza necessità dell’autorizzazione governativa, con il conseguente venir meno del
procedimento illustrato.
Questionario
1. In base a quali criteri è possibile identificare il patrimonio ecclesiastico? (Sez. I, §1)
2. Come possono essere distinti i beni facenti parte del patrimonio ecclesiastico?
(Sez. I, par. 1)
3. È possibile pignorare i beni sacri destinati al culto? (Sez. I, §2)
4. A quali condizioni una chiesa può essere sottratta alla sua destinazione di luogo
di culto? (Sez. I, §4)
5. Quale è la condizione giuridica dei cimiteri ecclesiastici? (Sez. I, §5)
6. Quali sono i beni culturali di interesse religioso? (Sez. I, §6)
7. È possibile un uso profano delle campane? (Sez. I, §7)
8. Cosa si intende per beni patrimoniali ecclesiastici? (Sez. I, §8)
9. A quali tipi di controlli sono soggetti gli acquisti degli enti ecclesiastici? (Sez.
II, §1)
10. Quale funzione esplicano le forme di pubblicità nella disciplina degli enti e dei
beni ecclesiastici? (Sez. II, §2)
11. In cosa consiste il diritto di prelazione dello Stato sui beni immobili? (Sez. II, §3)
12. Come si articola il procedimento per gli acquisti degli enti ecclesiastici? (Sez.
II, §4)
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