12 V edendo un agopuntore che infigge i suoi sottili aghi nella cute di un paziente è facile avere l’impressione che questa pratica terapeutica abbia qualcosa di magico e che i suoi risultati derivino da fenomeni del tutto misteriosi. Anche le spiegazioni che ci fornisce la medicina cinese appaiono difficili da decifrare per la nostra mentalità occidentale, fondata su principi di quantificazione e di verifica oggettiva. I cinesi infatti si basano sul principio che esista un’energia vitale (che chiamano Qi) e che nell’individuo sano questa energia scorra nell’organismo lungo invisibili canali (i cosiddetti “meridiani”) con caratteristiche e con forza specifiche per ciascun organo; la malattia sarebbe invece dovuta ad alterazioni nella distribuzione della Qi all’interno degli organi. Esistendo una corrispondenza tra ciascun organo e determinati punti della superficie cutanea (chiamati Ting), infiggendo gli aghi in punti precisi della pelle si può normalizzare il flusso dell’energia all’interno dell’organo interessato. Questa descrizione può suonare alle nostre orecchie come una favola più che come una serie di affermazioni scientifiche, ma la biofisica è in grado di tradurre i concetti della medicina cinese in termini a noi più familiari. Semplificando al massimo, possiamo partire dal principio che in ogni cellula dell’organismo avvengono reazioni chimiche accompagnate dalla produzione di calore e di energia elettrica. Quest’ultima si propaga attraverso gli elettroliti, cioè i sali contenuti nella componente liquida dell’organismo. Per un fenomeno ben conosciuto in fisica, il flusso di energia elettrica si dirige verso le zone dotate di maggior potenziale positivo (rappresentate, appunto, soprattutto dalla pelle), concentrandosi in piccole zone cutanee. Queste zone sono organizzate in gruppi (che corrispondono ai meridiani cinesi), sulla base del grado di resistenza che offrono al passaggio del flusso elettrico. Ecco spiegata, dunque, la ragione per cui si ritiene che stimolando elettricamente punti precisi della cute sia possibile influire sulla distribuzione MA SIAMO SICURI CHE SI TRATTI DI UNA PRATICA PRIVA DI RISCHI? Studi statistici condotti su gruppi molto numerosi di pazienti evidenziano una percentuale di effetti indesiderati che varia dallo 0,002% allo 0,14% dei casi trattati. Gli incidenti gravi, o addirittura mortali, che possono essere provocati dall’infissione degli aghi consistono nello pneumotorace (entrata di aria nel torace con conseguente collasso del polmone) e nel tamponamento cardiaco (versamento di sangue nello spazio tra il cuore e la membrana che lo av- S in alute Non tutti gli aghi servono per cucire... Esiste oggi la tendenza a rivalutare trattamenti terapeutici che in passato si definivano “alternativi” rispetto alla medicina tradizionale, mentre attualmente si preferisce parlare di “medicina complementare”. Una delle pratiche più note è quella dell’agopuntura, studiata ed applicata in Cina fin dalla remota antichità. A fronte della descrizione di singoli casi in cui questa pratica ha effetti straordinariamente positivi, mancano ancora evidenze scientifiche e sperimentali indiscutibili riguardo alla sua efficacia. Tuttavia ricorrervi con prudenza e buon senso, e soprattutto con la guida del medico, può significare disporre di una risorsa in più per il proprio benessere. AGOPUNTURA del flusso elettrico lungo i meridiani fino in profondità, a livello di determinati organi. Aggiungiamo che anche altre forme di energia, oltre a quella elettrica, possono esercitare un effetto analogo: ad esempio il calore, la luce laser, l’applicazione di varie sostanze chimiche. Ma come si spiega, invece, l’effetto antidolorifico esercitato dall’agopuntura, che in molti casi i cinesi utilizzano addirittura al posto dell’anestesia? A questo proposito una recente ricerca condotta da studiosi milanesi ha dimostrato che gli aghi attivano le stesse zone del cervello (fra cui alcune aree frontali e il cervelletto) che rispondono agli stimoli dolorosi, sia acuti che cronici. Anche se rimangono molti aspetti da chiarire, questi primi risultati scientifici lasciano supporre che l’effetto analgesico dell’agopuntura non derivi, come sostengono alcuni, dalla suggestione ma sia basato su fenomeni oggettivi. D’altra parte si disponeva già di molti dati relativi al fatto che l’agopuntura innalza la soglia di percezione del dolore e provoca un aumento delle endorfine, cioè di quelle sostanze prodotte volge, con conseguente impedimento dei movimenti di espansione del cuore). Si tratta però di casi estremamente rari, imputabili all’imperizia o alla negligenza dell’operatore. Più spesso, ma sempre in percentuali molto modeste rispetto al numero degli interventi, si verificano piccoli incidenti come svenimento o mal di testa. Il modo migliore per difendersi da brutte sorprese è comunque quello di evitare assolutamente i “praticanti” di incerta origine e di affidarsi soltanto a medici dotati di esperienza in questa particolare metodica di trattamento. SI CHIAMANO AGHI, MA... Lo strumento usato dall’agopunturista non è semplice come si potrebbe credere. Gli aghi sono infatti composti da una parte chiamata “corpo”, costituita da una bacchetta molto sottile (diametro massimo 40 mm.) di acciaio molto duro ed elastico, affilata all’estremità. Per metà della sua lunghezza il “corpo” è ricoperto dal cosiddetto “manico”, un avvolgimento di filo metallico che può essere di materiali vari (argento, ottone, rame, tungsteno) ma non di acciaio: è infatti la differenza tra il metallo del corpo e quello del manico che genera il minuscolo potenziale elettrico a cui è dovuta una quota dell’efficacia terapeutica. A questo effetto elettrico si somma un effetto termico prolungato nel tempo, derivante dalla differenza di temperatura tra la parte di ago infissa nella pelle e quella che rimane all’esterno. dal nostro organismo che danno una sensazione di benessere. Le controindicazioni al trattamento sono rappresentate soprattutto dalla gravidanza, dal periodo mestruale, da età inferiore ai 7 anni. Infine, è bene ricordare che in mani esperte l’infissione degli aghi non provoca dolore. Concludere che l’agopuntura sia un È VECCHIA, SI, MA QUANTO? È del 200 avanti Cristo il primo manuale di agopuntura, ma aghi primordiali in osso, selce, terracotta o bambù, presumibilmente destinati a scopi terapeutici, sono reperti archeologici che risalgono addirittura a 5000 anni fa. Fin dal VI secolo dopo Cristo l’agopuntura è stata codificata in Cina come pratica medica, affidandone l’insegnamento ad appositi maestri. È però solo nel 1600 che la tecnica agopuntoria fu introdotta in Europa dai gesuiti e in quell’epoca, più precisamente nel QUANTI SONO I MALATI CHE CI CREDONO? Secondo una statistica ufficiale italiana compilata nel 1999 su 70.000 individui, la percentuale della popolazione generale che in quell’anno aveva fatto ricorso all’agopuntura era del 2,9%. Considerando solo i 9 milioni di pazienti che si curano con la medicina alternativa, quelli che ricorrono all’agopuntura sono il 5,8%, a fronte di un 27,3% che invece si cura con l’omeopatia. L’agopuntura sembra più affermata in Gran Bretagna, dove si calcola che ogni anno vengano praticati circa tre milioni di trattamenti con questa metodica e dove i medici che la utilizzano sono oltre 2000, ai quali si aggiungono 1200 fisioterapisti iscritti alla Società britannica degli agopuntori. toccasana a cui ricorrere con cieca fiducia sarebbe senz’altro eccessivo; più ragionevole è invece ritenere che si tratti di un’utile pratica complementare ai trattamenti terapeutici tradizionali quando esistono specifiche indicazioni di cui è compito del medico accertare l’esistenza. Jana Foscato 1671, fu pubblicato il più antico trattato europeo in materia. Bisogna invece attendere fino al 1896, quando William Osler ne descrisse l’efficacia nei casi di sciatica, per trovare ufficialmente traccia dell’agopuntura nella medicina occidentale. Esaltata da alcuni come terapia straordinaria e denigrata da altri come semplice ciarlataneria, in Italia l’agopuntura è rimasta per secoli nel limbo delle cosiddette terapie alternative, ed è stata “sdoganata” solo nel 1999, quando l’allora Ministro della Sanità ne consentì l’inserimento tra i metodi di cura ufficiali.