RAETIA. - Provincia romana. - Con questo nome (e almeno sino a

RAETIA. - Provincia romana. - Con questo nome (e almeno sino a tutto il I sec. d. C. col
nome di R. et Vindelicia) si designò in età romana il territorio a settentrione delle Alpi
Centrali (Lepontine, Retiche, Tridentine), esteso sino al Danubio e, in un tratto, oltre
questo fiume. La R. ebbe i primi contatti con i Romani per via mercantile e - come per il
Norico - a partire dallo sviluppo della colonia di Aquileia. I rapporti si infittirono, specie
nella parte occidentale abitata da alcune tribù celtiche degli alti bacini del Rodano
(Nantuates, Varagri, Seduni, Uberi) e del Reno (Sarunetes, Suanetes, Calucones)
strettamente collegate con gli Helvetii durante e dopo la guerra cesariana in Gallia. Restati
nello stadio culturale dell'ultima fase La Tène, attardati in forme d'arte già proprie della
cultura reto-illirica dei secoli dal VI al III a. C., i popoli che abitavano la R. erano ordinati
secondo loro autonomie cantonali ed erano in parte soggetti al vicino regno del Norico.
La conquista della R. si imponeva ai Romani per la completa sicurezza della cerniera
alpina, dopo che questa regione si era venuta a trovare inserita come un cuneo tra la
Gallia Lugdunensis (poi, nel tratto confinante con la R., Germania Superior) e l'Italia. La
sottomissione della R. fu attuata assieme alla conquista del Norico, nell'anno 16 a. C. e
negli anni immediatamente successivi: dopo le prime operazioni condotte da P. Silio,
Tiberio dai valichi alpini e Druso dall'alto Reno condussero rapidamente a termine
l'assoggettamento delle diverse tribù che abitavano le due regioni in cui fisicamente può
essere distinta la R.: le valli alpine a mezzogiorno, percorse dall'alto Rodano - cosiddetta
Vallis Poenina poi attribuita con Marco Aurelio alla circoscrizione delle Alpes Graiae et
Poeninae -, dall'alto Reno e dal medio e alto bacino dell'Inn (Aenus) e dall'Adige col suo
affluente Isarco (tribù retiche dei Rugusci, Venastes, Breones, Genaunes e Focunates); e
il grande altopiano bavarese a settentrione, abitato dalle tribù vindelicie degli Estiones, dei
Consuanetes, dei Leuni e dei Rucinates, irrorato dagli affluenti di destra dell'alto Danubio,
e cioè dall'Inn, dall'Isar (Isarca) col suo affluente Amper (Ambra), dal Lech (Licus) con
l'affluente Wirtoch (Virda) e dal Günz (Guntia), nonché da altri paralleli. Dalla seconda
metà del I sec. d. C. si aggiunge alla R. una terza regione, cioè una fascia pianeggiante
transdanubiana compresa tra Regensburg (Castra Regina) e le alte colline del
Württenberg, fortificata a settentrione da un agguerrito limes segnato dapprima da Traiano
e potenziato di poi da Adriano e dagli imperatori successivi, sino alla perdita definitiva di
questo territorio sotto la pressione degli Alamanni e dei Marcomanni ai tempi di Gallieno.
I confini della provincia, a mezzogiorno del limes e del Danubio, risultavano così definiti: a
levante il corso dell'Inn separava la R. dal Norico, sino alla testata dell'alto bacino del
Salzach (Ivarus), ove il confine piegava a mezzogiorno sino a valicare il crinale alpino e a
tagliare la val Pusteria a oriente di Sebatum (S. Lorenzo di Sebato). Poi il confine volgeva
a occidente includendo nella provincia l'alta valle dell'Isarco (Isarcus) sino a Bressanone
(Brixentes) e dell'Adige sino a Merano, seguiva poi il crinale dell'Ortler e il passo dello
Spluga lasciando all'Italia gli alti bacini dell'Adda e del Ticino e includendo nella R. l'alto
bacino dell'Inn e del Reno: qui il territorio retico si insinuava con una lingua tra la
Germania Superiore, le Alpes Graiae e l'Italia, dal lago di Costanza (Brigantinus lacus) sin
quasi al Lemano (Lemanus lacus), comprendendo il corso superiore dell'Aar (Arura). Dal
lago di Costanza il confine raggiungeva quasi longitudinalmente il limes oltre il Danubio.
La provincia retica fu marginalmente interessata alle rivolte pannoniche del 6-9 d. C., alle
operazioni della guerra civile del 69 d. C., e più direttamente alle campagne di Caracalla
contro gli Alamanni, nel 213 d. C. Gli episodî più importanti delle guerre contro le
popolazioni transdanubiane si ebbero sotto Costanzo II, nel 355 e nel 358 e contro il
capo indigeno Vadomaro, sotto Valentiniano I, nel 370 e nel 375, e sotto Stilicone (401). In
questi tempi la difesa della R. è intesa soprattutto come necessaria antemurale dell'Italia:
per questo motivo la R. - che prima era stata organizzata come provincia imperiale
governata da un procurator, quando ancora non vi risiedevano grossi contingenti militari,
sostituito da un legatus da Marco Aurelio, nel quadro di una generale riorganizzazione
della provincia - fu divisa da Diocleziano in R. prima, comprendente la parte alpina e con
capitale a Curia (Coira) e in R. Secunda, comprendente l'altopiano della Vindelicia e con
capitale ad Augusta Vindelicum (Augsburg, ove aveva sino allora risieduto il legato
imperiale). Entrambe le circoscrizioni furono assegnate alla diocesi Italiciana, restando
affidati i poteri civili delle due circoscrizioni ai relativi praesides; il comando militare,
confidato a un dux, fu unico per tutta la R.: ancora al tempo di Teodorico, quando
dell'antica provincia restava solo il territorio della R. prima, il dux Raetiarum prendeva
ordini da chi governava l'Italia.
La battaglia di Strasburgo, nota anche come battaglia di Argentoratum dal nome latino
di Strasburgo, fu combattuta nell'agosto 357 tra l'esercito dell'Impero romano guidato dal
cesare Giuliano e la confederazione delle tribù degli Alemanni guidate dal re supremo
Cnodomario. Lo scontro di Strasburgo costituisce il momento decisivo al culmine della
campagna condotta da Giuliano tra il 355 e il 357 per debellare le incursioni dei barbari in
Gallia e ripristinare la linea difensiva dei forti romani lungo il Reno, che era stata
gravemente danneggiata durante la guerra civile del 350-353 tra l'usurpatore Magnenzio e
l'imperatore Costanzo II. Pur affrontando un nemico tre volte più numeroso, i soldati di
Giuliano ottennero una vittoria completa soffrendo perdite trascurabili, e dopo un duro
scontro giunsero a respingere gli Alemanni oltre il Reno, dopo aver inflitto loro gravi
perdite. L'esercito di manovra di Giuliano, il suo comitatus, era piccolo ma molto ben
addestrato: la battaglia fu vinta grazie alla forza e alla resistenza della fanteria romana, la
quale fu in grado di sopperire a una pessima prestazione della cavalleria. Negli anni
successivi a questa vittoria, Giuliano poté riparare e rinforzare le guarnigioni dei forti sul
Reno e imporre la condizione di tributari alle tribù germaniche al di là del confine.