L’economia del bene comune di Stefano Zamagni Città Nuova, Gennaio 2008 240 pp., 16 € Presentazione del volume Tutti gli interventi di Zamagni raccolti in questo volume ruotano attorno a un’idea comune: l’economia moderna può e deve essere fondata e operare su basi etiche. In tal modo, contrastando la sempre più dilagante globalizzazione, essa può costituire un valido aiuto alla promozione umana dei più svantaggiati e degli esclusi dall’economia massimizzatrice di profitto. Prima di tutto, vengono chiariti in tutto il loro significato termini come fraternità, solidarietà, giustizia e gratuità. La fraternità viene individuata come quel principio che consente agli uguali di essere diversi, mentre la solidarietà consente soltanto ai diseguali di diventare uguali. Notiamo già la maggiore profondità della fraternità. La gratuità invece porta con sé la speranza e risponde alla logica della sovrabbondanza. Si differenzia da essa la giustizia, la quale non nient’altro se non una virtù etica che per giunta non si accompagna mai alla speranza. Infatti, sottolinea Zamagni, in una società perfettamente giusta, cosa mai potrebbero sperare i cittadini? Chiave di volta per il miglioramento fondamentale della società stessa, è l’affermarsi del principio di reciprocità, il quale altro non è se non la messa in pratica della fraternità. Passando ad analizzare una possibile forma di governo della cosa pubblica, non si potrebbe prescindere, secondo l‘autore, da una democrazia deliberativa. La ragione di questa scelta (che prevedeva come contraltare la democrazia elitistico-competitiva) risiede nel fatto che la prima ricerca continuamente di creare e accrescere il benessere degli “ultimi” includendoli nel circuito della produzione, e non della ridistribuzione, di ricchezza. Abbiamo parlato di democrazia e processi economici. Occorre però tornare indietro e individuare il passaggio decisivo che consente alla democrazia di instaurare un fecondo rapporto con lo sviluppo dell’economia. Nel corso dei secoli si sono presentate due scuole di pensiero. La prima sostiene che la democrazia seguirebbe di conseguenza lo sviluppo economico, ne sarebbe insomma il suo frutto. La seconda tesi postula invece l’affermarsi della democrazia come necessità inderogabile per innescare e sostenere il processo di sviluppo. Ad oggi gli esperti non sono ancora riusciti ad affermare che, in modo oggettivo, una via è preferibile all’altra. Per poter scegliere, è semmai opportuno fondare la riflessione sul carattere di diritti fondamentali delle libertà democratiche. Posto ciò, la prima soluzione non è accettabile. Infatti, perché mai si dovrebbero sacrificare i diritti della generazione presente, in nome dei diritti delle generazioni future? Semmai, si potrebbero sacrificare gli interessi presenti per quelli futuri. In più, la ragione maggiore consiste nel fatto che mentre è più facile che da una prolungata crisi economica si possa giungere alla democrazia, molto più difficile è che un’espansione economica conduca al superamento della dittatura, la quale potrebbe addirittura rafforzarsi. Per concludere, è la democrazia che consente, almeno nel lungo periodo, una via sicura per lo sviluppo economico.