La posizione politica di Cicerone: un bilancio

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CICERONE
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approfondimento
La posizione politica di Cicerone: un bilancio
I due testi critici che seguono focalizzano l’attenzione sulla posizione politica assunta da Cicerone, come emerge dalla
sua azione concreta all’interno delle istituzioni e dalla sua riflessione teorica. Nel primo passo Guido Carotenuto
riassume la posizione moderata e “centrista” tenuta dal grande oratore, svelando nel contempo la sua profonda e
netta opposizione al partito dei populares; nel secondo e più ampio intervento Emanuele Narducci individua le
linee guida della politica ciceroniana a partire dal cruciale anno del consolato: emergono così anche i limiti delle
scelte operate e i motivi del fallimento, legato a un eccessivo immobilismo di fronte alle nuove dinamiche del tessuto
sociale ed economico di Roma.
«La posizione politica di Cicerone è sufficientemente chiara: egli fu un conservatore illuminato, diremmo noi, “un uomo di centro”, il quale proclamò il rispetto delle libertà formali e dei diritti costituzionali, senza volere intaccare i privilegi e gli interessi di classe, il quale si batté per la concordia ordinum
e cioè per l’accordo di nobili e ricchi allo scopo di assicurare la prosperità e la pace dello stato, in realtà per soffocare le richieste dei populares.
Si è voluto vedere in questa posizione politica un contrasto col pensiero filosofico di Cicerone e con il
suo umanesimo. In verità contraddizione non c’è, perché l’umanesimo di Cicerone, come ogni umanesimo che, esaltando i valori della cultura e dello spirito, proclama la superiorità della persona raffinata, colta e non soggetta alle necessità economiche dell’uomo comune, si rivela alla fine un ideale
aristocratico e conservatore. D’altra parte non è il caso di scandalizzarsi con Cicerone (come pure è
stato fatto) per il suo conservatorismo, in quanto tutta, o quasi tutta, la intellighenzia antica è liberale
umanistica e conservatrice: una vera cultura alternativa, una coscienza e una posizione veramente democratica popolare e rivoluzionaria è scoperta di tempi piuttosto recenti».
G. CAROTENUTO, Letteratura latina, Treviso, Canova, 1985, p. 252
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«La linea politica perseguita da Cicerone nell’anno del suo consolato è nota comunemente sotto il
nome di concordia ordinum: un’alleanza di optimates e ordine equestre, con lo scopo precipuo di porre un
argine alle tendenze sovversive che serpeggiavano nella società, e che il movimento catilinario aveva portato drammaticamente alla luce. L’ideale della concordia presupponeva l’accordo volontario tra gruppi
sociali diversi, eventualmente garantito dall’arbitrato di eminenti uomini di stato: una mediazione volta
a favorire soprattutto gli interessi dei ceti possidenti, ovviamente inaccettabile per i populares.
Proprio a questa funzione di arbitro Cicerone si sentiva chiamato dalla sua posizione di senatore proveniente dal ceto equestre, col quale aveva conservato legami molto stretti: soprattutto nei giorni del
suo trionfo su Catilina egli si convinse di poter costituire il cardine di un’alleanza tra ottimati e cavalieri, garanzia di un equilibrio sociale sufficiente a impedire il ritorno di una dittatura militare di tipo
sillano. [...]
Il limite storico di questa concezione sta ovviamente nel suo carattere quasi esclusivamente difensivo
nei confronti delle minacce di sovversione, nella condanna di ogni agitazione, e nella totale indifferenza – se non peggio – nei confronti di qualsiasi misura volta a sanare i mali economici e sociali che affliggevano Roma, o ad alleviare la miseria e lo scontento. Ma il giudizio storico non sarebbe equanime
se non tenesse conto anche degli elementi di radicale novità contenuti in questo progetto politico, che
Cicerone avrebbe continuato ad approfondire negli anni successivi.[...]
La riflessione teorico-politica rese probabilmente Cicerone consapevole del fatto che la sua ascesa era
stata guidata, oltre che dalla capacità di atteggiarsi secondo le opportunità del momento, dall’esigenza
di rispondere alle aspettative di un blocco sociale composito, ancora alla ricerca di una coscienza politica
unitaria: i boni, in sostanza i ceti possidenti dell’Italia, considerati in maniera relativamente indipendente
dalla loro qualificazione per “ordini”. La necessità di consolidare e orientare questo blocco sociale significava di per sé un superamento degli obiettivi tradizionali della politica romana, per lo più prigio-
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niera di una lotta di fazioni e di cricche clientelari: da parte di Cicerone, la divulgazione frequente dei
propri discorsi, e successivamente della propria produzione filosofica, è segno di un’attenzione per la
formazione di una “pubblica opinione” che trova ben pochi paragoni in leaders precedenti o anche contemporanei.
Gli elementi centrali della coalizione auspicata da Cicerone, l’ordine senatorio e l’ordine equestre, restavano tuttavia divisi da conflitti politici e di interesse, destinati a rinfocolarsi una volta passata la necessità
di fare fronte comune contro il pericolo catilinario. Negli anni successivi al consolato Cicerone vide perciò rapidamente sgretolarsi il consenso intorno alla propria linea politica. Ciò permise che egli divenisse
l’oggetto di attacchi ripetuti, concentrati soprattutto sull’esecuzione sommaria dei complici di Catilina,
che appariva avere violato le garanzie giuridiche sulle quali anche i più umili tra i Romani confidavano
per la tutela della propria persona. Intanto andava delineandosi la supremazia dei grandi potentati».
E. NARDUCCI, Introduzione a Cicerone, Bari, Laterza, 1992, pp. 72-75 passim
Decorazione del triclinio della Casa dei Vettii, I secolo a.C., Pompei, Sopraintendenza Archeologica.
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