Giovanna Righini Ricci Esperienze di educazione sessuale nella scuola media Premessa Questo libro non ha pretesa di essere un “manuale di educazione sessuale” né di fornire ricette infallibili; esso si propone semplicemente di offrire, a quanti si interessano al problema della educazione sessuale nella scuola media, alcune “testimonianze” dirette, e di riferire i risultati di esperienze didattiche, impostate e condotte dapprima in maniera empirica e approssimativa, poi, via via, con metodo più coordinato e razionale, con una preparazione più specifica e con una più matura consapevolezza. Ho iniziato, infatti, il discorso sulla educazione sessuale una decina di anni fa, circa, quando esso ancora poteva apparire un’audacia inaudita, da antesignani temerari; l’ho portato avanti, faticosamente ma puntigliosamente, procedendo tuttavia con cautela, con trepidazione, con incessanti verifiche e ridimensionamenti, acquisendo nel tempo quella coerenza psicologica e quella serenità e sicurezza metodologica e didattica derivanti dalla contestazione che, dal comportamento dei preadolescenti, dalle loro “nevrosi”, dalle loro esperienze, si possono enucleare, pur nella mutevole dinamica ed evoluzione del costume, delle variabili e delle costanti fisse, che permettono all’educatore di elaborare e di seguire, nelle sue linee essenziali, un “iter”didattico valido. È stato un cammino difficile, punteggiato di incomprensioni, ostacolato da pregiudizi, da complicazioni burocratiche, da arcaici tabù, rallentato anche da infiniti interrogativi, dalla necessità di fare sempre una serena autocritica, di procedere a un controllo della efficacia del metodo; e come tale viene qui presentato, a chi senta il desiderio di impostare nella scuola un discorso serio, motivatore, veramente formativo del carattere e della personalità del preadolescente. 41 Giovanna Righini Ricci “Traccia”, dunque, “spunto” e itinerario, suscettibili di infinite articolazioni e modifiche, a seconda delle situazioni, delle esigenze, della sensibilità, delle reali necessità dei ragazzi, ai quali il discorso va rivolto, con uno scrupolo e un autocontrollo che non devono mai venir meno, dal momento che la sperimentazione viene condotta su “materiale umano”, e che l’errore comporta una responsabilità terribile, oserei dire delittuosa. Giovanna Righini Ricci 42 PARTE PRIMA Esperienze di educazione sessuale nella scuola media 1. LE MOTIVAZIONI Non esiste, nel campo della educazione sessuale, una metodologia specifica nella quale ci si trovi coinvolti, in quanto ogni preadolescente che, sui banchi della scuola dell’obbligo, stia affrontando e superando faticosamente il travaglio puberale (vera e propria “situazione patologica” la definisce il Garrison1), è un mondo a sé, un microcosmo perfetto, con una sua dimensione unica e irripetibile, anche se in lui si riflettono i traumi e le turbe che hanno caratterizzato, sia pure in forma e con urgenze diverse, questa delicata fase di transizione di migliaia di generazioni. Ogni esperienza personale, quindi, in questo delicato settore dell’educazione, può servire solo come esemplificazione, testimonianza di un modo di procedere, e fornire perciò spunti didattici, da ampliare, approfondire, modificare (o anche rigettare in blocco), a seconda delle necessità biologiche e psichiche, della sensibilità, del grado di recettività, delle motivazioni, dei problemi, dello sviluppo, del livello intellettuale e socio-ambientale dei ragazzi e delle loro famiglie, del tipo di rapporto instaurato con i genitori, con i coetanei, con l’altro sesso, con la società, con l’autorità, a seconda del grado di “disinformazione” o del numero di informazioni sessuali in loro possesso, ecc. Tuttavia, pur nella eterogeneità di situazioni, di personalità e di comportamenti, è possibile enucleare alcu1 K.C. GARRISON, Psychology of adolescent, fourth edition, N.Y. Prentice, Hall. Inc. 45 Giovanna Righini Ricci ni punti fondamentali che possono divenire una traccia, sicura e costante, nella fluidità del procedimento nell’ambito scolastico. 1) La motivazione e l’approccio all’argomento di carattere sessuale. 2) L’occasione di intervento. 3) Il come, il quanto, il quando delle informazioni specifiche, anche se nello svolgimento della didattica, rimarrà sempre un quid soggettivo e, come tale, fluido e problematico, dal momento che il tipo di educazione sessuale che si può impartire nella scuola dipende sì dalle caratteristiche dei ragazzi, dalle loro necessità, ma soprattutto dalla personalità, dalla sensibilità, dal grado di preparazione specifica, di maturità, di recettività e di disponibilità dell’ educatore. Non si tratta infatti di fare dell’educazione sessuale un’occasione per porgere ai preadolescenti, con maggiore o minore dovizia di particolari, con maggiore o minore rigore scientifico, un certo numero di informazioni di carattere genetico o biologico, ma di vivere con i ragazzi la loro problematica, aiutandoli a capirla, ad accettare la realtà, a conoscere se stessi, nel corpo e nell’anima, a maturare in consapevolezza, acquisendo in tal modo piena autonomia e sicurezza. Non è quindi fare educazione sessuale in certe ore, determinate in precedenza, a comportamenti stagni, ma un farsi, un divenire reciproco, in cui educatori e allievi (e insisto sul termine educatore, in quanto, soprattutto nella scuola dell’obbligo, si deve essere sempre più educatori e sempre meno professori!) maturano, approfondiscono, perfezionano la loro conoscenza dell’uomo e dei suoi problemi, in un dialogo aperto ma sempre rispettoso della libertà individuale, della sensibilità di ciascuno, della sfera privata di cui ogni essere deve godere liberamente, senza pressioni né violenze morali; è un crescere insieme, in sintonia: l’educatore si pone accanto ai suoi ragazzi, per non studiarli 46 Esperienze di educazione sessuale nella scuola media come cavie, ma per capirli e aiutarli nei loro problemi, arricchendoli in consapevolezza e, contemporaneamente, arricchendosi in umanità. 2. L’APPROCCIO Ci si deve accostare all’argomento di carattere sessuale sempre in maniera indiretta, sfumata, apparentemente casuale, (apparentemente, in quanto l’educazione consapevole ha sempre ben chiari nella mente finalità e iter didattico dei propri interventi e non lascia nulla al caso, indulgendo anche raramente all’estemporaneità e all’improvvisazione) con un procedimento mai forzato, a “freddo”, per cogliere e portare alla luce i delicati problemi, gli interrogativi esistenziali che, se insoddisfatti, potrebbero creare turbe e drammi. Non si tratta, quindi, di un’arida informazione, ma di un’indagine rivolta contemporaneamente verso le sorgenti della vita, verso il divenire dell’uomo e verso l’interiorità di ciascuno; non di lezioni accademiche, ma di risposte concrete, adeguate alla situazione che i ragazzi stanno vivendo, ai problemi della classe e dei singoli, motivate dalle loro urgenze psicologiche e fisiologiche; e, ogni volta, si coglieranno, di ciascuno, incessantemente, reazioni e stati d’animo, per un controllo scrupoloso del proprio operato, per un’eventuale revisione del piano di lavoro, per una rettifica dei modi e dei tempi di attuazione, per una diversa scelta dei mezzi. 3. L’OCCASIONE L’accostamento all’educazione sessuale può avvenire attraverso una gamma svariata di occasioni e di situazioni; lo spunto può scaturire infatti da qualunque argo47 Giovanna Righini Ricci mento, anche il più lontano e apparentemente estraneo alla sfera sessuale: dai pudori e dai tremori esistenziali di “Silvia, rimembri ancora” come dall’epiteto triviale di cui si serve il ragazzetto, apparentemente privo di inibizioni, il quale spesso si compiace di far colpo sugli altri con un frasario “osè”; dal bigliettino “amoroso” e poetico che circola fra i banchi, diretto alla ragazzina più civetta, come dal gergo irreferibile che i ragazzi usano talvolta per conversare fra di loro, con serena disinvoltura (e che suscita negli adulti un sussulto indignato, un moto di scandalo!). Anzi, è proprio da queste occasioni “spicciole” che il discorso prende l’avvio, sovente, con alata efficacia, inserendosi con immediatezza nel contesto reale che i ragazzi vivono e di cui sono artefici. Alcune occasioni di intervento A questo proposito, devo precisare che è sempre risultato molto stimolante, dal punto di vista educativo, partire proprio dalla parola scurrile o chiaramente allusiva, per domandare, al ragazzo che se ne serviva, il significato letterale del termine, la ragione di questo uso (e abuso!). Nella maggior parte dei casi ho riscontrato una quasi completa ignoranza, una deformazione del significato vero del vocabolo o della frase, ripetuti per lo più perché “di moda”, perché simbolo di spregiudicatezza, di coraggio, di virilità, perché indice di ribellione (formale!) al perbenismo e alle convenzioni; a questo punto, allora, con molta naturalezza ma anche con molta fermezza, senza cedere alla tentazione “moralistica”, ho sempre affrontato direttamente l’ostacolo, informando colui (o colei) che si serviva del vocabolo “spinto” sul suo esatto significato, letterale e figurato, non per una forma di “prudèrie” alla rovescia o per creargli inibizioni e falsi pudori, ma per renderlo consapevole del linguaggio di cui si serve e, quindi, responsabile dell’uso che fa di certi stru48 Esperienze di educazione sessuale nella scuola media menti di comunicazione. Nella quasi totalità dei casi, questa “chiarificazione linguistica” o di costume crea nell’interessato un certo autocontrollo per cui il ragazzo, informato e motivato, pur possedendo sempre il suo colorito vocabolario e adoperandolo ancora (nella foga del gioco, come scarica di una tensione, nelle competizioni verbali con gli amici, in un impeto d’ira, ecc.) si fa tuttavia scrupolo di ricorrere a… sinonimi meno crudi o di attenuare il concetto in certe determinate situazioni (dialogando con le compagne, ad esempio), non per ipocrisia, si badi, né per asservimento alle convenzioni sociali della cosiddetta “buona educazione”, ma perché, divenuto consapevole delle implicazioni morali e psicologiche del termine, è ora in grado di padroneggiare liberamente le proprie reazioni, di oggettivare i propri stimoli, di razionalizzare certe emozioni, di emanciparsi insomma dalle suggestioni di massa, diventando capace di scegliere diversi strumenti per situazioni differenti. Fra le occasioni di intervento educativo sono da annoverare anche le canzoni “goliardiche”, cioè con contenuto scabroso, che fioriscono lungo i corridoi o tra i banchi di quelle classi dove maggiore è il numero dei ripetenti, dei ragazzi disadattati o disturbati al di sopra dei quattordici anni, canzoni che vengono talvolta intonate con beffardo accento di sfida per le “caste”orecchie degli adulti. È, questa, il più delle volte una “provocazione” da non lasciar cadere, in quanto nasconde quasi sempre una protesta, un disagio, un problema e che non va comodamente eluso, catalogandolo sotto la voce generica “maleducazione”, “indisciplina”, “dilagante malcostume”, ma deve essere affrontato, per portare alla luce le cause remote di questo esibizionismo. Qualcuno, a questo punto, mi potrebbe accusare di fare di ogni minimo pretesto un’occasione per parlare ai ragazzi di sesso, di attribuire il più banale incidente, il più innocuo, a una spinta erotica interna, di esagerare, 49 Giovanna Righini Ricci insomma! Può anche essere; ma non va dimenticato che, direttamente o indirettamente, ogni manifestazione abnorme o inconsueta del preadolescente, sia egli integrato nel sistema o emarginato, sereno o disturbato, è quasi sempre un riflesso della sua sfera emotiva, e affonda le radici, anche se camuffate nel travaglio essenziale tipico dell’età puberale. Mi spiego con un esempio: recentemente ho affrontato l’argomento “canzoni da taverna” con un gruppo di ragazzi di terza (una classe non mia e, quindi, con la quale non esistevano le premesse per un dialogo aperto, chiarificatore), quasi tutti i quindicenni e sedicenni, provenienti da strati sociali poco abbienti, afflitti da carenze affettive, da lacune espressive e, soprattutto, dalla certezza di essere dei paria, dei “bollati”, per cercare le motivazioni che li spingevano a cantare a squarciagola, davanti alla porta della scuola, una canzone decisamente lubrica, che si diffondeva, con ricchezza di particolari, su certi “attributi” femminili; e mi sono sentita rispondere con estrema franchezza, che era uno “sfogo”, che la cantavano perché erano “arrabbiati”, che era un modo per “tirare a campare”, che loro sapevano solo quella, che era meglio non prendersela se l’insegnante aveva appioppato a quasi tutti, quella mattina, dei voti “da schedina del totocalcio”, e se il giorno successivo avrebbero dovuto portare “a quella la” (una donna elegante, ricca, integrata nel sistema, distaccata nei riguardi di questi ragazzi “difficili”, giudice e professoressa, più che educatrice) i voti firmati dai genitori! Inconsapevolmente essi, ora, la “punivano” (con questa canzonaccia che esaltava la virilità, facendo scadere, al rango di oggetto, la donna per il suo distacco, la sua non disponibilità, la sua freddezza di insegnante e di donna. Ecco che una protesta contro metodi didattici antiquati, repressivi, selettivi, si colorava di un’ambigua velatura sessuale perché, ripeto, in questi adolescenti disturbati tutto acquista spesso, a loro insaputa, colore, 50 Esperienze di educazione sessuale nella scuola media sapore, parvenza sessuale; e proprio di qui si deve partire per cercare di risolvere i loro conflitti, senza compiacimenti, ma anche senza crearsi quell’ipocrita alibi dietro il quale si trincera di solito l’adulto, genitore educatore o insegnante che sia, il quale in questi casi fa finta di “non sentire” e passa oltre, fuggendo queste provocazioni che spesso sono un grido d’aiuto, un campanello d’allarme. Quando il metodo autoritario e repressivo risulta deleterio È chiaro che reagire usando il metodo autoritario e repressivo risulta in questi casi deleterio, in quanto contribuisce solo a ristabilire un ordine apparente, rimuovendo momentaneamente l’ostacolo, confinandolo a livello di inconscio, da dove però, alla prima occasione, tornerà a balzare alla superficie, di colpo, inaspettatamente, per palesarsi in forme via via più violente, esasperate ed esasperanti. Spesso questi ragazzi difficili hanno bisogno di una mano tesa, di un dialogo spassionato, “alla pari”, che restituisca loro dignità di individui pensanti, di ottenere da parte degli adulti (e degli insegnanti, in particolare) attenzione e possibilità di parlare, di aprirsi: tutti gli adolescenti hanno uno sconfinato bisogno di confidarsi, di protestare di esporre arruffati pensieri, di polemizzare: talvolta basta ascoltarli, con calma, con pazienza dando loro la possibilità di oggettivare a se stessi e agli altri, sensazioni, stati d’animo e velleità: la scarica emotiva che ne consegue assume in loro una funzione catartica; essi si sentono sollevati, più obiettivi, più disposti all’accettazione degli eventi, alla giustizia, con un’equità e un’intransigenza verso se stessi e verso il prossimo molto maggiori di quelle degli adulti, perché non offuscate da opportunismi o da infingimenti, pronti all’autocritica, senza tuttavia colpevolizzarsi troppo, ma dimostrando talvolta un senso di houmor e ironia che li affranca moralmente, rendendoli, per ciò stesso, meno vulnerabili. 51 Giovanna Righini Ricci Lungo i corridoi della scuola o sussurrate tra i banchi, in attesa dell’insegnante, circolano spesso anche barzellette “spinte” che, nell’età dagli undici ai tredici anni, hanno quasi sempre per argomento le funzioni corporali o certi “attributi” femminili; anche questa può essere un’occasione per intervenire, a condizione però che esista già, tra educatore e alunni, un’apertura al dialogo, una fiducia reciproca, un’intesa; guai, invece, se l’insegnante prende l’iniziativa “ex abrupto”, entrando con cipiglio nel gruppo, per “sapere”! Il gesto appare immediatamente fiscale e inquisitorio oppure assume agli occhi dei ragazzi l’aspetto di una trovata inconsueta, di una permissività, di una complicità non motivata psicologicamente (“la proffe si lascia raccontare da noi le barzellette sporche!”) che torna a danno sia del prestigio dell’educatore sia dell’equilibrio dei preadolescenti, che l’avevano collocato su un piedistallo, conferendogli, attraverso un transfert non inconsueto nel periodo della pubertà, un alone di superiorità morale: ora, invece a causa di questo immotivato intervento, l’insegnante scade dal suo ruolo di guida, deludendo gli uni, confondendo gli altri, senza ottenere né vera apertura né consapevolezza: alla sua azione incauta corrisponde, infatti, quasi sempre una reazione di chiusura imbarazzata da parte degli alunni o di malintesa licenziosità, comunque di confusione dei valori. L’opera educativa deve essere invece sempre equilibrata e non cedere né alle facili suggestioni dell’autoritarismo, né alle sirene della permissività: l’uno crea dei conformisti, dei robots, degli esseri psicologicamente schiavi, degli “oppressi”2; l’altra, degli instabili, dei disadattati, i quali non sanno riconoscere i limiti della libertà individuale e trovare la sicurezza e la forza dell’autodisciplina: l’insegnante si rivela educatore vero quando sa guidare, con umanità ma 2 L. FREIRE, La pedagogia degli oppressi, Mondadori, Milano. 52 Esperienze di educazione sessuale nella scuola media anche con fermezza, i ragazzi, aiutandoli a capire il loro ruolo di esseri civili, a prendere coscienza della realtà, ad attuare le proprie scelte, nel rispetto delle libertà individuali, nell’equilibrio, nell’ordine. Tornando alle barzellette, se invece l’insegnante è riuscito a instaurare, nel corso della sua opera didattica, un vero dialogo promotore di interessi e li ha abituati alla fiducia, al rispetto, alla franchezza, allora può , senza timore di essere frainteso, intervenire, per conoscere le motivazioni profonde di queste barzellette, per scoprire che cosa spinga i ragazzi a parlare tanto di attributi sessuali e di funzioni fisiologiche, per rendersi conto cioè, di persona, se si tratti solo di curiosità, tipica dell’adolescenza, oppure di eccitazione morbosa che nasce dalla ignoranza o (cosa più deleteria!) da distorte informazioni, oppure dall’esibizionismo di alcuni ragazzetti più adulti, i quali esercitano sui compagni (più immaturi e quindi sprovveduti) un ascendente pericoloso, con la loro aria di “duri” consumati a tutte le esperienze, di “dritti”. La presenza del materiale pornografico nella scuola Talvolta capita di scoprire che entrano nella scuola, clandestinamente, riviste pornografiche (si veda la scheda n. 2). Anche in questo caso la reazione puritana, la reprimenda, la sanzione, lo scandalo sortiscono quasi sempre un effetto negativo, in quanto tale reazione suscita nel “colpevole” una convinzione di audacia, di temerità, circonfondendolo di un’aureola di eroismo agli occhi dei compagni meno maturi e creando, nello stesso tempo, un’atmosfera torbida ed eccitante che contribuisce ad alimentare i tabù, le storture, i falsi pudori: il “caso” rapidamente si allarga, passando di bocca in bocca, tra sussurri e sorrisetti; esce dalla scuola, entra nelle famiglie; strada facendo si arricchisce di punto esclamativi, di sottolineature, di “grimaces” allusive: il tutto è altamente diseducativo! Molto meglio, invece, prendere de53 Giovanna Righini Ricci cisamente in mano la situazione, affrontare il problema, per cercare di capire il perché di tale comportamento: desiderio inconsapevole di apparire molto audace e virile agli occhi dei compagni? Bisogno di vedere, di scoprire la realtà e se stesso, attraverso delle immagini scabrose? Tendenza al voyeurismo? Deviazione? Bravata? Tutto questo si può appurare solo impostando con il ragazzo (e con la classe, testimone e corresponsabile del “fattaccio”) un dialogo schietto, senza sottintesi né allusioni tortuose, ma chiarificatore, che faccia cioè decantare la carica emotiva suscitata dal fatto di essere stati scoperti mentre leggevano una rivista pornografica, per “soli uomini!”, portando alla luce quelle motivazioni e quelle sensazioni che represse, potrebbero piano piano anche ingigantire, assumere un aspetto patologico, diventare nevrosi o addirittura psicosi. Durante il dibattito che seguirà l’inchiesta (la quale non sarà mai inquisitoria, ma improntata alla comprensione e alla fiducia) emergeranno certamente degli aspetti psicologici e delle giustificazioni che saranno una “spia” preziosa per capire emozioni e stati d’animo, necessità e sollecitazioni; può accadere anche che si venga coinvolti direttamente e richiesti di un giudizio personale (“Perché, secondo lei, queste riviste sono proibite in Italia, mentre circolano liberamente in Danimarca? Perché, da noi, è assolutamente vietato vendere materiale pornografico?”); a questo punto è doveroso dare ai ragazzi la propria risposta, in prima persona, motivando il perché delle proprie opinioni del proprio modo di sentire e allargando lo sguardo alle componenti di carattere storico, sociologico e ambientale di certe “morali comuni”, di certe proibizioni, di certi consensi, e giustificando così, scrupolosamente, la propria adesione o riprovazione, alla luce di personali convinzioni umane, morali, psicologiche, oltre che delle leggi e delle convenzioni sociali. In questa maniera, at54 Esperienze di educazione sessuale nella scuola media traverso una disamina ampia e articolata dell’argomento, il ragazzo è messo nelle condizioni di rendersi conto del “diverso”, delle implicazioni personali, oltre che oggettive, che sottendono il nostro operato e, nella maggior parte dei casi, è in grado di acquisire una consapevolezza civica che gli permette di scegliere la sua strada, qualunque essa sia (rispettosa delle convenzione e della morale, oppure libera) con la convinzione che non si deve coinvolgere il prossimo, senza che questi ne sia pienamente cosciente, perché questo significherebbe attentare alla libertà individuale e assumere gravi responsabilità, morali e civili. I giochi a sfondo sessuale, lo scambio di bigliettini A livello di prima media non è infrequente anche sorprendere qualche scambio di “bigliettini” più o meno innocenti, ma sempre con un substrato erotico o allusivo. È anche di moda, specialmente in certi ambienti piuttosto chiusi, provinciali, legati a rigide convenzioni, il gioco “delle paroline”: una ragazzetta della classe (in genere la più timida e sprovveduta) viene scelta come “vittima” del gioco e, di solito durante l’intervallo o la ricreazione, viene costretta ad appartarsi in un angolo del corridoio dove, tra la confusione, l’aspetta un ragazzotto intraprendente (quasi sempre di seconda o di terza media) il quale ha il compito di dire delle “paroline” audaci alla “morosa” di turno; i compagni, intanto, fanno cerchio attorno alla malcapitata, sganasciandosi dalle risa, mentre il disagio, l’emozione, il turbamento della poveretta, che si sente alla berlina, aumentano progressivamente fino alle lacrime o fino alla reazione violenta: o essa si dà a una fuga precipitosa oppure (come è capitato recentemente) prende a sberle tutti quelli che le stanno alle costole, “innamorato” e aguzzini. Un gioco in apparenza innocente, ma invece sottilmente perfido e pericoloso, in quanto 55 Giovanna Righini Ricci lede un imprescindibile diritto alla privacy, alla libertà individuale e, soprattutto, ferisce la ragazzina in ciò che, a questa età, è più vulnerabile: il pudore. Ho avuto la misura di tutta la gravità di questo “gioco” per caso, mentre sostavo, durante la ricreazione, in un corridoio superaffollato di ragazzi vocianti: una bambina, ancora piccola e immatura, con il viso pulito e i capelli raccolti a pagnottella sul capo, con il grembiule tutto bene abbottonato, il colletto bianco senza una grinza, passeggiava sola, con aria tranquilla e assorta. Poco dopo l’ho perduta di vista distratta dalla marea vociante; accostandomi di lì a qualche minuto alla macchinetta automatica che distribuiva caffè, me la son vista passare davanti, scarmigliata, con il colletto di traverso e con tutti i bottoni strappati: in qualche punto mancava perfino un lembo di stoffa, perduto (come poi appurato), nel tentativo di sottrarsi alle mani dei compagni che la sospingevano, recalcitrante, verso l’angolo: da questa reazione ho colto tutta la carica di tensione e di paura di questa ragazzina sottoposta a una violenza che, a causa della sua indole e della sua fragilità, poteva crearle un trauma simile a uno stupro ricevuto in età matura, ed essere l’origine, pur nella sua apparente innocuità, di future nevrosi o deviazioni. Saper cogliere le occasioni Si potrebbe continuare all’infinito nella enunciazione delle occasioni dalle quali possono scaturire approfondimenti di carattere psicologico, pedagogico, sessuale: dalla vista dell’agnellino che viene alla luce in mezzo al prato, proprio davanti alla scuola, sotto gli occhi attentissimi dei ragazzi i quali sono stupefatti nel vederlo, di lì a poco, già in piedi, trempellante sulle incerte zampette, al racconto della ragazza un po’ semplice che afferma di essere nata “con la camicia”; dal neonato che una giovane madre, affaticata per la recente gestazione ma fie56 Esperienze di educazione sessuale nella scuola media ra, esibisce, in una carrozzina tutta fronzoli, all’uscita della scuola, dove è venuta a prelevare il figlio maggiore, agli interrogativi scaturiti dalla lettura di un’esperienza sugli anatroccoli, condotta dal Lorenz3; dalla narrazione delle vicende della vita dei singoli ragazzi e dai loro ricordi d’infanzia (enuresi notturna, controllo degli sfinteri, suzione del pollice, ecc.) alla proiezione di filmati sulle prime reazioni e conquiste di un neonato, ad approfondimenti di carattere scientifico e biologico. (Ogni volta che, ad esempio, parlando dell’origine della vita e della comparsa dell’uomo sulla terra, si allude alla teoria secondo la quale l’essere umano sarebbe stato in origine un anfibio con sembianze di rettile, teoria suffragata dalla constatazione che, durante la vita prenatale, l’embrione si trova immerso nel liquido amniotico e ha forme caratteristiche simili ad altri esseri acquatici, scaturisce immancabilmente, da parte dei ragazzi, una selva di interrogativi e tutta la classe, vivamente motivata, chiede di saperne di più: la storia delle origini, le vicende dei lontani progenitori, la loro esistenza prenatale, la loro evoluzione sono in quel momento ai loro occhi più elettrizzanti di un romanzo avventuroso. Sugli undicidodici anni i ragazzi, infatti, sono ancora strettamente legati alle figure parentali e tutto ciò che riguarda la loro famiglia, la loro esperienza, il mondo favoloso dalle origini li entusiasma: di qui la opportunità di impostare un discorso di carattere sessuale, che sia di informazione ma soprattutto, di formazione, in quanto nel nostro intervento non deve mai mancare la componente psicologica, pedagogica, sociologica: i ragazzi vanno seguiti e illuminati su tutto quello che riguarda il loro corpo, la loro mente, il loro divenire, i problemi della crescita, le norme igieniche essenziali, i fenomeni e gli avvenimenti che li coinvolgono e la cui ignoranza può essere causa di 3 K. LORENZ, L’anello di Re Salomone, Adelfi, Milano. 57 Giovanna Righini Ricci una lacunosa e malcerta formazione della loro personalità. Come si vede, una gamma molto varia di spunti e di occasioni, da cogliere al volo per essere sempre presenti, nel divenire spesso travagliato dell’adolescente, con discernimento e con pudore, ma anche con franchezza e con chiarezza di idee, perché un discorso concreto giova sempre ai ragazzi, ai quali infatti non sono congeniali ambiguità e mezzi termini: tali virtuosismi sono propri della psicologia degli adulti, impaniati in convenzioni e sovrastrutture; ai ragazzi sta bene un discorso chiaro, pulito, che li aiuti a essere schietti e senza sottintesi, nell’anima come nel corpo, di cui si deve aver somma cura, con dignità, senza narcisismi ma anche senza avvilirlo a strumento o degradarlo viziosamente e senza mortificarlo con dannosi falsi pudori e complessi di colpa. 4. IL DOSAGGIO (COME, QUANDO, QUANTO) L’educatore, il quale abbia in animo di affrontare il compito impegnativo di aiutare i ragazzi a risolvere i loro problemi esistenziali, deve avere ben chiari nella mente le finalità da perseguire e i limiti da imporre ai propri interventi e al proprio linguaggio, per non incorrere in errori e in imprudenze. Di qui la necessità di un sapiente “dosaggio” della quantità di informazioni di carattere sessuale, da impartire di volta in volta ai ragazzi: non si deve mai dire loro tutto, ma porgere soltanto l’aiuto e il chiarimento richiesti, al momento opportuno, nei modi e nei tempi, nella quantità e nelle qualità delle informazioni adatte alla situazione, alle capacità, alla recettività e maturità del richiedente, alle sue esigenze e all’urgenza dei suoi problemi: una dose massiccia di informazioni, non sollecitate dal ragazzo e quindi non motivate psicologicamente, può recare dei danni e perfino 58 Esperienze di educazione sessuale nella scuola media creare dei traumi, altrettanto pericolosi dell’ignoranza e della “disinformazione” (si veda la scheda n. 13). Al ragazzo si deve offrire solo l’aiuto di cui ha bisogno in quel momento e se a lui interessa sapere che cosa sia, ad esempio il controllo degli sfinteri, è perfettamente inutile dilungarsi con lui sulla descrizione anatomica dei suoi organi genitali: ora a lui questo non interessa. Più tardi, quando la spinta interna lo guiderà o se ne presenterà l’occasione, egli porrà un’altra domanda riguardante i suoi organi; e allora sarà il caso di fornire, con esattezza, l’informazione richiesta, perché egli sarà maturo per riceverla e per recepirla nel migliore e più sereno dei modi; ma solo allora, non prima: è il ragazzo, con le sue necessità e i suoi problemi che deve orientare i nostri interventi, non siamo noi che dobbiamo imporgli un ritmo di apprendimento e di sviluppo. Questa “parcellizzazione” delle informazioni, operata secondo le necessità e le richieste, rende molto più agevole e naturale tutto il discorso di carattere sessuale ed evita anche quello che spaventa molti insegnanti, i quali sono desiderosi di affrontare in classe, con i loro ragazzi, argomenti di educazione sessuale, ma sono pieni di tremori, perché non ancora affrancati da lontani tabù, e timorosi di dover spiegare anche “quello” (e per “quello” intendo l’atto sessuale, la copula); parecchie colleghe mi hanno infatti più volte confidato che sarebbero ben liete di affrontare e discutere con gli alunni certi problemi, ma ne sono impedite dal timore di dover rispondere a domande “scabrose”, cui il proprio pudore si ribella. Ebbene: se si sono abituati i ragazzi a capire gradatamente le cose, quella domanda non verrà posta, e, si badi, non per un senso di pudore o di colpa, ma perché, immessi gradatamente nell’argomento, abituati a intuire, a dedurre, a ragionare, giungeranno da soli alla soluzione del problema che tanto preoccupa la mag59 Giovanna Righini Ricci gior parte delle insegnanti e non avranno bisogno di ulteriori delucidazioni; oppure la domanda “fatidica” verrà posta, in forma semplice e serena, con tranquilla fiducia (senza cioè i sorrisetti e le smorfie che si rilevano in una classe non ancora preparata “emotivamente” all’argomento); in questo caso non si dà una risposta collettiva, ma si fornisce, a parte, all’interessato, una brave spiegazione scientifica (cercando di capire soprattutto quanto sappia e come sappia già). Le poche volte in cui mi è accaduto di dover rispondere direttamente a questa domanda, è bastato che io facessi l’esempio della mano e del guanto perché subito i ragazzi (naturalmente già informati sulla anatomia dei due sessi e sulle analogie tra il maschio e la femmina) intuissero e ne fossero appagati: come si vede, nessuna situazione scabrosa, nessuna necessità di usare vocaboli spinti, di entrare in particolari intimi. Va sempre tenuto presente, a proposito di informazioni di carattere sessuale, che, a parità di età, si rileva spesso nei ragazzi uno sviluppo psicofisico molto diverso: nella stessa classe, infatti, accanto al preadolescente già maturo per un approfondimento di carattere sessuale personale, si trova il compagno ancora psicologicamente immaturo, legato alla sfera del fantastico, desideroso quindi di “essere lasciato in pace”, di non essere cioè coinvolto in un discorso per lui prematuro; tale sfasatura si avverte soprattutto sui tredici anni, a livello di seconda, in classi miste, dove si nota che le ragazzine sono già quasi tutte protese a sondare, a esplorare, a capire quanto sta avvenendo in loro, mentre i compagni sono spesso ancora fanciulleschi, amanti dei giochi collettivi, chiassosi, nei quali poter sfogare la loro carica emotiva e la loro energia, ancora lontani dai turbamenti della pubertà. È compito allora dell’educatore consapevole fare in modo di riuscire a risolvere gli interrogativi e i dubbi delle prime senza sol60 Esperienze di educazione sessuale nella scuola media lecitare un interesse fuori luogo (perché non motivato psicologicamente) nei loro compagni. Questo problema, naturalmente, non sorge con tale urgenza in classi omogenee (solo maschili o solo femminili) dove l’insegnante è agevolato anche dal fatto che si rivolge a ragazzi con analogo sviluppo psicofisico e con problematica sostanzialmente simile. Il discorso risulta tuttavia molto più concreto e formativo se rivolto ad ambo i sessi, contemporaneamente, in una classe mista, in cui la presenza degli uni e delle altre cala la problematica nella realtà concreta e dove il fatto stesso che maschi e femmine, insieme, con serietà e con rispetto reciproco, dibattano i loro problemi è già una forma di emancipazione morale e di educazione sessuale in atto. Il primo effetto di questo educarsi reciproco lo si rivela nel comportamento: irruenti in un primo tempo e pronti a mettere le mani addosso alle compagne, i ragazzi a poco a poco imparano ad aver rispetto dell’altro sesso, a sentire il corpo come un bene prezioso, da non avvilire e da non mortificare, mentre le ragazze perdono quella carica di civetteria e di ostentazione che porta a essere sempre un po’ subdole e provocatorie nei confronti dei compagni; gli uni e le altre acquisiscono quella consapevolezza tranquilla e quella consuetudine alla convivenza che favoriscono il nascere di gruppi di lavoro affiatatissimi e amicizie profonde, basate sulla stima, sulla fiducia, sul rispetto, sulla collaborazione reciproca. “A ciascuno il suo”: questo dovrebbe essere il motto dell’educatore che intenda compiere opera veramente costruttiva, agendo con i ragazzi e per i ragazzi, in veste di operatore sociale, che svolge la propria attività al servizio dei giovani, delle famiglie, della comunità. Egli deve sempre calare la sua azione nella realtà, in cui si trova a operare, per essere veramente certo di aiu61 Giovanna Righini Ricci tare tutti e ciascuno, secondo le necessità, servendosi di volta in volta di mezzi diversi: dalla conversazione individuale e collettiva4, sempre “promotrice” e chiarificatrice, ai colloqui con i familiari, alle delucidazioni scritte, ai diari personali5, ecc. Tuttavia, pur nelle varie angolature, nella diversa articolazione della materia, nei ritmi differenti che caratterizzano questa impostazione metodologica, c’è sempre, a dare ordine a ogni intervento, “un filone” conduttore, un canovaccio invisibile che sottende la didattica, anche se questa può apparire svagata, sfumata, per motivi contingenti (quali la diversa sensibilità, l’età e le differenti esigenze dei singoli), onde renderla accessibile a tutti, nel rispetto della libertà di ciascuno. Tale filo conduttore comprende: 1) a livello di 11-12 anni: il concepimento, la gestazione, la nascita, i problemi del neonato. 2) a livello di 12-13 anni: i problemi del bambino, le sue conquiste, la sua evoluzione, dalla primissima infanzia all’età puberale. 3) a livello di 13-14-15 anni: la differenziazione dei sessi e i problemi biologici, psicologici, sociologici dei preadolescenti. Questa, naturalmente, è solo una traccia, molto sommaria e indicativa di un programma che deve essere fluido e suscettibile di articolazioni, in quanto destinato a quella realtà in fieri che è il preadolescente. 5. IL RAPPORTO CON LE FAMIGLIE È di fondamentale importanza, per una buona riuscita dell’opera educativa, la collaborazione diretta con le famiglie dei ragazzi, con tutte le famiglie. A tal fine, si 4 “Confidenze provocate” le definisce il Binet. 5 Il Debesse li cataloga sotto la voce “introspezione guidata”. 62 Esperienze di educazione sessuale nella scuola media deve impostare, a partire dai primi giorni di scuola, un dialogo aperto con i familiari, di chiarificazione e di apertura, che immetta i genitori nel vivo del contesto scolastico, rendendoli così compartecipi e corresponsabili di ogni azione educativa che coinvolga i loro figli. I primi incontri saranno destinati a una conoscenza reciproca; si passerà quindi a chiarire ai genitori finalità didattiche, a illustrare le proprie metodologie, richiedendo contemporaneamente una franca esposizione dei personali punti di vista e delle aspettative di ciascuno sui vari problemi scolastici in generale e sul problema dell’educazione sessuale in particolare, onde avere immediatamente la misura della loro apertura, resistenze o chiusura di fronte a questo delicato settore dell’educazione. Ogni dialogo sarà volto anche a percepire il “clima” in cui il ragazzo vive, il substrato culturale, le esigenze, le motivazioni, il tipo di educazione impartita dai genitori, il grado di inserimento della famiglia nel contesto sociale, l’eventuale disadattamento, ecc. È onesto oltre che opportuno, in questi incontri essere espliciti, spiegando con molta franchezza e con estrema chiarezza i propri intendimenti e i propri punti di vista, perché le famiglie sappiano a chi affidano l’educazione dei loro figli e quale sarà l’indirizzo che verrà seguito nel corso della didattica6. Da questo clima di spontaneità e di franchezza scaturirà immediatamente la possibilità di intessere, per quanto riguarda il problema dell’educazione sessuale, una preziosa collaborazione scuola-famiglia: qualunque sia infatti la preparazione e la sensibilità dell’educatore, la sua attitudine, il suo grado di intuizione e di penetrazione psicologica, la sua competenza pedagogica, l’opera diretta della famiglia nella educazione del preadolescente risulta sempre (salvo casi rarissimi) molto 6 Come auspica anche Mario Lodi nella prefazione del suo Paese sbagliato. 63 Giovanna Righini Ricci più valida di quella dell’insegnante: in altre parole, per certi problemi, per certi aspetti del suo divenire psicofisico, è sempre preferibile che il ragazzo sia messo in condizione di rivolgersi alle figure parentali, che riceva dai genitori le informazioni, i lumi, i consigli, di cui ha bisogno, in quanto questo intervento è veramente formativo perché più naturale “nella logica” delle cose. Di qui allora la necessità di conoscere esattamente la disponibilità dei genitori, la loro capacità di collaborare con l’insegnante; di qui anche la opportunità di sapere quale tipo di informazione e di educazione essi abbiano impartito, in fatto di materia sessuale, quale rapporto abbiano instaurato con i figli, quale possibilità di apertura al problema esista. Appena si sia giunti a una linea d’azione comune e reciproca (si veda la scheda n. 1 nella Parte II), si possono stabilire tempi e modi di attuazione del progetto con animo aperto ai consigli, agli interventi, ai legittimi ritocchi dei genitori, ai quali è opportuno richiedere anche (e non solamente per una istintiva cautela o per non correre il rischio di essere accusati, da genitori retrivi, di… corruzione di minore) un’autorizzazione esplicita a procedere, autorizzazione che assume un valore psicologico, oltre che burocratico, in quanto con essa il genitore delega la scuola a svolgere un ruolo fondamentale nella educazione del ragazzo, senza che tuttavia la famiglia sia inconsapevole o abdichi al suo potere discrezionale, alla sua libertà di scelta, alla sua possibilità di interventi diretti. In una società industrializzata, che scinde e disperde ogni giorno di più i membri dell’antica famiglia patriarcale, tipica della società agricola di un tempo, si fa sempre più impellente la necessità che, nella scuola dell’obbligo, l’educatore affianchi o prenda il posto dei genitori, con intelligenza e con discernimento, onde impedire che i ragazzi vengano “scaricati” nelle aule di una scuola inadeguata (che funga solo da “area di parcheg64 Esperienze di educazione sessuale nella scuola media gio”) facendo sì che i preadolescenti vengano immessi in un “centro sociale” promotore di interessi e di personalità, capace di colmare quel vuoto lasciato dalla famiglia, e di aiutare veramente il ragazzo, nella fase più delicata della sua esistenza, a raggiungere la sua vera e completa dimensione umana. Purtroppo la scuola è ancora lontana da questa meta: le mancano personale preparato in campo psicologico, pedagogico, sociologico; difettano le strutture (scuola integrata, tempo pieno); scarseggiano i mezzi. Per questo chi si senta in corpo l’ardore del pioniere deve servirsi di tutte le occasioni, per sollecitare la partecipazione attiva delle famiglie e dei vari Enti sociali, per immettere la scuola nel vivo dei problemi e della dinamica giornaliera; a tal fine, si promuoveranno incontri frequenti e periodici con i familiari, e delle riunioni nelle quali si discuteranno (alla presenza dei ragazzi, anche se capita abbastanza spesso che, sia i genitori sia i ragazzi, non gradiscano troppo incontrarsi per parlare di questi problemi, per una sorta di pudore o di diffidenza invincibile; talora invece, genitori e figli si schierano gli uni contro gli altri, polemici e vagamente ostili) insieme con gli altri insegnanti e con gli esperti dell’équipe medicoscolastica, argomenti di interesse generale. A questo proposito, devo sottolineare che sono risultati molto utili e formativi alcuni seminari condotti dagli “esperti” (un sociologo, un pedagogista e un’assistente sociale) prima separatamente con i genitori, con gli insegnanti e con i ragazzi, per sondare reazioni, opinioni, necessità, aspettative, sfociate quindi in incontri collettivi, per un proficuo scambio di idee e di esperienze, per cogliere, dei vari problemi, angolature diverse e punti di vista dei genitori, dei docenti e dei discenti. Nella maggior parte dei casi, i genitori si rivelano ansiosi di cooperare, di affrontare con i loro figli problemi sessuali; ma si confessano impreparati, confusi, afflitti da pudori ancestrali e 65 Giovanna Righini Ricci non sanno come e quando iniziare il discorso con i ragazzi i quali, a loro volta, non abituati fin da piccoli al dialogo, spesso sfuggono l’occasione, non si aprono o diventano elusivi. Se la scuola viene loro in aiuto, porge loro la mano perché non siano frustrate tante buone potenzialità e disposizioni, se gli esperti inquadrano i problemi, coinvolgendo nell’azione educativa le singole famiglie, il dialogo diventa subito veramente costruttivo e promotore di civismo in quanto, attraverso la scuola, si educano anche le famiglie e, di conseguenza, si contribuisce a elevare la società. 6. L’ÉQUIPE MEDICO-SCOLASTICA È bene chiarire a questo punto, dato che vi è stato un accenno nel capitolo precedente, che la collaborazione degli “esperti” è di fondamentale importanza nell’educazione sessuale. L’insegnante infatti non deve avere la presunzione di diventare un “deus ex machina”, un cervellone “di tutto competente”, in grado di risolvere cioè tutti i problemi dei preadolescenti: all’insegnante (sia egli il più sensibile, aggiornato, attento) per il ruolo specifico che svolge nella scuola, spetta soprattutto il compito di attuare il “dèpistage”; cioè egli deve essere in grado di individuare, attraverso un costante e attento controllo della situazione, delle reazioni e degli stati d’animo dei suoi ragazzi, problemi, turbe, carenze, e di formulare una diagnosi del “caso”, generica, globale. A questo punto, anche se egli è preparato, e psicologicamente, “motivato”, sarebbe incauto o addirittura pericoloso che si assumesse il compito di suggerire la terapia, improvvisandosi di volta in volta pediatra, psicologo o, quel ch’è peggio, psichiatra! All’insegnante è congeniale la individuazione dei problemi, la funzione di guida: egli deve aiuta66 Esperienze di educazione sessuale nella scuola media re il ragazzo a trovare la sua dimensione, a capire se stesso e gli altri, non suggerire delle terapie specialistiche per risolvere casi difficili o addirittura patologici. Quando il ragazzo presenti delle turbe, quando appaia chiaramente disturbato o disadattato, quando ci si accorga che il problema esula dalle proprie competenze specifiche, si deve far ricorso agli “esperti”, agli “addetti ai lavori”, rivolgendosi all’équipe medico-scolastica (laddove esista e funzioni realmente!) oppure orientando i familiari verso i “Centri specializzati” che possono operare interventi rapidi, con mezzi e con competenza adeguati. Sarebbero estremamente deleterio, oltre che velleitario, che l’insegnante si sostituisse allo specialista (“ne sutor ultra crepidam”!), mentre invece rimarrà sempre prezioso e insostituibile il suo apporto concreto nell’individuazione dei problemi e nell’orientamento. Non disperda quindi energie vitali in un campo che non gli compete e dove potrebbe commettere errori irreparabili. 7. IL CONSIGLIO DI CLASSE Sarebbe necessario che tutti i docenti che compongono il Consiglio di Classe operassero concordemente, orientando la loro didattica, i loro intendimenti verso le medesime finalità, e attuando, con gradualità e in armonia, il processo di sviluppo della personalità del preadolescente; mentre tale coesione e unità di intenti e di finalità comincia a realizzarsi, anche se faticosamente, nel campo della didattica in generale, per quanto riguarda invece l’educazione sessuale, gli animi sono ancora divisi (quasi tutti gli insegnanti la respingono come scabrosa, inopportuna o prematura a livello di scuola media, mentre qualche altro la imposta in maniera estemporanea, semiclandestina, senza coerenza e, quel che è più 67 Giovanna Righini Ricci grave, senza convincimento!); è, questo, infatti, un settore troppo delicato, in quanto coinvolge non solo l’opera educativa da svolgere nei riguardi dei ragazzi ma anche la personalità dell’educatore, i suoi convincimenti, i suoi tabù, le sue certezze, il suo modo di intendere il proprio ruolo esistenziale e quello degli altri. Se talora ci si accinge ad attuare la sperimentazione, ci si accorge di essere quasi sempre soli, quando non si debba lottare contro l’ostinata riprovazione dei colleghi oppure contro un muro di assenteismo prudente (“fa pure, ma non coinvolgermi”) contro un’ambigua approvazione generica (“sono d’accordo con te sul fatto che si dovrebbe affrontare il problema, ma proprio non me la sento: io, in fondo, sono un professore, non un igienista, uno psicologo, una “balia asciutta”!). Non manca tuttavia, a volte, il collega disponibile e pieno di zelo, il quale si offre di darti una mano (in genere l’insegnante di religione o di osservazioni scientifiche); qualcuno di questi “volontari” però, trascinato dall’entusiasmo, si abbandona all’estemporaneità e, non avendo ancora ben chiari nella mente tempi, modi, gradualità e finalità degli interventi, finisce per recare un contributo massiccio ma inopportuno (si veda la scheda n. 13). Ugualmente poco formativi sono risultati spesso, secondo la mia personale esperienza, i brevi corsi di informazione sessuale tenuti da specialisti, in quanto essi si sono risolti ogni volta in un certo numero di informazioni scientifiche, esatte, che hanno trovato ascoltatori recettivi, attenti, ma freddi. È mancata cioè una “motivazione” interna che rendesse questi ragazzi veramente partecipi: essi sedevano infatti là, desiderosi di apprendere, tutti presi dall’aspetto tecnico e scientifico del problema, ma non coinvolti emotivamente. Sono usciti quindi dall’esperimento più informati, con un bagaglio lessicale corretto, idee chiare (e non è poco) ma non matu68 Esperienze di educazione sessuale nella scuola media rati “dentro”, perché il discorso era rimasto epidermico, non scaturendo da una loro esigenza interiore, non essendo frutto di un travaglio personale. A qualcuno dei ragazzi, anzi, questa inevitabile “smitizzazione del sesso”, questa conoscenza senza veli ha recato un senso di saturazione e quasi di disillusione: ancora impreparato a ricevere in forma massiccia tutte quelle rivelazioni, si è sentito quasi anatomizzato, sminuito nella sua complessiva integrità di individuo. Anche questo insuccesso ribadisce la necessità che l’educazione sessuale significhi vivere le esperienze dei ragazzi, essere aperti ai loro problemi, in qualunque momento, senza prevenzioni né preclusioni: impostare un programma di educazione sessuale, dedicandovi alcune determinate ore della settimana, porgere un certo numero di nozioni può soddisfare alcune esigenze di informazione e di chiarezza, ma lascia delusa tutta la carica di emotività, di tensione; si rimane sulla soglia della sfera affettiva dei ragazzi i quali, nel periodo puberale, più che avere bisogno di conoscenze scientifiche e anatomiche hanno necessità di capire ciò che sta avvenendo in loro in quel determinato momento, e di sapere il perché. Venire incontro a questa esigenza, sdrammatizzando, rasserenando, rendendo consapevoli, significa veramente fare educazione sessuale. 8. LA POSIZIONE DELL’INSEGNANTE Ed eccoci quindi giunti a un punto essenziale del problema: la posizione dell’insegnante nei riguardi dell’educazione sessuale da impartire ai ragazzi. L’educatore che si accinge a questo arduo compito deve avere le idee ben chiare in proposito, qualunque sia l’impostazione metodologica che intenda dare alla materia ma, soprattutto, deve essere in pace con se stesso. 69 Giovanna Righini Ricci Ogni educatore, infatti, anche inconsapevolmente, trasmette dei valori, dei modelli di comportamento, in quanto, con la sua personalità, il suo temperamento, il suo modo di porgere gli insegnamenti, la sua cultura, la sua formazione spirituale, la sua presenza fisica, esercita un’azione diretta sui ragazzi: alcuni di essi, anzi, per carenze affettive, per turbe psicologiche o anche semplicemente per un naturale processo di evoluzione, sono portati a identificarsi con lui, a imitarlo, a venerarlo ciecamente, come un idolo, oppure a odiarlo, a opporsi a lui, come antagonisti. La posizione dell’insegnante quindi, già così impegnativa di per sé, diventa estremamente delicata quando egli si assuma anche il compito di confidente, di guida, di educatore in una parola, dei ragazzi, in quel momento critico che è la pubertà. L’educazione sessuale, infatti, si può impartire in molti modi, perfino a propria insaputa, attraverso il proprio comportamento. Non vorrei che, a questo punto, le mie parole fossero fraintese: non intendo affatto dire che sia neppure lontanamente ammissibile che ci si abbandoni, con i ragazzi, a un linguaggio e a un gestire meno che irreprensibilmente e castigato, per carità! Allora sì che una denuncia per corruzione di minorenni sarebbe ampiamente giustificata! Voglio invece sottolineare il fatto che il modo stesso di affrontare francamente un problema o di eludere una spiegazione, di fornire delle motivazioni schiette oppure reticenti, drastiche o sfumate, mettono istintivamente in luce il proprio personale atteggiamento intimo di fronte all’argomento: in altri termini, l’insegnante che intenda affrontare il problema dell’educazione sessuale onestamente deve avere già risolto in sé ogni dubbio e conoscere molto bene la sua posizione psicologica e morale, la propria concezione filosofica e religiosa nei confronti del sesso; solo quando avrà superato ogni reticenza personale, ogni ambiguità, potrà avere, infatti, la serenità e l’equilibrio necessari 70 Esperienze di educazione sessuale nella scuola media per dedicarsi ai problemi dei suoi ragazzi. Commette una grave imprudenza quell’insegnante che, avendo una vita sessualmente tormentata, pur essendo combattuto tra il desiderio di adeguarsi a nuove concezioni dell’esistenza e le resistenze e i pudori tipici di un’educazione rigidamente impostata, si cimenta in questo campo: egli non avrà sicurezza, serenità di giudizio e i ragazzi lo avvertiranno e ne saranno, inconsapevolmente, disturbati. Chiarita a se stessi la propria dimensione interiore e la propria posizione morale, tuttavia si presentano altre ambivalenze: si può infatti assumere davanti ai ragazzi il ruolo di operatore sociale che, in un dialogo alla pari, aiuta il preadolescente a capire se stesso e gli altri, senza proporsi a lui (almeno consciamente) come modello di comportamento e rinunciando in questo modo a qualsiasi supremazia, a qualunque funzione “depositaria”, per ricercare le verità degli altri e analizzare le svariate angolature del problema, in una posizione non statica ma dinamica, che fa della propria esperienza non una pietra di paragone bensì una delle tante componenti di una realtà poliedrica (“queste sono le possibili soluzioni del tuo problema: a te ora la scelta della tua soluzione, della tua verità, che può essere diversa dalla mia soluzione, dalla mia verità e di quella degli altri, anche se ugualmente valida, vera e degna di rispetto”). Oppure l’insegnante può dichiaratamente proporsi come modello di comportamento (a condizione che, tuttavia, sia sempre in grado di rimanere il più aperto, spassionato e obiettivo che sia possibile), indicando ai ragazzi, di volta in volta, le soluzioni che, a suo parere sono ottimali (“Io ti suggerisco questa scelta perché la ritengo la migliore”). Si tratta quindi di un atteggiamento preciso, con implicazioni psicologiche, morali, sociali conseguenti e con un alto grado di responsabilità personale. Mi è estremamente difficile stabilire quale delle due posizioni sia la più giusta e la più valida, anche se a me 71 Giovanna Righini Ricci personalmente, risulta più congeniale la prima, che mi permette di rimanere in ombra come persona e di agire, con una sorta di “maieutica” socratica, per far venire alla luce i problemi di ciascuno, aiutando a prenderne coscienza e ad avviarli a soluzione, indipendentemente dalle mie scelte e dalle mie opinioni. Va però da sé che, dietro richiesta esplicita da parte dei ragazzi, io sono pronta a fornire la mia visione della realtà, a esporre i miei convincimenti, ma solo a titolo personale, e motivando ogni volta la mia posizione sia dal punto di vista morale che sotto l’aspetto sociale e psicologico. Ad esempio, di fronte alla domanda esplicita: “Lei, cosa ne pensa delle esperienze prematrimoniali di due fidanzati?”, io esporrò francamente il mio pensiero, inquadrandolo però nel tipo di educazione ricevuta, facendo riferimento alla particolare cultura di cui sono il frutto, analizzando l’ambiente in cui sono vissuta, le ragioni umane, sociali, storiche che guidano le mie convinzioni (le quali possono essere radicalmente diverse, ad esempio, da quelle di una cittadina svedese, ma mettendo sempre in risalto come entrambe le posizioni possano essere valide). Tutto questo al fine di aiutare i ragazzi a capire la diversità delle opinioni, la relatività di ogni implicazione morale e per renderli consapevoli e tolleranti, oltre che informati e sicuri. Per sgombrare il campo a possibili equivoci, mi preme a questo punto sottolineare che se, però, nel corso di un dibattito riguardante i rapporti dei giovani con i coetanei e con l’altro sesso, qualcuno dei miei ragazzi mi domanda un parere personale sulle esperienze sessuali degli adolescenti, la mia risposta in merito sarà chiara ed esplicita, non sfumata né probabilistica, in quanto scienza, psicologia e sessuologia sono concordi nel ritenere obiettivamente sconsigliabili e dannose le esperienze sessuali precoci, in Italia come in Svezia, a causa della obiettiva immaturità dei due partners, anco72 Esperienze di educazione sessuale nella scuola media ra incapaci di una partecipazione affettiva consapevole e profonda. In altre parole: su dati scientifici, biologici e psicologici oggettivamente validi per tutti avrò lo scrupolo di fornire risposte nette e non elusive; su questioni soggettive e, come tali, strettamente legate a particolari concezioni morali o filosofiche, al grado di maturità degli individui, all’ambiente in cui vivono, alla cultura di cui sono espressione, ecc. io esprimerò sempre dei giudizi estremamente rispettosi delle più diverse implicazioni. È chiaro tuttavia che un tipo di intervento così apparentemente spersonalizzato risulta, in genere, più adatto per quei ragazzi dotati di una spiccata personalità, di una certa dialettica e di spirito critico; invece, per i preadolescenti incerti, bisognosi di appoggi, di modelli da imitare, desiderosi di seguire l’esempio di qualcuno nel quale essi ripongono stima e fiducia, può risultare più rassicurante il metodo “depositario”, che trasmette dei modelli di comportamento, delle verità dogmatiche, da accettare globalmente (e talvolta - perché no? - anche da respingere globalmente). Il primo atteggiamento lascia infatti al ragazzo completa autonomia; il secondo lo guida invece con molta fermezza. Nell’un caso e nell’altro l’insegnante deve avere tuttavia costante lo scrupolo di sgombrare la propria mente da ogni pregiudizio, e di calarsi nella realtà dinamica, in un’incessante ricerca del bene dei ragazzi, che vivono proiettati verso il futuro e che hanno (e avranno!) necessariamente esperienze, problemi, dimensioni che non sono più uguali a quelle delle generazioni che li hanno preceduti, come saranno certamente diverse da quelli delle generazioni che verranno. Ciò che è giusto e vero per noi, in questo momento, può non esserlo più per loro, domani: rendiamoli quindi pronti ad accogliere la loro esistenza e a farne l’uso migliore! 73 Giovanna Righini Ricci 9. IL CONTROLLO E LA VERIFICA Nell’educazione sessuale non è ammissibile l’errore; se si incorre in qualche inevitabile incertezza, essa non deve tuttavia mai coinvolgere o danneggiare il ragazzo, compromettendone la sviluppo psicologico: non si deve infatti dimenticare mai che si agisce su “materiale umano” e che i ragazzi non sono cavie. In questo campo l’errore comporta quindi una responsabilità terribile. È necessaria, perciò, da parte dell’educatore, una estrema prudenza, una incessante revisione del cammino percorso, un esame attento delle azioni e delle reazioni dei ragazzi, una severa autocritica, onde avere sempre il quadro completo della situazione e la misura della validità dell’opera educativa intrapresa, individuando tempestivamente, sul nascere, difetti di impostazione, rischi, punti ambigui. Un quaderno personale, con tutti i nomi dei ragazzi, ci sarà sempre compagno: su di esso annoteremo ogni giorno fatti, sensazioni, sfumature e ogni elemento atto a mettere in luce tutti gli aspetti della personalità dei preadolescenti. Questionari-guida, periodicamente sottoposti ai ragazzi, avranno lo scopo di sondare opinioni, reazioni, stati d’animo dei singoli alunni, aiutando anche ad approfondire la conoscenza di tutte le loro esigenze. Molti altri sono i mezzi che si possono ingegnosamente escogitare per avere sempre la “temperatura” del ragazzo, il quadro della situazione generale; quello che però risulta il più efficace, il più vero e “rivelatore, è il diario personale, usato non con intendimenti scolastici, ma come effusione dell’anima, come confessione o momento di intimità (si veda la scheda n. 5). 74 Esperienze di educazione sessuale nella scuola media Di grande valore informativo sono anche i colloqui periodici con i genitori, atti a conoscere il comportamento del ragazzo in seno alla famiglia e l’opinione che di lui hanno i familiari, e il dialogo con lo psicologo e con gli altri esperti dell’équipe, cui non si deve ricorrere solo quando si presentano dei “casi” difficili ma sempre, onde oggettivare, alla luce della loro competenza specifica, le proprie sensazioni ed esperienze. Ma quel che conta, soprattutto, è l’essere sempre padroni della situazione, sempre presenti a se stessi e agli altri: momenti di stanchezza, di indifferenza, di distrazione, possono generare traumi e far incorrere in errori psicologici, la cui portata è difficile rilevare. Quello dell’educatore, come si vede, è un impegno gravoso, che lo mantiene in perenne tensione, lo costringe a un farsi incessante: questo non va dimenticato. 10. ALCUNE COSTANTI RILEVABILI NEL COMPORTAMENTO DEI PREADOLESCENTI Nel corso delle mie esperienze didattiche ho constatato che, pur nella diversità di situazioni, di personalità, di livello culturale, di estrazione sociale, i preadolescenti della scuola media dell’obbligo reagiscono agli stimoli di carattere sessuale seguendo inconsapevolmente alcune costanti che variano pochissimo con il mutare del tempo, delle sollecitazioni ambientali, della evoluzione biologica della specie. Eccovi qualche esempio: 75 Giovanna Righini Ricci RAGAZZE 11 anni A undici anni le ragazzine sono quasi tutte particolarmente attente allo sviluppo del proprio fisico e invidiano le compagne che hanno la “fortuna” di ostentare già un seno visibilmente formato: questo segnale sessuale secondario rappresenta infatti ai loro occhi il simbolo della femminilità e della emancipazione. Qualcun’altra, invece, che ha uno sviluppo fisico piuttosto precoce, prova un senso di disagio nei confronti dei compagni e tende a nascondere i propri “segnali”. 12 anni A questa età la ragazzina cerca “l’amica del cuore” e vive in maniera emotiva il legame con una compagna. Se quest’ultima dimostra di preferire l’amicizia dei maschi, in un primo momento ne è molto gelosa e ne soffre; successivamente, però, se messa a parte delle confidenze “amorose” dell’amica, si stacca a poco a poco da lei, si rasserena, oppure diventa la confidente fissa dell’amica, di cui condivide spesso gioie e pene amorose. 13 anni Sui tredici anni generalmente la ragazzina ha superato già la crisi puberale e accetta il suo “ciclo” come cosa naturale; qualcuna anzi è molto fiera della sua completezza e femminilità e, nei giorni “critici”, domanda con una certa aria di complicità, di poter uscire perché “ha dei problemi”. Non mancano tuttavia casi di ragazze che non riescono ad accettare questo loro nuovo stato ed entrano in conflitto con la madre che, inconsapevolmente, giudicano responsabile del loro sesso, della loro “condizione umiliante” (si veda la scheda n. 15); sono allora afflitte da crisi depressive, rifiutano il loro svi76 Esperienze di educazione sessuale nella scuola media luppo, regrediscono psicologicamente, rivelano astio verso il padre, disamore per tutti e per tutto. 14 anni A quattordici anni le ragazze tendono a innamorarsi di un “idolo” (cantante, attore, atleta) ma soprattutto si innamorano dell’amore: per loro infatti è spesso più importante amare che essere amate. Si scambiano confidenze tra compagne sui giovanotti che le hanno colpite, usando iperboli e un frasario melodrammatico (“è bello da morire!”, “solo a vederlo mi sento svenire!”). 15 anni In questo periodo la ragazza diventa più consapevole e rivela spirito critico; vuole essere informata su tutti gli aspetti del sesso e dà spesso giudizi piuttosto severi sulla sessualità e sul comportamento dei giovani. Con i compagni tuttavia è molto esplicita e arrossisce difficilmente. Ama le festicciole, i giochi innocenti, ma con sfondo erotico, e appare, affettivamente, piuttosto sicura di sé. In famiglia tende ad acquisire autonomia e a staccarsi, emotivamente, dalle figure parentali. Qualcuna tuttavia rivela eccessiva intransigenza in fatto di morale e giudica la madre con una certa asprezza, oppure appare indecisa, scontenta, con repentini sbalzi di umore. RAGAZZI 11 anni A undici anni i ragazzi sono vivamente interessati a tutto ciò che concerne la sfera sessuale e amano le “barzellette sporche” riguardanti in genere le funzioni corporali. A questa età sia i maschi che le femmine si appassionano allo studio di tutti i fenomeni riguardanti la vita prenatale, la nascita e la crescita. I ragazzi rivelano, nel 77 Giovanna Righini Ricci loro comportamento, punte di crudeltà e di sadismo (deridono, ad esempio, ferocemente il compagno grasso ed effeminato, e considerano le compagne, senza benevolenza, delle “racchiette” scodinzolanti). Sono molto legati al concetto di famiglia e cercano in loro le tracce della ereditarietà. Si documentano anche scrupolosamente sulla vita dell’embrione e pongono, sull’argomento, delle domande acute e intelligenti. 12 anni Sui dodici anni il ragazzo diventa audace, fa “il fischio” alle ragazze, dice parole grosse, scherza con le compagne, in una schermaglia che sembra innocente ma che ha un sostrato erotico (ruba loro la byro, nasconde i libri, fa la caricatura sulla lavagna). Generalmente ama le feste chiassose e, quando si trova in gruppo, fa delle “avances” alle femmine; appena però si trova a tu per tu con la ragazza, diventa estremamente goffo e impacciato. Vuole esser informato scientificamente su ciò che sta avvenendo nel proprio sviluppo e quello dell’altro sesso; discute anche, accanitamente, di questi problemi con i compagni; ora gli piacciono le storielle a carattere più decisamente sessuale e “informativo”. 13 anni A questa età la voce assume toni molto diversi, ma il ragazzo ora ne sorride, avendo generalmente già superato il punto critico e accettato con naturalezza la sua evoluzione. I suoi rapporti con le compagne sono improntati a molta schiettezza e spesso sono ricchi di un sottile humour. Nella schermaglia amorosa la ragazza rivela infatti più imbarazzo del suo compagno. Ora il ragazzo si interessa a tutti i problemi sessuali (amore, esperienze matrimoniale e prematrimoniali, deviazioni sessuali, prostituzione, controllo delle nascite, ecc.) e si proietta verso il futuro: è già in grado, infatti, di allargare il pro78 Esperienze di educazione sessuale nella scuola media blema dal piano personale a quello sociale, etico, speculativo e tende spesso a opporre scienza a religione, a mettere in discussione le verità dogmatiche, a polemizzare con gli adulti, verso i quali si rivela ipercritico, estremista, intollerante. 15 anni Verso i quindici anni il ragazzo è fiero della sua barba nascente e degli ispidi peli che gli ricoprono il labbro superiore; legge riviste a sfondo sessuale e spesso pornografiche; ama il ballo soprattutto per il suo carattere erotico ed è molto intraprendente con le compagne. 11. CARATTERISTICHE COMUNI AI DUE SESSI Nel periodo che va dagli 11 ai 14 anni l’efficienza intellettiva sia dei maschi che delle femmine è in rapida ascesa, anche se varia molto da soggetto a soggetto. A 11 anni molti ragazzi di ambo i sessi si stupiscono quando apprendono che nascono dei bambini anche al di fuori del matrimonio, essendo in loro ancora molto radicato il concetto di famiglia. Sui 13 anni, di fronte a un ordine da parte degli insegnanti (“tu devi fare questo, senza discutere!”) solo una minoranza dei ragazzi obbedisce per paura della punizione; altri si adeguano per compiacere l’insegnante, ma senza convinzione; la maggior parte invece si sottomette solo se l’imposizione corrisponde alle proprie convinzioni intime. A 13-14 anni i ragazzi attraverso una crisi esistenziale che li mette in urto con le figure parentali e, in particolare, con il genitore del loro stesso sesso (“Non voglio somigliare a mio padre!” tuona il ragazzo; “Io, con i miei figli, non mi comporterò mai come mia madre!” esclama con convinzione la ragazza). 79 Giovanna Righini Ricci Verso i 15 anni parecchi adolescenti sono portati a isolarsi dalla realtà quotidiana, a rifugiarsi in un mondo fantastico, traendo spesso in inganno gli insegnanti che danno di loro un giudizio negativo (“è intelligente, ma svagato”); altri invece tendono a mettere in discussione l’autorità dell’insegnante, a polemizzare con acume ma anche con una punta di astrazione e di irrazionalità, che fanno loro spesso perdere di vista la concretezza reale. Molti adolescenti si domandano, ora, quale attesa circondi il loro agire; essi hanno bisogno di stima, di considerazione, di sentirsi trattati alla pari degli adulti, per acquisire sicurezza in se stessi e nei loro mezzi. Qualche ragazzo rivela tuttavia ancora instabilità emotiva: ha improvvisi accessi di operosità, subito seguiti dall’abbandono di ogni attività, dalla inerzia, dalla sfiducia: lascia allora a metà tutte le opere intraprese e si isola, per non essere obbligato dalla “comunità” a prendere qualche iniziativa, a fare delle scelte. Altre volte gli adolescenti si rifugiano nel “gruppo”, per sentirsi protetti, e dal gruppo assimilano comportamento e atteggiamenti stereotipati (un certo frasario, una foggia trasandata nel vestire, un particolare tifo per certi idoli del momento, siano essi attori, cantanti, atleti, ecc.) che li “mimetizzano”: è come se si ponessero una maschera per sentirsi meno osservati, esposti e, di conseguenza, più liberi intimamente. Nei loro giudizi, questi adolescenti rivelano molto spesso una rigida intransigenza e un esagitato estremismo, alternato a un grande desiderio di autonomia, di apertura verso i problemi sociali; spesso assumono atteggiamenti di critica e di rifiuto delle istituzioni (che a volte vorrebbero più efficienti e più severe); sempre hanno bisogno di motivazioni per agire, di ideali, di un aiuto per poter scindere il bene dal male, nettamente, senza compromessi e, soprattutto, di poter vedere chiaro nel loro futuro. 80 Esperienze di educazione sessuale nella scuola media Nei riguardi degli adulti, siano essi genitori, insegnanti o estranei, sono molto critici: se rilevano contraddizioni tra il loro “credo morale” e il loro modo di agire, perdono la stima e la fiducia (“Mio padre mi riempie la testa di principi morali: “Bisogna essere onesti, rifuggire dagli imbrogli…”; poi mi accorgo che, per arricchirsi, per farsi largo nella vita, accetta i compromessi, la disonestà, i sotterfugi!” Mi confessò un giorno un ragazzo di “buona famiglia”, divenuto “un caso difficile” per il suo atteggiamento ribelle provocatorio). L’adolescente è portato anche a mettere in discussione le pratiche religiose e i dogmi, ma ha un gran bisogno di credere in qualcosa di soprannaturale; nel suo modo di sentire, egli si trova spesso in bilico tra un residuo di infantilismo che lo respinge verso il passato e l’urgenza di proiettarsi verso il futuro: di qui la sua frequente instabilità emotiva, le sue incoerente. Tanto in famiglia quanto nella scuola, la maturazione psicologica dell’adolescente può essere danneggiata sia da un’educazione rigida, di tipo repressivo e autoritario, sia da un’educazione permissiva, che lo lasci abbandonato a se stesso, senza argini e senza guida. L’adolescente che non riesce a trovare, nel contesto scolastico o familiare, il proprio “spazio”, reagisce in diverse maniere: o tende a esibirsi, per essere al centro dell’attenzione, oppure regredisce a uno stadio infantile, per essere commiserato. Quando l’adolescente è in rivolta contro la società, può giungere a meditare la fuga e perfino il suicidio, non perché non ami più la vita, ma perché vuole “punire” con la sua morte chi non gli ha teso una mano nel momento del bisogno. L’adolescente che non ha ancora superato la sua crisi, non conosce ancora il suo ruolo, la sua vera identità, può scivolare infine verso forme di vere e proprie alterazioni psichiche; ogni insegnante attento non deve mai 81 Giovanna Righini Ricci sottovalutare o considerare con leggerezza i capricci e gli sbalzi di umore dei suoi ragazzi, se vuole essere certo di prevenire, con interventi tempestivi e adeguati, future forme patologiche7. 12 TRACCIA SCHEMATICA DI UN ITER DIDATTICO ORIENTATIVO8 PRIMA CLASSE (anni 11-12) Il concepimento - sviluppo dell’embrione - il periodo prenatale e suoi problemi - la gestazione - implicazioni psicologiche nella gestante, nel padre, nei familiari, nel feto - caratteri ereditari - aborto - i prematuri - il puerperio - l’allattamento - i primi giorni di vita del neonato - problemi di igiene - la fase oro-anale del neonato - le sue prime reazioni e conquiste - il linguaggio - i primi passi - lo svezzamento. 7 Nel libro di Luella Cole, Psycologie of Adolescence (Rinehart and Company Inc. Publishers, New York), vengono elencate varie forme di alterazioni psichiche; eccone alcune: 1) fobie e stati compulsivi (spesso con rendimento scolastico e lavorativo superiore alla media); 2) neurosi ansiose; 3) ansietà, timore, senso di inferiorità, colpa, gelosia, ostilità, ecc. (che si esprimono in genere, in un comportamento esteriore di ipercompensazione); 4) oscillazioni patologiche dell’umore; 5) neurastenia, isolamento sociale; 6) isteria (con relazioni violente a una situazione che disturba); 7) fanatismo (con eccesso di diffidenza, sospetto, rigidezza mentale, ostilità, ecc.); 8) personalità psicopatica (vita disordinata e senza scopo, egocentrismo, isolamento sociale, ecc.); 9) schizofrenia, con i seguenti sintomi: a) manierismo, smorfie, ecc.; b) condotta asociale; c) apatia; d) tendenza a rigettare sugli altri le responsabilità, a fuggire dalla realtà, ecc; e) incoerenza, confusione, mania di persecuzione, ecc. 8 In corrispondenza con l’evoluzione psicosomatica del preadolescente, si suggerisce qui una indicazione metodologica e quantitativa di massima. 82 Esperienze di educazione sessuale nella scuola media SECONDA CLASSE (anni 12-13) Vita e problemi del bambino - sviluppi della personalità - il gioco - la creatività - il mondo delle sensazioni - la conquista dell’io - il rapporto con le figure parentali - il complesso di Edipo - il complesso di Elettra - la vita individuale - il controllo degli sfinteri - la vita in gruppo e le relative esperienze (ingresso nella scuola materna e nella scuola elementare, con relative implicazioni psicologiche - i rapporti con i coetanei, con l’altro sesso, con le figure che rappresentano l’autorità - la pubertà (evoluzione psicofisica e differenziazione dei sessi) - norme igieniche essenziali - sensazioni, problemi, stati d’animo del preadolescente. TERZA CLASSE (13-14-15 anni) La pubertà e i suoi aspetti psicologici, fisiologici, sociali, ecc. - i problemi degli adolescenti (rapporto con i coetanei, con l’altro sesso, con la famiglia, con la scuola, con la società; l’amicizia, l’amore, la protesta, la droga, la fuga da casa, ecc.) - la famiglia - l’incremento demografico - i figli non riconosciuti e le adozioni - il comportamento e le sue motivazioni (esperienze sessuali - prostituzione - deviazioni - pornografia - malcostume - la libertà e i suoi limiti - ecc.) - norme igienico-sanitarie nel periodo della pubertà - l’aborto - il diritto di famiglia - i problemi specifici di ciascuno (il sistema endocrino e le sue disfunzioni - le polluzioni notturne - l’enuresi - la masturbazione, ecc.). Il tutto sotto forma di inchiesta, approfondimento, discussione, esposizione personale, privata, ecc. A questo punto, infatti il “programma” diventa estremamente fluido e articolato, in quanto ogni argomento scaturisce non da un iter prefabbricato, ma dalle reali esigenze dei ragazzi, dai fatti della vita quotidiana ed è, quindi, su83 Giovanna Righini Ricci scettibile di continue variazioni, per risultare sempre aderente alla personalità, alla natura dei problemi, alle esperienze e alle necessità degli adolescenti. 84