Il testo in lingua italiana - Pontificio Consiglio Giustizia e Pace

PER UNA DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA DAL BASSO
24.mo Congresso nazionale delle ACLI: Rigenerare comunità per ricostruire il Paese
Roma, 4 maggio 2012
Premessa
Ringrazio per l’invito rivolto dal vostro Presidente al Pontificio Consiglio della
Giustizia e della Pace in occasione del 24.mo Congresso nazionale delle ACLI,
incentrato significativamente, come recita il titolo degli ORIENTMENTI 2012, sul
tema: Rigenerare comunità per ricostruire il Paese. Acli artefici di democrazia
partecipativa e di buona economia.
1. Artefici di democrazia partecipativa in un contesto globale
Sono lieto di constatare che le ACLI hanno organizzato alcune giornate di
riflessione per progettare la riforma e la rigenerazione democratica, per meglio
contribuire alla ricostruzione del Paese e della democrazia sostanziale. Oggi, le
diverse associazioni, aggregazioni, istituzioni sociali sono chiamate, a fronte di
problemi complessi – in particolare di una crisi socio-culturale, economicofinanziaria, politica, democratica a proiezione globale – a ripensarsi e a riprogettare la
propria azione costruttrice.
L’orizzonte è locale, nazionale, mondiale, mentre ogni livello si interseca con
l’altro. La propria azione ricostruttrice, a livello locale e nazionale è, pertanto,
inevitabilmente connessa con un’azione sociale e politica che si sviluppa sul piano
regionale e globale. La rinascita della democrazia dal basso deve avvenire guardando
al globale, pensando di costruire simultaneamente una democrazia sostanziale e
partecipativa, come suggeriscono da tempo illustri pensatori, sul piano regionale
(europeo, africano, asiatico, ecc.) e mondiale. La democrazia partecipativa radicata
nella società civile può essere autentica ed avere futuro se viene strutturata in modo
aperto al globale, se può trovare sul piano mondiale istituzioni e pratiche ad essa
omogenee, che non la ostacolano, ma che la favoriscono.
La ricostruzione della democrazia contemporanea deve, allora, avvenire
assumendo un doppio sguardo: uno rivolto al locale e l’altro al globale, e viceversa.
Solo così la riforma delle attuali istituzioni democratiche e partecipative relative alla
società civile e al proprio Paese potranno avvantaggiare, con i propri stili e le proprie
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pratiche di vita, le istituzioni, gli ordinamenti e i profili giuridici internazionali e,
questi, potranno meglio commisurarsi, secondo i principi di solidarietà e di
sussidiarietà, agli altri livelli di democrazia che si praticano sul piano nazionale e
locale.
Come sta mostrando l’attuale congiuntura storica, caratterizzata, fra l’altro, da una
crisi finanziaria entropica e sistemica, è difficile poter conservare la democrazia
sostanziale senza istituzioni e mercati internazionali impostati in senso personalista e
democratico. Non si può coltivare una specie di allergia nei confronti di istituzioni
globali, perché al bene comune mondiale e a problemi globali devono corrispondere
istituzioni globali.
Ma se non sussistono simili istituzioni, occorre pur sempre cominciare o
ricominciare dal basso, dalle società civili, anche perché queste godono di un primato
ontologico ed etico rispetto alla comunità mondiale: senza le persone, i gruppi, i
popoli e le società civili, infatti, non esisterebbe una società politica mondiale. Le
società civili costituiscono il tronco originante ogni vita politica. La rinascita della
democrazia dal basso è come un nuovo germoglio che spunta dal tronco e non
imbastardisce quando sia sorretto da processi di partecipazione diffusa, dalla
creatività del sociale che alimenta istituzioni giuste ed educa alla realizzazione del
bene comune.
Senza un politica democratica diffusa internazionalmente, e che rifiorisce dal
basso, a partire dalla mobilitazione e dall’educazione dei soggetti della società civile,
è impensabile il vigoreggiare di un’economia civile, e che possano esistere mercati
liberi, trasparenti, stabili, democratici, capaci di includere tendenzialmente i più
poveri, e siano orientati alla realizzazione di uno sviluppo sostenibile, del bene
comune mondiale. Un’economia civile può sussistere, con la sua imprenditorialità
plurivalente - che non esclude il profitto, ma che lo considera strumento per
realizzare finalità umane e sociali -, quando la politica non sia asservita ad una
ideologia neoliberista del mercato fine a se stesso o all’ideologia del capitalismo
finanziario deregolato, secondo il quale l’impresa non è una comunità di persone a
servizio della società, bensì solo una società di capitali a servizio degli azionisti. Tali
ideologie non solo unidimensionano il mondo imprenditoriale, uccidendone il
pluralismo di espressioni, ma addirittura sono «eversivi» nei confronti dell’impresa
come soggetto comunitario, a servizio della società. Da questo punto di vista appare
urgente una certa «definanziarizzazione» dell’economia e della stessa finanza, pena la
destrutturazione dell’economia reale e civile.
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È solo grazie ad una politica che recupera il primato sulla finanza e sui mercati,
per ragioni di bene comune; è solo grazie ad una politica che non arretra di fronte alle
proprie responsabilità, e che si riforma, che è possibile creare le condizioni
d’esistenza e di sviluppo di un’economia civile, ossia di un’economia e di una
finanza che sono a servizio delle imprese, delle famiglie e degli enti locali. È
possibile solo grazie anche all’innalzamento di istituzioni globali che regolamentino e
indirizzino la globalizzazione dell’economia, sui vari piani – locale, nazionale,
regionale, mondiale – al bene comune mondiale.
2. L’urgenza di istituzioni globali democratiche e di mercati liberi, stabili,
trasparenti, democratici, funzionali all’economia reale
È proprio in riferimento a questi problemi, e in sintonia con quanto si è detto
sin qui, che il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace ha ritenuto opportuno
pubblicare alcune Riflessioni sulla necessaria riforma degli attuali sistemi finanziari e
monetari internazionali nella prospettiva di un’autorità pubblica a competenza
universale.1 Uno degli obiettivi di tali Riflessioni – a fronte di una crisi economicofinanziaria perdurante; a fronte dell’assenza di mercati liberi, stabili, trasparenti,
“democratici” (non oligarchici), funzionali all’economia reale; a fronte della carenza
di istituzioni politiche, a livello locale, nazionale, regionale e mondiale, necessarie
per orientare la globalizzazione economica al bene della famiglia umana; a fronte di
Organismi internazionali inefficaci nei loro apparati burocratici ed amministrativi; a
fronte di una crisi etico-culturale fondamentale – è stato quello di evidenziare la forte
cogenza delle ragioni del bene comune mondiale e della giustizia sociale globale
rispetto all’innalzamento di istituzioni commisurate ad essi.
1
Cf PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Per una riforma del sistema finanziario e monetario
internazionale nella prospettiva di un’autorità pubblica a competenza universale, Libreria Editrice Vaticana, Città del
Vaticano 2011 (seconda ristampa). Non è la prima volta che il Pontificio Consiglio affronta tematiche relative
all’economia e alla finanza. Basti anche solo pensare a: ID., Un nuovo patto finanziario internazionale 18 novembre
2008. Nota su finanza e sviluppo in vista della Conferenza promossa dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a
Doha, Tipografia Vaticana, Città del Vaticano 2009. Prima ancora si era interessato delle ricorrenti crisi finanziarie e
della necessità di nuove istituzioni pubblicando i seguenti testi: ANTOINE DE SALINS-FRANÇOIS VILLEROY DE
GALHAU, Il moderno sviluppo delle attività finanziarie alla luce delle esigenze etiche del cristianesimo, Libreria
Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1994; Social and Ethical Aspects of Economics, Atti relativi al I Seminario di
economisti organizzato il 5 novembre 1990 presso il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Vatican Press,
Vatican City 1992; World Development and Economic Institutions, Atti del II Seminario di economisti organizzato il 4
gennaio 1993, Vatican Press, Vatican City 1994. Entrambi i Seminari sono stati possibili grazie alla collaborazione dei
professori Ignazio Musu e Stefano Zamagni, esperti del Pontificio Consiglio.
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Mai, come oggi, con riferimento a problemi globali si sente la necessità di
istituzioni altrettanto globali, nonché del ripristino della missione della politica, intesa
come attività a servizio dello sviluppo integrale e sostenibile di tutti, singoli e popoli.
Le Riflessioni del Pontificio Consiglio, ponendosi in stretta continuità con la
Caritas in veritate, hanno in particolare focalizzato l’attenzione su una delle
condizioni che costituiscono o sostanziano il bene comune mondiale, ossia
l’esistenza, in vista di uno sviluppo integrale non velleitario dei popoli, di mercati
liberi, trasparenti, stabili, non oligarchici, democratici, funzionali all’economia reale
e alle società, considerati “bene pubblico”, bene universale.
Ebbene, proprio in vista della realizzazione del bene comune mondiale e della
connessa giustizia sociale globale – non si dà, infatti, bene comune mondiale senza
giustizia sociale globale - le Riflessioni propongono, come peraltro l’aveva già
suggerito la CIV al n. 67, la riforma sia dell’Organizzazione delle Nazioni Unite –
pervenendo, gradualmente, alla costituzione di una vera Autorità politica mondiale sia dell’architettura economica e finanziaria internazionale. In particolare, le
Riflessioni, affinché i mercati siano “bene pubblico”, e non invece un “male
pubblico”, dannoso per le economie e le società, suggeriscono, oltre alla riforma
dell’attuale ONU, anche la riforma della Banca Mondiale e del Fondo monetario
internazionale - nati con una vocazione e un mandato di governo della finanza, ma
che hanno fallito l’obiettivo della stabilità monetaria e del ridimensionamento
significativo delle situazioni di povertà –, nonché la costituzione di banche centrali
regionali, supportate da entità politiche corrispondenti.
In definitiva, suggeriscono:
a) una nuova era di responsabilità riformatrice, come anche proposto dai leader
del G20 nella dichiarazione di Pittsburg del 2009;
b) un salto di qualità: il passaggio deciso da un sistema di governance, di
semplice coordinamento orizzontale tra Stati senza un’autorità superiore, a un
sistema che, oltre al coordinamento orizzontale, disponga di un’autorità super
partes, con potestà di decidere con metodo democratico e di sanzionare in
conformità al diritto. Un tale passaggio verso un Governo mondiale non può
avvenire – spiega il Pontificio Consiglio – se non dando espressione politica a
preesistenti interdipendenze e cooperazioni e, quindi, senza abbandonare la
pratica del multilateralismo sia a livello diplomatico sia nell’ambito dei piani
per lo sviluppo sostenibile e per la pace.2
c) Il recupero del primato dello spirituale, dell’etica e della politica, responsabile
del bene comune, sull’economia e sulla finanza;
2
Cf Per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale, pp. 27-28.
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d) Il potenziamento del protagonismo della società civile, del multilateralismo e
della cooperazione internazionale;
e) Il superamento dei risorgenti nazionalismi;
f) Un nuovo modello di società internazionale più coesa, poliarchica, rispettosa
delle identità di ciascun popolo, ma entro la ricchezza di un’unica umanità, di
un unico bene comune mondiale, cui deve corrispondere un’autorità politica
mondiale;
g) Un trasferimento graduale ed equilibrato di una parte delle attribuzioni
nazionali alle Autorità regionali e all’Autorità mondiale.
Oltre a ciò, nel breve testo del Pontificio Consiglio vengono, verso la fine,
proposte – peraltro, senza la volontà di imporle a nessuno, ma solo con lo scopo di
alimentare una feconda discussione - tre piste di riflessione, a fronte della necessità di
governare in particolare il mercato ombra dei derivati, di avere a disposizione
istituzioni bancarie capaci di offrire credito alle imprese e di realizzare la giustizia
sociale in ambito finanziario, sul piano nazionale ed internazionale. Tali piste di
riflessione, dopo circa cinque mesi dalla loro pubblicazione, rimangono attuali come
sono attuali i problemi a cui esse si riferiscono. Esse sono relative:
a) a misure di tassazione delle transazioni finanziarie, mediante aliquote eque, ma
modulate con oneri proporzionati alla complessità delle operazioni, soprattutto
di quelle che si effettuano nel mercato “secondario”;
b) a forme di ricapitalizzazione delle banche anche con fondi pubblici,
condizionando il sostegno a comportamenti “virtuosi” e finalizzati a sviluppare
l’economia reale;
c) alla distinzione tra banche di credito ordinario e banche di speculazione.
Le Riflessioni, mentre mirano ad una riforma dei sistemi monetari e finanziari,
richiamano l’urgenza, quale condizione previa, di un nuovo pensiero e di un nuovo
Umanesimo, che possono germogliare grazie ad una nuova evangelizzazione del
sociale, perché come rammenta Benedetto XVI, primo e principale fattore dello
sviluppo è l’annuncio di Gesù ( cf CIV n. 8).
3. La priorità dell’accesso al lavoro, o del suo mantenimento, per tutti
Grazie ad un nuovo pensiero e ad un nuovo Umanesimo, implicanti una
robusta spiritualità, si possono affrontare meglio anche gli odierni problemi legati al
mondo del lavoro, che evidenziano come la questione sociale sia divenuta questione
antropologica.
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Come rilevò, a suo tempo, la Laborem exercens del beato Giovanni Paolo II, il
lavoro, nella sua accezione più vasta – comprensiva, per certi aspetti, delle attività
artistiche – abbraccia, e quasi si identifica, con ogni attività che mira al
perfezionamento dell’uomo e della società.
Oggi, però, il lavoro, così importante per la personalizzazione e per la
costruzione solidale della società, corre il rischio, a causa delle nuove ideologie
mercatistiche e tecnocratiche, di essere nuovamente “oggettivizzato”, ossia di perdere
la sua principale dimensione, quella “soggettiva”.
In un simile contesto, la Dottrina sociale della Chiesa ribadisce che il lavoro è,
anzitutto, “actus personae”. La dimensione “soggettiva” è il fondamento ultimo della
dignità e del valore del lavoro. La considerazione della dimensione soggettiva è
imprescindibile per la strutturazione ed istituzionalizzazione etica del mondo del
lavoro, dei sistemi economici e finanziari. Proprio la soggettività del lavoro, che
conferisce dignità al lavoro, si oppone radicalmente alla sua mercificazione e
“cosificazione”, causate dall’assolutizzazione del profitto a breve termine, dalla
finanziarizzazione spinta dell’economia, per la quale il lavoro è una variabile
dipendente di meccanismi economici e finanziari globalizzati.
Il primato della soggettività del lavoro – una soggettività piena, comprensiva
della sua dimensione di trascendenza, orizzontale e verticale – comanda,
congiuntamente alla valorizzazione ed emancipazione personalista, rispetto ai
meccanismi economici e finanziari, la subordinazione dell’attività lavorativa al fine
ultimo dell’uomo: il lavoro è un bene dell’uomo, per l’uomo e per la società; l’uomo
ha il primato sul lavoro, il lavoro è per l’uomo e non l’uomo per il lavoro, per
l’economia e per la finanza, per la società; l’uomo del lavoro è per Dio: non di solo
lavoro vive l’uomo.
È alla luce di questi nuclei essenziali di una cultura personalista, aperta al
Trascendente, secondo cui il lavoro è in vista dell’uomo e della sua vita in pienezza,
che è possibile immaginare, come suggeriscono gli Orientamenti 2012, di trovare un
equilibrio tra festa e lavoro, nonché la conciliazione tra famiglia e lavoro. È sempre
alla loro luce che diviene prioritario l’obiettivo dell’accesso al lavoro per tutti (cf
CIV n. 32), specie per i giovani e le donne. Si tratta di un obiettivo che per Benedetto
XVI non deve essere sottodimensionato neppure in un contesto di crisi globale. Anzi
– è bene esplicitarlo - esso va ribadito con più forza e, si deve aggiungere con
riferimento alla situazione italiana, va posto tra gli obiettivi principali dei partiti da
riformare o da rifondare.
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4. La fecondità sociale e politica del valore universale della fraternità
La cultura personalista del lavoro, dell’economia e della finanza, secondo la
CIV, viene rafforzata dal riconoscimento - sollecitato da un’esistenza che vive
immersa in un amore pieno di verità, nella caritas in veritate di Cristo – che ogni
essere umano è creato da Dio fratello per il proprio simile, ed è destinato a costituire
una comunità pienamente fraterna, secondo una relazionalità trinitaria (cf CIV n. 54).
La “cultura della fraternità” è intrinseca ad ogni cultura autenticamente
personalista. Ne irrobustisce le ragioni fondanti e il vigore morale e progettuale.
Lo stesso va affermato per la politica contemporanea, che appare retta da
impostazioni di tipo oligarchico, individualistico e materialistico.
Il paradigma della fraternità deve entrare nella politica attuale, al fine di
“civilizzarla” rispetto ai suoi “blocchi” nei confronti di categorie di persone che
vengono praticamente emarginate nella nostra attuale società. Si tratta, in particolare,
dei giovani e delle donne senza lavoro, degli immigrati che lavorano da anni nel
nostro Paese senza il riconoscimento dei loro diritti fondamentali. Ma non possono
essere dimenticati gli anziani, la cui esistenza , come ricorda Benedetto XVI, viene
sempre più lambita da una mens eutanasica ed anche i concepiti non nati a causa
della pratica violenta dell’aborto, che viene sempre più praticato sotto il pretesto di
una pianificazione eugenetica delle nascite (cf CIV n. 75).
In particolare, l’apporto prioritario che la fraternità, assunta come valore
ispiratore ed orientatore della politica, potrebbe offrire è senz’altro quello del
superamento di visioni di società che proteggono solo alcuni, i più forti ed
organizzati, e nelle quali vi sono “vite di scarto” e i poveri sono considerati un
“fardello” o dei fannulloni, sostanzialmente immeritevoli di emancipazione. La
fraternità, principio rigenerativo e riformatore, potrebbe aiutare a rivedere quelle
posizioni secondo cui essi sono addirittura considerati strutturalmente necessari al
buon funzionamento dell’economia di mercato (cf CIV n. 35).
“I poveri – afferma chiaramente Benedetto XVI - non sono da considerarsi un
“fardello”, bensì una risorsa anche dal punto di vista strettamente economico”. È da
ritenersi errata, egli aggiunge, “la visione di quanti pensano che l'economia di
mercato abbia strutturalmente bisogno di una quota di povertà e di sottosviluppo per
poter funzionare al meglio. È interesse del mercato promuovere emancipazione, ma
per farlo veramente non può contare solo su se stesso, perché non è in grado di
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produrre da sé ciò che va oltre le sue possibilità. Esso deve attingere energie morali
da altri soggetti, che sono capaci di generarle” (ib.).
Detto altrimenti, il bene della fraternità, già inscritto metafisicamente negli
esseri umani, e potenziabile mediante la partecipazione alla redenzione di Cristo,
potrebbe aiutare la politica a risemantizzare i propri pilastri del bene comune e della
giustizia sociale, oggi depotenziati da quelle etiche secolari (neocontrattualistiche,
dialogiche, neoutilitaristiche) che li strutturano ideologicamente privandoli delle basi
della verità del bene umano e dell’essere fraterni. Esse, infatti, perché mosse da uno
scetticismo gnoseologico di fondo e da una visione dell’uomo come essere utilitario,
radicalmente libero, privo di radici comunitarie. La fraternità potrebbe, in particolare,
aiutare a superare la visione meramente sociologica ed utilitaristica del bene comune
inteso come bene pattuito tramite un mero consenso sociale e identificato con gli
interessi della maggioranza, visti come utilità media attesa.
A ben riflettere, la DSC offre ai credenti e agli uomini di buona volontà,
impegnati nel sociale e nella politica, ben più di una ragione per essere “riformatori”
più che semplici “moderati”. La fraternità, in definitiva, può ispirare, rispetto agli
attuali assetti, una vera e propria rivoluzione sociale ed essere paradigma della
rinascita della politica, nonché l’anima, come ha detto il presidente Andrea Olivero,
del riformismo cattolico.
6. L’insegnamento del Beato Giuseppe Toniolo: lo sviluppo economico e sociale non
può avvenire senza istituzioni sociali partecipative e “democratiche”
L’insegnamento e la testimonianza del Toniolo sono di pregnante attualità,
contrariamente a quanto si potrebbe pensare di primo acchito, anche rispetto al suo
ideale di «democrazia cristiana» e al suo impegno a dare un fondamento scientifico e
culturale all’«ordine sociale cristiano».
È noto che il Toniolo quando parlava di «democrazia cristiana» non si riferiva a
un partito e nemmeno ad una forma particolare di governo. Egli alludeva
semplicemente ad un ordinamento civile nel quale tutte le forze sociali, giuridiche ed
economiche, nella pienezza del loro sviluppo gerarchico, cooperano
proporzionalmente al bene comune, su basi di libertà, fraternità e giustizia, con
l’intento di favorire il protagonismo sociale di tutti, specie dei più poveri. Nel suo
pensiero, la democrazia cristiana rappresentava l’ideale storico e concreto di una
società civile organizzata alla luce dei valori evangelici e delle virtù civili. Un tale
ideale sarà valorizzato successivamente dai cattolici che lo considereranno parte
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essenziale della «democrazia sostanziale», ossia una democrazia politica strettamente
interdipendente con la «democrazia» economica e sociale. Detto altrimenti, in vista
del progresso di un popolo, Giuseppe Toniolo riteneva fondamentale e prioritaria la
crescita sociale e civile.
Oggi, purtroppo, sotto il ricatto di una finanza altamente speculativa e con
l’illusione che si possa progredire anche senza la democrazia, come vorrebbe far
credere la Cina, si sta procedendo allo smantellamento di importanti conquiste sociali
e si è divenuti scettici nei confronti dell’azione politica, perché la si vede subordinata
alla finanza, priva di slancio ideale e progettuale. Sembra, oramai, che si dubiti
persino che lo sviluppo integrale sia intrinsecamente legato alla crescita democratica,
e viceversa. Sembra cioè che i cattolici, ma anche le altre forze politiche, non credano
più nell’ideale di un sviluppo integrale, che è più che economico, bensì anche morale,
sociale, culturale e religioso.
Ebbene, il Toniolo, anche se non è giunto ad elaborare un’idea compiuta di una
democrazia politica, quale bene essenziale per lo sviluppo di un popolo, può
insegnare a noi, inclini ad una democrazia populista ed oligarchica, che non si può
rinunciare alla «scienza» - così egli si esprimeva - di una diversa e più giusta società,
indispensabile per promuovere i ceti popolari, favorendone il riscatto e la
partecipazione alla realizzazione del bene comune. Una società è «scientificamente»
organizzata quando è ordinata in termini di libertà, fraternità e di giustizia, ossia
quando il suo profilo etico-culturale è commisurato e proporzionato alla dignità di
tutti i cittadini, specie i più deboli, e consente a loro di essere protagonisti di una
democrazia che sia partecipativa e non solo rappresentativa.
+ Mario Toso
Segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace
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