Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl Parte II Scienza dell’alimentazione INTRODUZIONE La materia di studio della “Scienza dell’alimentazione” comprende alcuni aspetti della fisiologia, della biochimica, del metabolismo che riguardano gli alimenti, la loro composizione, le loro funzioni in relazione ai bisogni nutrizionali dell’organismo. Tutte le funzioni vitali degli esseri viventi, quali la riproduzione cellulare, l’accrescimento e la riparazione dei tessuti, la sintesi di composti organici, il lavoro muscolare e degli organi interni (cuore, polmoni, fegato ecc.), richiedono energia, materiale da costruzione (plastico) e bioregolatori. Alimenti e nutrienti “essenziali” e “non essenziali” Gli alimenti sono costituiti da combinazioni diverse per qualità e quantità di una serie di sostanze nutritive, i nutrienti, che possono essere utilizzati per soddisfare le richieste di energia e di sostanze plastiche o regolatorie. I nutrienti sono quindi i principali costituenti degli alimenti e appartengono a una delle seguenti sei classi di sostanze chimiche: 1. 2. 3. 4. 5. 6. proteine o protidi; carboidrati o glucidi; grassi o lipidi; vitamine; minerali; acqua. Alcuni dei nutrienti si definiscono “essenziali” o indispensabili, in quanto non possono essere formati (sintetizzati) nell’organismo e quindi debbono obbligatoriamente essere introdotti già preformati con gli alimenti; nutrienti essenziali sono per esempio alcuni aminoacidi, alcuni acidi grassi, minerali e vitamine che, quando non introdotti in quantità adeguate causano manifestazioni da carenza. Altri nutrienti possono invece essere sintetizzati nell’organismo stesso a partire da altre sostanze e pertanto sono definiti “non essenziali”. L’utilizzazione dei nutrienti da parte dell’organismo richiede che essi siano liberati dagli alimenti con i processi di digestione e resi “disponibili” all’assorbimento intestinale. 313 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione Funzioni degli alimenti: energetica, plastica, regolatoria Si definisce alimento qualsiasi sostanza edibile (che si può mangiare) contenente i nutrienti essenziali e non essenziali che svolgono una o più delle seguenti funzioni: 1. energetica: un continuo rifornimento di energia è la condizione indispensabile per lo svolgimento di tutti i processi vitali e per la contrazione muscolare. Il bisogno di energia è soddisfatto prevalentemente dagli alimenti contenenti glucidi e lipidi e secondariamente dalle proteine; 2. plastica: le sostanze deputate alla costituzione dei tessuti e delle strutture corporee sono le proteine, il calcio, il ferro e gli altri componenti con i quali si sintetizzano sostanze atte a formare nuove cellule, enzimi e specifici ormoni. Il bisogno di materiale “plastico” è soddisfatto principalmente dagli alimenti ricchi di proteine; 3. regolatoria: la funzione di regolazione è svolta da sostanze, come le vitamine e alcuni minerali, che consentono un controllo della velocità delle reazioni biochimiche interessate nei processi metabolici. Numerosi alimenti svolgono in grado diverso questa funzione. Oltre ai nutrienti, gli alimenti contengono anche sostanze non propriamente nutritive, alcune delle quali, come per esempio quelle appartenenti alla “fibra alimentare”, dotate di specifiche proprietà fisiologiche. Negli alimenti, infine, possono essere presenti sostanze a essi estranee che sono definite contaminanti se pervenute accidentalmente nell’alimento e additivi se aggiunte volontariamente allo scopo di facilitarne la conservazione o di modificarne talune proprietà. Compito della “Scienza dell’alimentazione” è quello di fornire il maggior numero possibile di informazioni nutrizionali al fine di educare a un’alimentazione sana e appropriata a soddisfare i fabbisogni nutrizionali. Il processo nutritivo, a grandi linee, comporta: • • • l’introduzione per via orale di materiale alimentare disponibile nell’ambiente che, sottoposto a trasformazione chimica da parte dei succhi digestivi, rende possibile l’assorbimento intestinale dei nutrienti; una serie di trasformazioni chimiche dei nutrienti in base alle quali essi si convertono in “sostanza vivente”; l’eliminazione delle scorie, cioè dei composti non più utilizzabili. La “Scienza dell’alimentazione” ha pertanto l’obiettivo di studiare: 1. gli alimenti nei loro aspetti merceologici, chimici e nutrizionali in rapporto ai bisogni del vivente nelle diverse condizioni fisiologiche (età, sesso, attività fisica, gravidanza e allattamento); 2. i processi della digestione degli alimenti, dell’assorbimento dei nutrienti, della loro utilizzazione metabolica e dell’eliminazione delle scorie inutilizzate; 3. gli aspetti socio-economici, psicologici e culturali connessi con l’alimentazione e con l’atto alimentare. Dal momento che nessun alimento è nutrizionalmente completo, in grado cioè di soddisfare da solo i bisogni di nutrienti dell’organismo, le scelte alimentari dovrebbero innanzitutto essere effettuate sulla scorta di corrette conoscenze nutrizionali ed essere inoltre il più possibile variate: la monotonia nell’alimentazione può portare, se protratta a lungo, a introiti inadeguati (per eccesso o per difetto) di alcuni nutrienti e quindi a squilibri nutrizionali. 314 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl 18 PROTEINE O PROTIDI INTRODUZIONE Le proteine alimentari costituiscono il materiale plastico che presiede la sintesi delle proteine corporee destinate a essere impiegate come elementi strutturali delle cellule o come sostanze dotate di peculiari funzioni biologiche quali enzimi, ormoni, anticorpi ecc. Sono composti quaternari in quanto costituite non solo da carbonio (C), ossigeno (O) e idrogeno (H), ma anche da azoto (N), in proporzione di circa il 16% del proprio peso; possono contenere anche modeste quantità di fosforo e zolfo. Formate da catene di a-aminoacidi legati tra loro dal legame peptidico, le proteine sono caratterizzate dalla proporzione e dalla sequenza con la quale gli aminoacidi si legano a formare la catena peptidica. Da queste due caratteristiche deriva la specificità – e quindi la funzione – delle migliaia di proteine presenti negli organismi viventi. Sequenza e proporzioni degli aminoacidi sono geneticamente determinate. Caratteristica peculiare delle proteine è quella di andare soggette a un continuo processo di demolizione e sintesi che va sotto il nome di turnover proteico. Aminoacidi essenziali e non essenziali Le proteine alimentari forniscono gli aminoacidi (AA) necessari per le sintesi proteiche. Gli AA sono, per definizione, molecole caratterizzate dalla presenza di almeno un gruppo carbossilico (–COOH) a carattere acido e di un gruppo aminico (–NH2) a carattere basico. La restante parte della molecola (radicale – R) può essere costituita da una catena lineare o ramificata, da un gruppo aromatico, solforato o altro che determina le caratteristiche costitutive di ogni singolo aminoacido. In natura esistono centinaia di aminoacidi, ma solo 20 sono coinvolti nella sintesi proteica. Anche se a livello cellulare tutti e 20 questi aminoacidi devono essere contemporaneamente presenti, solo 9 devono essere introdotti preformati con gli alimenti in quanto l’organismo non è in grado di sintetizzarli. Questi nove aminoacidi vengono definiti aminoacidi essenziali (AAE). Essenziale è quindi l’aminoacido non sintetizzato nell’organismo umano e che deve essere introdotto con l’alimentazione. Gli altri AA che possono essere sintetizzati dal materiale disponibile sono denominati non essenziali (Tab. 18.1). Sono definiti semiessenziali gli AA tirosina e cisteina, in quanto derivano rispettivamente dagli AA essenziali fenilalanina e metionina. 325 Copyright 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione TABELLA 18.1 AMINOACIDI ESSENZIALI E NON ESSENZIALI Essenziali Non essenziali Valina Lisina Leucina Isoleucina Metionina Fenilalanina Treonina Triptofano Istidina Alanina Arginina* Acido aspartico Cisteina° Cistina Acido glutammico-glutamina* Glicina* Idrossiprolina Prolina* Serina Taurina* Tirosina° ° AA semiessenziale; * AA condizionatamente essenziale. In particolari situazioni (per esempio, prematurità alla nascita) e in determinate condizioni patologiche (insufficienza renale cronica, cirrosi epatica, immunodepressione) la velocità di sintesi endogena di alcuni AA non essenziali non è sufficiente a garantire la copertura dei bisogni aumentati. In queste circostanze, gli AA arginina, glicina, glutamina, prolina e taurina (che è un derivato della cisteina) assumono le caratteristiche di “essenzialità” e sono pertanto denominati anche condizionatamente essenziali. VALORE NUTRIZIONALE DELLE PROTEINE E VALUTAZIONE DELLA QUALITÀ PROTEICA Da tempo è noto che le proteine alimentari non hanno tutte la medesima efficienza nello svolgere le funzioni di mantenere la vita e promuovere l’accrescimento. Le differenti qualità nutrizionali dipendono in parte dalla rispettiva digeribilità e in parte maggiore dal contenuto in AA essenziali: quanto maggiore è il contenuto in AA essenziali di una proteina, tanto più elevata è la sua qualità nutrizionale. Il valore nutrizionale di una proteina può essere valutato con metodi in vitro (chimici e enzimatici) e con metodi biologici. Dai primi si ricavano il punteggio chimico o aminoacidico e l’indice aminoacidico che derivano dal confronto tra il contenuto in AA essenziali della proteina in esame con quello noto di una proteina di riferimento (prevalentemente si fa riferimento a quella dell’uovo, oppure a “schemi distributivi di aminoacidi” suggeriti da commissioni di esperti FAO/WHO). I metodi biologici permettono una più precisa valutazione della qualità proteica in quanto tengono conto, oltre che della composizione in AA essenziali, anche della sua digeribilità e dell’efficienza di utilizzazione per le sintesi proteiche endogene. Il metodo biologico più utilizzato per la determinazione del valore nutrizionale o “valore biologico” delle proteine è quello dell’utilizzazione proteica netta (NPU), definito come la percentuale delle proteine della dieta che viene trattenuta dall’organismo. 326 P02Cap18-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:42 Pagina 327 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl Proteine o protidi • CAPITOLO 18 TABELLA 18.2 VALORE NUTRIZIONALE DELLE PROTEINE DI ALCUNI ALIMENTI Alimenti Uova Albume d’uovo Latte di mucca Caseina Carne di manzo/maiale Pesce Riso Legumi Farina di frumento/pasta/pane Gelatina Valore biologico Punteggio chimico/ Indice aminoacidico 94 91 90 70 74-79 90 67 – 42 – 100 85 78 73 75-80 70 80 55-60 50-54 10 In linea generale, le proteine animali (uova, latte e derivati, carni in genere, pesci) sono di alto valore biologico (AVB), mentre quelle vegetali (cereali e derivati) sono di basso valore biologico (BVB); quelle della soia e dei legumi sono a valore biologico più simile a quello delle carni. Il valore nutrizionale delle proteine è presentato nella tabella 18.2. Mutua supplementazione proteica La qualità nutrizionale delle proteine a basso valore biologico può essere migliorata dall’assunzione contemporanea (nello stesso pasto) di altre proteine che le completano o le supplementano. Infatti, la relativa deficienza o mancanza di un determinato aminoacido in una proteina può essere supplementata dalla presenza in quantità più che sufficienti dello stesso aminoacido in un’altra, con conseguente miglioramento del valore biologico della proteina carente. Le tradizioni alimentari di alcune regioni italiane, quali la cena a base di “caffellatte con pane” (nord) o il piatto unico di “pasta e fagioli” (sud) sono esempi di mutua supplementazione proteica: il consumo associato di pane (deficiente in lisina) con latte (ricco in lisina), oppure di pasta (deficiente in lisina ma relativamente ricca di metionina) con legumi (deficienti in metionina ma relativamente ricchi di lisina) permette di migliorare l’introito complessivo di aminoacidi essenziali e quindi la loro disponibilità per le sintesi proteiche. FUNZIONI DELLE PROTEINE ALIMENTARI Gli AA provenienti dalla digestione delle proteine alimentari sono utilizzati, dopo l’assorbimento intestinale, come materiale plastico o energetico. Funzione plastica La funzione fondamentale consiste nell’apporto di materiale per la sintesi di nuove proteine destinate a sostituire quelle catabolizzate giornalmente nell’adulto (quota di “mantenimento”) o a formare nuove cellule e nuovi tessuti nel soggetto giovane (quota di “accrescimento”). Gli AA sono anche precursori di molecole e di sostanze azotate di natura non proteica che svolgono importanti funzioni biologiche. Tra queste meritano di essere ricordate: 327 P02Cap18-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:42 Pagina 328 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione • • • • • • • le basi puriniche e pirimidiniche costituenti gli acidi nucleici (DNA, RNA), derivate da aspartato, glutamina, glicina; l’acetilcolina (dalla metionina), la serotonina (dal triptofano), la dopamina e le catecolamine (dalla tirosina), amine con svariate funzioni; principalmente sono neurotrasmettitori, mediatori chimici degli stimoli nervosi; l’istamina (dall’istidina), uno dei mediatori dei processi infiammatori; la creatina, derivata da diversi AA, che fornisce sotto forma di creatinfosfato l’energia per la contrazione muscolare; l’ossido nitrico, derivato dall’arginina, che esplica molteplici funzioni nella comunicazione cellulare, nella trasduzione dei segnali biologici e nella difesa immunitaria; la niacina o vitamina PP, derivata dal triptofano; il glutatione (dagli aminoacidi solforati cisteina e glicina), importante per le difese antiossidative cellulari. Funzione energetica Le proteine alimentari sono anche fonte energetica (1 g di proteina = 4 kcal). Poiché l’organismo non può accumulare scorte proteiche o di AA, se con la dieta ne vengono introdotte in eccesso rispetto al fabbisogno plastico, costituiscono una fonte utilizzabile di energia. La quota eccedente di AA è quindi avviata verso la via ossidativa previa deaminazione (distacco del radicale NH2). La catena carboniosa residua (chetoacido) è ossidata con produzione di energia (funzione energetica) oppure trasformata in composti di natura glucidica dai quali deriva glucosio (neoglicogenesi). Per esempio, dalla deaminazione dell’AA non essenziale alanina si ottiene acido piruvico (alaninaÆpiruvato), che può essere ossidato o ritrasformato in glucosio. Il radicale NH2 derivato dal processo iniziale di deaminazione può essere utilizzato per la formazione degli altri aminoacidi (transaminazione). Altrimenti è convertito in urea a livello epatico ed eliminato con le urine. BISOGNO DI PROTEINE NELL’UOMO E BILANCIO PROTEICO L’organismo umano deve continuamente rinnovare le proprie strutture proteiche senza poter accumulare “scorte” di proteine. Ogni giorno dal catabolismo delle proteine derivano composti azotati (urea, creatinina ecc.) che vengono eliminati con le urine, le feci, la cute, le diverse secrezioni organiche ecc.; tali perdite devono essere sostituite e diviene pertanto necessario assumere con la dieta i costituenti proteici (aminoacidi) in quantità adeguata. Il bisogno proteico di un individuo è per definizione il livello più basso di proteine della dieta in grado di bilanciare le sue perdite di azoto corporee quando il bisogno energetico è mantenuto a una ridotta attività fisica (bisogno di “mantenimento”). Nell’età infanto-giovanile, in gravidanza e in allattamento, il bisogno proteico include quote aggiuntive per la sintesi di nuovi tessuti o per la secrezione di latte (bisogno per l’“accrescimento”). In linea generale, il bisogno proteico giornaliero dipende dai seguenti fattori: 1. massa corporea: variazioni della massa corporea (in assenza di obesità) determinano variazioni del bisogno proteico. Per questa ragione è razionale esprimere il bisogno proteico in grammi di proteine per chilogrammo di peso corporeo (g/kg). Il bisogno proteico è in relazione con la massa corporea e quindi con il metabolismo di base del soggetto; 328 P02Cap18-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:42 Pagina 329 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl Proteine o protidi • CAPITOLO 18 2. età e determinate situazioni fisiologiche: l’accrescimento somatico in età infanto-giovanile, la gravidanza e l’allattamento sono caratterizzati da un aumento delle sintesi proteiche e quindi da un aumento del bisogno proteico; 3. apporto energetico della dieta: poiché la sintesi di nuove proteine richiede energia, un apporto energetico sufficiente a soddisfare completamente il bisogno energetico del soggetto è l’indispensabile presupposto perché le proteine alimentari siano adibite a scopi “plastici”. In caso di apporto energetico insufficiente parte delle proteine alimentari sono utilizzate come fonte “energetica”; d’altra parte, una quota energetica più che sufficiente favorisce l’espletamento della funzione plastica anche con minori quantità di proteine; 4. qualità delle proteine alimentari: quanto maggiore è il contenuto in AA essenziali di una proteina, tanto più elevata è la sua qualità nutrizionale e l’efficienza con la quale può trasformarsi in materiale proteico dell’organismo. Il bisogno proteico può quindi essere soddisfatto da quantità minori di proteine se queste sono a valore biologico (NPU) molto elevato, mentre se le proteine sono a più basso valore biologico, ne sono necessarie quote superiori. Nell’alimentazione comune è opportuno pertanto valutare il valore biologico delle proteine degli alimenti abitualmente assunti: per la popolazione italiana il valore di NPU è di circa 79. La valutazione del bisogno proteico individuale può essere effettuata calcolando il bilancio tra entrate e uscite: bilancio = entrate – uscite Nel caso delle proteine, le “entrate” sono costituite dalle proteine degli alimenti e le “uscite” dall’azoto presente negli escreti (determinato con opportuni metodi analitici). Poiché l’azoto caratterizza la struttura chimica delle proteine, il bilancio proteico è denominato anche bilancio di azoto (N). L’azoto costituisce il 16% in peso delle proteine; moltiplicando l’N degli alimenti o di altro materiale biologico per 6,25 (100:16 = 6,25) si ottiene la corrispondente quantità di proteine. Tradurre il fabbisogno proteico in termini rigidamente numerici è comunque molto difficile, sia per l’importanza degli effetti esercitati dall’apporto complessivo di energia con la dieta sia per i vari fattori che modificano l’utilizzazione delle proteine (digeribilità, composizione in aminoacidi ecc.). I valori dei bisogni in proteine raccomandati dai LARN (v. Cap. 26 “La dieta equilibrata o bilanciata”) sono stati ricavati dalle stime della quantità di proteine di alta qualità (proteine dell’uovo o del latte) necessaria a mantenere l’equilibrio dell’azoto in presenza di un adeguato apporto di energia. I valori così ottenuti sono stati opportunamente aumentati nel caso dei bisogni in proteine relativi alla crescita, alla gestazione e all’allattamento. Tali valori sono sostanzialmente ancora i medesimi proposti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 1985, che ha ritenuto “introiti giornalieri sicuri” di proteine i valori riportati nella tabella 18.3. I dati sono riferiti al consumo di proteine complessivamente di buona qualità e tengono conto anche delle variabilità individuali (per variabilità individuale si intende la differente efficienza, pur sempre nell’ambito della “normalità”, di utilizzazione dei nutrienti). Nelle società evolute (definite anche società affluenti) l’apporto proteico giornaliero è solitamente superiore alle quantità raccomandate dalle Autorità Sanitarie, senza che ne risultino danni alla salute grazie all’efficienza, in normali condizioni, dei sistemi di eliminazione delle scorie azotate (urea) prodotte in eccesso. È comunque prudente che gli apporti in proteine non oltrepassino il doppio del livello raccomandato. 329 P02Cap18-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:42 Pagina 330 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione TABELLA 18.3 LIVELLI DI ASSUNZIONE RACCOMANDATA DI PROTEINE Introito proteico giornaliero g di proteine/kg di peso corporeo Gruppi di età 6-9 mesi 9-12 mesi 1-2 anni 2-3 anni 3-5 anni 5-12 anni 12-14 anni 14-16 anni 16-18 anni Adulti Gravidanza Allattamento Livello di sicurezza Livello di sicurezza corretto per la qualità proteica* Maschi Femmine Maschi Femmine 1,65 1,5 1,2 1,15 1,1 1,0 1,0 0,94 0,88 0,75 1,65 1,5 1,2 1,15 1,1 1,0 0,95 0,9 0,84 0,75 2,1 1,9 1,5 1,45 1,35 1,25 1,25 1,20 1,12 0,95 2,1 1,9 1,5 1,45 1,35 1,25 1,20 1,10 1,03 0,95 + 6 g° +17 g° * La qualità proteica è quella delle proteine mediamente consumate dalla popolazione italiana. ° I valori per la gravidanza e per l’allattamento si intendono come supplemento in g/die di proteine nel periodo corrispondente. In condizioni invece di riduzione degli apporti proteici, in particolare quando questi sono sensibilmente ridotti rispetto alle quote raccomandate, l’equilibrio del bilancio di azoto può essere mantenuto solo se le proteine contenute nella dieta sono di qualità elevata e se l’apporto energetico (kcal) è piuttosto generoso. L’importanza della qualità delle proteine è facilmente intuibile perché quelle di AVB forniscono, a parità di peso rispetto a quelle di qualità inferiore, una quantità superiore di aminoacidi essenziali, indispensabili per le sintesi proteiche. Quanto all’apporto energetico, si è dimostrato che, entro certi limiti, quanto più elevata è la quantità di energia (kcal) introdotta con l’alimentazione, tanto più bassa è la quantità di proteine necessaria per raggiungere e mantenere l’equilibrio del bilancio di azoto. Ciò dipende dal fatto che un’ampia disponibilità di carboidrati nella dieta quale materiale energetico risparmia le proteine dall’andare incontro a ossidazione per soddisfare il bisogno energetico (effetto di risparmio sulle proteine). FONTI ALIMENTARI PROTEICHE Le “entrate” di azoto sono costituite dalle proteine contenute negli alimenti, sia di provenienza animale che vegetale; nei primi la concentrazione e la qualità delle proteine è in genere superiore a quella dei vegetali. Classificando gli alimenti in funzione del rispettivo valore biologico proteico, il primo posto è occupato dalle uova e dal latte, seguono le carni/pesci e i formaggi, i legumi al terzo posto, e infine i cereali. Di seguito vengono riportate le principali caratteristiche nutrizionali di alimenti considerati “buone fonti proteiche”. 330 P02Cap18-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:42 Pagina 331 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl Proteine o protidi • CAPITOLO 18 Uovo L’uovo è un alimento di valore nutrizionale molto elevato. È costituito dall’albume (“bianco dell’uovo”), ricco in proteine e in sodio, e dal tuorlo (“giallo dell’uovo”), ricco in grassi e colesterolo. Un uovo di gallina (poco più di 50 g) contiene circa 6 g di proteine e 4,5 g di lipidi, è ricco di minerali (sodio, calcio, fosforo) e di vitamine (A, B2) e ha un valore calorico di circa 65 kcal. Latte e derivati Latte Il latte è l’alimento che le diverse specie di mammiferi utilizzano per i propri piccoli nei primi periodi della vita come unica e completa fonte di nutrienti. La sua composizione, sia per la qualità che per la quantità delle proteine (così come per gli altri nutrienti), è specifica per ciascuna specie. Per esempio, nel latte umano le proteine (circa 1 g per 100 ml) sono di altissima qualità, con elevato rapporto lattoglobuline (maggior VB)/caseina (minor VB); il latte vaccino, invece, contiene una maggior quota di proteine, circa 3,5 g/100 ml, prevalentemente come caseina. Contiene inoltre circa 5 g di lattosio (disaccaride) e grassi (prevalentemente saturi), in quantità di 3,6 g se il latte è “intero”, 1,5 g se è “parzialmente scremato” e inferiore a 0,5 g se è “magro o totalmente scremato”; l’apporto calorico è rispettivamente di 64 (intero), 46 (parzialmente scremato) e 36 (magro) kcal per 100 ml. Fra i minerali presenti nel latte ricordiamo il calcio e il sodio (mentre il ferro è molto scarso) e, fra le vitamine, la vitamina B2 (riboflavina) e la vitamina A (liposolubile), che però è persa in parte o totalmente con la scrematura del latte. Yogurt Lo yogurt è derivato dalla fermentazione del latte per azione di particolari ceppi di microrganismi (lattobacilli). Lo yogurt “bianco” ha composizione e apporto energetico sovrapponibili a quelli del latte da cui deriva (intero o magro), mentre negli yogurt alla frutta o “arricchiti” con cereali, cacao, ecc. è in genere più alto il contenuto glucidico (zuccheri) e quindi l’apporto calorico. Lo yogurt è più digeribile del latte, in quanto il lattosio per gran parte è idrolizzato (“digerito”) nel processo di fermentazione, influenza positivamente la flora batterica intestinale e, per la presenza di batteri lattici vivi (probiotici), è ritenuto in grado di svolgere effetti favorevoli sui processi immunitari, sul metabolismo del colesterolo e nella prevenzione della formazione di carcinogeni. Formaggi Per legge, la denominazione di “formaggio” è riservata al prodotto che si ottiene dal latte intero o scremato in seguito alla coagulazione acida o presamica (per aggiunta di caglio, enzima ottenuto dallo stomaco dei vitelli), anche facendo uso di fermenti o di sale da cucina. Le tecniche di lavorazione e la stagionatura influenzano sensibilmente il contenuto proteico (e di lipidi): nei formaggi freschi da tavola (mozzarella, crescenza, robiola) e molli (taleggio, stracchino, camembert) il contenuto di proteine è prevalentemente compreso tra 18 e 25 g/100 g, mentre è di 30 g/100 g o più nei formaggi duri (groviera, grana e parmigiano, caciocavallo). La qualità delle proteine dei formaggi (prevalentemente caseina) è in genere inferiore a quella del latte di provenienza, in quanto le proteine del “siero di latte” (lattoalbumina, AVB) non precipitano nella cagliata. 331 P02Cap18-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:42 Pagina 332 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione Le proteine, nel corso della maturazione di alcuni tipi di formaggi (per esempio, taleggio, gorgonzola, camembert) subiscono alcuni processi di degradazione (proteolisi), responsabili dei caratteristici aromi e gusto dei diversi tipi di formaggio. Anche il contenuto di grassi è sensibilmente influenzato dalla stagionatura e dalle tecniche di lavorazione. Comunque sia, tutti i formaggi contengono quote elevate di grassi (in prevalenza saturi), che spesso raggiungono e superano il 30%. Anche i formaggi freschi, considerati “magri”, hanno invece un contenuto lipidico pari o superiore al 20%: mozzarella 20%, feta 21%, caciottina fresca 21%, crescenza 23%. Solo la ricotta di vacca, i fiocchi di latte magro e i formaggi che hanno la denominazione legale “light” contengono una quota di grassi del 10-11% o meno. Fra gli altri nutrienti presenti nei formaggi sono da segnalare il calcio e il sodio (i formaggi sono in genere addizionati di sale), la vitamina A e alcune vitamine del gruppo B (riboflavina o B2). Ad eccezione della ricotta che, derivando dal siero di latte contiene anche una certa quota di lattosio, gli altri formaggi sono praticamente privi di glucidi. Carni, pollame, pesce Nelle diverse carni e/o pesci, freschi o conservati, il contenuto proteico (g/100 g di alimento al netto degli scarti) varia in ragione inversa al contenuto in grassi e in acqua. Nelle carni fresche, indipendentemente dall’origine (bovina, suina, pollame ecc.), il contenuto di proteine è in media di 20 g/100 g, mentre nel pesce fresco è leggermente inferiore (13-18% circa). Nelle carni e pesci conservati, specie in quelli che hanno subito un maggior processo di disidratazione (perdita di acqua), la concentrazione percentuale delle proteine aumenta e può superare anche il 30-35%: per esempio, la bresaola ben stagionata ne può contenere il 38-40%. Come già riportato riguardo ai formaggi, anche nelle carni il contenuto in grassi è molto variabile e dipende dalla specie animale, dal taglio e dalle modalità di allevamento: le carni fresche più magre contengono dall’1 al 5% di grassi, quelle più grasse, i salumi e gli insaccati oltre il 25-30%. La qualità dei grassi è anch’essa diversa in relazione alla specie: le carni bovine e gli insaccati contengono grassi in prevalenza saturi; le carni suine di più recente selezione sono meno ricche di grassi saturi e più ricche di grassi monoinsaturi; il pollame, il coniglio e la selvaggina contengono invece maggiori quote di polinsaturi. Il pesce infine, specie quello più grasso (pesce azzurro: sgombro, sarde, tonno, pesce spada, salmone ecc.), è una buona fonte di grassi polinsaturi della serie n-3 (v. Cap. 20 “Lipidi o grassi”). Le frattaglie (fegato, rognone, cuore, cervello ecc.) sono molto ricche in colesterolo, vitamine e minerali. Le carni in genere sono buone fonti di ferro, potassio, sodio e di vitamine del gruppo B. Soia e legumi Nei semi secchi delle leguminose (ceci, fagioli, lenticchie, fave, piselli) il contenuto proteico è simile per quantità a quello della carne (20-22%), nella soia è addirittura del 36%. Rispetto ai prodotti secchi, in quelli freschi (o conservati in scatola o surgelati) la quota proteica è circa un terzo (5-10%). Il valore biologico delle proteine dei legumi è leggermente inferiore a quello delle carni; sono comunque di buona qualità e le migliori tra quelle vegetali. In Italia, nel corso degli anni, è progressivamente diminuito il consumo di legumi secchi, la cosiddetta “carne dei poveri”, nonostante siano alimenti di va- 332 P02Cap18-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:42 Pagina 333 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl Proteine o protidi • CAPITOLO 18 lore nutrizionale particolarmente elevato. Non solo sono ricchi di proteine, ma anche di amido e fibra (v. Cap. 19 “Carboidrati o glucidi”) e contengono discrete quantità di vitamine (gruppo B) e minerali (ferro e calcio). Dai semi della soia (generalmente non consumati come tali) si possono ricavare dei “concentrati o isolati proteici” che, in seguito a particolari lavorazioni, possono essere utilizzati nell’industria alimentare per “arricchire” alimenti o per ottenere sostituti vegetali delle carni (per esempio, hamburger di soia). Tra gli altri derivati della soia quali fonti di proteine ricordiamo il latte e il formaggio di soia (tofu). Cereali e altri alimenti vegetali Il contenuto proteico dei vegetali è molto vario: si passa da una concentrazione di 1-2 g/100 g nella frutta fresca e in alcune verdure a foglia, a una concentrazione di 7-11 g/100 g nei cereali e derivati (pane e prodotti da forno, pasta ecc.). Le proteine di questi ultimi hanno un valore biologico modesto, ma possono essere migliorate dall’abbinamento con le proteine dei legumi (pasta e fagioli, riso e piselli) o dei latticini (caffellatte con pane, pane e formaggio, pasta con parmigiano). FOCUS CLINICI TURNOVER PROTEICO E BILANCIO DI AZOTO CONDIZIONI FISIOLOGICHE E CLINICHE CARATTERIZZATE DA VARIAZIONI DEL BILANCIO PROTEICO 333 P02Cap19-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:42 Pagina 335 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl 19 CARBOIDRATI O GLUCIDI INTRODUZIONE I carboidrati o glucidi sono composti “ternari” in quanto costituiti da tre elementi: carbonio (C), idrogeno (H) e ossigeno (O). Sono i composti organici più abbondanti in natura; da essi l’organismo animale ricava la maggior parte dell’energia necessaria alla vita (nutrienti energetici). Possono essere suddivisi in: • • • monosaccaridi, unità elementari, non più ulteriormente scomponibili per idrolisi; disaccaridi, formati da due molecole di monosaccaride unite insieme; polisaccaridi, o carboidrati complessi, costituiti dall’unione di centinaia o migliaia di unità elementari (monosaccaridi). I monosaccaridi e i disaccaridi sono anche detti carboidrati o zuccheri semplici perché sono solubili in acqua, hanno gusto dolce e sono dotati di potere edulcorante (possono conferire gusto dolce ai cibi/bevande a cui sono addizionati). I polisaccaridi alimentari si distinguono in disponibili e non disponibili. Un nutriente è “disponibile” quando, dopo la digestione, è assorbito dall’intestino: pertanto i polisaccaridi disponibili sono quelli completamente digeriti e assorbiti, mentre quelli non disponibili non sono digeriti dalle secrezioni digestive umane né assorbiti dall’intestino e, quindi, non sono metabolicamente utilizzati; essi fanno parte della fibra alimentare o dietetica. PRINCIPALI CARBOIDRATI ALIMENTARI Monosaccaridi Tra i principali monosaccaridi di interesse alimentare si ricordano gli esosi (molecole a 6 atomi di C, o C6) qui di seguito indicati: • il glucosio (aldoesoso): in natura, come monosaccaride, è presente nel miele, l’alimento che ne contiene in maggior concentrazione, e in quote modeste nella frutta. È uno dei due monosaccaridi costituenti i disaccaridi ed è il principale componente dei polisaccaridi (amido). Il glucosio è lo “zucchero” presente nel sangue (glicemia) ed è fonte di energia per le cellule dei nostri tessuti; 335 P02Cap19-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:42 Pagina 336 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione • • il fruttosio o levulosio (chetoesoso): anche il fruttosio è presente nel miele e in modeste concentrazioni nella frutta dove è variamente associato al glucosio e ad altri zuccheri. La fonte principale per l’uomo è comunque il saccarosio; è il più dolce degli zuccheri; il galattosio: non si trova libero in natura ma è presente nel lattosio (zucchero del latte); nell’organismo umano partecipa alla formazione di galattosidi, importanti costituenti del tessuto nervoso. Altri monosaccaridi da ricordare sono i pentosi (C5) ribosio e desossiribosio, costituenti gli acidi nucleici, poco rappresentati negli alimenti naturali ma sintetizzati dai tessuti. Tra i monosaccaridi si includono anche i polialcol-zuccheri quali il sorbitolo e il mannitolo (C6) e lo xilitolo (C5), composti dotati di potere edulcorante e quindi utilizzati in un numero crescente di alimenti ipocalorici o acariogeni (caramelle, gomme da masticare), dove sostituiscono in tutto o in parte gli zuccheri disponibili. Disaccaridi I principali disaccaridi di interesse alimentare sono: • • • il saccarosio (glucosio + fruttosio): è lo “zucchero” per eccellenza, il più rappresentato nella dieta umana, comunemente utilizzato per addolcire cibi, bevande e per preparare dolciumi. In seguito a idrolisi chimica si liberano i due monosaccaridi costituenti in proporzione quasi uguale (50% circa di glucosio e 50% di fruttosio): tale miscela è chiamata zucchero invertito o invertosio (nel miele); il lattosio (glucosio + galattosio): è l’unico zucchero di provenienza animale in quanto presente nel latte di tutti i mammiferi in concentrazione variabile a seconda della specie. Il latte vaccino ne contiene 5 g/100 ml, mentre nel latte di donna raggiunge i 7 g. Di potere edulcorante limitato (poco solubile e poco dolce), è facilmente fermentabile dalla flora batterica intestinale; il maltosio (glucosio + glucosio): come tale non è presente in prodotti naturali, ma è un prodotto intermedio dell’idrolisi dell’amido; si forma per attività enzimatica nei processi digestivi e nella fabbricazione della birra. Polisaccaridi Tra i polisaccaridi il principale è l’amido. L’amido (polimero del glucosio) è, nella dieta del soggetto adulto sano, la principale fonte di carboidrati disponibili all’assorbimento e utilizzabili dal metabolismo cellulare. Costituisce il deposito energetico dei vegetali ed è localizzato nei semi dei cereali e dei legumi, nelle radici e nei tuberi (per esempio, patata), dove si presenta in granuli di forma e caratteristiche diverse a seconda della specie vegetale. I granuli di amido sono formati, in proporzioni variabili da vegetale a vegetale, da due componenti: amilosio (catena lineare di centinaia di unità di glucosio) e amilopectine (catene ramificate di unità di glucosio). Nell’amido il legame che unisce una molecola di glucosio all’altra è di tipo “alfa-glucosidico”, riconosciuto e scisso dall’alfa-amilasi salivare e pancreatica. A crudo la digestione enzimatica dell’amido è un processo lento e difficoltoso e quindi la sua utilizzazione come sostanza nutritiva presuppone la cottura dell’alimento. Una percentuale limitata di amido può comunque non essere assimilata, e viene definita amido resistente. 336 P02Cap19-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:42 Pagina 337 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl Carboidrati o glucidi • CAPITOLO 19 Altri polisaccaridi da menzionare comprendono: • • le destrine (polimeri del glucosio): sono prodotti intermedi derivati da una parziale idrolisi chimica o enzimatica dell’amido; meglio digeribili è più solubili dell’amido, le destrine sono utilizzate dall’industria per la preparazione di prodotti alimentari e dietetici; il glicogeno (polimero del glucosio): polisaccaride di riserva dei tessuti animali, è una molecola a catena ramificata presente principalmente nel fegato e nel muscolo (“amido animale”). Il contenuto in glicogeno delle carni usate a scopo alimentare è trascurabile, in quanto, dopo la macellazione dell’animale, si trasforma in acido lattico. FUNZIONI DEI CARBOIDRATI Funzione energetica La funzione fondamentale dei carboidrati è quella di fornire energia: 1 g di carboidrati dà 4 kcal; 1 g di glucosio (o altri monosaccaridi) 3,75 kcal. Il glucosio può essere utilizzato dalle cellule di tutti i tessuti, ma è essenziale per il cervello e i globuli rossi. In mancanza di glucosio l’organismo è in grado di produrlo a partire dagli aminoacidi delle proteine e dal glicerolo presente nei trigliceridi (neoglicogenesi). Il glucosio in eccesso dà tuttavia luogo alla produzione di trigliceridi che si depositano nel tessuto adiposo. Ricordiamo che dai carboidrati si possono sintetizzare lipidi, ma dai lipidi non si possono produrre carboidrati. Funzione plastica I carboidrati forniscono materiale per la sintesi di composti strutturali e funzionali indispensabili come le nucleoproteine (DNA e RNA), le mucoproteine e i glicolipidi. Funzioni regolatorie Effetto di risparmio sulle proteine La produzione di glucosio a partire dagli aminoacidi (neoglicogenesi) è annullata quando l’organismo ha a disposizione glucosio proveniente dagli alimenti (amido, saccarosio). Un’alimentazione ricca in carboidrati consente un risparmio della quota di proteine perché esse possono essere meglio utilizzate per la sintesi di proteine corporee (funzione plastica delle proteine). Effetto antichetogeno Il normale svolgimento del metabolismo lipidico richiede la presenza di carboidrati: se l’ossidazione dei grassi avviene in condizioni di carenza di carboidrati, si ha la formazione di corpi chetonici (acido acetacetico, acido betaidrossibutirrico, acetone). Lo stato che ne consegue è denominato chetosi. Si può osservare nel bambino con processi febbrili, nel corso di diete carenti di carboidrati, nel digiuno e nel diabete mellito, e può dar luogo ad acidosi (chetoacidosi). Gli “zuccheri” hanno infine anche una funzione organolettica, in quanto depositari del gusto dolce. *** Altre tipologie di carboidrati presenti nella dieta italiana e in grado di raggiungere il colon senza essere digeriti dalle secrezioni umane, sono frazioni di 337 P02Cap19-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:42 Pagina 338 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione amido resistente associate ad alcuni alimenti amidacei, oligosaccaridi non digeribili presenti in particolare nelle leguminose e in alcune verdure, e i prodotti contenenti polialcoli sia di derivazione naturale che aggiunti come dolcificanti ipocalorici (introito complessivo stimato: 7-10 g/die). È possibile che alcune di queste sostanze possiedano la capacità di stimolare una microflora probiotica contribuendo quindi, con la fibra alimentare, a migliorare l’ecosistema intestinale. Va tuttavia ricordato che, se consumati in dosi eccessive, oligosaccaridi e polialcoli rapidamente fermentescibili possono provocare disturbi intestinali, quali distensione addominale per produzione di gas e diarrea. FIBRA ALIMENTARE O DIETETICA Con la denominazione “fibra alimentare o dietetica” si definisce l’insieme delle sostanze presenti nel vegetale non digerite dalle secrezioni digestive umane. Comprende una serie di polisaccaridi composti da glucosio e da altri monosaccaridi diversi (mannosio, galattosio, xilosio, arabinosio, ramnosio, acidi glucuronico e galatturonico): • • cellulosa, e polisaccaridi non cellulosici (PNC): emicellulose, pectine, gomme e mucillagini. Altra sostanza appartenente alla “fibra”, ma non di natura glucidica (non è un polisaccaride), è la lignina. Caratteristica comune a tutti questi composti è quindi la non “disponibilità” in quanto non digeriti dalle secrezioni digestive e quindi non assorbiti. Tuttavia nel colon, a opera della flora batterica intestinale, molti di questi composti vanno incontro a degradazione (fermentazione) con produzione di gas (idrogeno, metano, anidride carbonica) e acidi grassi a catena corta (acido acetico, propionico, butirrico). Cellulosa È il composto organico più abbondante in natura. La cellulosa è formata da catene lineari di migliaia di molecole di glucosio, unite tra loro con legame “betaglucosidico” non riconosciuto (e quindi non scisso) dalle amilasi salivare e pancreatica. Proprietà fondamentale della cellulosa è la capacità di assorbire acqua, aumentando di volume (“idrofilia”); da questa proprietà dipendono i principali effetti sulla funzionalità gastroenterica. Polisaccaridi non cellulosici (PNC) Emicellulose Sono una numerosa serie di polisaccaridi complessi costituiti da catene lineari e ramificate di pentosi (C5), esosi (C6) e acido glucuronico. La loro principale proprietà è di assorbire acqua, ancor più spiccata rispetto alla cellulosa. Pectine, gomme e mucillagini Fanno parte dei polisaccaridi non strutturali del vegetale dislocati negli spazi intercellulari e interlamellari del vegetale. Sono presenti nei frutti (pectine) e/o nei semi (mucillagini) dove svolgono funzioni anti-essiccamento; le gomme sono essudati con funzioni protettive che scaturiscono da lesioni del vegetale. Sono 338 P02Cap19-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:42 Pagina 339 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl Carboidrati o glucidi • CAPITOLO 19 molecole complesse costituite da polimeri ramificati di acidi uronici e accomunati dalla proprietà di legare acqua formando “gel” (rendono di consistenza gelatinosa i liquidi a cui sono addizionate). Oligosaccaridi non digeribili Sono polimeri glucidici di minor peso molecolare, solubili in acqua; includono l’inulina, gli oligosaccaridi della soia e i fruttooligosaccaridi (FOS). Lignina La lignina non è un polisaccaride ma è un polimero del fenilpropano; situata nelle pareti del vegetale ne aumenta notevolmente la consistenza e la durezza (consistenza del legno). È altamente insolubile in acqua, resistente alla fermentazione e la sua presenza nella fibra inibisce la fermentazione degli altri componenti. *** In generale, a seconda della loro solubilità in ambiente acquoso, i componenti della fibra si suddividono in due categorie: 1. fibre solubili, che includono pectine, gomme, mucillagini, oligosaccaridi non digeribili e parte delle emicellulose; 2. fibre insolubili, che comprendono principalmente la lignina, la cellulosa e le emicellulose a basso grado di ramificazione. In linea di massima le fibre solubili sono anche quelle più degradabili (fermentescibili) e viscose, anche se vi sono delle eccezioni. Per esempio, l’inulina (fruttooligosaccaride estratto dalla radice della cicoria) è molto solubile ed eccezionalmente fermentescibile, ma poco o per nulla viscosa; lo psyllio (mucillagine contenuta nei semi di Plantago Psyllium) è invece solubile e molto viscoso, ma scarsamente fermentescibile. Il contenuto in fibra di alcuni alimenti è riportato nella tabella 19.1. Effetti fisiologici della fibra La fibra alimentare, per gli effetti di tipo funzionale e metabolico che produce, è un importante componente della dieta umana. Cellulosa ed emicellulose sono fibre insolubili in acqua, che hanno però la capacità di assorbire e trattenere acqua con conseguente aumento della loro massa; di conseguenza aumentano la massa fecale e in particolare il suo contenuto idrico, accelerano la velocità di transito gastrointestinale e riducono le pressioni endoluminali a livello del colon. L’insieme di questi effetti migliora la funzionalità intestinale ed esercita un’azione preventiva sulla patologia stipsi-correlata (diverticolosi, colite spastica, emorroidi ecc.), come dimostrato anche da indagini epidemiologiche condotte su popolazioni con consumi differenti di fibra alimentare. Se assunte con adeguate quantità di acqua in modo da favorirne l’idratazione, queste fibre determinano anche una maggiore sensazione di ripienezza gastrica con aumento del senso di sazietà. I componenti della fibra solubile in acqua (pectine, gomme, mucillagini) formano invece dei gel, con i quali si ottiene una diminuzione della velocità di assorbimento dei substrati provenienti dalla digestione degli alimenti (glucosio, acidi grassi) con conseguente diminuzione delle risposte endocrino-metaboliche (aumento della glicemia e dell’insulinemia) postprandiali. 339 P02Cap19-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:42 Pagina 340 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione TABELLA 19.1 CONTENUTO IN FIBRA SOLUBILE, INSOLUBILE E TOTALE DI ALCUNI ALIMENTI* Alimento Fibra solubile Fibra insolubile Fibra totale g/100 g di sostanza edibile Cereali e derivati Farina bianca tipo 00 Farina integrale Crusca Pane bianco Pane integrale Fiocchi d’avena 0,84 1,92 1,31 1,46 1,15 3,30 1,41 6,52 41,13 1,72 5,36 4,99 2,2 8,4 42,4 3,2 6,5 8,3 Legumi Fagioli borlotti secchi Fagioli borlotti freschi Piselli freschi 1,54 0,91 0,45 15,71 3,93 5,80 17,3 4,8 6,3 Verdure Broccolo, bollito Carciofi, freschi, bolliti Carote crude Cicoria di campo, bollita Cipolle crude Funghi prataioli, crudi Lattuga Patate, crude Pomodoro, da insalata Spinaci, bolliti 0,84 4,68 0,41 1,12 0,16 0,11 0,13 0,71 0,24 0,42 2,42 3,17 2,70 2,43 0,88 2,14 1,33 0,85 0,77 1,64 3,3 7,9 3,1 3,6 1,0 2,3 1,5 1,6 1,0 2,1 Frutta Banana Fragola Mela, con buccia Pera, senza buccia Uva bianca 0,62 0,45 0,73 1,29 0,16 1,19 1,13 1,84 2,56 1,20 1,8 1,6 2,6 3,8 1,4 Frutta secca/farinosa/oleosa Arachidi Castagne Datteri, secchi Fichi secchi Noci 1,03 0,37 1,24 1,94 0,84 9,89 4,33 7,49 11,01 5,37 10,9 4,70 8,70 13,0 6,20 * Tabelle di composizione degli alimenti. Fonte: INRAN, 2000. Nell’intestino crasso la fermentazione delle fibre solubili porta alla produzione di acidi grassi a corta catena e provoca una diminuzione del pH intraluminale (acidificazione). Gli acidi grassi a corta catena svolgono effetti “trofici” sulle cellule della mucosa intestinale, per le quali sono fonte di energia, e sembrano anche influenzare positivamente il metabolismo glucidico e la produzione epatica di colesterolo. 340 P02Cap19-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:42 Pagina 341 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl Carboidrati o glucidi • CAPITOLO 19 Anche la capacità di pectine, mucillagini e lignina di legarsi agli acidi biliari, riducendone il riassorbimento enterico, influenza favorevolmente il tasso plasmatico del colesterolo. Grazie a questi “effetti metabolici” un’alimentazione ricca di fibra è stata messa in relazione alla riduzione del rischio per importanti malattie cronico-degenerative, in particolare i tumori al colon-retto (in parte spiegata anche dalla diluizione di eventuali sostanze cancerogene e dalla riduzione del loro tempo di contatto con la mucosa), il diabete e le malattie cardiovascolari (in parte per una riduzione dei livelli ematici di colesterolo). Effetti meno positivi della fibra riguardano la possibilità che alcuni suoi componenti riducano la “disponibilità” per l’assorbimento intestinale di vitamine, minerali ed elementi traccia (calcio, ferro, zinco, magnesio). Per contro, dati più recenti indicano che le componenti solubili della fibra, in particolare gli oligosaccaridi non digeribili (FOS) sono in grado di migliorare la biodisponibilità per l’assorbimento intestinale di calcio e magnesio, attraverso modifiche favorevoli della tipologia della flora batterica intestinale e del pH endoluminale (effetto prebiotico). BISOGNO DI CARBOIDRATI E DI FIBRA Per i carboidrati, a differenza delle proteine, non vi è alcuna indicazione di un bisogno nutrizionale quantitativamente precisato. Sul piano epidemiologico, le variazioni dell’apporto alimentare di carboidrati nelle diverse popolazioni sono molto ampie: dal 70% e oltre della quota calorica giornaliera a quote minime. D’altra parte, è stato dimostrato che è sufficiente una quantità modesta di carboidrati per limitare i processi di neoglicogenesi, riducendo sensibilmente la produzione di corpi chetonici. Tale quantità è all’incirca di 70-100 g al giorno. Le raccomandazioni ufficiali suggeriscono che la quota di carboidrati in un’alimentazione normocalorica non debba scendere al di sotto del 50% delle kilocalorie totali giornaliere. Questa quota dev’essere prevalentemente costituita da “carboidrati complessi”, in modo di favorire l’introduzione simultanea di fibra (apporto consigliato: 30-35 g al giorno; 15 g/1000 kcal) e di limitare l’apporto di grassi a una quota non superiore al 30% delle kilocalorie totali. Infine, il consumo dei cosiddetti “zuccheri semplici” non dovrebbe superare il 10-12% del valore energetico della dieta. FONTI ALIMENTARI DI CARBOIDRATI Cereali e derivati I cereali e i loro derivati sono la principale fonte energetica dell’uomo. I più utilizzati sono i semi di frumento, riso, mais, orzo, avena e segale, che possono essere consumati come tali (previa lavorazione e cottura) oppure sottoposti a macinazione per ricavarne farine ricche di amido e con un discreto contenuto proteico. Le farine “integrali” (ottenute dalla macinazione del seme “integro”, non privato delle cuticole esterne) sono più ricche di fibra, vitamine e minerali rispetto alle farine “raffinate”. La farina di frumento è di gran lunga la più utilizzata. Impiegata sia per la preparazione di diverse varietà di pasta, è anche la farina con la quale si ottiene il pane e la maggior parte dei cosiddetti “prodotti da forno”: grissini, cracker, fette biscottate, biscotti, merendine, dolci ecc.; infatti contiene glutine, la proteina ne- 341 P02Cap19-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:42 Pagina 342 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione cessaria per la “panificazione”, perché in grado di conferire elasticità all’impasto farina/acqua e quindi di permetterne la lievitazione. Il valore nutrizionale di questi cibi dipende, oltre che dalla composizione degli sfarinati di partenza, da eventuali altri ingredienti aggiunti (grassi, zuccheri ecc.) e dal loro contenuto in acqua. I prodotti più secchi e addizionati di grassi (per esempio, cracker e grissini), sono, a parità di peso, più calorici del pane comune. Le farine di riso e di mais, non contenendo glutine non sono utilizzabili per la panificazione. Del riso generalmente viene consumato il chicco intero (risotti) e la farina di mais è utilizzata per la preparazione della polenta. Le farine di questi cereali, così come quelle ottenute dall’avena e dalla segale, possono essere miscelate a quella di frumento per ottenere pani speciali. Tra gli altri prodotti derivati dai cereali ricordiamo i fiocchi di avena o di mais (corn-flakes), i pop-corn (dal seme di mais), le “pappe” per la prima infanzia. Il valore nutrizionale dei diversi cereali e dei loro sfarinati è del tutto simile tra loro. Legumi I legumi sono i semi commestibili di alcune leguminose. Quelli maggiormente consumati sono: fagioli, piselli, ceci, lenticchie, fave. Oltre a essere una buona fonte di proteine (v. Cap. 18 “Proteine o protidi”), sono ricchi in amido e in fibra. Tra i carboidrati non disponibili, alcuni oligosaccaridi presenti in discrete quantità (verbascoso, stachioso) e frazioni di amido resistente sono ritenuti responsabili della flatulenza. L’azione ipocolesterolemizzante è attribuita alla presenza di sostanze peptiche e saponine. Tuberi Il tubero più utilizzato nell’alimentazione umana è la patata che, per l’elevato contenuto in amido (18% circa), è un sostituto di altri alimenti amilacei (pane, pasta, riso ecc.). Dalla patata per estrazione dell’amido si ottiene la fecola, variamente utilizzata in pasticceria e nell’industria alimentare. Modesto è il suo contenuto in proteine e grassi, così come di vitamine e minerali, a eccezione del potassio e della vitamina C (che però è per gran parte persa durante la conservazione e la cottura). Verdure e ortaggi Gli ortaggi che entrano nell’alimentazione umana sono numerosissimi; le diverse parti commestibili (foglie, frutti, infiorescenze, germogli, radici ecc.) sono ricche di acqua e fonte principalmente di fibra, di alcune vitamine (A e C), di minerali (potassio, ferro, calcio) e di fitocomposti a effetto antiossidante. Il contenuto in carboidrati disponibili risulta piuttosto ridotto, e trascurabile è l’apporto di grassi e proteine. Frutta Le diverse varietà di frutta possono essere distinte in: frutta polposa (per esempio, mele, pesche, arance ecc.), farinosa (per esempio, castagne), oleosa (per esempio, noci, nocciole, mandorle ecc.); tutte queste varietà di frutta possono essere consumate sia fresche che essiccate (per esempio, prugne, albicocche, noci, arachidi ecc.). Nella frutta polposa il contenuto in carboidrati è costituito prevalentemente da zuccheri (mono-disaccaridi) in misura variabile dal 4-5 al 13-18%, a seconda del tipo di frutta. Trascurabile è il contenuto proteico e lipidico; tra i minerali ricordiamo il potassio (K) e tra le vitamine la A e la C. 342 P02Cap19-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:42 Pagina 343 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl Carboidrati o glucidi • CAPITOLO 19 Nella frutta farinosa il contenuto glucidico (amido) è ben più rilevante (38% circa); la frutta oleosa, invece, è prevalentemente fonte di grassi, proteine, calcio e fibra. Zuccheri e dolciumi Lo zucchero bianco è il saccarosio estratto dalla canna o dalla barbabietola da zucchero, purificato e cristallizzato. Comunemente utilizzato come dolcificante di cibi e bevande, è una fonte calorica concentrata in poco volume e di rapidissima utilizzazione. Il miele, prodotto dalle api per metabolizzazione del nettare dei fiori, è costituito principalmente da invertosio (miscela di glucosio e fruttosio in parti eguali); contiene anche saccarosio e acqua e modeste quantità di vitamine e minerali. Le marmellate, le conserve di frutta, i succhi di frutta, e le bibite sono principalmente fonte di zuccheri semplici a concentrazione variabile dal 10% (succhi/bibite) a oltre il 60% (marmellate). Il valore nutrizionale dei dolciumi (gelati, cioccolato, torte, paste ecc.) è estremamente variabile in relazione alla quantità e qualità degli elementi base che entrano nella loro preparazione (per esempio, uova, burro, farina, nocciole, zucchero, cacao, liquori ecc.). Ricordiamo comunque che l’elevato valore energetico (calorico) dei dolciumi è dipendente, più che dal contenuto in zuccheri e amido, dal loro contenuto in grassi. *** Il contenuto in carboidrati dei principali alimenti è riportato nella tabella 19.2. TABELLA 19.2 CONTENUTO IN CARBOIDRATI DISPONIBILI DI ALCUNI ALIMENTI Alimento Pane, grissini, cracker Farina, pasta, riso Piselli, fagioli freschi Legumi secchi (fagioli, ceci, lenticchie) Patate Frutta poco zuccherina (fragole, cocomero, pompelmo, melone, ribes) Frutta a discreto contenuto zuccherino (arance, ciliegie, albicocche, mele, pere) Frutta ad alto contenuto zuccherino (banane, cachi, fichi, uva) Verdure, ortaggi g/100 g di sostanza edibile 65-80 78-87 10-20 45-50 18 5-7 8-12 13-20 2-8 343 P02Cap19-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:42 Pagina 344 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione FOCUS CLINICI REGOLAZIONE DELLA GLICEMIA – IL DIGIUNO EDULCORANTI Le sostanze che hanno la proprietà di addolcire bevande o altri alimenti possono essere distinte in edulcoranti naturali (presenti in natura) o sintetici (preparati per sintesi chimica). La Food and Drug Administration statunitense preferisce utilizzare il termine carboidrati dolcificanti per una serie di sostanze dolci glucidiche (saccarosio, zucchero invertito, prodotti di idrolisi dell’amido, miele, sciroppi commestibili) ed edulcoranti intensivi per saccarina, ciclammato e aspartame. Tra gli edulcoranti naturali, oltre al saccarosio che è lo zucchero di riferimento per valutare il potere dolcificante delle altre sostanze, si devono menzionare: • • il fruttosio, con potere dolcificante 1,7-1,8 volte quello del saccarosio; i polialcol-zuccheri: sorbitolo e mannitolo, con potere edulcorante inferiore a quelli del saccarosio, e xilitolo. Il potere calorico dei polialcol-zuccheri è in media di 2,4 kcal/g. Caratteristica comune a queste sostanze è il metabolismo a livello epatico, indipendente dalla presenza di insulina. Per questa ragione sono proposti come sostituti del saccarosio nell’alimentazione del diabetico; tuttavia il loro impiego dev’essere limitato e controllato perché possono favorire l’evoluzione di alcune complicanze del diabete (neuropatia, aterosclerosi). Tra gli edulcoranti sintetici meritano menzione: • • • 344 la saccarina: è il primo edulcorante sintetico privo di potere calorico, usato dai diabetici da quasi un secolo. Ha un potere edulcorante 300-400 volte superiore a quello del saccarosio. I possibili effetti cancerogeni (neoplasie vescicali) e teratogeni (danni all’embrione) già prospettati in passato sono stati ritenuti superati con i moderni processi di sintesi. L’OMS consiglia di non superare la dose giornaliera di 5 mg/kg di peso per l’adulto, con l’esclusione delle gravide e dei bambini fino a 3 anni di età (salvo i casi di provata necessità come il diabete); l’aspartame: è una sostanza di sintesi, composta dall’associazione di due aminoacidi naturali. Ha un potere calorico di 4 kcal/g ma, poiché la sua capacità edulcorante è 200-300 volte superiore a quella del saccarosio, l’apporto calorico è da considerare trascurabile; l’acesulfame K: resistente ai trattamenti termici, non è metabolizzato dall’organismo (escreto tal quale nelle urine), ha un potere edulcorante 130-200 volte più elevato del saccarosio. P02Cap20-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:42 Pagina 345 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl 20 LIPIDI O GRASSI INTRODUZIONE I lipidi o grassi comprendono una serie di composti eterogenei accomunati dalla proprietà di essere insolubili in acqua ma solubili in alcuni solventi organici (etanolo, etere etilico, cloroformio ecc.). I più interessanti ai fini nutrizionali sono: • • • • trigliceridi: formati da glicerolo e acidi grassi, costituiscono oltre il 95% della quota lipidica alimentare; fosfolipidi: tra questi, i composti più semplici sono le “lecitine” (trigliceridi esterificati con acido fosforico), che costituiscono l’1-2% della quota lipidica alimentare; steroli: composti a struttura policiclica; il più importante di questo gruppo è il colesterolo; vitamine liposolubili: retinolo (vitamina A), calciferolo (vitamina D), tocoferoli (vitamina E), fillochinone (vitamina K). Dal punto di vista biologico-funzionale, i lipidi si possono distinguere anche in: 1. lipidi di deposito, costituiti prevalentemente da trigliceridi che si accumulano in particolari siti dei tessuti animali e vegetali e costituiscono un’importante riserva energetica e fonte di nutrienti essenziali; 2. lipidi strutturali, costituiti prevalentemente da fosfolipidi e steroli che hanno un ruolo fondamentale nella costituzione delle membrane cellulari e di strutture nervose. PRINCIPALI LIPIDI ALIMENTARI Trigliceridi Chiamati anche grassi neutri, i trigliceridi chimicamente sono il prodotto dell’esterificazione dei tre gruppi alcolici del glicerolo (polialcol a tre atomi di C) con il carbossile (—COOH) degli acidi grassi. Quando l’esterificazione è limitata a uno o due gruppi si ottengono rispettivamente i monogliceridi e i digliceridi (Fig. 20.1). 345 P02Cap20-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:42 Pagina 346 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione G L C Ac. grasso C Ac. grasso C C Ac. grasso C Ac. grasso C C Ac. grasso C Ac. grasso I C E R O L C O TRIGLICERIDE Figura 20.1 DIGLICERIDE MONOGLICERIDE Schema della struttura molecolare di trigliceridi, digliceridi e monogliceridi. Acidi grassi Gli acidi grassi sono costituiti da una catena lineare di atomi di C (in genere in numero pari) di lunghezza variabile da 4 a 30 (C4-C30), alla cui estremità si trova un gruppo carbossilico (–COOH). Gli acidi grassi si distinguono in funzione della lunghezza della catena carboniosa e del grado di saturazione. Lunghezza della catena carboniosa degli acidi grassi Si distinguono: • • • acidi grassi a catena breve (fino a C4); acidi grassi a catena media (C6-C12); acidi grassi a catena lunga (superiore a C12). Gli acidi grassi a catena media (MCFA, medium chain fatty acids) e i trigliceridi da essi formati (MCT, medium chain triglycerides) hanno caratteristiche fisiche, meccanismi di assorbimento intestinale, di trasporto e destino metabolico differenti dai trigliceridi costituiti da acidi grassi a catena lunga (LCT, long chain triglycerides). La digestione dei trigliceridi a catena media non richiede bile per l’emulsionamento e si completa in presenza di minime concentrazioni di lipasi pancreatica. Gli acidi grassi a catena media sono trasportati dall’enterocita per via portale al fegato ove sono ossidati (1 g di MCT fornisce 8,3 kcal). Grado di saturazione degli acidi grassi Si distinguono: • acidi grassi saturi: gli atomi di C della catena carboniosa sono legati da un legame chimico singolo: .....CH2 —CH2 —CH2 —CH2 ...... • acidi grassi insaturi: monoinsaturi e polinsaturi. Hanno rispettivamente uno o più doppi legami tra due atomi di C contigui nella catena carboniosa (punto di insaturazione): ...CH2 —CH == CH —CH2 .... 346 P02Cap20-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:42 Pagina 347 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl Lipidi o grassi • CAPITOLO 20 Il grado di saturazione (numero di doppi legami), la lunghezza della catena carboniosa, l’isomeria di posizione e geometrica condizionano le proprietà nutrizionali, fisiche e biologiche dei lipidi. Va ricordato che all’aumentare del numero dei doppi legami si abbassa il punto di fusione e aumenta la suscettibilità del grasso a subire alterazioni per azione del calore, aria e luce e ai fenomeni perossidativi. I più importanti acidi grassi saturi sono gli acidi palmitico (C16) e stearico (C18). Sono prevalentemente presenti nei grassi di provenienza animale (solidi a temperatura ambiente), sono più stabili agli agenti fisici e tendono a innalzare i livelli del colesterolo nel sangue (azione aterogena). Gli acidi grassi insaturi sono principalmente presenti negli oli e grassi di origine vegetale (fluidi a temperatura ambiente) e possono più facilmente essere soggetti ad alterazioni. In relazione alla localizzazione del primo doppio legame a partire dal C terminale della catena, sono distinti in tre famiglie: • • • famiglia o serie n-9: il principale rappresentante è l’acido oleico C18 monoinsaturo, largamente rappresentato in natura; è il costituente di gran parte dei trigliceridi dell’olio di oliva; famiglia o serie n-6: il rappresentante è l’acido linoleico C18, 2 doppi legami, polinsaturo; è contenuto in vari oli vegetali; famiglia o serie n-3: il rappresentante è l’acido linolenico C18, 3 doppi legami, polinsaturo; è presente nell’olio di soia e nel germe di grano. ACIDI GRASSI ESSENZIALI L’organismo, quando necessario, è in grado di sintetizzare tutti gli acidi saturi e monoinsaturi, ma non gli acidi grassi polinsaturi linoleico e linolenico, che pertanto sono definiti acidi grassi essenziali. L’uomo deve assumere con gli alimenti un adeguato apporto di acidi grassi essenziali per evitare manifestazioni di carenza (rallentamento della velocità di crescita e alterazioni cutanee, segnalati nel lattante, alterazioni renali, aumentata fragilità dei globuli rossi, diminuita resistenza alle infezioni). DERIVATI DEGLI ACIDI GRASSI ESSENZIALI Dall’acido linoleico e linolenico derivano degli omologhi superiori (a catena più lunga e con un più elevato numero di doppi legami) come l’acido arachidonico (C20 derivato dalla serie n-6) e gli acidi eicosapentaenoico (EPA, C20 della serie n-3) e docosaesanoico (DHA, C22 della serie n-3). Essi, insieme ai rispettivi precursori, svolgono funzioni di stabilizzazione delle biomembrane cellulari e producono una serie di sostanze, denominate nell’insieme eicosanoidi (prostaglandine, trombossani, prostacicline e leucotrieni) che esercitano importanti effetti di regolazione sulla circolazione sanguigna, sulla coagulazione del sangue e sul sistema immunitario. Steroli Il colesterolo, alcol superiore a struttura ciclica, è il più importante degli steroli ed è presente esclusivamente negli alimenti di origine animale. Nelle sostanze di origine vegetale possono essere presenti altri tipi di steroli (fitosteroli). Il colesterolo è un normale costituente delle membrane cellulari, dove contribuisce a regolare la permeabilità e la fluidità. Da esso derivano gli acidi biliari e gli ormoni steroidei (corticosteroidi, mineralcorticoidi e ormoni sessuali); è inoltre il precursore del 7-deidrocolesterolo a partire dal quale si produce la vitamina D per effetto dei raggi solari ultravioletti. Oltre agli apporti con l’alimentazione, una certa quota di colesterolo è sintetizzata dall’organismo umano a partire da acetil-CoA, ed è regolata dagli enzimi idrossimetilglutaril-CoA sintetasi e squalene sintetasi. 347 P02Cap20-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:42 Pagina 348 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione Altri lipidi Altri lipidi di importanza più funzionale e strutturale che nutrizionale sono: • • i fosfolipidi, a cui appartengono le lecitine, che, grazie alla loro azione emulsionante, sono impiegate nella preparazione di diversi prodotti alimentari. I fosfolipidi presenti nella bile e nei fluidi corporei partecipano al trasporto di altri lipidi meno polari (una minore polarità corrisponde a una minore solubilità in acqua); i glicolipidi, importanti costituenti, insieme ai fosfolipidi (sfingomieline), delle guaine mieliniche delle cellule neuronali. FUNZIONI DEI LIPIDI I lipidi alimentari esplicano tutte le fondamentali funzioni dei nutrienti: energetica, plastica e regolatoria. Funzione energetica I trigliceridi rappresentano le fonti più concentrate di energia (1 g = 9 kcal). La funzione energetica è svolta in modo eguale da tutti gli acidi grassi, indipendentemente dal grado di saturazione. Se non vengono utilizzati nell’immediato, i trigliceridi si depositano nei tessuti (in particolare nel tessuto adiposo) costituendo un materiale energetico di riserva. Funzione plastica I lipidi alimentari forniscono materiale per la sintesi di composti strutturali o funzionali di molti tessuti; sono inoltre il veicolo di vitamine liposolubili e degli acidi grassi essenziali. Funzione regolatoria La funzione regolatoria è svolta dagli acidi grassi essenziali e dai loro omologhi. *** Le funzioni plastiche (per esempio, formazione delle membrane cellulari) e regolatorie (per esempio, produzione di eicosanoidi) sono svolte principalmente dagli acidi grassi essenziali della serie n-6 (acido linoleico) e della serie n-3 (acido linolenico) e dai loro derivati a catena carboniosa più lunga (C20 – C22 – C24) e a più elevato grado di insaturazione (4 e più doppi legami della molecola). I lipidi, infine, sono responsabili di alcuni importanti effetti organolettici (aumentano la palatabilità degli alimenti) e influenzano il senso di sazietà. BISOGNO DI LIPIDI Anche per i lipidi, come per i carboidrati, non esiste un’indicazione di un bisogno nutrizionale quantitativamente ben definito. I consumi delle varie popolazioni dimostrano un’ampia variabilità: da oltre il 40% della quota energetica giornaliera a livelli intorno al 10%. Tutti gli acidi grassi, a eccezione di quelli essenziali, possono essere sintetizzati dal nostro organismo: è noto che il materiale energetico proveniente dai carboidrati e, sia pure in grado minore, dalle proteine introdotto in eccesso dà luogo alla formazione di trigliceridi. 348 P02Cap20-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:42 Pagina 349 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl Lipidi o grassi • CAPITOLO 20 Pertanto, le autorità sanitarie dei vari Paesi si sono limitate a indicare un limite massimo di apporto lipidico attraverso gli alimenti, oltre il quale vi può essere un rischio per la salute. Tale limite per l’adulto è fissato al 30% dell’apporto energetico giornaliero per la quota totale e del 10% per i grassi saturi. Per il colesterolo di provenienza alimentare, il limite superiore è stato stabilito in 300 mg/die. Esiste comunque la necessità di un apporto obbligato di acidi grassi essenziali: per l’adulto viene indicata una quota di acido linoleico (n-6) e di acidi grassi polinsaturi della serie n-3 rispettivamente dell’1-2% e dello 0,2-0,5% delle calorie giornaliere. Viene altresì raccomandato di non assumere quote eccessive di acidi grassi polinsaturi (non superiore al 15% della quota energetica della dieta) in quanto non esente da rischi per la salute. FONTI ALIMENTARI DEI LIPIDI La quota di lipidi presenti nella dieta ha origine da due principali fonti alimentari: • • i grassi separati o “visibili”, costituiti dalle sostanze grasse da condimento: grassi solidi e oli; i grassi non separati o “invisibili”, costituiti dai lipidi presenti nell’alimento frammisti agli altri nutrienti (per esempio, latte e formaggi, carni e insaccati, uova ecc.). I grassi possono essere presenti naturalmente nell’alimento (per esempio, uovo, olive ecc.) oppure “aggiunti” al cibo durante i processi di cottura e di trasformazione sia industriali che casalinghi (per esempio, cibi fritti, dolciumi ecc.). Grassi da condimento Sulla base della loro origine, si possono distinguere in grassi animali (i più utilizzati sono burro, panna, lardo, strutto) e grassi vegetali (olio di oliva, olio di semi, margarina, grassi idrogenati). Grassi animali BURRO Il burro è il prodotto ottenuto dalla crema di latte vaccino e per legge deve contenere non meno dell’82% di lipidi; la restante quota è costituita da acqua (circa 15%), lattosio e proteine in tracce. Tra i lipidi prevalgono i grassi saturi (palmitico); sono inoltre presenti colesterolo, vitamine liposolubili A e D e sodio (generalmente il burro è addizionato di sale). Recentemente sono stati immessi in commercio anche burri “light” o “leggeri”, a ridotto contenuto di lipidi. PANNA O CREMA DI LATTE La panna può essere considerata come un latte fortemente arricchito nella quota lipidica, che può variare dal 18% (se ottenuta per affioramento naturale) al 40% (se ottenuta per centrifugazione). Le caratteristiche qualitative dei lipidi sono le medesime di quelli del burro. LARDO E STRUTTO Lardo e strutto sono grassi provenienti dal maiale. Il lardo è il grasso sottocutaneo dell’animale consumato fresco o conservato sotto sale, lo strutto è ottenuto per estrazione a caldo del grasso addominale. Sono anch’essi ricchi di grassi saturi, ma contengono anche quote non trascurabili di polinsaturi (linoleico, 25% circa), variabili in relazione alle modalità di allevamento dell’animale, ma comunque superiori a quelle presenti nel grasso dei bovini. 349 P02Cap20-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:42 Pagina 350 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione Grassi vegetali OLIO DI OLIVA Estratto dal frutto dell’olivo, comprende: • • • gli oli di oliva vergine, ottenuti soltanto da processi (meccanici o altri) che non causano alterazioni dell’olio e classificati in funzione delle qualità organolettiche e dell’acidità; tra questi, il migliore è l’olio extravergine di oliva; l’olio di oliva, ottenuto dalla “raffinazione” di oli ad alta acidità (lampanti) e miscelato a oli vergini; l’olio di sansa di oliva, ottenuto per estrazione con solventi della parte grassa rimasta nei residui solidi della lavorazione (sansa), raffinato e miscelato a oli vergini di oliva. Indipendentemente dalla tipologia, tutti gli oli sono costituiti al 100% da lipidi e sono considerati grassi puri (900 kcal/100 g). Anche la composizione qualitativa in acidi grassi dei diversi oli di oliva è in media sovrapponibile: prevalgono i grassi monoinsaturi (oleico, 75% circa), ma sono presenti anche polinsaturi (linoleico, 7% circa) e saturi (15% circa). Ciò che contraddistingue l’olio vergine di oliva dagli altri oli di oliva è la presenza di “costituenti minori” (ne sono stati identificati oltre 200) che ne caratterizzano le qualità organolettiche di aroma, colore, gusto, ma anche nutrizionali. Tra i diversi composti sono presenti steroli vegetali (fitosteroli), fenoli e altre sostanze con azione antiossidante considerate responsabili di parte degli effetti positivi che svolge l’olio extravergine di oliva nella prevenzione delle patologie cronico-degenerative. I processi di raffinazione, a cui sono sottoposti gli oli non vergini per depurarli da sostanze indesiderabili, comportano anche l’allontanamento di questi costituenti minori e quindi la perdita delle suddette proprietà dell’olio. OLI DI SEMI Estratti da alcuni semi oleosi (per pressione o con solventi), questi oli devono essere successivamente rettificati, con perdita di componenti antiossidanti e della maggior parte delle sostanze responsabili del loro colore, aroma e gusto. La caratteristica dei vari oli di semi di sembrare “neutri o leggeri” non deve far ritenere che sia ridotto anche il loro contenuto in grassi: tutti gli oli, di semi o di oliva, sono costituiti esclusivamente da lipidi e hanno il medesimo apporto energetico. Le caratteristiche che contraddistinguono tra loro i diversi oli di semi derivano dalla loro diversa composizione in acidi grassi. I principali oli monoseme (estratti da un unico seme) presenti in commercio sono più ricchi in polinsaturi rispetto all’olio di oliva, con un contenuto progressivamente crescente dall’olio di arachide (25-30%), al mais-girasole (50% circa), al vinacciolo (ottenuto dai semi dell’uva, 70%). L’olio di soia ha un contenuto complessivo di polinsaturi di poco superiore al mais, ma è più ricco di n-3 (acido linolenico, 7-8% circa). Si ricorda che quanto più ricco è il contenuto in acidi grassi polinsaturi, tanto più l’olio è instabile per azione di agenti fisici (ossigeno, calore ecc.). Per tale motivo gli oli di semi sono sempre addizionati di antiossidanti (tocoferoli). MARGARINE E GRASSI IDROGENATI La margarina, inizialmente prodotta come succedaneo del burro utilizzando anche altri grassi animali, attualmente viene ottenuta da miscele di sostanze grasse vegetali, parte delle quali sottoposte a “idrogenazione”. Tale processo tecnologico trasforma la struttura chimica dei grassi originali che da insaturi divengono progressivamente sempre più saturi, con modifica della loro consistenza da fluida a solida (a temperatura ambiente); da ri- 350 P02Cap20-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:42 Pagina 351 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl Lipidi o grassi • CAPITOLO 20 levare che in questo processo si formano anche isomeri trans delle molecole di acidi grassi. Le margarine hanno composizione nutrizionale sostanzialmente simile a quella del burro (lipidi 84%, in prevalenza saturi), ma non contengono colesterolo. In commercio si trovano anche margarine “dietetiche” a basso grado di idrogenazione e più elevato contenuto in polinsaturi. Altri alimenti fonti di lipidi Tra i principali alimenti che veicolano lipidi in forma nascosta o “mascherata” ricordiamo: • • • • • • formaggi e salumi (prosciutti/insaccati), il cui contenuto in grassi varia dal 20 al 40% circa (da 260 a 450 kcal/100 g); torte e dolciumi; oltre a amido e zuccheri, a seconda del tipo di lavorazione contengono dal 10 a oltre il 35% di grassi; snack commerciali dolci (per esempio, merendine) o salati (per esempio, patatine, salatini ecc.); contengono oltre il 20% di lipidi; salse tipo maionese e derivati (70% di grassi), prodotti di gastronomia (per esempio, patè); focacce e prodotti da forno conditi (per esempio, pane alle olive, alle noci, cracker al formaggio ecc.); frutta secca oleosa a guscio (noci, mandorle, arachidi, cocco ecc.), che contiene lipidi ricchi in polinsaturi ma in rilevanti quantità (40-60%). Il contenuto lipidico di alcuni alimenti è riportato nella tabella 20.1. TABELLA 20.1 CONTENUTO IN GRASSI DI ALCUNI ALIMENTI Alimento g/100 g di sostanza edibile Oli Burro, margarina Maionese Formaggi, salumi Carni grasse (oca, maiale) Carni magre Uova Frutta secca oleosa Latte intero Cioccolato (fondente, al latte) 100 84 70 20-40 20-40 3-10 9 40-60 3,6 33-36 FOCUS CLINICI TRASPORTO DEI LIPIDI NEL SANGUE. LIPOPROTEINE PLASMATICHE EFFETTI DEI LIPIDI ALIMENTARI SUL RISCHIO CARDIOVASCOLARE 351 P02Cap21-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:42 Pagina 353 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl 21 VITAMINE INTRODUZIONE Le vitamine, sostanze organiche di diversa e complessa struttura chimica, sono dei micronutrienti indispensabili per lo svolgimento di determinati processi metabolici e/o funzioni del vivente. Sono componenti “essenziali” della dieta e pertanto devono essere forniti come tali o sotto forma di precursori diretti, le provitamine, con l’alimentazione giornaliera. Classificate in passato con le lettere dell’alfabeto (tale uso perdura tuttora per comodità), sono attualmente identificate con un nome che fa riferimento alla funzione o alla struttura chimica. Anche la quantificazione dei rispettivi effetti, che in passato veniva espressa in unità internazionali (UI), viene oggi indicata in unità di misura di peso (milligrammi o microgrammi). CAUSE GENERALI DI CARENZA Già molto tempo prima che venisse identificata esattamente la causa, era noto che alcune malattie erano provocate dalla carenza di qualche vitamina. Oggi, nella società affluente, è piuttosto raro il riscontro di segni o disturbi riferibili a carenze alimentari primitive; è invece possibile osservare sintomi o segni di ipovitaminosi in circostanze nelle quali si è verificato un aumento del bisogno non soddisfatto da un adeguamento dell’introito di vitamine. Quest’ultima condizione si verifica più frequentemente in circostanze patologiche (per esempio, malassorbimento, alcolismo cronico) che nelle situazioni fisiologiche (accrescimento, gravidanza, allattamento) in cui aumentano i bisogni nutrizionali. In sintesi le principali cause di deficienze vitaminiche nella nostra società sono riconducibili a: • • • alimentazione incongrua o abnormemente ristretta; alterazioni dell’assorbimento intestinale (malassorbimento), etilismo cronico; interferenza di certi farmaci (per esempio, alcuni antibiotici, estroprogestinici, anticoagulanti ecc.) Le manifestazioni cliniche delle deficienze vitaminiche compaiono dopo intervalli di tempo piuttosto lunghi e sono precedute da una progressiva riduzione della concentrazione di vitamine nel plasma o in certi tessuti (leucociti, eritrociti), alla quale sono spesso associate alterazioni di determinate funzioni. 353 P02Cap21-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:42 Pagina 354 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione PROPRIETÀ GENERALI E MECCANISMI D’AZIONE Tradizionalmente le vitamine sono classificate in base alla loro solubilità in idrosolubili e liposolubili. Queste proprietà determinano differenti modelli di assorbimento intestinale, di trasporto e di immagazzinamento nei tessuti: le vitamine liposolubili possono accumularsi progressivamente nel tessuto adiposo; quelle idrosolubili sono caratterizzate da un livello di saturazione dei tessuti, superato il quale vengono eliminate con le urine. L’accumulo può provocare disturbi di ipervitaminosi. Il meccanismo biochimico di azione di molte vitamine è ben conosciuto: per esempio, tutte le vitamine del gruppo B costituiscono dei coenzimi (cioè la parte attiva degli enzimi) implicati in determinate reazioni metaboliche; la vitamina A fa parte di un complesso “proteina + vitamina” presente nei bastoncelli della retina responsabile della percezione visiva alla luce crepuscolare. Per altre vitamine (per esempio, l’acido ascorbico) le conoscenze su alcuni aspetti del meccanismo d’azione sono ancora da definire. INFLUENZE DEI PROCESSI TECNOLOGICI SUL CONTENUTO VITAMINICO DEGLI ALIMENTI Il contenuto vitaminico degli alimenti è influenzato da diversi agenti fisici, come l’ossigeno dell’aria, la luce, il calore e alcuni trattamenti tecnologici. In base alla resistenza ai procesi termici le vitamine si distinguono in termostabili e termolabili. La termolabilità è spesso associata anche alla facilità con cui le vitamine possono subire ossidazione. La conservazione al freddo (congelamento, surgelamento) e al buio costituisce la miglior garanzia per il mantenimento nel tempo del contenuto vitaminico di un alimento. La scrematura del latte e la raffinazione delle farine dei cereali sono esempi di procedimenti tecnologici che riducono anche sensibilmente il contenuto vitaminico; un rimedio a questo inconveniente è rappresentato dalla fortificazione (reintegrazione della quota vitaminica perduta) degli alimenti. BISOGNO E USO FARMACOLOGICO DELLE VITAMINE Le vitamine sono nutrienti essenziali e devono essere introdotte con l’alimentazione abituale in quantità ritenute ottimali per assicurare e mantenere buone condizioni di salute e una ottimale efficienza psicofisica. L’apporto vitaminico è quantitativamente indicato dalle quote giornaliere raccomandate, espresse dai LARN (Livelli di Assunzione Raccomandati di Nutrienti). Tali quote sono sensibilmente superiori ai bisogni reali dei soggetti inclusi nella classe di età alla quale i LARN sono riferiti (“margine di sicurezza” per prevenire stati di carenza). Abbastanza frequentemente nella pratica clinica, le vitamine sono utilizzate anche a dosaggi molto alti (centinaia di volte superiori alle quote raccomandate) per ottenere un effetto farmacologico potenziandone al massimo l’azione fisiologica. L’uso farmacologico delle vitamine, specie di quelle liposolubili che possono più facilmente indurre fenomeni di accumulo, deve essere sempre effettuato sotto controllo medico. 354 P02Cap21-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:42 Pagina 355 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl Vitamine • CAPITOLO 21 VITAMINE LIPOSOLUBILI RETINOLO (VITAMINA A) L’attività vitaminica è svolta da diversi composti liposolubili, il più attivo dei quali è il retinolo (alcol chimicamente complesso, contenuto negli alimenti di origine animale), e da alcuni composti presenti nei vegetali, colorati di rosso/gialloarancio o di verde, denominati carotenoidi (se ne conoscono oltre 600, di cui il più diffuso e attivo è il beta-carotene). I carotenoidi sono da considerare provitamine in quanto vengono convertiti in vitamina a livello dell’epitelio intestinale e del fegato. Il retinolo (soprattutto il retinolo palmitato), immagazzinato nel fegato, è immesso in circolo, a seconda delle necessità, legato a una proteina trasportatrice (RBP, retinol binding protein) dalla quale viene liberato a livello dei tessuti che lo utilizzano. Funzioni La vitamina A è indispensabile per: • • • il mantenimento dell’integrità anatomica e funzionale degli epiteli e delle mucose e del sistema immunitario; il normale accrescimento corporeo e la riproduzione; il normale meccanismo della visione alla luce di debole intensità. Fonti alimentari Tra gli alimenti animali il fegato è la principale fonte di vitamina A, ma la vitamina è anche contenuta nel latte (intero) e derivati e nelle uova; negli alimenti vegetali è presente sotto forma di caroteni nella frutta e ortaggi colorati in giallo/arancio e verde: carote, spinaci, peperoni, pomodori, albicocche, cachi, mango, melone, ecc. Deficienza Un deficit di vitamina A è spesso associato a malnutrizione generale, oppure a malassorbimento o a etilismo cronico. I segni di deficienza sono principalmente a carico dell’occhio e si manifestano con: • • emeralopia, cioè difficoltà di adattamento della visione in condizioni di scarsa illuminazione (cecità notturna); è il segno più frequente e il primo a manifestarsi; xerosi, cioè secchezza della congiuntiva che si estende alla cornea (xeroftalmia), la quale, negli stadi più avanzati può essere colpita da rammollimento (cheratomalacia) con conseguente interessamento dell’iride e del cristallino ed estensione di processi infiammatori a carico di tutto l’occhio, il cui esito è spesso la cecità. Quota giornaliera raccomandata La dose giornaliera raccomandata di vitamina A è espressa in microgrammi (mg) di “retinolo equivalenti” (RE; 1 RE = 3,33 UI); in questi valori sono compresi sia la quantità di retinolo presente come tale negli alimenti sia la quantità di retinolo proveniente dai caroteni. Per l’adulto tale quota è di 700 mg al giorno: 1 RE = 1 mg retinolo = 6 mg beta-carotene = 12 mg altri carotenoidi 355 P02Cap21-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:42 Pagina 356 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione La vitamina A a forti dosi (“megadosi”) è impiegata nel trattamento di alcune affezioni dermatologiche, nell’otosclerosi e nell’anosmia. Un suo derivato, l’acido retinoico, è utilizzato nelle forme gravi di acne. Tossicità Sintomi di tossicità possono verificarsi per assunzione prolungata di dosi superiori alle capacità di stoccaggio del fegato, generalmente per iperdosaggio di preparati farmacologici e per uso incongruo di supplementi vitaminici. Il beta-carotene, invece, non causa ipervitaminosi A, perché non può essere convertito a retinolo con sufficiente velocità. CALCIFEROLO (VITAMINA D) Si distinguono due forme principali di vitamina D: l’ergocalciferolo o vitamina D2, presente nei vegetali, e il colecalciferolo o vitamina D3, che deriva dal colesterolo ed è sintetizzato nelle cellule epiteliali dell’epidermide umana in seguito all’esposizione alla luce solare. Questa sintesi dipende dallo spessore e dalla pigmentazione della pelle, dalla qualità e intensità delle radiazioni UV e soprattutto dalla superficie esposta e dalla durata dell’esposizione. La vitamina D può essere sintetizzata e accumulata nei mesi estivi così da mantenere un adeguato livello nell’organismo anche nei mesi invernali. Se la sintesi endogena risulta insufficiente, è necessario un apporto di vitamina D con la dieta o con la supplementazione. Per svolgere la sua attività biologica, la vitamina D deve subire due idrossilazioni, prima nel fegato (25-OH-D) e poi nel rene formando l’1,25-diidrossicolecalciferolo (1,25-(OH)2-D) o calcitriolo, la forma “attiva” della vitamina. Funzioni La vitamina D è indispensabile per un normale svolgimento dei processi di ossificazione del soggetto in accrescimento e per il normale mantenimento dell’osso dell’adulto. La sua azione è intimamente legata al metabolismo del calcio e del fosforo. La vitamina D “attivata” (calcitriolo) favorisce la sintesi da parte delle cellule intestinali di una proteina che trasporta il calcio dal lume intestinale all’interno della cellula stessa, e da qui al vaso sanguigno. Si attua così l’effetto vitaminico che comprende: • • • la stimolazione dell’assorbimento del calcio e del fosforo a livello intestinale; la regolazione, in sinergia con l’ormone paratiroideo, dei livelli plasmatici di calcio; il mantenimento di un’adeguata mineralizzazione dello scheletro. La vitamina D può essere inoltre coinvolta in alcuni processi non legati all’omeostasi del calcio e del fosforo (per esempio, differenziamento cellulare, funzione neuromuscolare), mediante meccanismi non ancora chiariti. Fonti alimentari L’olio di fegato di merluzzo è una fonte ricchissima di vitamina D (ma non viene abitualmente consumato); quote modeste sono presenti nei pesci grassi, nelle uova e in quantità minima nel burro e formaggi grassi. Deficienza Segni precoci di carenza di vitamina D sono l’ipocalcemia con iperparatiroidismo secondario (possibili convulsioni da ipocalcemia). Manifestazioni classiche 356 P02Cap21-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:42 Pagina 357 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl Vitamine • CAPITOLO 21 di carenza prolungata sono: rachitismo nel bambino, caratterizzato da ritardo della chiusura delle fontanelle craniche, “rosario rachitico” costale, incurvamento delle ossa lunghe e disturbi dell’accrescimento in generale; nell’adulto si ha osteomalacia, caratterizzata da deformazioni scheletriche che colpiscono prevalentemente il bacino. Quota giornaliera raccomandata Nei soggetti in accrescimento o durante la gravidanza e l’allattamento la quota giornaliera raccomandata è di 10 mg. Anche per gli anziani, soprattutto quelli istituzionalizzati, considerati a rischio di carenza sia per mancanza di esposizione alla luce solare, sia per ridotta capacità di sintesi endogena, si consiglia analoga dose. Si ritiene invece che l’adulto normale possa ottenere una quantità di vitamina sufficiente ai propri bisogni mediante l’esposizione alla luce delle parti scoperte del corpo. In clinica la vitamina D è utilizzata nel trattamento dell’ipoparatiroidismo e dell’osteoporosi; inoltre l’1,25-diidrossicolecalciferolo è correntemente impiegato nella prevenzione e nella cura delle alterazioni del metabolismo calcio/fosforo dell’uremia cronica. Tossicità Segni di intossicazione (nefrocalcinosi, ridotta funzione renale o calcificazione dei tessuti molli) sono stati evidenziati dopo somministrazione prolungata di alte dosi di vitamina D. TOCOFEROLO (VITAMINA E) Sotto tale denominazione è compresa una serie di composti, il più importante delle quali è l’alfa-tocoferolo, aventi la caratteristica fondamentale di essere degli antiossidanti biologici e di svolgere negli animali un effetto antisterilità. Ampiamente distribuiti in natura, questi composti sono presenti in molti vegetali (particolarmente ricchi ne sono i semi in generale e gli oli vegetali), nel latte e nel rosso d’uovo. Situazioni di carenza di vitamina E non si riscontrano in individui normali, poiché la maggior parte delle diete ne contiene adeguate quantità. Gli effetti antiossidanti della vitamina E si esplicano prevalentemente sugli acidi grassi polinsaturi (PUFA, poly unsatured fatty acids) nei confronti dei quali essa svolge un’azione di protezione bloccando la propagazione del danno ossidativo. La quota di assunzione giornaliera di questa vitamina deve essere proporzionale alla quantità di acidi grassi polinsaturi introdotta con l’alimentazione; indicativamente può variare tra 3 e 8 mg per l’adulto. FILLOCHINONE (VITAMINA K) Differenti composti chimici (fillochinoni, menadioni o menachinoni) posseggono effetti vitamina K-simili e svolgono un’attività antiemorragica. Largamente rappresentati in natura, sia in alimenti animali che vegetali (ne sono ricchi gli ortaggi a foglia verde: spinaci, lattuga, broccoli, cavoli), questi composti possono essere sintetizzati anche dalla flora batterica intestinale dell’uomo. La vitamina K è indispensabile per la sintesi della protrombina e di altri fattori coinvolti nei processi della coagulazione del sangue (fattori VII, IX, e X) e dell’osteocalcina presente nella matrice ossea. 357 P02Cap21-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:42 Pagina 358 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione Alcune sostanze antagoniste di questa vitamina (dicumarolici) sono usate a scopo terapeutico come anticoagulanti. Esistono in clinica alcune situazioni morbose caratterizzate da una tendenza alle emorragie che è determinata da: • • deficienza dell’assorbimento intestinale della vitamina a causa di malassorbimento lipidico; incapacità di utilizzazione della vitamina da parte della cellula epatica sofferente per motivi patologici (epatiti, cirrosi). La somministrazione di vitamina K per via parenterale corregge gli effetti della deficienza di assorbimento, ma non quelli della mancata utilizzazione da parte dell’epatocita. VITAMINE IDROSOLUBILI TIAMINA (VITAMINA B1) La tiamina è il composto per il quale venne utilizzato per la prima volta il termine “vitamina”, con un chiaro riferimento, da una parte, agli effetti “vitali” che a essa potevano essere attribuiti e, dall’altra, alla presenza di un gruppo “amminico” nella struttura della sua molecola. Funzioni La tiamina entra a far parte come coenzima (tiaminpirofosfato, TPP) di una serie di enzimi che sono indispensabili per un normale svolgimento del metabolismo dei carboidrati. Fonti alimentari La vitamina B1 è maggiormente contenuta negli alimenti animali (specialmente nelle carni di maiale) rispetto ai vegetali. In questi ultimi è particolarmente abbondante nei cereali integrali. Deficienza La classica malattia da carenza di vitamina B1 è il beri-beri, nota da secoli nella sua forma umida (scompenso cardiaco) o secca (polinevrite). Insieme alla deficienza di altre vitamine (PP, B6, B12) è attualmente ritenuta responsabile di danni ai nervi periferici (polinevrite) nell’etilismo cronico. Deficienze acute, spesso legate ad abuso di alcol (l’assorbimento intestinale è notevolmente ridotto) o di droghe, provocano lesioni del sistema nervoso centrale (encefalopatia di Wernicke). Quota giornaliera raccomandata Per l’adulto la quota di assunzione giornaliera raccomandata è di 0,9 e 1,2 mg, per femmina e maschio rispettivamente. RIBOFLAVINA (VITAMINA B2) Funzioni Dal punto di vista biochimico la riboflavina è un costituente di due coenzimi (flavinadenindinucleotide o FAD, e flavinmononucleotide o FNM) che fanno parte di numerosi sistemi enzimatici coinvolti nelle reazioni di ossidoriduzione. In particolare: 358 P02Cap21-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:42 Pagina 359 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl Vitamine • CAPITOLO 21 • • • decarbossilazione ossidativa dell’acido piruvico; ossidazione degli acidi grassi e degli aminoacidi; trasporto di elettroni nella catena respiratoria. Fonti alimentari La riboflavina è presente in latte e derivati, uova e fegato tra gli alimenti animali; tra i vegetali le fonti migliori sono i cereali integrali e le verdure a foglia verde. È stabile al calore ma non alla luce. Il latte, che è una buona fonte di vitamina, deve quindi essere conservato in recipienti tenuti al riparo della luce. Deficienza La carenza di vitamina B2 si manifesta con una serie di sintomi a carico della bocca (stomatite angolare, lingua geografica), dell’occhio (vascolarizzazione corneale), della cute del viso e dei genitali (eritemi). Nell’uomo la deficienza di riboflavina pura è rara; è associata di solito a carenza di altre vitamine del complesso B. Quota giornaliera raccomandata Per l’adulto la quota di assunzione giornaliera raccomandata è di 1,3 e 1,6 mg, per femmina e maschio, rispettivamente. NIACINA (VITAMINA PP) Il termine “niacina” indica due composti (acido nicotinico e nicotinamide), chimicamente semplici, aventi un effetto vitamina PP. La sigla PP sta a indicare la capacità della vitamina di “prevenire la pellagra”, malattia da tempo ritenuta conseguenza di un’alimentazione prevalentemente composta da mais e particolarmente povera di alimenti animali. Funzioni La vitamina PP è componente di due coenzimi (NAD e NADP) adibiti al trasporto di ioni idrogeno (H+) e alla formazione di composti contenenti legami ricchi di energia (ATP). Fonti alimentari La niacina è presente in alimenti animali e vegetali, e può essere sintetizzata nei tessuti a partire dal triptofano, aminoacido essenziale delle proteine animali e vegetali. Nel mais è presente in forma biologicamente non disponibile (come glicoside dell’acido nicotinico). Deficienza La classica malattia da carenza è la pellagra, che ha un quadro clinico caratterizzato da lesioni a carico della cute (dermatite) localizzate sulle parti esposte alla luce solare, da sintomi a carico del tubo digerente (mancanza di appetito, diarrea, stomatite) e da disturbi neuropsichici (polinevrite, psicosi, demenza). Quota giornaliera raccomandata La quota giornaliera raccomandata di vitamina (14 e 18 mg per femmina e maschio adulti, rispettivamente) è espressa in milligrammi di “niacina equivalenti”: in questi valori sono compresi sia la quantità di niacina presente come tale negli alimenti sia la quantità di niacina che si può formare a partire dal triptofano contenuto nella quota proteica degli alimenti. Si considera per convenzione che 60 mg di triptofano alimentare corrispondano a 1 mg di niacina. 359 P02Cap21-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:42 Pagina 360 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione PIRIDOSSINA (VITAMINA B6) Diversi composti hanno dimostrato di possedere effetti vitaminici di questo tipo. Da essi derivano numerosi coenzimi che svolgono un ruolo fondamentale nel metabolismo proteico in quanto coinvolti nella sintesi, degradazione e utilizzazione degli aminoacidi. Fonti alimentari La piridossina è molto diffusa in natura, sia in alimenti animali che vegetali. Deficienza Nell’uomo la carenza di piridossina è assai rara. Quota giornaliera raccomandata La quota giornaliera raccomandata è di 1,5 mg per l’adulto. COBALAMINA (VITAMINA B12) Da tempo è stata identificata con il fattore “estrinseco” del principio antianemico di Castle, ma la definizione della sua struttura chimica (sotto questo aspetto è la più complessa delle vitamine) e la sua sintesi sono avvenute attorno agli anni ’50. Contiene cobalto, che le conferisce la colorazione rossa. Funzioni La vitamina B12 interviene, come coenzima, insieme ai folati, nella sintesi di gruppi chimici molto semplici dai quali vengono prodotte le basi puriniche e pirimidiniche. Queste basi sono costituenti essenziali degli acidi nucleici (DNA, RNA), il cui metabolismo viene pertanto alterato in condizioni di carenza. Fonti alimentari La cobalamina è presente in concentrazioni piuttosto modeste solo negli alimenti di origine animale (fegato, carni). Deficienza La deficienza di vitamina B12 si manifesta con: • • anemia macrocitica (le dimensioni dei globuli rossi sono superiori alla norma) con maturazione midollare dei globuli rossi di tipo megaloblastico (anemia perniciosa o di tipo pernicioso); segni neurologici attribuibili alla demienilizzazione delle fibre nervose decorrenti nel midollo; tali segni sono osservabili soltanto nelle forme più avanzate di anemia perniciosa. Raramente si riscontra deficienza di vitamina B12 per insufficiente apporto alimentare. Solo i soggetti che seguono diete strettamente vegetariane sono ad alto rischio di carenza. La carenza di vitamina si può verificare con maggior frequenza in circostanze patologiche. È noto che l’assorbimento della vitamina B12 avviene a livello dell’ileo distale e dipende dalla presenza di un costituente del succo gastrico denominato fattore intrinseco di Castle. Questo fattore è una mucoproteina secreta dalle cellule del fondo gastrico. Dall’interazione tra fattore intrinseco e vitamina B12 si forma un complesso resistente all’azione dei succhi digestivi. La deficienza di fattore intrinseco, e quindi il mancato assorbimento della vitamina B12 introdotta con gli alimenti, si riscontra nei soggetti sottoposti a gastrectomia totale e in quelli affetti da anemia perniciosa. 360 P02Cap21-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:42 Pagina 361 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl Vitamine • CAPITOLO 21 Altre cause di deficienza di vitamina B12 possono essere individuate nella resezione dell’ileo distale, la sede elettiva dell’assorbimento della vitamina, o in un’abnorme proliferazione a livello intestinale di batteri che utilizzano la vitamina per il proprio metabolismo. Quota giornaliera raccomandata Il fegato possiede ampie riserve di vitamina B12 (circa 2000 mg) e la quota giornaliera raccomandata è molto modesta: 2 mg. FOLATI (ACIDO FOLICO) L’acido folico è stato riconosciuto come un fattore antianemico distinto dalla vitamina B12. Funzioni L’acido folico interviene come coenzima in numerose reazioni biochimiche basilari, nella sintesi e nel trasporto di composti semplici (unità monocarboniose) destinati a entrare nella costituzione degli acidi nucleici. Partecipa infatti alla biosintesi di DNA e RNA, alla metilazione dell’omocisteina a metionina e al metabolismo di alcuni aminoacidi. Fonti alimentari L’acido folico è presente nei vegetali a foglia, nel fegato, nelle uova e nei fagioli. È una vitamina termolabile. Deficienza La carenza di acido folico si manifesta tipicamente con anemia macrocitica e maturazione midollare dei globuli rossi di tipo megaloblastico (vedi vitamina B12). Si osserva con relativa frequenza negli etilisti e durante la gravidanza; in questa condizione, caratterizzata da un aumento del fabbisogno giornaliero di vitamina, costituisce un fattore di rischio per la comparsa della spina bifida nel nascituro, una gravissima turba a carico del midollo spinale. Quota giornaliera raccomandata Si raccomanda un’assunzione giornaliera di 200 mg per l’adulto. In gravidanza, per la prevenzione della spina bifida e dell’anencefalia del neonato, la dose raccomandata è raddoppiata (400 mg). ACIDO ASCORBICO (VITAMINA C) La vitamina C è la più labile delle vitamine: la sua presenza negli alimenti è drasticamente ridotta dai processi di cottura e comunque diminuisce sensibilmente anche in seguito alla conservazione dell’alimento esposto all’aria e alla luce. Funzioni Le numerose funzioni attribuite alla vitamina C (acido L-ascorbico) sono riconducibili alla sua capacità di ossidarsi e di ridursi reversibilmente. È il cofattore di enzimi che catalizzano reazioni di idrossilazione per la formazione del collagene, componente fondamentale della sostanza cementante intercellulare, e dell’adrenalina. Interviene nella sintesi degli ormoni steroidei surrenalici (vitamina antistress) e nei processi di difesa cellulare, favorendo l’eliminazione dei radicali liberi dell’ossigeno e rigenerando l’attività antiradicalica della vitamina E (effetto antiossidante). Infine la vitamina C favorisce l’assorbimento intestinale del ferro per riduzione da Fe3+ a Fe2+. 361 P02Cap21-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:42 Pagina 362 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione Fonti alimentari La vitamina C è largamente diffusa negli alimenti di origine vegetale, particolarmente negli agrumi, kiwi, fragole, ribes, peperoni, pomodori e ortaggi a foglia verde. Deficienza La carenza di vitamina C si manifesta con: • • • fragilità dei piccoli vasi dalla cui rottura provengono le emorragie; alterazioni della crescita e della riparazione tissutale, dalle quali deriva il ritardo della cicatrizzazione delle ferite; insufficiente difesa contro le infezioni per difetto dell’attività fagocitaria e linfocitica e della formazione degli anticorpi. Nell’adulto la classica malattia da carenza è lo scorbuto, caratterizzata da emorragie e fragilità capillare, mentre nel bambino si associano anche disturbi dell’accrescimento osseo. In clinica la vitamina C ad alte dosi è correntemente impiegata nel trattamento di malattie emorragiche e delle malattie infettive in genere in quanto dotata di un’azione antistress. In questi ultimi anni è stato prospettato un suo probabile effetto antitumorale non ancora sufficientemente confermato. Quota giornaliera raccomandata L’assunzione giornaliera raccomandata per l’adulto è di 60 mg. Nel fumatore il fabbisogno viene raddoppiato rispetto ai non fumatori. ACIDO PANTOTENICO Largamente distribuito in natura, l’acido pantotenico è il precursore del “coenzima A”, parte attiva dell’enzima indispensabile per la formazione e il trasporto dell’acetato attivato, e quindi punto cardine del metabolismo dei carboidrati, degli aminoacidi, degli acidi grassi e dei composti steroidei. BIOTINA La biotina è largamente distribuita in natura e costituisce il coenzima di diversi sistemi enzimatici (carbossilasi) implicati nel metabolismo intermedio di numerose sostanze. FOCUS CLINICI FONTI ALIMENTARI DELLE VITAMINE 362 P02Cap22-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:42 Pagina 363 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl 22 MINERALI INTRODUZIONE Numerosi minerali entrano nella costituzione delle cellule e dei tessuti del nostro organismo. Alcuni di essi sono presenti in quantità relativamente elevata e per questo motivo, insieme alle proteine, ai grassi e ai carboidrati, vengono definiti macroelementi: calcio (Ca), fosforo (P), magnesio (Mg), sodio (Na), cloro (Cl), potassio (K). Altri, invece, sono presenti in “traccia”, in quantità dell’ordine del milligrammo o meno, e sono definiti micro- od oligoelementi: ferro (Fe), zinco (Zn), rame (Cu), iodio (I), fluoro (F), selenio (Se), cromo (Cr) ecc. Si ritiene attualmente che circa un terzo degli oligoelementi minerali conosciuti siano “essenziali”, anche se non per tutti sono stati messi in evidenza sintomi specifici di carenza nell’uomo. Oltre all’essenzialità di un elemento minerale, è anche importante tener conto della sua “biodisponibilità”, ovvero della quota ingerita che è effettivamente assorbita, trasportata al sito di azione e convertita nella forma fisiologicamente attiva. Pertanto un alimento è in grado di coprire il fabbisogno di un oligoelemento se questo è presente non solo in quantità corretta ma anche in forma biodisponibile. CALCIO Il calcio è il minerale presente in maggior quantità nell’organismo; nell’adulto è contenuto nella misura di 1200 g, il 99% dei quali nello scheletro osseo e nei denti. Il rimanente 1% è ripartito tra tessuti molli e fluidi extracellulari; in questi ultimi la quota ionizzata (45% circa) rappresenta la quota funzionalmente attiva. Funzioni Il calcio nell’osso, sotto forma di idrossiapatite, ha insieme al fosforo funzioni strutturali e costituisce una riserva per il mantenimento della concentrazione plasmatica. Nei fluidi extracellulari gli ioni Ca2+ svolgono funzioni altamente specializzate: attivazione di enzimi (coagulazione del sangue), partecipazione all’eccitamento neuromuscolare (trasmissione dell’impulso nervoso e contrazione muscolare), moltiplicazione e differenziazione cellulare. Il calcio è inoltre coinvolto nel mantenimento dell’integrità delle membrane e delle sostanze cementanti intercellulari. La quota di calcio nei liquidi extracellulari è regolata dal paratormone (PTH, 363 P02Cap22-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:42 Pagina 364 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione che mobilizza Ca2+ dell’osso), dalla vitamina D “attivata” (1,25-(OH)2D, che favorisce l’assorbimento intestinale del calcio) e dalla calcitonina (influenza la deposizione di Ca2+ nell’osso). Variazioni anche modeste della concentrazione plasmatica degli ioni Ca2+ (calcemia) al di fuori dei limiti di normalità sono indicative di fenomeni patologici. La concentrazione plasmatica del calcio è di 9-11 mg/dl (cioè 4,5-5,5 mEq/l). L’ipocalcemia (diminuzione della calcemia a livelli inferiori a 8 mg/dl) costituisce un’emergenza medica; è dovuta in genere a ipoparatiroidismo (diminuzione della secrezione di PTH) ed è caratterizzata da spasmi muscolari, parestesie, alterazioni della conduzione nervosa, aritmie cardiache e alterazioni dell’elettrocardiogramma (tetania ipocalcemica). L’ipercalcemia (aumento della calcemia a livelli superiori a 11 mg/dl) si riscontra nell’iperparatiroidismo (aumento della secrezione di PTH) e, a volte, anche nelle neoplasie con metastasi. Può essere asintomatica, ma quando si protrae nel tempo dà luogo a deposizione di sali di calcio nei tessuti molli e nella pelvi renale (calcolosi renale). Fonti alimentari Il calcio proviene principalmente da latte e prodotti lattiero-caseari. Fonti vegetali di calcio sono il cacao e il cioccolato, la frutta secca oleosa e i legumi. Da non trascurare il contenuto di calcio di alcune acque (potabili e/o minerali). L’assorbimento intestinale del calcio alimentare riguarda complessivamente il 35-45% della quota ingerita con gli alimenti ed è favorito dalla vitamina D “attivata” (1,25-(OH)2D) che stimola la sintesi, nella cellula intestinale, di una proteina legante il calcio. La biodisponibilità del calcio può essere influenzata negativamente da alcuni costituenti dei vegetali: ossalati, fitati, fosfati e alcune frazioni della fibra alimentare (acidi uronici); può essere invece aumentata da altri componenti solubili della fibra (polisaccaridi non digeribili) e dalla presenza di zuccheri, in particolare di lattosio. Inoltre il suo assorbimento è più efficiente nella prima infanzia, adolescenza e gravidanza, mentre diminuisce con l’avanzare dell’età e con l’aumento del suo apporto alimentare. La principale via di eliminazione del calcio è con le feci. Con le urine la quota eliminata è ampiamente variabile, in relazione anche al concomitante apporto di proteine, sodio e fosforo; recentemente si è evidenziato che le perdite con il sudore sono superiori a quanto finora ritenuto. Deficienza Poiché l’osso costituisce una riserva di Ca2+, può essere presente una deficienza di calcio prolungata nel tempo senza alcuna ripercussione sulla calcemia, che è mantenuta a livelli normali dall’intervento delle paratiroidi (PTH). Possibili cause di deficienza sono: • • • apporti alimentari inadeguati e prolungati nel tempo; compromissione della capacità di assorbimento intestinale (malassorbimento); eventuali deficienze di vitamina D provocate dall’età avanzata (ridotta esposizione alla luce solare) e dall’insufficienza renale cronica (mancata formazione della forma “attivata” di vitamina D). La carenza di minerale protratta nel tempo si manifesta con alterazioni dell’osso analoghe a quelle riportate nella carenza di vitamina D (osteomalacia nell’adulto, rachitismo nel bambino). 364 P02Cap22-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:42 Pagina 365 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl Minerali • CAPITOLO 22 Si ritiene che una deficienza cronica di calcio alimentare nella fase di accrescimento corporeo possa determinare una diminuzione della densità minerale dell’osso rispetto al picco di massa ossea, che si raggiunge tra i 20 e i 30 anni (maturità scheletrica). Dopo questo picco si verifica, qualunque sia il livello di assunzione di calcio, una progressiva perdita di densità minerale dell’osso. La migliore prevenzione di questa riduzione consiste nell’ottenere un picco di massa ossea ottimale. Più controverso è il ruolo del calcio alimentare nella patogenesi dell’osteoporosi in età postmenopausale o in età avanzata; sembrerebbe che bassi introiti di calcio nell’anziano abbiano un ruolo “permissivo” piuttosto che causale nello sviluppo della malattia (che ha patogenesi multifattoriale, con ruolo predominante svolto dalla cessazione dell’attività estrogenica nella donna). Quota giornaliera raccomandata La quota giornaliera raccomandata di calcio è di 800 mg per l’adulto. Si raccomandano quote superiori per l’anziano, il giovane in accrescimento osseo e la donna in età postmenopausa (v. valori LARN). FOSFORO Gran parte del fosforo presente nell’organismo (85%) è depositato nelle ossa insieme al calcio sotto forma di idrossiapatite; il rimanente 15% è localizzato nei tessuti molli e nei liquidi extracellulari. Funzioni Il fosforo è un costituente di tutte le cellule, in quanto presente negli acidi nucleici (DNA e RNA) e nei composti contenenti legami altamente energetici (ATP). Come componente dei fosfolipidi è coinvolto nella stabilizzazione delle membrane cellulari e nel trasporto nei fluidi corporei di altri lipidi non polari (trigliceridi e colesterolo). Come fosfato inorganico partecipa alla regolazione dell’equilibrio acido-base dei liquidi biologici. La concentrazione plasmatica del fosforo inorganico è di 2,5-4,5 mg/dl. L’omeostasi del fosforo è mantenuta dalle variazioni dell’escrezione renale, sotto l’influenza del PTH. A un aumento dell’apporto alimentare di fosforo fa seguito un rapido aumento dell’escrezione urinaria. Fonti alimentari Il fosforo ha diffusione ubiquitaria: latte e derivati, carni, cereali, legumi. Circa il 60% del fosforo alimentare è assorbito dall’intestino; l’assorbimento è influenzato favorevolmente dalla vitamina D (1-25 idrossicolecalciferolo), indipendentemente dal suo effetto sull’assorbimento del calcio. Deficienza La carenza di fosforo è rara e compare solo in circostanze patologiche (chetoacidosi diabetica, rialimentazione dopo digiuno prolungato). Quota giornaliera raccomandata La quota giornaliera raccomandata di fosforo è di 800 mg per l’adulto. 365 P02Cap22-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:42 Pagina 366 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione MAGNESIO Il magnesio è contenuto per buona parte nell’osso (60% circa) e nei tessuti molli (39%), solo una piccola parte (1%) è presente nei fluidi extracellulari. Funzioni È necessario per l’attivazione di numerosi processi enzimatici che interessano il metabolismo intermedio e la sintesi di lipidi, di proteine e di nucleoproteine. Insieme al calcio e al potassio, modula il potenziale di membrana dei nervi e dei muscoli (trasmissione dell’impulso nervoso, contrazione muscolare). Il magnesio è inoltre essenziale per i processi di mineralizzazione e di sviluppo dell’apparato scheletrico. La concentrazione plasmatica del magnesio è di 1,5-2,8 mg/dl (1,3-2,1 mEq/l). Fonti alimentari Il magnesio viene fornito dai vegetali a foglia verde, dai cereali, dal latte, dalle carni e dal cacao. Deficienza La concentrazione di magnesio nel plasma è regolata dal rene che è in grado, quando necessario, di trattenerlo efficacemente mediante il riassorbimento tubulare. Pertanto i segni di deficienza compaiono soltanto in condizioni patologiche che determinano un aumento delle perdite per via renale e/o intestinale (diarree). L’ipomagnesiemia è spesso associata a ipocalcemia e si manifesta con segni di ipereccitabilità muscolare, tetania e, a volte, convulsioni. Quota giornaliera raccomandata In mancanza di dati sufficienti per stabilire con sicurezza il livello di assunzione raccomandato di magnesio, i LARN propongono un intervallo di sicurezza di 150-500 mg. IODIO Funzioni Lo iodio è il componente essenziale per la sintesi degli ormoni tiroidei tetraiodiotironina o tiroxina (T4) e triiodotironina (T3). Questi ormoni, secreti dalla tiroide sotto l’influenza dell’ormone tireostimolante ipofisario (TSH), sono indispensabili per un regolare accrescimento corporeo e per un normale sviluppo cerebrale. Essi regolano i processi energetici endocellulari, accelerando le reazioni metaboliche ossidative, attivano e regolano la sintesi proteica e del colesterolo e favoriscono la deposizione del Ca2+ nella matrice dell’osso. Un aumento della secrezione degli ormoni tiroidei, come si verifica nell’ipertiroidismo, determina un aumento del metabolismo di base (MB). Fonti alimentari Le più importanti fonti di iodio sono costituite dai prodotti della pesca (pesci di mare); la presenza di iodio in altri alimenti animali e vegetali dipende dal contenuto di iodio del terreno dal quale passa nelle fonti alimentari attraverso il ciclo alimentare. 366 P02Cap22-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:42 Pagina 367 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl Minerali • CAPITOLO 22 Deficienza Lo iodio è distribuito in modo molto diverso nel terreno, a seconda delle regioni. In molte regioni montuose, come le Alpi o le Ande, il suolo è molto povero di iodio, cosicché, di conseguenza, ne sono molto povere le fonti alimentari sia vegetali che animali. In queste aree la deficienza di iodio alimentare si manifesta con iperplasia tiroidea (“gozzo”), sintomi di ipotiroidismo nell’adulto e disturbi della crescita corporea e dello sviluppo intellettivo nel bambino (cretinismo endemico). Tutte queste manifestazioni, osservate in Svizzera e in certe valli alpine italiane (buona parte del territorio nazionale è tuttora caratterizzato da carenza iodica), possono essere facilmente prevenute dall’integrazione della dieta con adeguate quantità di iodio, per esempio attraverso l’impiego regolare di sale (NaCl) arricchito di iodio o “iodato”. Tale pratica, anche se meno diffusa di quanto auspicabile, ha consentito la quasi totale scomparsa del cretinismo endemico. Tossicità L’eccessivo apporto di iodio (attenzione a preparati “dimagranti” contenenti iodio e/o estratti tiroidei!) può essere responsabile dell’instaurarsi del gozzo tossico nodulare (morbo di Plummer) e dell’ipertiroidismo. Quota giornaliera raccomandata La quota giornaliera raccomandata di iodio per l’adulto è di 150 mg. FERRO Il contenuto di ferro nell’organismo è di circa 3-4 g. Circa il 65% del ferro totale dell’organismo è presente nella molecola dell’emoglobina, mentre il 10% è contenuto nella mioglobina. La quota rimanente è rappresentata principalmente dal ferro di deposito (ferritina ed emosiderina), mentre minime quantità sono contenute negli enzimi e nei citocromi o sono associate alla transferrina (proteina di trasporto). Funzioni Il ferro entra nella costituzione dell’emoglobina, della mioglobina e di diversi enzimi coinvolti in reazioni di ossidoriduzione; è accettore e trasportatore di elettroni in sistemi enzimatici attivi nella respirazione cellulare (citocromi); è accettore e trasportatore di O2 nell’emoglobina. L’organismo mantiene l’equilibrio del ferro attraverso: • • • la costituzione di un pool di riserva; la modulazione dell’assorbimento in funzione dei bisogni; il recupero dal catabolismo degli eritrociti. Fonti alimentari Il ferro è presente nelle carni, in particolare nel fegato e nella milza sotto forma di ferro “eminico” (ferro contenuto nell’eme dell’emoglobina e della mioglobina); nei vegetali (legumi, vegetali a foglia, frutta a guscio oleosa) si trova prevalentemente sotto forma di sali inorganici. Latte e derivati, patate e frutta fresca sono alimenti molto poveri di ferro. Il ferro contenuto negli alimenti animali (carni) è assorbito dall’intestino più facilmente di quello contenuto nei vegetali. Questo perché il suo assorbimento intestinale avviene in modo differente in relazione alla forma chimica del ferro con- 367 P02Cap22-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:42 Pagina 368 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione tenuto negli alimenti: il ferro eminico è assorbito come tale dall’enterocita; il ferro inorganico contenuto nei vegetali è assorbito preferenzialmente sotto forma di ione ferroso (Fe2+). Affinché lo ione ferrico (Fe3+) possa essere ridotto a ione ferroso (Fe2+) è necessario l’intervento della secrezione gastrica e dell’azione riducente della vitamina C. Diversi fattori influenzano negativamente l’assorbimento intestinale del ferro, come la presenza di fitati e ossalati nei vegetali e i tannini contenuti nel tè e nel vino. Tra i fattori patologici vanno ricordati l’achilia (assenza di secrezione cloridrico-peptica), il malassorbimento e l’uso continuato di specifici antiacidi. L’assorbimento intestinale del ferro è favorito invece, oltre che dalla vitamina C, anche da alcuni aminoacidi e acidi organici. In condizioni “normali” circa il 10% del ferro contenuto negli alimenti è assorbito dall’intestino. Tale quota aumenta in condizioni di un aumento dei bisogni (gravidanza, accrescimento, anemia). Trasporto e utilizzazione Il bilancio del ferro è regolato dal contenuto in ferro della cellula intestinale che, in “condizioni normali”, assorbe e immette in circolo la quantità di ferro necessaria a sostituire la quota eliminata per le diverse vie. In questo modo si evita l’accumulo di ferro nell’organismo con i conseguenti fenomeni patologici (emosiderosi, emocromatosi). La transferrina è la proteina di trasporto del ferro. Il ferro veicolato ai tessuti emopoietici (midollo osseo) è utilizzato per la sintesi di emoglobina della quale costituisce lo 0,34% in peso. Per questa sintesi viene utilizzato anche il ferro proveniente dalla lisi dei globuli rossi, quando hanno esaurito il loro ciclo vitale (120 giorni). Il ferro interviene, inoltre, nella sintesi di mioglobina, contenuta nel muscolo, e di altri enzimi coinvolti nei processi ossidoriduttivi (catalasi, citocromi). Il ferro eccedente i bisogni è depositato nelle cellule del sistema reticoloendoteliale sotto forma di ferritina e di emosiderina. La concentrazione plasmatica del ferro (sideremia) varia da 50 a 150 mg/dl. I livelli normali di transferrina variano da 230 a 430 mg/dl. L’eliminazione del ferro dall’organismo è limitata a 1 mg/die per l’uomo (via intestinale, urinaria e cutanea) e a 1,5-1,8 mg/die per la donna in età fertile (alle vie di eliminazione dell’uomo si aggiungono le perdite mestruali). Deficienza Si rimanda il lettore ai “Focus clinici” di fine capitolo. Quota giornaliera raccomandata La quota giornaliera raccomandata di ferro è di 10 mg per il maschio e 18 mg per la femmina adulta in età fertile. ZINCO Lo zinco nell’organismo umano, pari a circa 2 g, si concentra in particolare nella muscolatura striata (60%), nelle ossa (30%) e nella pelle (4-6%). Funzioni Oltre 200 enzimi presenti nei sistemi biologici dipendono per la loro attività dalla presenza di zinco. È indispensabile per un normale svolgimento delle funzioni immunitarie e per la moltiplicazione cellulare. Svolge anche un’azione antiossidante ed è necessario per la formazione di ossa e muscoli. 368 P02Cap22-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:42 Pagina 369 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl Minerali • CAPITOLO 22 Fonti alimentari Lo zinco è contenuto in alimenti animali e vegetali; in questi ultimi la sua “disponibilità” è fortemente ridotta dalla presenza di fitati, ossalati e fibra (insolubile). Deficienza La deficienza di zinco si manifesta con una malattia cutanea denominata acrodermatite enteropatica e con una sindrome rilevata in giovani maschi del Medio Oriente la cui alimentazione è povera di zinco caratterizzata da arresto della crescita, ipogonadismo, anoressia. Quota giornaliera raccomandata La quota giornaliera raccomandata di zinco è di 10 mg per l’adulto. RAME Il contenuto totale di rame nell’organismo varia da 50 a 120 mg, di cui 40% nei muscoli, 15% nel fegato, 10% nel cervello, 10% nel sangue e il restante nel cuore e nei reni. Il rame viene trasportato in circolo per la maggior parte legato alla ceruloplasmina (90-95%). Funzioni Costituente di enzimi e di metalloproteine (la più nota delle quali è la ceruloplasmina), il rame è coinvolto nelle reazioni di ossidoriduzione, nel trasporto del ferro, nella formazione del tessuto connettivo e della guaina mielinica del tessuto nervoso. Fonti alimentari e deficienza Il rame è contenuto nel fegato e nel rene, nei molluschi e in alcuni frutti (avocado, noci, nocciole, uva secca). Una dieta equilibrata ne fornisce quantità adeguate e la deficienza alimentare è rara; sono invece note malattie nelle quali si verifica un’alterazione del metabolismo di questo minerale (morbo di Wilson). Quota giornaliera raccomandata La quota giornaliera raccomandata di rame è di 1,2 mg per l’adulto. SELENIO Il selenio è chimicamente simile allo zolfo e lo sostituisce negli aminoacidi solforati. Fa parte di sistemi enzimatici che svolgono funzione di protezione dalle ossidazioni (antiossidanti) in stretta relazione con la vitamina E (tocoferolo). Il selenio è un elemento essenziale per l’attività della glutatione perossidasi, importante enzima che fa parte del sistema di difesa antiossidativo cellulare. Per la sua attività antiossidante è stato ipotizzato che il selenio possa avere un ruolo protettivo nei confronti del processo di invecchiamento e anche per le patologie neoplastiche. Tuttavia allo stato attuale mancano conferme certe che supplementazioni alimentari di selenio siano effettivamente in grado di inibire la carcinogenesi. Il selenio entra nella catena alimentare a partire dal terreno, il cui contenuto ne determina la concentrazione negli alimenti. In una regione della Cina è stata rilevata una miocardiopatia da carenza di selenio (malattia di Keshan). 369 P02Cap22-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:42 Pagina 370 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione Quota giornaliera raccomandata La quota giornaliera raccomandata di selenio è di 55 mg per l’adulto. ALTRI MINERALI DI INTERESSE NUTRIZIONALE Altri minerali di interesse nutrizionale sono: • • • • il fluoro, che riduce la suscettibilità alla carie dentale; il manganese, che fa parte dei sistemi antiossidanti; il molibdeno, che entra nell’attività di enzimi coinvolti nelle reazioni di ossidoriduzione; il cromo, che ha un effetto di potenziamento dell’azione ipoglicemizzante dell’insulina. Di questi elementi non è stata ancora stabilita la rispettiva quota giornaliera raccomandata. FOCUS CLINICI ANEMIE NUTRIZIONALI Le anemie nutrizionali comprendono l’anemia da deficienza di ferro e l’anemia da deficienza di vitamina B12 e/o acido folico. Si ricorda che per anemia si intende una diminuzione del numero di globuli rossi (GR), e quindi della quantità di emoglobina (Hb) circolante nel sangue. Si considerano normali i seguenti valori di Hb, GR e di volume globulare medio (VGM): Uomo Donna Hb (g/dl) GR (milioni/mm3) VGM (fl) 16 ± 2 14 ± 2 5,4 ± 0,9 4,8 ± 0,9 90 ± 7 90 ± 7 Per l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) si devono considerare anemici i soggetti con tassi plasmatici di Hb inferiori a 13 g/dl per l’uomo, 12 g/dl per la donna e 11 g/dl per la gestante. *** Le anemie da deficienza di ferro (o sideropeniche) sono piuttosto frequenti anche nelle società affluenti, Italia compresa, almeno nei gruppi di popolazione a più elevato fabbisogno di ferro: lattanti, adolescenti, donne in età fertile. Sono dovute in genere ad apporto alimentare inadeguato rispetto a un relativo aumento delle esigenze di ferro, come si verifica, per esempio, nella fase di accrescimento (bambini) e in gravidanza; oppure per l’aumento delle perdite ematiche (emorragie anche clinicamente occulte, flussi mestruali abbondanti o più frequenti che di norma); oppure, ancora, per alterazioni dell’assorbimento intestinale del minerale dovute a processi patologici. Le anemie da deficienza di ferro sono caratterizzate dalla presenza in cir- 370 P02Cap22-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:42 Pagina 371 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl Minerali • CAPITOLO 22 colo di GR più piccoli (VGM < 80) e meno colorati che di norma. L’anemia quindi è definita microcitica e ipocromica. Clinicamente l’anemia da carenza di ferro si presenta con astenia, pallore, tachipnea, tachicardia. Comunque alcuni segni, quali la difficoltà di concentrazione e l’affaticabilità nel lavoro, possono essere riscontrati già nelle fasi che precedono lo stato di carenza, che vanno identificate mediante misurazione di parametri ematici. In una prima fase (stadio di deplezione) le riserve sono azzerate, come evidenziato dai valori della ferritina. Successivamente si ha la riduzione del ferro circolante e poi alterazioni dell’eritropoiesi con conseguenti modifiche delle caratteristiche dei globuli rossi. Protraendosi lo stato carenziale, i livelli di emoglobina si riducono al di sotto dei valori considerati normali, e in seguito si può instaurare una grave anemia microcitica e ipocromica. La deficienza di vitamina B12 e/o acido folico si instaura per apporto alimentare inadeguato al quale talora (ma non sempre!) si associa un aumento dei bisogni (per esempio, in gravidanza), oppure per alterazione dell’assorbimento intestinale da processi patologici, o ancora per interferenze di alcuni farmaci sull’assorbimento o sul metabolismo di detta vitamina. L’abuso alcolico rientra in questa categoria. L’anemia da deficienza di queste vitamine è caratterizzata dalla presenza in circolo di GR di volume più elevato (VGM > 100) e più colorati che di norma. L’anemia è quindi definita macrocitica e ipercromica. 371 P02Cap23-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 373 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl 23 ACQUA ED ELETTROLITI ACQUA L’acqua è un costituente fondamentale dell’organismo: tutte le reazioni metaboliche, il trasporto dei nutrienti, l’eliminazione dei prodotti del metabolismo non più utilizzati avvengono in mezzo acquoso. Quantitativamente è il componente predominante dell’organismo umano: infatti rappresenta circa il 60% del peso di un individuo adulto. Tale percentuale è maggiore nell’infanzia (alla nascita è circa il 77% del peso corporeo) e diminuisce progressivamente con l’età e/o con l’aumentare dei depositi adiposi. Nell’adulto l’acqua totale corporea è ripartita per circa due terzi all’interno delle cellule, ove costituisce il liquido intracellulare (LIC) che, in condizioni fisiologiche, è un indice della massa cellulare corporea. La restante quota (un terzo) è esterna alle cellule, e costituisce il liquido extracellulare (LEC), che comprende i liquidi interstiziali e quelli circolanti (plasma, linfa ecc.). Bisogno di acqua e apporto idrico Il bilancio dell’acqua dipende dal mantenimento dell’equilibrio tra il volume di acqua in entrata e quello in uscita dall’organismo. Il bisogno di acqua è variabile ed è in relazione con: • • • il metabolismo energetico giornaliero e quindi con la massa corporea (metabolismo basale) e l’attività fisica; la quantità e la qualità degli alimenti ingeriti (carico di sostanze osmoticamente attive, come per esempio il cloruro di sodio e le proteine dalle quali proviene l’urea come prodotto del loro metabolismo); il clima e il microclima ambientali (temperatura e umidità dell’aria, ventilazione). Si ritiene che per l’adulto 1 ml di acqua per ogni kcal del suo metabolismo energetico sia una quantità adeguata a bilanciare le perdite; in condizioni più estreme (intensa sudorazione, attività fisica importante, elevato carico di soluti), la raccomandazione è di aumentare la quantità a 1,5 ml/kcal. Nei bambini, per la maggior quantità di acqua corporea, per il suo più veloce turnover e per la ridotta capacità dei reni a eliminare il carico di soluti, il bisogno di acqua è superiore a quello degli adulti; si raccomanda quindi un apporto di almeno 1,5 ml/kcal. Particolare attenzione deve essere rivolta al soddisfacimento del fabbisogno di acqua nell’anziano, specie quando lo stimolo della sete è attenuato e/o quando 373 P02Cap23-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 374 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione non può essere soddisfatto autonomamente, e nella donna che allatta, dato che il latte prodotto è costituito da acqua per oltre l’87%. L’acqua viene assunta quasi esclusivamente attraverso l’alimentazione. Più precisamente, le fonti d’acqua sono rappresentate da: • • • acqua bevuta come tale o sotto forma di altre bevande; acqua contenuta negli alimenti solidi; acqua di ossidazione, proveniente cioè dal metabolismo intermedio di protidi, glucidi e lipidi che hanno subito i normali processi ossidativi (200-300 ml/die). L’acqua è un nutriente essenziale, poiché la modestissima quota metabolica non è assolutamente sufficiente a coprire il fabbisogno giornaliero. Un apporto idrico normale per un adulto sano, che si attiene a un’alimentazione equilibrata, in un clima temperato e con attività fisica moderata, può essere considerato il seguente: • • • • acqua sotto forma di liquidi: 1000-1700 ml; acqua presente in alimenti solidi: 800-1000 ml; acqua di ossidazione (proveniente dal metabolismo): 200-300 ml; per un apporto totale nelle 24 ore di 2000-3000 ml. Nella tabella 23.1 è riportato il contenuto in acqua di alcune bevande e alimenti solidi. L’acqua assunta con le bevande e con gli alimenti non subisce digestione, ma viene assorbita contemporaneamente agli altri nutrienti nell’intestino tenue; un ulteriore riassorbimento idrico avviene nell’intestino crasso. Ricordiamo che l’acqua non apporta energia (1 g di acqua = 0 kcal) e che non può essere trasformata in grassi (l’acqua non fa ingrassare!). TABELLA 23.1 CONTENUTO IN ACQUA DEI PRINCIPALI GRUPPI DI ALIMENTI Alimento Acqua Bevande alcoliche: vino, birra Bevande alcoliche: liquori, distillati Bibite gassate/succhi di frutta Latte, yogurt Frutta fresca Verdura fresca Pesce fresco Carni fresche Formaggi freschi Formaggi stagionati Uova Pane Pasta, riso, farine Zucchero Olio 374 Acqua g/100 g di sostanza edibile 100 90 65 85-90 87-89 80-90 80-95 70-85 60-75 55-70 30-50 77 30 10-12 Tracce Assente P02Cap23-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 375 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl Acqua ed elettroliti • CAPITOLO 23 ELETTROLITI Nei due compartimenti corporei, LEC e LIC, sono distribuiti diversi elettroliti, in concentrazioni differenti e con specifiche funzioni (v. anche Cap. 11 “Equilibrio acido-base”). I principali sono elencati di seguito. SODIO Il sodio (Na+) è il principale catione dei liquidi extracellulari. Poco meno della metà della quantità di sodio contenuta nell’organismo si trova nel LEC, una piccola parte (7%) nel LIC, il resto nell’osso. La concentrazione plasmatica normale di sodio varia tra 135 e 145 mEq/l, con limiti estremi, già indicativi di alterazioni patologiche, alle concentrazioni di 130 e 150 mEq/l rispettivamente. Fonti alimentari La quantità di sodio assunta con l’alimentazione abituale è assai variabile in relazione con le culture popolari e le abitudini personali. La quota prevalente dell’apporto alimentare è in relazione all’uso del sale (NaCl): ogni grammo di sale contiene circa 0,4 g di sodio; essa può variare tra 5 e 15 g al giorno (pari a 82-250 mEq di Na+): 1 g di NaCl = 400 mg di Na+ = 17 mEq di Na+ 1 mEq di Na+ = 23 mg di Na+ Oltre alla quota presente nel sale utilizzato a tavola e nella confezione casalinga dei cibi, il sodio è presente negli alimenti come tali (in quota maggiore negli alimenti di provenienza animale rispetto a quelli di provenienza vegetale), e in particolare in quelli trattati con il sale a scopo organolettico o di conservazione (formaggi, salumi, carni e pesci conservati e affumicati, olive, sottaceti, prodotti in scatola ecc.), nei dadi per brodo e in alcune salse (per esempio, la salsa di soia). Variabile è il contenuto in Na+ delle acque potabili. Nella tabella 23.2 è riportato il contenuto di sodio e potassio di alcuni alimenti. TABELLA 23.2 CONTENUTO DI SODIO E POTASSIO DI ALCUNI ALIMENTI Alimenti Sodio Potassio mg/100 g di sostanza edibile Carne, pollame, pesce Formaggi Frutta fresca Latte vaccino Pane Pasta, riso Salumi e prosciutto Uova Verdure e ortaggi 40-100 200-1800 1-10 50 500-700 2-15 800-4000 140 10-100 200-400 35-100 110-374 135 70-160 100-160 140-350 146 110-374 375 P02Cap23-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 376 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione Funzioni Il sodio è il principale determinante della pressione osmotica del LEC; inoltre partecipa insieme ad altri elettroliti (K, Ca e Mg) alla modulazione dell’eccitamento neuromuscolare. L’eliminazione del sodio avviene essenzialmente per via urinaria; modesta è, in condizioni normali, l’eliminazione per via cutanea (sudore) e fecale. A livello renale sono attivi meccanismi per mezzo dei quali il sodio può essere quasi completamente riassorbito a livello tubulare e quindi trattenuto nell’organismo. È questa una situazione che si verifica dopo qualche giorno di alimentazione molto povera di sodio. Livelli di assunzione raccomandati In condizioni normali il nostro organismo elimina giornalmente da 0,1 a 0,6 g di sodio, quantità che sono già presenti naturalmente nei cibi, senza bisogno di aggiunta di sale. La popolazione adulta italiana assume in media circa 10 g di sale (4 g di Na), quantità molto più elevata della dose necessaria. Dato che un elevato consumo di sale e di sodio può favorire l’instaurarsi dell’ipertensione arteriosa ed è associato a un incremento del rischio anche per altre patologie (nefropatie, cardiopatie, osteoporosi ecc.), si raccomanda di ridurre il consumo di sale al di sotto di 6 g al giorno (= 2,4 g di sodio). POTASSIO Il potassio (K+) è il principale catione del LIC: solo il 2% della quantità totale contenuta nel corpo si trova nel LEC; circa i due terzi del potassio intracellulare si trovano nei muscoli. La concentrazione plasmatica normale varia da 3,5 a 5 mEq/l. Fonti alimentari L’introito medio giornaliero di potassio di un adulto può variare da 2000 a 6000 mg, corrispondenti a 50-150 mEq: 1 mEq di K+ = 39 mg di K+ È presente in abbondanza in quasi tutti gli alimenti, in concentrazioni relativamente maggiori nei vegetali rispetto agli animali e, in questi ultimi, più nelle carni che nel latte e derivati (Tab. 23.2). Funzioni Insieme a sodio, calcio e magnesio, il potassio è responsabile del mantenimento del potenziale elettrico delle membrane cellulari e, quindi, interviene nella contrazione muscolare e nella trasmissione degli impulsi nervosi. In linea generale la quantità di potassio eliminata giornalmente con le urine bilancia quasi esattamente quella ingerita; l’eliminazione fecale, invece, in condizioni normali, è esigua e pressoché costante (il colon elimina K+ in scambio con Na+). Deficienza Data l’ampia e ubiquitaria distribuzione del potassio negli alimenti, è estremamente improbabile che un deficit di potassio abbia esclusivamente cause alimentari. Una deficienza di potassio si verifica solo in presenza di perdite eccessive per via gastroenterica (vomito prolungato, diarrea cronica, abuso di lassativi) o urinaria (uso di diuretici, alcuni tipi di nefropatia cronica e disturbi metabolici come l’acidosi diabetica). 376 P02Cap23-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 377 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl Acqua ed elettroliti • CAPITOLO 23 Altre condizioni in cui si può osservare deficit di potassio sono i traumatismi accidentali o chirurgici e le ustioni che mobilizzano il K+ dai tessuti; inoltre, in queste evenienze l’apporto alimentare è quasi sempre inadeguato. In presenza di una funzione renale normale è quasi impossibile indurre un eccesso di potassio per carico alimentare, in quanto viene eliminato con le urine. Intossicazione acuta può verificarsi solo per eccessiva somministrazione enterale o parenterale di potassio. Livelli di assunzione raccomandati L’aumento dell’apporto di potassio è correlato a una riduzione della pressione arteriosa. È stato calcolato che un aumento dell’apporto medio di potassio da 60 a 80 mEq/die (da 2,3 a 3,1 g/die) dovrebbe determinare una riduzione di 4 mmHg della pressione sistolica media, e portare a una riduzione del 25% dei decessi correlati all’ipertensione. Per tali motivi si raccomanda un apporto medio di 80 mEq/die (3,2 g/die) nell’adulto. CALCIO E MAGNESIO Calcio (Ca2+) e magnesio (Mg2+) sono presenti nel plasma in concentrazioni di 4,55,5 mEq/l e 1,3-2,1 mEq/l, rispettivamente. Per dettagli riguardanti la provenienza, le funzioni e il metabolismo di questi minerali si rimanda al capitolo 22 “Minerali”. CLORO Quantitativamente il cloro (Cl–) è l’anione più importante del LEC e ha la funzione precipua di accompagnarsi a Na+ (e a K+) in modo da mantenere l’elettroneutralità dell’ambiente. È quindi il principale anione determinante la pressione osmotica del LEC. Inoltre è necessario per la formazione dell’acido cloridrico del succo gastrico. La sua introduzione con gli alimenti avviene principalmente sotto forma di cloruro di sodio e varia tra 90 e 250 mEq al giorno. La sua concentrazione plasmatica varia tra 95 e 105 mEq/l. L’eliminazione di Cl– è in genere strettamente collegata a quella di Na+ e avviene in prevalenza con le urine, ma vi può essere una perdita che si verifica in modo indipendente in caso di vomito (perdita prevalente di Cl–). BICARBONATO L’importanza di questo anione (HCO3–), la cui concentrazione normale varia in genere tra 25 e 28 mEq/l, è legata alla regolazione dell’equilibrio acido-base (pH) del sangue. Proviene dall’anidride carbonica (CO2) prodottasi nei processi metabolici, previa trasformazione di questa in acido carbonico (H2CO3), cui segue, nel plasma, la dissociazione secondo la sequenza di reazioni: Æ CO2 + H2O Æ ¨ H2CO3 ¨ H+ + HCO–3 Il sistema bicarbonato/acido carbonico (HCO–3/H2CO3), che nel LEC, in condizioni normali, ha un rapporto pressoché costante, interviene come sistema tampone nelle variazioni del pH del sangue. PROTEINE Tutte le proteine comprendono nella loro molecola cariche elettriche positive (+) e cariche negative (–). Il prevalere dell’uno o dell’altro tipo di carica dipende dal pH del mezzo nel quale si trovano: a pH 7,40 prevalgono le cariche negative e pertanto, nel plasma le proteine si comportano come anioni. La concentrazione normale delle proteine circolanti è di 16 mEq/l. 377 P02Cap23-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 378 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione ALTRI ANIONI In questa categoria rientrano i solfati, i fosfati e altri acidi organici. I solfati (SO2–4 ) provengono dal metabolismo degli aminoacidi solforati e la loro concentrazione plasmatica, in condizioni normali, è pressoché trascurabile. I fosfati (PO3–4 ) partecipano insieme al calcio alla formazione dell’osso; sono coinvolti come sistema tampone nella regolazione dell’equilibrio acido-base dei liquidi biologici e la loro concentrazione plasmatica è di 2-2,5 mEq/l. Tale concentrazione è regolata, insieme a quella del calcio, dall’ormone paratiroideo. I restanti anioni derivano da acidi organici che, in genere, sono prodotti del metabolismo intermedio. La loro concentrazione nel plasma è di circa 6 mEq/l. ELIMINAZIONE DI ACQUA ED ELETTROLITI L’eliminazione dell’acqua e degli elettroliti avviene per via renale e per via extrarenale. Eliminazione per via renale Il rene, con l’escrezione di urine, è il principale regolatore del volume e del contenuto elettrolitico dei liquidi biologici. Con la propria attività emuntoria interviene nel regolare: • • • • la quantità totale di acqua nel corpo; la quantità totale di elettroliti del corpo; la concentrazione degli elettroliti nei due compartimenti (LIC e LEC); la concentrazione degli idrogenioni (H+) e quindi il pH dei due compartimenti. Di particolare importanza al fine del mantenimento del volume dei liquidi corporei è la capacità renale di concentrazione massima con la quale si elimina un carico osmotico di 1000-1200 mOsm/l, quale risulta dall’alimentazione abituale, con un volume urinario di 700 ml. Al mantenimento dell’omeostasi idrosalina partecipano due sistemi ormonali i cui effetti si esplicano a livello renale: l’ormone antidiuretico e l’aldosterone. L’ormone antidiuretico (ADH), elaborato dai centri nervosi ipotalamici e immagazzinato nell’ipofisi posteriore, è immesso in circolo in risposta a modesti aumenti dell’osmolarità plasmatica. La sua presenza a livello del tubulo distale determina un rapido passaggio di acqua verso l’interstizio renale con il risultato che vengono eliminati piccoli volumi di urine molto concentrate. L’aldosterone, invece, ormone prodotto dalla corteccia surrenale, interviene sull’escrezione urinaria del sodio di cui favorisce il riassorbimento a livello del tubulo distale, in scambio di ioni H+ e K+. Eliminazione per via extrarenale Le vie cutanea, polmonare ed enterica rappresentano le vie extrarenali di eliminazione di acqua ed elettroliti. Per via cutanea l’eliminazione di acqua avviene per semplice evaporazione (perspirazione insensibile) e per escrezione di sudore (perspirazione sensibile). La perspirazione insensibile fa parte dei processi di termoregolazione e determina una “perdita obbligatoria” di acqua che, in condizioni normali, è di 400-500 ml/giorno. La sudorazione comporta anche un’eliminazione di elettroliti (Na+ e Cl– in concentrazioni assai inferiori a quelle del plasma, K+ e Ca2+). 378 P02Cap23-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 379 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl Acqua ed elettroliti • CAPITOLO 23 Per via polmonare l’acqua viene eliminata tramite l’aria espirata, che è satura di vapore acqueo. Anche per questa via viene eliminata obbligatoriamente solo acqua (300-400 ml/giorno). Per via enterica, in circostanze normali, l’eliminazione di acqua e di elettroliti con le feci è modesta. Vengono eliminati circa 100-200 ml di acqua/die; la concentrazione di K+ è superiore a quella di Na+. L’eliminazione idroelettrolitica per via digestiva assume importanza soltanto in situazioni patologiche per vomito, diarrea, fistole digestive o aspirazioni gastroenteriche. Ricordiamo che si considerano obbligate le perdite di acqua che avvengono comunque, indipendentemente dagli apporti idrici (per esempio, con la perspirazione insensibile o la respirazione) e che sono sempre da compensare. Per un soggetto sano, che si attiene a un’alimentazione equilibrata, in un clima temperato e con attività fisica moderata, si considerano normali i seguenti valori di eliminazione di acqua: • attraverso la cute: 500-600 ml; • attraverso i polmoni: 400-600 ml; • con le feci: 100-200 ml; • con le urine: 1000-1600 ml; con una eliminazione totale nelle 24 ore di 2000-3000 ml. In condizioni normali non vi è apprezzabile differenza tra la quantità di acqua ingerita e quella eliminata e, quindi, il bilancio idrico è in equilibrio. FOCUS CLINICI LE SOLUZIONI PER INFUSIONE PARENTERALE (ENDOVENOSA) IMPIEGATE NEL TRATTAMENTO DEGLI SQUILIBRI IDROELETTROLITICI 379 P02Cap24-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 381 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl 24 ALCOL ETILICO O ETANOLO INTRODUZIONE L’etanolo o alcol etilico è una sostanza ad alto contenuto energetico, presente nelle bevande alcoliche (vino, birra, superalcolici ecc.). L’uso di bevande a contenuto alcolico è ampiamente diffuso e fa parte della dieta e della cultura di molti Paesi. In Italia, in modo particolare, è consuetudine bere uno o più bicchieri di vino durante i pasti, anche se attualmente questa abitudine è sempre più soppiantata, specie tra i giovani, da quella di bere alcolici (birra, cocktail) al di fuori dei pasti e in quantitativi abbondanti. L’etanolo dev’essere considerato un nutriente di natura particolare perché, oltre a produrre energia nel corso del suo metabolismo, può provocare effetti farmacologici o addirittura tossici in funzione della quantità ingerita. Conoscere gli effetti dell’alcol sull’uomo diventa tanto più necessario dal momento che frequentemente, nella pratica sanitaria, si osservano le conseguenze patologiche dell’abuso di bevande alcoliche. UTILIZZAZIONE DELL’ETANOLO L’assorbimento dell’etanolo avviene già in quantità moderata a livello dello stomaco e si completa rapidamente nel primo tratto dell’intestino; una volta assorbito l’alcol passa nel sangue e quindi al fegato, dove viene obbligatoriamente ossidato con liberazione di energia. L’assorbimento è più rapido quando lo stomaco è vuoto (controindicato bere a digiuno!) e più lento quando la bevanda è assunta durante o poco dopo il pasto. L’etanolo contenuto nelle bevande alcoliche è quindi fonte di energia: 1 g di alcol fornisce 7 kcal. Per stabilire la quantità (in grammi) di alcol ingerita per volta e per giorno è necessario ricordare che per gradazione alcolica di una bevanda si intende il volume in millilitri di etanolo contenuto in 100 ml di bevanda. Poiché 1 ml di etanolo pesa circa 0,8 g, il valore energetico di 1 grado alcolico è di 5,6 (= 7 ¥ 0,8) kcal. A titolo esemplificativo riportiamo il valore energetico di alcune bevande alcoliche: • • • • 1 bicchiere (125 ml) di vino a 12°: 90 kcal; 1 dose (50 ml) di whisky a 40°: 112 kcal; 1 dose (25 ml) di grappa a 42°: 57 kcal; 1 boccale (250 ml) di birra (contiene anche carboidrati) a 4°: 85 kcal. 381 P02Cap24-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 382 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione EFFETTI FARMACOLOGICI, TOLLERANZA, DIPENDENZA Generalmente nei soggetti che non assumono abitualmente bevande alcoliche, il metabolismo (ossidazione) dell’etanolo a livello epatico si svolge piuttosto lentamente, a una velocità quasi costante, cosicché la concentrazione dell’alcol nel sangue (alcolemia), che raggiunge i massimi livelli tra 1/2 ora e 2 ore dall’assunzione, diminuisce in un periodo di tempo abbastanza lungo: occorrono almeno 4 ore per eliminare dal sangue l’alcol contenuto in poco più di 250 ml di vino a 12° (2 bicchieri). La lenta metabolizzazione, associata al rapido assorbimento, in caso di assunzioni di elevate quantità di alcolici può facilmente determinare aumenti dell’alcolemia con le manifestazioni dell’etilismo acuto. Esse dipendono dai livelli dell’alcolemia e variano dall’iniziale euforia all’eccitamento con alterazioni del comportamento, allo stato confusionale fino al sonno profondo e al coma. Se però l’assunzione di bevande alcoliche diviene regolare, entrando a far parte delle abitudini personali, il metabolismo dell’etanolo a livello epatico diviene più rapido cosicché il soggetto può “tollerare” quantità maggiori di etanolo senza andare incontro agli episodi di “ebbrezza acuta”, che si manifestano soltanto quando le dosi abituali vengono largamente superate. Con il perdurare nel tempo dell’abitudine alle bevande alcoliche, si sviluppano altri meccanismi che portano il soggetto a “tollerare” dosi piuttosto elevate di etanolo senza l’apparente manifestazione di alcun disturbo. Si ritiene che ciò possa verificarsi per una sorta di adattamento neuronale che consente un normale svolgimento delle varie funzioni cerebrali anche in presenza di elevate concentrazioni di etanolo nel sangue. A questo punto, se non intervengono processi cognitivi tendenti a limitare o comunque a controllare l’assunzione di bevande alcoliche, si instaurano le premesse per consumi sempre più massicci di etanolo fino a dosi da ritenere sicuramente “eccessive” rispetto alle consuetudini dietetiche e sociali della comunità alla quale il soggetto appartiene. Questa situazione può accompagnarsi per qualche tempo a una normale efficienza psicofisica, ma è piuttosto raro che l’esposizione prolungata a elevati livelli plasmatici di etanolo non provochi la comparsa di qualche forma di patologia alcol-correlata. Inoltre, anche se più raramente, può accadere che, per un normale svolgimento della vita di relazione, il soggetto debba ricorrere all’alcol, come se l’attività neuronale, e quindi le varie funzioni nervose, non possano svolgersi senza l’apporto di etanolo. Si crea così alcol-dipendenza nella quale, in analogia con le altre tossicodipendenze, l’alcol funziona come una droga. L’alcolismo, associato a una forte pulsione verso l’assunzione di alcolici e alla comparsa della sindrome di astinenza quando se ne sospende l’assunzione, caratterizza l’alcol-dipendenza. Da ricordare inoltre che l’etanolo provoca effetti depressivi sulle funzioni cerebrali. La sua azione si aggiunge a quella dei farmaci depressivi del sistema nervoso centrale (barbiturici, benzodiazepine, ipnotici). EFFETTI DELL’ETANOLO SULLO STATO DI NUTRIZIONE Nei soggetti abituali consumatori di bevande alcoliche, l’apporto energetico dell’alcol, unito a quello fornito dall’alimentazione, può contribuire allo sviluppo di sovrappeso o franca obesità. Tuttavia, quando l’assunzione di bevande alcoliche diviene incontrollata si può verificare una diminuzione di peso associata allo sviluppo di malnutrizione: l’anoressia tipica dell’etilista cronico contribuisce alla 382 P02Cap24-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 383 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl Alcol etilico o etanolo • CAPITOLO 24 sensibile diminuzione degli apporti di alimenti e ha un ruolo importante nel determinare il calo ponderale. Inoltre l’etanolo: • • interferisce negativamente sui processi di assorbimento e di immagazzinamento della vitamina A, dell’acido folico e di alcune altre vitamine del gruppo B (B1, B6 e PP); influisce sulla concentrazione di alcuni minerali, con meccanismi diversi, spesso associati a carenze alimentari. Non è eccezionale nel bevitore incallito il riscontro di diminuzioni della concentrazione plasmatica di potassio, magnesio, fosforo e zinco. Il forte bevitore è spesso malnutrito perché le calorie (vuote) fornite dall’alcol si sostituiscono a quelle provenienti dagli altri alimenti ricchi di nutrienti. Infine, l’assunzione di bevande alcoliche anche a dosi modeste predispone, in certi soggetti, all’aumento della concentrazione plasmatica di trigliceridi (ipertrigliceridemia) e dell’acido urico (iperuricemia). USO CORRETTO DELLE BEVANDE ALCOLICHE La natura particolare che si attribuisce all’etanolo come nutriente si riflette nelle formulazioni delle raccomandazioni ufficiali nelle quali, a differenza degli altri nutrienti, per l’etanolo manca ogni accenno all’“assunzione giornaliera raccomandata”. I LARN “ammettono” un consumo giornaliero di etanolo per l’adulto di 40 g per l’uomo e di 30 g per la donna. Questa quantità corrisponde a un totale di non più di 3 bicchieri di vino al giorno per gli uomini e di 2 bicchieri per le donne, da ripartire nei due pasti principali. Nell’anziano la quantità ammissibile si riduce a 30 g nei maschi e 25 g nelle femmine. Vi sono inoltre situazioni fisiologiche e patologiche in cui non andrebbe consumato nessun tipo di bevanda alcolica (gravidanza, età inferiore a 18 anni, diabete mellito, assunzione di alcuni farmaci, guida di autoveicoli). Non appare opportuno, infine, allargare l’assunzione di alcol, anche in piccole quantità, alla popolazione che non ne fa uso. A questo concetto di quantità tollerabile, perché scarsamente tossica, studi epidemiologici degli ultimi decenni hanno associato l’osservazione che il consumo di piccole quantità di alcol possa avere addirittura un ruolo protettivo nei confronti di alcune malattie. In particolare, moderate assunzioni di alcolici (inferiori a 40 g/die di etanolo) sarebbero associate a una ridotta mortalità per malattie cardiovascolari; ciò potrebbe trovare una parziale spiegazione nell’effetto positivo esercitato da tali quantità di etanolo sui livelli plasmatici delle lipoproteine ad alta densità (HDL) e sui parametri emocoagulativi (aumenta la fluidità del sangue). Non è però ancora completamente chiarito se l’effetto protettivo sia associabile solamente all’alcol di per sè o se invece non sia da attribuire, come indicherebbe la maggior parte delle evidenze, alla natura della bevanda alcolica: le bevande fermentate, come il vino o la birra, contengono oltre all’alcol altre sostanze a effetto protettivo (risveratrolo e altri antiossidanti naturali). È necessario infine sottolineare che i Paesi a più alto consumo di alcol e minore mortalità coronarica (paradosso francese) presentano per contro una maggiore mortalità alcol-correlata. Purtroppo una parte non indifferente della nostra popolazione supera il limite di consumo sopraindicato, anche se molti di questi soggetti non sembrano incorrere in alcuna conseguenza negativa. Viene allora spontaneo domandarsi quale 383 P02Cap24-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 384 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione quantità di etanolo sia eccessiva, ovvero “quale sia il livello oltre il quale l’abitudine di bere alcolici porta alla malattia o diviene essa stessa malattia (alcol-dipendenza)”. Non è facile stabilire il livello di demarcazione tra la quantità dannosa e quella non dannosa di bevande alcoliche assunte giornalmente perché, oltre al criterio quantitativo, si devono prendere in considerazione altre variabili strettamente correlate all’individuo, come la massa corporea, lo stato di nutrizione e l’alimentazione abituale. Un altro criterio di notevole importanza nella discriminazione è dato dalla conoscenza dei modi e delle circostanze nelle quali il soggetto è portato ad assumere bevande alcoliche. A questo proposito è utile definire con una certa precisione i termini uso e abuso di bevande alcoliche. Uso è l’assunzione abituale od occasionale di bevande alcoliche “per ciò che esse sono”, ossia per le caratteristiche organolettiche (gusto, colore, aroma) e voluttuarie, in quantità e con modalità consone al contesto sociale e culturale di appartenenza, in situazioni appropriate e con la conservazione della capacità di controllo dell’assunzione. L’abuso è considerato un uso patologico e consiste nel: • • • ricercare nell’alcol gli effetti specifici (farmacologici!) sulla psiche, come l’effetto euforizzante o tranquillizzante, o di procacciatore del senso di benessere; ricorrere all’alcol, proprio per questi suoi effetti, ogni volta che si deve affrontare uno stato di disagio, oppure sgradevoli situazioni interpersonali; aver perso la capacità di controllo dell’assunzione e quindi continuare a bere eccessivamente nonostante il rischio di danni fisici o sociali o anche in presenza di tali danni. Sul piano pratico, rientrano nel quadro di abuso di alcol i seguenti comportamenti: • • • • bere alcolici al mattino e/o fuori pasto più volte al giorno; bere da soli in casa o al bar; concedersi eccessi alcolici costantemente nei week-end o a ogni occasione conviviale oppure quando si deve affrontare una prova impegnativa o in una situazione emotiva; continuare ad assumere dosi rilevanti di alcolici pur avendo patologie che ne controindicano l’uso, oppure in situazioni di crisi dei rapporti familiari o di lavoro provocate dall’abuso di alcol. Si delinea così il classico quadro dell’alcolismo che, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) è un disordine comportamentale cronico manifestato da un’assunzione ripetuta di bevande alcoliche in eccesso rispetto agli usi dietetici e sociali della comunità e a un grado tale da interferire con la salute del bevitore o con la sua funzione sociale o economica. 384 P02Cap24-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 385 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl Alcol etilico o etanolo • CAPITOLO 24 FOCUS CLINICI PATOLOGIA ALCOL-CORRELATA Le diverse malattie provocate dall’abuso di alcol sono raggruppate sotto la denominazione di patologie alcol-corrrelate. Sistema nervoso centrale e periferico • Un tipo particolare di encefalopatia acuta, spesso associata a una psicosi caratterizzata da gravi alterazioni della memoria (sindrome di Wernicke-Korsakoff), è determinata dall’associazione dell’eccesso alcolico con deficienze nutrizionali, in particolare di vitamina B1. Anche la degenerazione cerebellare può essere provocata da tale associazione. La compromissione dei processi cognitivi e mnemonici (cioè della memoria) dell’etilista può sfociare a lungo andare nella demenza alcolica. • L’interessamento del sistema nervoso periferico si manifesta nel 5-15% degli alcolisti con polineuropatie caratterizzate da disturbi della sensibilità e della motilità delle estremità distali degli arti. • Sul piano psichiatrico, l’etanolo può provocare psicosi acute con allucinazioni, stati depressivi, sindromi ansioso-ossessive. Apparato digerente • Le lesioni a carico dell’apparato digerente provocate dall’eccesso di etanolo sono: i processi infiammatori a carico dell’esofago, favoriti anche dal reflusso gastroesofageo indotto dall’alcol (esofagite da reflusso); le gastriti con atrofia della mucosa; l’accelerazione del transito intestinale (diarrea dell’alcolista) con compromissione dell’assorbimento di nutrienti. • Molto più gravi sono le manifestazioni cliniche del danno pancreatico (pancreatiti acute e croniche) e a carico del fegato (steatosi, epatite alcolica, cirrosi). Apparato cardiovascolare • L’etanolo diminuisce la contrattilità del miocardio e provoca vasodilatazione periferica. Ne consegue una diminuzione della pressione arteriosa. Tuttavia l’assunzione cronica di alcol in eccesso determina ipertensione arteriosa, aritmie cardiache e miocardiopatia dilatativa. • È segnalata un’associazione significativa tra l’insorgenza di accidenti cerebrovascolari (ictus) e l’assunzione eccessiva di etanolo nelle 24 ore precedenti. Altri apparati • L’anemia macrocitica è abbastanza frequente nell’etilista cronico e dipende dalla deficienza di acido folico indotta dall’alcol. • L’alcolismo cronico compromette la funzione sessuale nell’uomo e può determinare amenorrea nella donna. • Anche il muscolo scheletrico è interessato dagli eccessi alcolici (miopatie). • Di particolare importanza è la sindrome alcolica fetale determinata dall’eccessiva introduzione di alcol da parte delle madri durante la gravidanza e caratterizzata da microcefalia (cranio piccolo), grave ritardo dello sviluppo mentale e lesioni valvolari al cuore del neonato. • Infine le neoplasie sono più frequenti nell’etilista rispetto alla popolazione generale con aumento dell’incidenza di tumori a livello di capo-collo, esofago, stomaco, pancreas, fegato e, secondo dati recenti, anche della mammella. 385 P02Cap25-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 387 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl 25 CONSERVAZIONE DEGLI ALIMENTI INTRODUZIONE Tutti gli alimenti freschi sono deperibili. Nell’arco di tempo che intercorre tra la raccolta o la macellazione e il consumo, le derrate alimentari subiscono una serie di trasformazioni che le deteriorano e le rendono non commestibili se non vengono correttamente conservate. Gran parte degli alimenti abitualmente consumati è sottoposta quindi a procedimenti tecnologici a scopo di conservazione o di modificazione di alcune qualità organolettiche. Le tecnologie impiegate per la conservazione degli alimenti hanno lo scopo principale di eliminare le cause del deterioramento al quale sono esposti, in misura maggiore o minore, quasi tutti gli alimenti. Il deterioramento è determinato soprattutto dalla persistenza dell’attività di certi enzimi che modificano la composizione chimica degli alimenti e dalla presenza di microrganismi che utilizzano per la loro riproduzione alcune sostanze contenute negli alimenti stessi. Presupposto indispensabile per ottenere un buon risultato dai vari procedimenti tecnologici applicati a un prodotto alimentare è quello di conservare o migliorare le caratteristiche organolettiche originali, mantenendo il più possibile inalterato il suo valore nutrizionale. Grazie a una continua evoluzione del settore e alle nuove tecnologie, i possibili effetti negativi dei procedimenti di conservazione tendono a essere sempre più ridotti, garantendo comunque la salubrità dei prodotti per periodi sempre più lunghi. Sinteticamente, i principi su cui si basano le tecniche di conservazione degli alimenti sono: • • • trattamento al calore: – cottura – pastorizzazione – sterilizzazione – blanching o “scottatura” rimozione dell’acqua: – disidratazione – concentrazione utilizzo delle basse temperature: – refrigerazione – congelazione – surgelazione 387 P02Cap25-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 388 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione • • • controllo del pH: – aggiunta di acidi – fermentazione irradiazione aggiunta di additivi chimici. I trattamenti termici (freddo o calore) sono i mezzi più comuni per conservare gli alimenti. TRATTAMENTO DEGLI ALIMENTI CON IL CALORE L’esposizione sia al calore solare sia a quello del fuoco è uno dei mezzi più antichi che l’uomo abbia applicato per realizzare la conservazione degli alimenti. Con il calore, oltre a rendere commestibili e a migliorare la palatabilità di numerosi alimenti, si determina l’inattivazione di enzimi e la distruzione totale o parziale della flora microbica. Cottura degli alimenti Gli alimenti, sottoposti a trattamento termico, subiscono numerose trasformazioni che riguardano le qualità organolettiche, il valore nutrizionale, il grado di digeribilità e anche l’eventuale tossicità per la presenza di batteri o di sostanze tossiche o comunque dannose. Questa serie di effetti dipende dalla temperatura e dalla durata del riscaldamento e si verifica anche durante i normali processi di cottura degli alimenti. La cottura in generale migliora le qualità organolettiche (sapore, odore ecc.) e facilita la digeribilità e la masticazione degli alimenti; rende inoltre edibili (mangiabili) alcuni alimenti che, altrimenti, non potrebbero essere consumati (legumi, cereali ecc.). Determina, infine, la scomparsa o la diminuzione della carica batterica e di certe sostanze tossiche. Accanto a questi effetti che si possono ritenere complessivamente favorevoli, durante la cottura si verificano alcune modificazioni chimico-fisiche che alterano parzialmente le caratteristiche nutrizionali dell’alimento. Il grado più o meno marcato di queste modificazioni dipende dalle tipologie di cottura utilizzate, in ambiente secco (per esempio, forno) o umido (per esempio, bollitura), tenendo presente che in campo industriale, diversamente della cottura domestica, la standardizzazione dei tempi e delle temperature e lo sviluppo di nuove tecnologie consentono di ottenere gli effetti desiderati minimizzando il danno ai nutrienti. Alcuni alimenti (non tutti) subiscono variazioni di volume e di peso durante la cottura: cereali e legumi aumentano di volume e di peso in quanto assorbono una certa quantità di acqua di cottura, con una sorta di “diluizione” dei loro componenti nutritivi; mentre le carni diminuiscono di volume e di peso per la perdita di acqua. È possibile, inoltre, che durante i processi di cottura alcuni composti chimici presenti nell’alimento interagiscano tra di loro dando luogo alla formazione di prodotti con proprietà nutrizionali diverse da quelle dei composti di partenza. Queste variazioni possono avvenire anche per interazioni dei componenti chimici dell’alimento con il sugo nel quale esso viene cotto oppure per cottura simultanea in un medesimo recipiente di alimenti differenti. La denaturazione delle proteine è la caratteristica modificazione indotta dalla cottura degli alimenti proteici come le carni. Tale processo consiste nella 388 P02Cap25-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 389 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl Conservazione degli alimenti • CAPITOLO 25 perdita della struttura tridimensionale delle proteine, che vengono così più facilmente demolite dai succhi digestivi e rese più digeribili. Tuttavia, se un alimento proteico come la carne è cotto in un sugo che contiene zucchero (come nel caso di un arrosto al latte nel quale è presente lattosio) oppure insieme a un alimento glucidico (per esempio, una cotoletta impanata), il processo di denaturazione facilita l’interazione tra gruppi aminici di alcuni aminoacidi essenziali e lo zucchero presente nell’alimento, con formazione di composti chimici privi di ogni valore nutrizionale in quanto non assorbiti dall’intestino. Tali processi sono noti come reazione di imbrunimento o di Maillard. La cottura negli oli e nei grassi da condimento, specialmente se eseguita a temperature elevate e protratta nel tempo, oppure effettuata ripetutamente nello stesso olio, può dare luogo alla formazione di composti tossici. Altri tipi di perdite del valore nutrizionale degli alimenti sottoposti a cottura riguardano la distruzione parziale di vitamine. A questo proposito è bene ricordare che alcune vitamine sono termolabili mentre altre sono termostabili, e che le perdite vitaminiche nei prodotti di origine vegetale sono influenzate anche dalla quantità di acqua utilizzata per la cottura e dal grado di acidità o di alcalinità del mezzo di cottura. Nonostante tutto, le alterazioni del valore nutritivo dei vari alimenti sottoposti all’azione del calore sono modeste purché le temperature non siano particolarmente elevate e soprattutto non vengano mantenute per tempi eccessivamente lunghi. La cottura in forni a microonde costituisce un più recente metodo di cottura al quale si attribuisce la proprietà di preservare meglio il contenuto nutrizionale dell’alimento. Le principali alterazioni del contenuto in nutrienti degli alimenti in relazione alla tipologia di cottura sono riportate nella tabella 25.1. Pastorizzazione La pastorizzazione è un processo che viene effettuato a temperature inferiori a 100 °C. Con questo procedimento si ottengono la distruzione dei microrganismi patogeni, una sensibile riduzione di tutta la flora microbica, anche di quella non patogena, e l’inattivazione degli enzimi presenti nell’alimento. Il tempo e la temperatura di pastorizzazione dipendono dalla composizione chimica dell’alimento da trattare; per il latte la tecnica tradizionale prevede una temperatura di 75 °C applicata per 15-20 secondi, ma attualmente si preferisce il trattamento a 85 °C per 4 secondi. Con temperature più alte e tempi più brevi, si preservano maggiormente le caratteristiche nutrizionali e organolettiche del prodotto. Oltre al latte possono essere sottoposti a pastorizzazione il vino, la birra e i succhi di frutta. Sterilizzazione La sterilizzazione si attua con l’impiego di temperature superiori a 100 °C e determina, oltre all’inattivazione degli enzimi, la distruzione completa di tutta la flora batterica, patogena e non patogena. La sterilizzazione è applicata in genere su alimenti inscatolati (frutta sciroppata, piselli, fagioli ecc.). Nel caso del latte si effettua con l’impiego di temperature elevate per tempi brevi (UHT, ultra-high-temperature): 145 °C per 1-2 secondi. Il latte così trattato si conserva a lungo (latte a lunga conservazione) a differenza del latte pastorizzato che può essere conservato in frigorifero solo per qualche giorno. In linea generale, la sterilizzazione, rispetto alla pastorizzazione, permette 389 P02Cap25-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 390 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione TABELLA 25.1 ALTERAZIONI DEL CONTENUTO NUTRIZIONALE DEGLI ALIMENTI SOTTOPOSTI A DIVERSE TECNICHE DI COTTURA Tecnica di cottura Principali modifiche dell’alimento In mezzo umido: • Bollitura • Perdita di nutrienti idrosolubili (per esempio vitamine C, B1, folati) nell’acqua di cottura, in relazione alla quantità di acqua, ai tempi di cottura e alla superficie di contatto dell’alimento • Cottura a vapore o a pressione • Riduzione dei tempi di cottura; possibili minori perdite di nutrienti • Cottura in umido (brasata o stufata) • Perdita di vitamine, di alcuni minerali e di proteine che si diffondono nel sugo di cottura In mezzo secco: • Cottura al forno: convenzionale (gas, elettrico) o a microonde • Perdita progressiva di acqua (essiccamento) • Perdita di vitamine più contenuta con temperature e tempi di cottura più brevi (per esempio, forni a termoconvezione, microonde) • Reazione di Maillard • Arrostimento (alla griglia, alla piastra) • Minori perdite di nutrienti nella cottura alla piastra; nella cottura alla griglia possibile formazione di composti nocivi • Frittura • Perdita di vitamine termolabili • Assorbimento nell’alimento di parte del grasso di cottura • Alterazioni del grasso in grado più o meno marcato in relazione a: temperatura raggiunta, tempi di esposizione, tipo di grasso, presenza di acqua e/o aria. • Formazione di composti potenzialmente nocivi (perossidi, idroperossidi, aldeidi, acroleina ecc.) che possono essere assorbiti dall’alimento la conservazione degli alimenti per più lungo tempo (se la confezione è mantenuta chiusa), ma le caratteristiche del prodotto e il contenuto in nutrienti subiscono maggiori alterazioni. Blanching La “scottatura” o blanching consiste in una breve precottura a cui vengono sottoposti i vegetali prima di essere surgelati, essiccati o confezionati in scatola, allo scopo di inattivare gli enzimi responsabili del deterioramento dell’alimento. TRATTAMENTO DEGLI ALIMENTI CON IL FREDDO Trattare l’alimento con il freddo, in modo da ridurre o bloccare l’attività degli enzimi e la moltiplicazione microbica, è uno dei metodi più efficaci di conservazione degli alimenti. Si distinguono tre tecniche di raffreddamento: la refrigerazione, il congelamento e il surgelamento. 390 P02Cap25-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 391 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl Conservazione degli alimenti • CAPITOLO 25 Refrigerazione La refrigerazione si ottiene portando l’alimento a temperatura compresa tra 0-5 °C, condizioni che si raggiungono in un normale frigorifero. Le reazioni chimiche ed enzimatiche sono notevolmente rallentate come anche le modificazioni a carico dell’alimento. Con la refrigerazione si aumenta la conservabilità dei prodotti per brevi periodi. Congelamento Il congelamento si ottiene raffreddando l’alimento al di sotto del punto di congelamento dei liquidi in esso contenuti (si trasforma l’acqua in cristalli di ghiaccio). Questo metodo è applicato a carni, uova, burro ecc. Surgelazione La surgelazione si attua mediante un abbassamento rapido (in meno di 4 ore) della temperatura dell’alimento a –18 °C; in tal modo il congelamento dell’acqua contenuta nelle cellule animali e vegetali dei vari alimenti forma dei microcristalli che non danneggiano le pareti cellulari. Ne risulta un prodotto che si mantiene inalterato per molti mesi purché sia costantemente mantenuto alla temperatura di –18 °C fino al momento della sua utilizzazione (catena del freddo). Il surgelamento può essere applicato anche a cibi già cucinati, che possono poi essere utilizzati per il consumo domestico oppure nelle mense collettive, negli ospedali ecc. Il mantenimento delle qualità organolettiche e nutrizionali è una buona garanzia per questi usi. Infatti, gli alimenti conservati alle basse temperature non subiscono sostanziali modificazioni del loro valore nutrizionale. Al massimo, vi possono essere alcune riduzioni delle attività vitaminiche se il ritorno alla temperatura ambiente dell’alimento non è effettuato secondo determinate modalità oppure se l’alimento già cucinato dev’essere ulteriormente riscaldato prima di essere consumato. RIMOZIONE DELL’ACQUA DALL’ALIMENTO Disidratazione: essiccamento e liofilizzazione La rimozione dell’umidità (acqua) da un alimento riduce o elimina uno dei fattori favorenti la degradazione. Con la disidratazione, si ottiene per evaporazione (essiccamento) o sublimazione (liofilizzazione) la rimozione della quasi totalità dell’acqua presente nell’alimento. Vengono utilizzate diverse tecniche, applicate a numerose categorie di alimenti solidi o liquidi: frutta, ortaggi, latte, caffè, carni, pesci, uova ecc. La liofilizzazione, procedimento molto più sofisticato rispetto ad altre tecnologie, offre notevoli vantaggi sia per quanto riguarda il mantenimento delle qualità organolettiche e nutrizionali dell’alimento sia per quanto riguarda la durata della conservazione. Concentrazione Vengono sottoposti a concentrazione (rimozione di parte dell’acqua) succhi di frutta, pomodori e latte, con il vantaggio di ridurre peso e volume e quindi le spese di confezionamento, immagazzinamento e trasporto. 391 P02Cap25-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 392 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione CONTROLLO DEL pH L’abbassamento del pH a valori tali da bloccare i processi di degradazione dell’alimento si può ottenere con l’aggiunta di acidi, per esempio l’aceto di vino (contiene acido acetico) utilizzato generalmente per le conserve di verdure. La fermentazione, processo causato da microrganismi, era conosciuto e applicato fin dall’antichità per modificare le caratteristiche di gusto e conservabilità di alimenti come latte (per esempio, yogurt, formaggi ecc.), verdure (per esempio, crauti ecc.) e bevande (per esempio, vino, birra ecc.); determina un aumento dell’acidità del prodotto che non è tuttavia sufficiente da sola a garantirne le prolungata conservazione. In genere gli alimenti fermentati subiscono anche altri procedimenti di conservazione (per esempio, la pastorizzazione). IRRADIAZIONE L’utilizzo delle radiazioni ionizzanti è applicato sotto rigida regolamentazione a erbe aromatiche, spezie e alimenti vegetali (aglio, cipolle, patate) a scopo antigermogliativo e per ridurre i parassiti infestanti. ADDITIVI ALIMENTARI L’aggiunta di sostanze in grado di mantenere più a lungo inalterati i cibi e/o di esaltarne il sapore e l’aroma è una consuetudine antica. In epoca preindustriale si utilizzavano metodi di conservazione degli alimenti quali: • • • • • salatura delle carni e del pesce; aggiunta di succo di limone a frutta e verdura per evitarne l’imbrunimento; impiego di aceto nella preparazione di conserve vegetali; aggiunta di salnitro nelle carni insaccate; solfitazione dei mosti e dei vini. Tali metodi, derivati dall’esperienza, non erano privi di rischi e non garantivano la salubrità dei prodotti ottenuti in modo artigianale. Negli ultimi decenni, l’aggiunta di sostanze chimiche o “additivi alimentari” rappresenta una esigenza tecnologica conseguente all’evoluzione industriale e al mutare delle abitudini alimentari che hanno enormemente influenzato il ciclo di produzione e distribuzione degli alimenti. L’impiego di additivi si è così notevolmente esteso, rendendo oggi possibile, per esempio, produzione, stoccaggio e distribuzione di prodotti alimentari in aree geografiche molto distanti tra loro. Il Ministero della Salute definisce additivo alimentare “qualsiasi sostanza, normalmente non consumata come alimento, aggiunta intenzionalmente ai prodotti alimentari per un fine tecnologico nelle fasi di produzione, di trasformazione, di preparazione, di trattamento, di imballaggio, di trasporto o immagazzinamento degli alimenti, che si possa ragionevolmente presumere diventi un componente di tali alimenti”. Onde evitare la comparsa nel consumatore di atteggiamenti di diffidenza, viene anche precisato che: • 392 molti additivi sono costituenti naturali di alimenti: per esempio, l’acido citrico, la lecitina, le pectine, i tocoferoli; P02Cap25-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 393 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl Conservazione degli alimenti • CAPITOLO 25 • • gli additivi alimentari sono sostanze ampiamente studiate e documentate sotto il profilo tossicologico e il loro uso è costantemente sotto il controllo di Organizzazioni Internazionali e Nazionali. Per essi è fissata una dose accettabile giornaliera, che rappresenta la quantità di additivo che può essere ingerita giornalmente attraverso la dieta nell’arco di vita senza che compaiano effetti indesiderati; nella preparazione e conservazione degli alimenti è autorizzato l’impiego solo di quelle sostanze esplicitamente elencate in un’apposita lista positiva. Il principio autorizzativo della lista positiva è la prima garanzia a tutela del consumatore. L’additivo autorizzato è una sostanza di cui è stata valutata la sicurezza d’uso, di cui sono stati fissati i requisiti di purezza chimica, e di cui comunque è consentito l’uso solo nel caso di documentata esigenza tecnologica: ossia, anche se ritenuto non nocivo, l’additivo non è consentito se non è necessario. Di seguito vengono riportate le diverse classi di additivi comunemente utilizzati e le loro rispettive definizioni. Coloranti I coloranti sono sostanze che conferiscono un colore a un alimento o che ne restituiscono la colorazione originaria, e includono componenti naturali dei prodotti alimentari e altri elementi di origine naturale, normalmente non consumati come alimenti né usati come ingredienti tipici degli alimenti. Edulcoranti Gli edulcoranti sono sostanze utilizzate per conferire un sapore dolce ai prodotti alimentari o per la loro edulcorazione estemporanea. Altri additivi Vengono qui elencate alcune sostanze che rientrano tra gli additivi alimentari diversi da coloranti ed edulcoranti: • • • • • • • • conservanti: prolungano il periodo di conservazione dei prodotti alimentari proteggendoli dal deterioramento provocato da microrganismi; antiossidanti: prolungano il periodo di conservazione dei prodotti alimentari proteggendoli dal deterioramento provocato dall’ossidazione, come l’irrancidimento dei grassi e le variazioni di colore; coadiuvanti (compresi i solventi veicolanti): vengono utilizzati per sciogliere, diluire, disperdere o altrimenti modificare fisicamente un additivo alimentare senza alterarne la funzione tecnologica (e senza esercitare essi stessi alcun effetto tecnologico) allo scopo di facilitarne la manipolazione, l’applicazione e l’impiego; acidificanti: aumentano l’acidità di un prodotto alimentare e/o gli conferiscono un sapore aspro; correttori di acidità: modificano o controllano l’acidità o l’alcalinità di un prodotto alimentare; antiagglomeranti: riducono la tendenza di particelle individuali di un prodotto alimentare ad aderire l’una all’altra; antischiumogeni: impediscono o riducono la formazione di schiuma; agenti di carica: contribuiscono ad aumentare il volume di un prodotto alimentare senza modificare in modo significativo il suo valore energetico disponibile; 393 P02Cap25-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 394 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione • • • • • • • • • • • • • • • 394 emulsionanti: rendono possibile la formazione o il mantenimento di una miscela omogenea di due o più fasi immiscibili, come olio e acqua, in un prodotto alimentare; sali di fusione: disperdono le proteine contenute nel formaggio realizzando in tal modo una distribuzione omogenea dei grassi e altri componenti; agenti di resistenza: rendono o mantengono saldi e croccanti i tessuti dei frutti e degli ortaggi o interagiscono con agenti gelificanti per produrre o consolidare un gel; esaltatori di sapidità: esaltano il sapore o la fragranza, o entrambi, di un prodotto alimentare; agenti schiumogeni: rendono possibile l’ottenimento di una dispersione omogenea di una fase gassosa in un prodotto alimentare liquido o solido; gelatificanti: danno consistenza a un prodotto alimentare tramite la formazione di un gel; agenti di rivestimento (inclusi gli agenti lubrificanti): applicati sulla superficie esterna di un prodotto alimentare, gli conferiscono un aspetto brillante o forniscono un rivestimento protettivo; umidificanti: impediscono l’essiccazione dei prodotti alimentari contrastando l’effetto di una umidità atmosferica scarsa o promuovono la dissoluzione di una polvere in un ambiente acquoso; amidi modificati: sostanze ottenute mediante uno o più trattamenti chimici di amidi alimentari, che possono aver subìto un trattamento fisico o enzimatico e possono essere fluidificati per trattamento acido o alcalino, sbiancati; gas d’imballaggio: gas differenti dall’aria introdotti in un contenitore prima, durante o dopo aver inserito in tale contenitore un prodotto alimentare; propellenti: gas differenti dall’aria che espellono un prodotto alimentare da un contenitore; agenti lievitanti: sostanze, o combinazione di sostanze, che liberano gas aumentando il volume di un impasto o di una pastella; sequestranti: formano complessi chimici con ioni metallici; stabilizzanti: rendono possibile il mantenimento dello stato fisico-chimico di un prodotto alimentare. Comprendono le sostanze che rendono possibile il mantenimento di una dispersione omogenea di due o più sostanze immiscibili in un prodotto alimentare e includono anche sostanze che stabilizzano, trattengono o intensificano la colorazione esistente di un prodotto alimentare; addensanti: aumentano la viscosità di un prodotto alimentare. P02Cap26-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 395 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl 26 LA DIETA EQUILIBRATA O BILANCIATA INTRODUZIONE Una corretta alimentazione e, più in generale, lo stile di vita, sono tra i più importanti determinanti lo stato di salute. Una dieta “sana” è un fattore di prevenzione, non solo dei processi patologici collegati a carenze nutrizionali, ma anche di numerose malattie cronico-degenerative. È quindi fondamentale che sia opportunamente variata e sufficiente a soddisfare tutte le esigenze nutrizionali dell’organismo, senza costituire cause di “eccessi” o di squilibri. Per dieta equilibrata o bilanciata si intende comunemente uno schema dietetico elaborato in modo da contenere le sostanze nutritive in quantità adeguate a soddisfare i fabbisogni nutrizionali di un singolo individuo o di gruppi di popolazioni. BISOGNI NUTRIZIONALI E LIVELLI DI ASSUNZIONE GIORNALIERA RACCOMANDATA DI NUTRIENTI (LARN) L’impostazione di un piano dietetico equilibrato deve tener conto in primo luogo dei bisogni nutrizionali individuali. I fabbisogni nutrizionali, tuttavia, sono variabili da individuo a individuo e inoltre cambiano nel corso della vita. In linea generale essi dipendono dalla massa corporea e dall’età, da eventuali condizioni fisiologiche quali la gravidanza e l’allattamento e, in alcuni casi, sono influenzati anche dall’attività fisica. Per formulare una dieta equilibrata, oppure per valutare l’adeguatezza dei consumi alimentari (dieta abituale) di un individuo o di gruppi di popolazioni, si fa riferimento a degli standard nutrizionali, che sono le “quantità raccomandate di nutrienti da ingerire giornalmente” stabilite da comitati di esperti di vari Paesi e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) in base a dati sperimentali e indagini epidemiologiche. Per tener conto della variabilità interindividuale dei bisogni nutrizionali, nell’elaborazione di questi standard, a ciascun nutriente, energia esclusa, è stata attribuita una certa quantità “aggiuntiva” al di sopra del bisogno nutrizionale vero e proprio, tale da costituire un “margine di sicurezza”. Gli standard nutrizionali così determinati sono da intendere come livelli di assunzione dei singoli nutrienti sicuramente “adeguati” ai fabbisogni di tutte le persone “sane” appartenenti ai gruppi di età ai quali sono riferiti. Per la popolazione italiana sono stati elaborati i “Livelli di Assunzione giornaliera Raccomandati di energia e Nutrienti” (LARN), presentati nella versione più recente nella tabella 26.1. 395 396 0,5-1 1-3 9-16 13-23 4-6 16-22 21-28 7-10 23-33 29-42 11-14 35-53 44-65 15-17 55-66 64-72 18-29 65 62 30-59 65 62 60+ 65 62 11-14 35-51 43-58 15-17 52-55 56-57 18-29 56 53 30-49 56 53 50+ 56 53 Lattanti Bambini Maschi Femmine 70 Nutrici 5,5 5* 4 5 4,5 4,5 4,5 5 6 6 6 6 4 4 4 4 1 1 1 1 1 1 1 1 1,5 1,5 1,5 1,5 0,7 1 1 0,5 500 1200 1200 1000 800 1000 1200 1200 1200 1200 1200 1200 1000 800 1000 1200 1200 1000 800 1000 800 800 800 800 1000 1000 600 12 12 10 10 10 7 9 9 7 3100 3100 18 308* 3100 12/187 3100 18 3100 18 3100 18 3100 10 3100 3100 3100 3100 3100 800 1100 2000 800 12 7 9 7 7 7 7 9 9 10 10 10 4 6 7 4 1,5 1,2 0,8 1 1,2 1,2 1,2 0,8 1 1,2 1,2 1,2 0,4 0,6 0,7 0,3 70 55 35 45 55 55 55 35 45 55 55 55 10 15 25 8 200 175 150 150 150 150 150 150 150 150 150 150 70 90 120 50 1,1 1 0,9 0,9 0,9 0,9 0,8 1,1 1,2 1,2 1,2 0,8 0,6 0,7 0,9 0,4 1,7 1,6 1,2 1,3 1,3 1,3 1,3 1,4 1,6 1,6 1,6 1,6 0,8 1,0 1,2 0,4 16 14 14 14 14 14 14 15 18 18 18 18 9 11 13 5 1,4 1,3 1,1 1,1 1,1 1,1 1,1 1,3 1,5 1,5 1,5 1,5 0,7 0,9 1,1 0,4 2,6 2,2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 0,7 1 1,4 0,5 90 70 50 60 60 60 60 50 60 60 60 60 40 45 45 35 350 950 10* 10* 40012* 70014 0-15 0-15 0-10 0-10 10* 10* 0-10 0-10 10-25* 0-15 0-15 0-10 0-10 10* 600 700 700 700 700 400 400 500 350 600 600 600 600 600 180 200 200 200 200 180 200 200 200 200 100 130 150 50 Calcio Fosforo Potassio Ferro Zinco Rame Selenio Iodio Tiamina Riboflavina Niacina Vit. B6 Vit. B12 Vit. C Folati Vit. A Vit. D (mg) (mg)6 (mg) (mg) (mg) (mg) (mg) (mg)9 (mg) (mg) (NE) (mg)11 (mg) (mg) (mg) (RE) (mg)15 (mg)10 (mg)13 1200 1200 1000 800 1200-15005* Acidi grassi essenziali (g)4 w-6 w-3 Da: Società italiana di nutrizione umana, revisione 1996. 59 Gestanti 7-10 15-19 Età Peso Proteine (g)3 (anni)1 (kg)2 Categoria TABELLA 26.1 LIVELLI DI ASSUNZIONE GIORNALIERI RACCOMANDATI DI NUTRIENTI PER LA POPOLAZIONE ITALIANA (LARN) P02Cap26-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 396 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl I limiti superiori dell’intervallo di età si intendono fino al compimento del successivo compleanno (per esempio, con “1-3 anni” si intende da 1 anno appena compiuto fino al compimento del 4° anno). L’ultima classe di età della donna è “50+” poiché con la menopausa cambiano i fabbisogni di due importanti nutrienti: il calcio e il ferro. Nell’uomo l’ultima classe di età è “60+”. 1* Per coprire tali fabbisogni può talvolta essere necessario assumere alimenti fortificati o completare l’apporto dietetico con una supplementazione. 15 Per la vitamina D, gli intervalli comprendenti lo zero indicano che il gruppo di popolazione considerato dovrebbe essere in grado di produrre un’adeguata quantità di vitamina D in seguito all’esposizione alla luce solare. Il valore più elevato dell’intervallo è la stima dell’apporto raccomandato per gli individui con sintesi endogena minima. Il valore singolo indica che è prudente, per tutti i soggetti della classe considerata, assumere (con la dieta o mediante supplementazione) la quantità indicata di vitamina D. 14 In gravidanza, per i noti effetti teratogeni legati a eventuali dosi eccessive, vanno assunti supplementi di vitamina A solo dietro indicazione del medico, e comunque a dosi che non superino i 6 mg di RE. 13 La vitamina A è espressa in mg di retinolo equivalenti (RE = 1 mg di retinolo = 6 mg di betacarotene = 12 mg di altri carotenoidi attivi). 12 Un aumento dell’apporto di folati nel periodo periconcezionale costituisce un fattore di protezione dalla spina bifida nel nascituro. 11 Il fabbisogno in vitamina B6 è stato calcolato sulla base di 15 mg/g di apporto proteico e considerando che circa il 15% dell’apporto energetico è assicurato dalle proteine sia nel bambino che nell’adulto. 10 La niacina è espressa come niacina equivalenti in quanto comprende anche la niacina di origine endogena sintetizzata a partire dal triptofano (1 mg di niacina deriva da circa 60 mg di triptofano). 19 Poiché la dieta è spesso carente di iodio, per la copertura dei fabbisogni si consiglia l’uso di sale arricchito con iodio. 18 L’apporto di ferro in gravidanza che corrisponde alla minore morbilità e mortalità fetale e neonatale è tale da non potere essere facilmente coperto con un’alimentazione equilibrata, per cui si consiglia una supplementazione. 17 Il livello di assunzione raccomandato di ferro è di 18 mg nelle adolescenti mestruate e di 12 mg nelle altre. 16 Con l’eccezione del lattante, il livello di assunzione raccomandato di fosforo è uguale in grammi a quello del calcio, il che corrisponde a un rapporto molare fosforo/calcio 1/1,3. 15 Nelle donne in età postmenopausale si consiglia un apporto di calcio da 1200 a 1500 mg in assenza di terapia con estrogeni. Nel caso di terapia con estrogeni, il fabbisogno è uguale a quello degli anziani maschi (1000 mg). 14 Il fabbisogno di acidi grassi w 6 aumenta dopo la 10a settimana di gravidanza. 13 Per stimare il fabbisogno in proteine, il Livello di Sicurezza (LS) è stato corretto per la qualità proteica della dieta e moltiplicato per i pesi corporei riportati nella prima colonna. Sia nei bambini che negli adulti è comunque preferibile calcolare il fabbisogno sulla base del peso dell’individuo o del gruppo di individui, utilizzando la tabella 18.3 del capitolo “Proteine o protidi”. Il valore di peso da utilizzare è quello osservato, con l’eccezione dei soggetti sottopeso e obesi per i quali va utilizzato il peso desiderabile. 12 Nei lattanti, bambini e adolescenti, gli intervalli di peso sono i valori di riferimento: il limite inferiore dell’intervallo corrisponde al peso delle femmine nella classe d’età più bassa, mentre il limite superiore corrisponde al peso dei maschi nella classe di età più elevata. Nell’adulto è stato riportato il peso desiderabile medio dei maschi e delle femmine nella popolazione italiana. 11 P02Cap26-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 397 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl La dieta equilibrata o bilanciata • CAPITOLO 26 397 P02Cap26-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 398 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione TABELLA 26.2 VALORI INDICATIVI DI FABBISOGNO ENERGETICO (KCAL/DIE) PER ADULTI (18-60 ANNI) IN FUNZIONE DEL PESO E DEL TIPO DI ATTIVITÀ Peso (kg) Attività lieve Attività moderata Attività pesante Maschi 65-70 70-75 2300-2450 2400-2550 2800-3000 2900-3100 3300-3500 3400-3700 Femmine 50-55 55-60 1750-1850 1850-1950 1900-2050 2000-2150 2100-2250 2250-2400 I LARN non devono essere identificati con i bisogni nutrizionali effettivi dei singoli individui, in quanto sono quote raccomandate di nutrienti più che sufficienti per soddisfare i bisogni nutrizionali dei soggetti di ambo i sessi nei diversi gruppi di età. Non rappresentano un limite minimo al di sotto del quale esiste un reale rischio di malnutrizione, né necessariamente un livello ottimale di assunzione, quanto piuttosto un livello di sicurezza valido per l’intera popolazione o per gruppi di essa e non per individui singoli. I LARN si possono utilizzare per la formulazione di programmi dietetici e di educazione alimentare o per valutare l’adeguatezza degli introiti alimentari. Nell’ultima edizione dei LARN (1996) nella tabella finale non sono riportati i livelli raccomandati in energia per classi di età. Infatti, per l’energia, la notevole variabilità dei fabbisogni, anche nell’ambito di una singola classe di età, non consente di suggerire come adeguato un singolo valore di fabbisogno energetico. Sono indicati invece degli intervalli di raccomandazioni per gruppi ristretti e ben definiti di popolazione per ciascun anno di vita fino all’età adulta, e di qui in poi valori differenti a seconda del peso corporeo e del tipo di attività fisica svolta. Alcuni di questi valori, sottoposti ad arrotondamento, sono riportati nella tabella 26.2. GUIDA ALLA SCELTA GIORNALIERA DEGLI ALIMENTI Per mettere in pratica le diverse raccomandazioni riguardanti i livelli di nutrienti da assumere giornalmente con gli alimenti, si può far riferimento alle “Tabelle di Composizione degli Alimenti” (per esempio, dell’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione, INRAN, ed. 2000) e a calcoli complessi. Oppure, in modo più semplice, si può utilizzare una guida alimentare nella quale gli alimenti sono suddivisi in gruppi in base all’affinità della loro composizione nutrizionale. In ogni gruppo sono compresi alimenti equivalenti in quanto simili per il contenuto in nutrienti fondamentali e quindi, rispettando le opportune proporzioni, interscambiabili tra loro. Ciascun gruppo dev’essere presente nella nostra dieta in modo proporzionato, poiché un’alimentazione equilibrata è data non solo da un corretto apporto calorico, ma da un’adeguata ripartizione dei gruppi alimentari. La classificazione più largamente condivisa riunisce gli alimenti nei gruppi di seguito elencati. 398 P02Cap26-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 399 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl La dieta equilibrata o bilanciata • CAPITOLO 26 • Gruppo cereali, loro derivati e tuberi Comprende i semi, le farine dei diversi cereali e i prodotti da esse derivati: pane, grissini, cracker, paste alimentari, polenta, riso, orzo, mais ecc.; in questo gruppo si includono anche i tuberi commestibili come le patate. Gli alimenti di questo gruppo forniscono soprattutto carboidrati complessi sotto forma di amido e sono i nutrienti di base della nostra alimentazione e la principale fonte energetica; contengono anche discrete quote di proteine che, seppur di modesta qualità nutrizionale, possono essere migliorate dal contemporaneo consumo di proteine del latte o dei legumi (supplementazione/complementarietà proteica); sono presenti inoltre vitamine del complesso B, calcio e ferro. Fra gli alimenti di questo gruppo è opportuno utilizzare spesso anche quelli integrali, in quanto più ricchi di fibra. Una razione di 100 g di pane è equivalente a 70 g di pasta o riso, a 70 g di grissini o cracker, a 70 g di farina (frumento, mais ecc.), a 350 g di patate. Solitamente gli alimenti di questo gruppo, fornitori di energia, sono (o dovrebbero essere) consumati in quantità differenti in relazione alle necessità energetiche dei singoli soggetti. • Gruppo frutta e ortaggi Comprende tutte le verdure, gli ortaggi e la frutta ed è una fonte importantissima di fibra, di b-carotene (presente soprattutto in carote, peperoni, pomodori, albicocche, meloni ecc.), di vitamina C (presente soprattutto in agrumi, fragole, kiwi, pomodori, peperoni ecc.), di diversi minerali (calcio, ferro, fosforo, magnesio, e in particolare potassio) e anche di componenti minori (antiossidanti e altri), che svolgono preziose azioni protettive. Gli alimenti di questo gruppo (specie le verdure) hanno in genere un basso contenuto calorico e un elevato volume e pertanto hanno anche un certo potere saziante. Grazie alla loro grande varietà, in ogni stagione si possono avere diverse disponibilità e ampie possibilità di scelta: frutta e verdura devono essere presenti in abbondanza nell’alimentazione abituale, in almeno 4-5 porzioni da distribuire nei pasti della giornata, a cominciare dalla prima colazione o anche consumati come fuori pasto o merenda. • Gruppo carni, pesci, uova Comprende tutte le carni (manzo, vitello, maiale, coniglio, agnello ecc.), il pollame (pollo, gallina, tacchino, anitra ecc.), la selvaggina (lepre, fagiano ecc.), le frattaglie dei diversi animali (fegato, rognone, cuore ecc.), i pesci di acque dolci e marini, i molluschi e crostacei, le carni lavorate e trasformate (prosciutti, insaccati, carni essiccate, inscatolati ecc.) e, infine, le uova. Tutti questi alimenti, sia freschi che congelati, surgelati o conservati, sono importanti fonti di proteine di elevata qualità (in particolare quelle delle uova, che costituiscono lo standard di riferimento per valutare la qualità proteica), di ferro altamente biodisponibile e oligoelementi (zinco, rame) e inoltre di vitamine del complesso B (in particolare vitamine B1, PP e B12). Il contenuto di proteine di questi alimenti è di circa il 18-20%, con quote anche più elevate nei salumi/insaccati e nelle carni conservate, dove il processo di stagionatura, causando perdita di acqua, induce una maggior concentrazione dei nutrienti. Nell’ambito di questo gruppo sono da preferire le carni magre (siano esse bovine, avicole, suine ecc.) e il pesce. Va invece moderato, per quanto riguarda la quantità, il consumo di prodotti a maggiore tenore in grassi, quali certi tipi di carne e di insaccati. Per le uova, infine, un consumo accettabile per soggetti sani è quello di 2-4 uova alla settimana. 399 P02Cap26-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 400 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione • Gruppo dei legumi Comprende i fagioli, i ceci, le lenticchie, le fave, i piselli, la soia ecc., considerati validi sostituti delle carni. I legumi allo stato secco hanno un contenuto proteico quantitativamente simile a quello delle carni, anche se di qualità lievemente inferiore; contengono inoltre una discreta quota di carboidrati complessi (amido) e di fibra alimentare, vitamine del gruppo B, calcio e ferro. I legumi sono quindi alimenti con numerosi pregi nutrizionali e non dovrebbero mai mancare nella dieta: sono ricchi di energia, ottime fonti di proteine che per la loro composizione aminoacidica migliorano la qualità delle proteine dei cereali (mutua supplementazione delle proteine alimentari), sono poveri di grassi e hanno un notevole contenuto di ferro. Alcune riserve riguardano la loro digeribilità: la fibra e certi carboidrati non digeribili (stachiosio) in essi contenuti sono soggetti a processi di fermentazione da parte della flora batterica intestinale con conseguente produzione di gas. I legumi dovrebbero essere consumati almeno 1-2 volte a settimana associati ai cereali, come alternativa vegetale alle fonti proteiche animali (carni/formaggi). • Gruppo latte e derivati Comprende i tipi di latte di diversa provenienza animale e tutti i prodotti lattiero-caseari: yogurt, latticini e formaggi. Tutti questi alimenti forniscono proteine di elevata qualità, vitamine del gruppo B, in particolare B2 (riboflavina), vitamine liposolubili (A e D) e sono un’ottima fonte di calcio e di fosforo. Il latte ha un contenuto proteico di circa 3,5 g e di calcio di 120 mg/100 g. I formaggi ne contengono quantità proporzionalmente maggiori (anche 10 volte tanto) in funzione del fattore concentrazione: più è stagionato un formaggio, maggiore è la concentrazione dei nutrienti. Una razione di 250 ml di latte oppure di 50 g di formaggio fornisce poco meno di 10 g di proteine e poco meno di un terzo della quantità giornaliera raccomandata di calcio per l’adulto (oltre a una quota discreta di vitamine B2 e A). La presenza di latte e dei suoi derivati nella dieta è indispensabile per l’equilibrio e l’adeguatezza della razione alimentare; tuttavia, per l’elevato contenuto in grassi (prevalentemente “saturi”) dei prodotti lattiero-caseari, è preferibile il consumo di latte parzialmente scremato e di latticini e formaggi meno grassi. • Gruppo grassi da condimento Comprende gli oli di origine vegetale, le margarine e i grassi di origine animale (burro, panna, lardo, strutto ecc.). Il loro consumo dev’essere contenuto, in quanto sono una fonte concentrata di energia e, se in eccesso, un fattore di rischio per l’insorgenza di obesità, malattie cardiovascolari e tumori. Va comunque tenuto presente il loro ruolo nell’esaltare il sapore dei cibi e nell’apportare acidi grassi essenziali e vitamine liposolubili (vitamine A, D, E e K), delle quali favoriscono anche l’assorbimento. Sono da preferire i grassi di origine vegetale (in particolare l’olio extravergine d’oliva) rispetto a quelli di origine animale. Zucchero, dolciumi e bevande alcoliche, pur facendo parte della nostra alimentazione abituale, non sono presi in considerazione in quanto ritenuti di limitato valore nutrizionale, rappresentato quasi esclusivamente dal rispettivo valore energetico. 400 P02Cap26-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 401 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl La dieta equilibrata o bilanciata • CAPITOLO 26 FOCUS CLINICI LINEE GUIDA PER UNA SANA ALIMENTAZIONE Una corretta alimentazione è fondamentale per una buona qualità di vita e per invecchiare bene. Nella nostra società Europea lo sviluppo politico ed economico ha assicurato un’abbondante quantità di cibo rispetto al passato, che ha contribuito alla parallela crescita dell’aspettativa di vita. Le modificazioni delle abitudini di vita e il progressivo allontanamento dal tradizionale modello contadino (o “mediterraneo” per il nostro Paese) che hanno accompagnato tale sviluppo, sono però risultati avere un ruolo determinante nell’aumento dell’incidenza delle principali patologie degenerative, che rappresentano oggi la causa maggiore di mortalità, compresa quella prematura. Inoltre il progresso tecnologico, sia nelle attività lavorative che nelle altre attività quotidiane, ha portato a una significativa riduzione nel fabbisogno calorico, mentre la messa a fuoco del ruolo protettivo di certi micronutrienti, come quelli ad attività antiossidante, sta inducendo a rivalutarne i fabbisogni alimentari in modo più largo, al di là di quello richiesto per la semplice prevenzione di una loro carenza. Si è quindi sentita la necessità di proporre modelli alimentari che, pur tenendo conto del soddisfacimento dei bisogni nutrizionali, fossero rivolti all’ottenimento di modificazioni di alcune abitudini alimentari e di vita rivelatesi associate alle già ricordate patologie cronico-degenerative (obesità, diabete, malattie cardiovascolari, tumori). In questo contesto nascono iniziative volte a divulgare raccomandazioni sia sulla corretta alimentazione sia sulla necessità di correggere la sedentarietà con lo svolgimento di una regolare attività fisica giornaliera e di rimuovere tutti gli altri riconosciuti fattori di rischio, soprattutto il fumo e un eccessivo consumo di alcool. La salute, infatti, si conquista e si conserva imparando sin da bambini le regole del mangiare sano e di un “corretto stile di vita”. Negli ultimi decenni le Autorità Sanitarie nazionali e internazionali e alcuni Organismi Scientifici hanno dato vita a Linee Guida o Direttive Alimentari. In Italia, fin dal 1986 l’INRAN (Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione) ha prodotto e diffuso le prime “Linee guida per una sana alimentazione italiana” che, per l’evolvere delle conoscenze scientifiche, delle abitudini alimentari e degli stili di vita della popolazione, sono state periodicamente riviste e aggiornate (prima revisione nel 1997, seconda e ultima revisione nel 2003). Le Linee guida sono pertanto uno strumento garantito da istituzioni scientifiche e destinato a tutta la popolazione che, con linguaggio chiaro e facilmente comprensibile, suggerisce le regole di comportamento più idonee a realizzare un’alimentazione sana ed equilibrata. Di seguito riportiamo le dieci “Direttive” proposte nell’ultima revisione del 2003, con i suggerimenti su “come comportarsi” (per approfondimenti si rimanda al testo specifico, consultabile al sito www.sinu.it/pubblicazioni.asp). 1. CONTROLLA IL PESO E MANTIENITI SEMPRE ATTIVO Come comportarsi: • Il tuo peso dipende anche da te. Pesati almeno una volta al mese controllando che il tuo indice di massa corporea (IMC) sia nei limiti normali. 401 P02Cap26-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 402 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione • • • Qualora il tuo peso sia al di fuori dei limiti normali, riportalo gradatamente entro tali limiti: – in caso di sovrappeso: consulta il medico, riduci le “entrate” energetiche mangiando meno e preferendo cibi a basso contenuto calorico e che saziano di più, come ortaggi e frutta, aumenta le “uscite” energetiche svolgendo una maggiore attività fisica e distribuisci opportunamente l’alimentazione lungo tutto l’arco della giornata a partire dalla prima colazione, che non deve essere trascurata; – in caso di sottopeso: consulta il medico e comunque mantieni un giusto livello di attività fisica e un’alimentazione variata ed equilibrata, consumando tutti i pasti agli orari abituali. Abituati a muoverti di più ogni giorno: cammina, sali e scendi le scale, svolgi piccoli lavori domestici ecc. Evita le diete squilibrate o molto drastiche del tipo “fai da te”, che possono essere dannose per la tua salute. Una buona dieta dimagrante deve sempre includere tutti gli alimenti in maniera quanto più possibile equilibrata. 2. PIÙ CEREALI, LEGUMI, ORTAGGI E FRUTTA Come comportarsi: • • • • Consuma quotidianamente più porzioni di ortaggi e frutta fresca, e aumenta il consumo di legumi sia freschi che secchi, avendo sempre cura di limitare le aggiunte di oli e di grassi, che vanno eventualmente sostituiti con aromi e spezie. Consuma regolarmente pane, pasta, riso e altri cereali (meglio se integrali), evitando di aggiungere troppi condimenti grassi. Quando puoi, scegli prodotti ottenuti a partire da farine integrali e non con la semplice aggiunta di crusca o altre fibre (leggi le etichette). Per mettere in pratica questi consigli fai riferimento alle porzioni indicate nella linea guida numero 8 “Varia spesso le tue scelte a tavola”. 3. GRASSI: SCEGLI LA QUALITÀ E LIMITA LA QUANTITÀ Come comportarsi: • • • • • • • • • • 402 Modera la quantità di grassi e oli che usi per condire e cucinare. Utilizza eventualmente tegami antiaderenti, cotture al cartoccio, forno a microonde, cottura al vapore ecc. Limita il consumo di grassi da condimento di origine animale (burro, lardo, strutto, panna ecc.). Preferisci i grassi da condimento di origine vegetale: soprattutto olio extravergine d’oliva e oli di semi. Usa i grassi da condimento preferibilmente a crudo ed evita di riutilizzare i grassi e gli oli già cotti. Non eccedere nel consumo di alimenti fritti. Mangia più spesso il pesce, sia fresco che surgelato (2-3 volte a settimana). Tra le carni, preferisci quelle magre ed elimina il grasso visibile. Se ti piacciono le uova ne puoi mangiare fino a 4 per settimana, distribuite nei vari giorni. Se consumi tanto latte, scegli preferibilmente quello scremato o parzialmente scremato, che comunque mantiene il suo contenuto in calcio. Tutti i formaggi contengono quantità elevate di grassi: scegli comunque quelli più magri, oppure consumane porzioni più piccole. P02Cap26-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 403 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl La dieta equilibrata o bilanciata • CAPITOLO 26 • Se vuoi controllare quali e quanti grassi sono contenuti negli alimenti, leggi le etichette. 4. ZUCCHERI, DOLCI, BEVANDE ZUCCHERATE: NEI GIUSTI LIMITI Come comportarsi: • • • • • Modera il consumo di alimenti e bevande dolci nella giornata, per non superare la quantità di zuccheri consentita. Tra i dolci preferisci i prodotti da forno della tradizione italiana, che contengono meno grasso e zucchero e più amido, come per esempio biscotti, torte non farcite ecc. Utilizza in quantità controllata i prodotti dolci da spalmare sul pane o sulle fette biscottate (quali marmellate, confetture di frutta, miele e creme). Limita il consumo di prodotti che contengono molto saccarosio, e specialmente di quelli che si attaccano ai denti, come caramelle morbide, torroni ecc. Lavati comunque i denti dopo il loro consumo. Se vuoi consumare alimenti e bevande dolci ipocalorici dolcificati con edulcoranti sostitutivi, leggi sull’etichetta il tipo di edulcorante usato e le avvertenze da seguire. 5. BEVI OGNI GIORNO ACQUA IN ABBONDANZA Come comportarsi: • • • • • • • Asseconda sempre il senso di sete e anzi tenta di anticiparlo, bevendo a sufficienza, mediamente 1,5-2 litri di acqua al giorno. Ricorda inoltre che i bambini sono maggiormente esposti a rischio di disidratazione rispetto agli adulti. Bevi frequentemente e in piccole quantità. Bevi lentamente, soprattutto se l’acqua è fredda: infatti un brusco abbassamento della temperatura dello stomaco può creare le condizioni per pericolose congestioni. Le persone anziane devono abituarsi a bere frequentemente nell’arco della giornata, durante e al di fuori dei pasti, anche quando non avvertono lo stimolo della sete. L’equilibrio idrico dev’essere mantenuto bevendo essenzialmente acqua, tanto quella del rubinetto quanto quella imbottigliata, entrambe sicure e controllate. Ricorda che bevande diverse (come aranciate, bibite di tipo cola, succhi di frutta, caffè, tè) oltre a fornire acqua apportano anche altre sostanze che contengono calorie (per esempio, zuccheri semplici) o che sono farmacologicamente attive (per esempio, caffeina). Queste bevande vanno usate con moderazione. È sbagliato evitare di bere per il timore di sudare eccessivamente (sudare è fondamentale per regolare la temperatura corporea) o di ingrassare (l’acqua non apporta calorie). Durante e dopo l’attività fisica bevi per reintegrare prontamente e tempestivamente le perdite dovute alla sudorazione, ricorrendo prevalentemente all’acqua. In determinate condizioni patologiche che provocano una maggiore perdita di acqua (per esempio gli stati febbrili o ripetuti episodi di diarrea), l’acqua perduta dev’essere reintegrata adeguatamente e tempestivamente. 6. IL SALE? MEGLIO POCO Come comportarsi: • • Riduci progressivamente l’uso di sale sia a tavola che in cucina. Preferisci al sale comune il sale arricchito con iodio (sale iodato). 403 P02Cap26-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 404 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione • • • • • • • Non aggiungere sale nelle pappe dei bambini, almeno per tutto il primo anno di vita. Limita l’uso di condimenti alternativi contenenti sodio (dado da brodo, ketchup, salsa di soia, senape ecc.) Insaporisci i cibi con erbe aromatiche (come aglio, cipolla, basilico, prezzemolo, rosmarino, salvia, menta, origano, maggiorana, sedano, porro, timo, semi di finocchio) e spezie (come pepe, peperoncino, noce moscata, zafferano, curry). Esalta il sapore dei cibi usando succo di limone e aceto. Scegli, quando sono disponibili, le linee di prodotti a basso contenuto di sale (pane senza sale, tonno in scatola a basso contenuto di sale ecc.). Consuma solo saltuariamente alimenti trasformati ricchi di sale (snack salati, patatine in sacchetto, olive da tavola, alcuni salumi e formaggi). Nell’attività sportiva moderata reintegra con la semplice acqua i liquidi perduti attraverso la sudorazione. 7. BEVANDE ALCOLICHE: SE SÌ, SOLO IN QUANTITÀ CONTROLLATA Come comportarsi: • • • • • • Se desideri consumare bevande alcoliche, fallo con moderazione, durante i pasti secondo la tradizione italiana, o in ogni caso immediatamente prima o dopo il pasto. Fra tutte le bevande alcoliche, dai la preferenza a quelle a basso tenore alcolico (vino e birra). Evita del tutto l’assunzione di alcol durante l’infanzia, l’adolescenza, la gravidanza e l’allattamento; riducila se sei anziano. Non consumare bevande alcoliche se devi metterti alla guida di autoveicoli o devi far uso di apparecchiature delicate o pericolose per te o per gli altri, e quindi hai bisogno di conservare intatte attenzione, autocritica e coordinazione motoria. Se assumi farmaci (compresi molti farmaci che non richiedono la prescrizione medica), evita o riduci il consumo di alcol, a meno che tu non abbia ottenuta esplicita autorizzazione da parte del medico curante. Riduci o elimina l’assunzione di bevande alcoliche se sei in sovrappeso od obeso o se presenti una familiarità per diabete, obesità, ipertrigliceridemia ecc. 8. VARIA SPESSO LE TUE SCELTE A TAVOLA Come comportarsi: • Scegli quantità adeguate (porzioni) di alimenti appartenenti a tutti i diversi gruppi, alternandoli nei vari pasti della giornata. 9. CONSIGLI SPECIALI PER PERSONE SPECIALI GRAVIDANZA Come comportarsi: • • 404 In gravidanza evita aumenti eccessivi di peso e fai attenzione a coprire i tuoi aumentati fabbisogni in proteine, calcio, ferro, folati e acqua: consuma quindi abitualmente pesce, carni magre, uova, latte e derivati e un’ampia varietà di ortaggi e frutta. In particolare, durante tutta l’età fertile abbi cura che la tua assunzione di folati copra i tuoi bisogni. In questo modo ridurrai il rischio di alterazioni del tubo neurale (spina bifida) nel feto. P02Cap26-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 405 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl La dieta equilibrata o bilanciata • CAPITOLO 26 • In gravidanza non consumare cibi di origine animale crudi o poco cotti e non assumere bevande alcoliche. ALLATTAMENTO Come comportarsi: • • • Durante l’allattamento le tue necessità nutritive sono perfino superiori a quelle della gravidanza: un’alimentazione variata, ricca di acqua, vegetali freschi, pesce, latte e derivati, ti aiuterà a star bene e a produrre un latte del tutto adatto alle esigenze del neonato. Nel periodo dell’allattamento evita quegli alimenti che possono conferire odori o sapori sgraditi al tuo latte o scatenare nel lattante manifestazioni di tipo allergico. Evita le bevande alcoliche e usa i prodotti contenenti sostanze nervine (caffè, tè, cacao, bevande a base di cola ecc.) con cautela. BAMBINI E RAGAZZI IN ETÀ SCOLARE Come comportarsi: • • • Consuma la prima colazione, suddividi opportunamente la tua alimentazione nel corso della giornata e scegli più frequentemente ortaggi e frutta. Evita di eccedere nel consumo di alimenti dolci e di bevande gassate, e di concederti con troppa frequenza i piatti tipici del fast-food all’americana. Dedica almeno 1 ora al giorno all’attività fisica e al movimento (camminare, giocare all’aperto ecc.). ADOLESCENTI Come comportarsi: • • Evita di adottare – al di fuori di ogni controllo – schemi alimentari particolarmente squilibrati e monotoni, solo perché “di moda”. Fai particolare attenzione, specialmente se sei una ragazza, a coprire i tuoi aumentati bisogni in ferro e calcio: seguire alcune tendenze in voga presso i giovani che portano a escludere dalla dieta alimenti come carne e pesce (ottime fonti di ferro) e latte e derivati (ottime fonti di calcio) rende molto difficile questa copertura e quella della vitamina B12 e non trova giustificazioni scientifiche. DONNE IN MENOPAUSA Come comportarsi: • • • Sfrutta l’eventuale aumentata disponibilità di tempo libero per praticare una maggiore attività motoria e per curare la tua alimentazione: impara a non squilibrare mai la dieta e tieni sempre a mente che, dato che ogni cibo ha un suo preciso ruolo nel contesto dell’alimentazione quotidiana, non devi mai eliminare indiscriminatamente interi gruppi di alimenti a favore di altri. Non esagerare con latte e formaggi, nonostante il loro cospicuo contenuto in calcio; se del caso, preferisci il latte scremato e, tra i formaggi, scegli quelli a minor contenuto in grassi e di sale. Consuma tutti i giorni e in abbondanza frutta fresca e ortaggi. Usa preferibilmente l’olio d’oliva extravergine. 405 P02Cap26-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 406 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione • Tieni sempre a mente che anche in menopausa il sovrappeso e l’obesità, la sedentarietà, la stitichezza, il fumo di sigaretta e l’abuso dell’alcol rappresentano importanti fattori di rischio. ANZIANI Come comportarsi: • • • • • • • • • Sforzati di consumare sistematicamente una dieta variata e appetibile. Evita il ricorso troppo frequente a pasti freddi, piatti precucinati o riscaldati. Scegli gli alimenti sulla base delle condizioni del tuo apparato masticatorio, anche per facilitare i processi digestivi che nell’anziano sono meno efficienti e preparali in modo adeguato, come per esempio: tritare le carni, grattuggiare o schiacciare frutta ben matura, preparare minestre, purea e frullati, scegliere un pane morbido o ammorbidirlo in un liquido ecc. Evita pasti pesanti e fraziona l’alimentazione in più occasioni nell’arco della giornata. Fai una buona prima colazione comprendente anche latte o yogurt. Conserva un peso corporeo accettabile, continuando a mantenere, se possibile, un buon livello di attività motoria ed evitando di abusare di condimenti grassi e di dolci. Riduci i grassi animali, scegli frequentemente il pesce e le carni alternative (pollo, tacchino, coniglio ecc.), non esagerare con i formaggi. Consuma spesso legumi, frutta e ortaggi freschi. Non eccedere con il consumo di bevande alcoliche e con l’aggiunta del sale da cucina. 10. LA SICUREZZA DEI TUOI CIBI DIPENDE ANCHE DA TE Come comportarsi: Qui di seguito sono ribadite alcune regole importanti per la sicurezza degli alimenti. È ovvio però che devono essere tenuti in considerazione tutti gli aspetti che sono stati illustrati in questa “Linea Guida”. • • • • • • • 406 Varia le scelte di alimenti, anche per ridurre i rischi di ingerire in modo ripetuto sostanze estranee presenti negli alimenti, che possono essere dannose. In particolare, per anziani, lattanti, bambini e donne in stato di gravidanza, è necessario evitare del tutto il consumo di alimenti animali crudi o poco cotti, quali per esempio: uova poco cotte o salse a base di uova crude (zabaione, maionese fatta in casa), carne al sangue, pesce crudo, frutti di mare crudi. Fai attenzione alle conserve casalinghe (specie sott’olio o in salamoia). Devono essere preparate rispettando scrupolose norme igieniche. Non assaggiare mai una conserva sospetta. Non lasciare raffreddare un alimento già cotto fuori dal frigorifero troppo a lungo e senza coprirlo. Andrebbe messo in frigorifero al massimo entro due ore dalla cottura (un’ora l’estate). Quando utilizzi avanzi, riscaldali fino a che non siano molto caldi anche al loro interno. Non scongelare gli alimenti di origine animale a temperatura ambiente. Se non li puoi cucinare direttamente, riponili in anticipo in frigorifero o mettili a scongelare nel microonde. Evita il contatto nel frigorifero tra alimenti diversi, conservando gli avanzi in contenitori chiusi, le uova nel loro contenitore d’origine ecc. Non avere un’eccessiva fiducia nella capacità del frigorifero di conservare troppo a lungo i tuoi cibi: non svolge nessuna azione di bonifica e non conserva in eterno gli alimenti. P02Cap26-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 407 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl La dieta equilibrata o bilanciata • CAPITOLO 26 PORZIONI DI ALIMENTI CONSIGLIATE PER UNA DIETA EQUILIBRATA La necessità di tradurre i fabbisogni di energia e di nutrienti indicati dai LARN in quantità di alimenti, ha portato a quantificare in modo standardizzato le porzioni di alimenti, in modo da fornire indicazioni più precise circa le quantità di alimenti che devono essere assunte giornalmente e/o nell’arco della settimana. Il concetto di “porzione” che viene riferito ai diversi alimenti è difficile da quantificare per il consumatore italiano, data la notevole variabilità di abitudini alimentari, le differenti tradizioni culinarie e gastronomiche regionali ecc. Una porzione, presa come “unità pratica di misura della quantità di alimento consumata”, corrisponde a un certo quantitativo in grammi, che si è cercato di ricavare sulla base dei consumi medi di alimenti della popolazione italiana, degli alimenti e pietanze tipici della nostra tradizione e delle grammature di alcuni prodotti confezionati. Il risultato di questa valutazione sulle porzioni generalmente utilizzate è quello riportato nella tabella 26.3, inserita nell’ultima edizione delle “Linee Guida per una Sana Alimentazione Italiana” (consultabile al sito www.inran.it) che fornisce il peso netto in grammi delle varie porzioni dei cibi più diffusi. Le porzioni consigliate in funzione dell’apporto energetico della dieta sono riportate nella tabella 26.4, mentre le misure di uso casalingo sono presentate nella tabella 26.5. TABELLA 26.3 ENTITÀ DELLE PORZIONI STANDARD NELL’ALIMENTAZIONE ITALIANA Gruppo di alimenti Alimenti Porzioni Peso (g) Cereali e tuberi Pane Prodotti da forno Pasta o riso* Pasta fresca all’uovo* Patate 1 rosetta piccola/1 fetta media 2-4 biscotti/2,5 fette biscottate 1 porzione media 1 porzione piccola 2 patate piccole 50 20 80 120 200 Ortaggi e frutta Insalate Ortaggi Frutta o succo 1 porzione media 1 finocchio/2 carciofi 1 frutto medio (arance, mele) 2 frutti piccoli (albicocche, mandarini) 50 250 150 150 Carne, pesce, uova, legumi Carne fresca Carne stagionata (salumi) Pesce Uova Legumi secchi Legumi freschi 1 fettina piccola 3-4 fette medie di prosciutto 1 porzione piccola 1 uovo 1 porzione media 1 porzione media 70 50 100 60 30 80-120 Latte e derivati Latte Yogurt Formaggio fresco Formaggio stagionato 1 bicchiere 1 confezione piccola 1 porzione media 1 porzione media 125 125 100 50 Grassi da condimento Olio Burro Margarina 1 cucchiaio 1 porzione 1 porzione 10 10 10 *in minestra metà porzione. 407 P02Cap26-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 408 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione TABELLA 26.4 NUMERO DI PORZIONI CONSIGLIATO Alimento/gruppi alimenti 1700 kcal1 2100 kcal2 2600 kcal3 Porzioni giornaliere Cereali, tuberi Pane Prodotti da forno Pasta/Riso/Pasta all’uovo fresca Patate Ortaggi e frutta Ortaggi/Insalata Frutta/Succo di frutta Carne, pesce, uova e legumi Latte e derivati Latte/Yogurt Formaggio fresco/ Formaggio stagionato Grassi da condimento Olio/Burro/Margarina 3 1 1 5 1 1 6 2 1-2 1 2 2 (a settimana) (a settimana) (a settimana) 2 3 2 3 2 4 1-2 2 2 3 3 3 2 3 3 (a settimana) (a settimana) (a settimana) 3 3 4 Esempi: bambini di oltre 6 anni; donne anziane con vita sedentaria. Esempi: adolescenti femmine; donne adulte con attività lavorativa non sedentaria, uomini adulti con attività lavorativa sedentaria. 3 Esempi: adolescenti maschi, uomini adulti con attività lavorativa non sedentaria o moderata attività fisica. 1 2 TABELLA 26.5 CORRISPETTIVO IN PESO (g) DI ALCUNI ALIMENTI MISURATI CON UNITÀ DI MISURA CASALINGHE* Alimenti Unità di misura Farina di frumento 00 Pastina Riso crudo Panna da cucina Parmigiano Parmigiano Maionese Marmellata Miele Olio Zucchero Zucchero Cacao in polvere Latte Vino 1 cucchiaio colmo 1 cucchiaio colmo 1 cucchiaio colmo 1 cucchiaio colmo 1 cucchiaio colmo 1 cucchiaio raso 1 cucchiaio raso 1 cucchiaio raso 1 cucchiaio raso 1 cucchiaio raso 1 cucchiaio raso 1 cucchiaio colmo 1 cucchiaio colmo 1 bicchiere 1 bicchiere Peso (g) 11 15 8 14 10 7 9 14 9 9 9 13 10 129 127 *Un cucchiaio da tavola (del volume effettivo di 10 cc) e un bicchiere “da vino” (contenente 125 ml di liquido di diversi alimenti). 408 P02Cap27-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 409 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl 27 L’ALIMENTAZIONE NELLE DIVERSE ETÀ E CONDIZIONI FISIOLOGICHE INTRODUZIONE I bisogni nutrizionali durante l’età adulta (che in linea indicativa si ritiene compresa tra i 20 e i 50 anni) rimangono in genere stabili; così le indicazioni contenute nel capitolo 26 “La dieta equilibrata o bilanciata” sono valide per la popolazione sana e adulta e permettono di orientarsi per compiere le corrette scelte alimentari. Esistono comunque altri gruppi di popolazione che hanno esigenze nutrizionali specifiche legate alla loro età o a peculiari condizioni fisiologiche; di questi è necessario conoscere i diversi bisogni, ai quali far fronte con particolare attenzione. Per esempio l’accrescimento somatico del bambino/adolescente, l’involuzione muscoloscheletrica che si verifica con l’avanzare dell’età, la formazione di un nuovo organismo durante la gravidanza e la produzione di latte materno, sono condizioni che determinano variazioni dei bisogni nutrizionali in generale e di qualche singolo nutriente in particolare. Tali variazioni sono recepite dai corrispondenti LARN e a questi pertanto si deve fare riferimento. L’ALIMENTAZIONE NELL’ETÀ INFANTO-GIOVANILE L’alimentazione è il fattore indispensabile per il normale svolgimento dei processi di accrescimento corporeo i quali, pur avendo basi genetiche, hanno bisogno di un regolare apporto di energia e di materiale plastico per realizzarsi correttamente. Un’alimentazione “adeguata”, attuata fin dalle prime fasi della vita, consente di ottenere al massimo grado la realizzazione del potenziale genetico. Nel medesimo tempo, proprio nei primi anni di vita è fondamentale la prevenzione delle conseguenze della malnutrizione, sia per difetto calorico-proteico (che nei casi più gravi può anche compromettere lo sviluppo cerebrale e intellettivo), sia per eccesso di apporti alimentari, che può condizionare la futura comparsa in età adulta di malattie cronico-degenerative (obesità, diabete, aterosclerosi, cancro ecc.). Le proposte di schemi alimentari equilibrati per l’età evolutiva devono pertanto allinearsi alle considerazioni che seguono: 1. l’accrescimento somatico è veloce nel primo anno di vita (il bambino raddoppia il peso registrato alla nascita nei primi 3-4 mesi e lo triplica al termine del primo anno di vita) e, successivamente, diminuisce in modo progressivo fino al momento del periodo puberale in cui presenta una netta ripresa. Di conseguenza, le richieste di energia e di gran parte degli altri nutrienti, rife- 409 P02Cap27-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 410 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione rite all’unità di massa corporea (chilogrammi di peso), sono più elevate nei primi anni di vita (in particolare nei primi 2) e quindi diminuiscono progressivamente fino al sopravvenire della maturazione sessuale; 2. parallelamente all’accrescimento somatico si attua lo sviluppo neuropsicologico del soggetto. Con l’autonomia della deambulazione inizia l’attività esplorativa del bambino alla quale seguiranno, con il tempo, attività motorie integrate nella vita relazionale. L’atto alimentare, che fin dalle primissime fasi della vita è caricato di connotazioni simboliche, si struttura lentamente nel corso del tempo in un comportamento alimentare nel quale si riflettono, oltre a certe abitudini acquisite dall’ambiente familiare e culturale, anche determinate pulsioni e valenze provenienti dall’inconscio; 3. nel periodo puberale gli aumenti di peso e di statura si accompagnano a modificazioni della composizione corporea con sensibili differenze tra i due sessi: • nel maschio, la cui crescita scheletrica lineare dura più che nella femmina, si assiste a un aumento prevalente delle masse muscolari e viscerali. • nella femmina, invece, all’aumento delle masse muscolari e viscerali, più modesto rispetto al maschio, si accompagna un prevalente aumento della deposizione di grasso nel tessuto adiposo sottocutaneo, con conseguente “arrotondamento” della figura (comparsa delle caratteristiche sessuali secondarie). La differenziazione sessuale comporta variazioni della composizione corporea: in presenza di un peso corporeo “normale”, la massa grassa costituisce circa il 20-25% del peso nella femmina e il 15% nel maschio. Queste diversità della composizione corporea condizionano differenze delle rispettive richieste nutrizionali. Raccomandazioni nutrizionali Nella formulazione di un piano dietetico per i soggetti in età evolutiva è necessario fare riferimento ai LARN per le rispettive fasce di età (v. Tab 26.1). Ricordiamo sinteticamente i punti più importanti. Energia In riferimento ai chilogrammi di peso corporeo, le richieste energetiche sono tanto più elevate quanto minore è l’età del soggetto; dipendono sia dal metabolismo di base sia dall’attività fisica, alquanto variabile da soggetto a soggetto, in particolare durante l’adolescenza nel sesso maschile. Negli ultimi anni i giovani stanno diventando sempre più sedentari: quasi tutti trascorrono in media più di 2 ore al giorno davanti al televisore o al computer e oltre un terzo più di 3 ore. Solo una minoranza pratica attività sportiva; tra gli adolescenti, lo sport è praticato da un quinto dei maschi fino a 14 anni e da un terzo dei ragazzi tra i 14 e i 18 anni, con una partecipazione minore del sesso femminile. Pertanto, per una corretta formulazione di un piano dietetico individuale per i soggetti di questa età, occorre tener presente le necessità energetiche riferite al peso corporeo e all’età (110-95 kcal/kg nei primi due anni di vita; 68 e 59 kcal/kg rispettivamente per il maschio e per la femmina a 10 anni), ma soprattutto occorre determinare il livello di attività fisica svolta nelle ore extrascolastiche. Proteine Il bisogno proteico, espresso anch’esso in relazione ai chilogrammi di peso corporeo, è superiore nel bambino rispetto al ragazzo, nel ragazzo rispetto all’a- 410 P02Cap27-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 411 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl L’alimentazione nelle diverse età e condizioni fisiologiche • CAPITOLO 27 dolescente, e in quest’ultimo rispetto all’adulto. Di conseguenza, anche le raccomandazioni riguardanti l’apporto proteico (LARN) declinano con l’età: da livelli di circa 2 g/kg nei primi anni di vita si passa a 1,3 g/kg all’età di 6-10 anni, a 1,1-1,2 g/kg all’età di 15-17 anni, per arrestarsi a 0,95 g/kg nell’età adulta per ambedue i sessi. Zuccheri e grassi Si ritiene accettabile un apporto di zuccheri semplici lievemente superiore a quello raccomandato per l’adulto (sino al 15-16% dell’energia), ferma restando la raccomandazione della limitazione nel consumo di saccarosio e di una corretta educazione all’igiene orale. Anche l’apporto di grassi, specie di acidi grassi essenziali e derivati (importanti per la crescita e lo sviluppo del neonato), è più elevato in questa fascia di età (2-3% per w-6 e 0,5% per w-3). L’entità dell’apporto lipidico ritenuta adatta è del 35-40% dell’energia totale fino al secondo anno di vita e del 30% fino all’adolescenza. Il valore soglia dell’apporto di colesterolo nel bambino è stato stabilito in 100 mg/1000 kcal (300 mg/die nell’adulto). Vitamine e minerali Tra questi costituenti nutritivi, che rivestono particolare importanza nei processi di accrescimento corporeo, meritano un accenno particolare la vitamina D, il calcio e il ferro. Per quanto riguarda la vitamina D, indispensabile per una normale formazione dell’osso, ne va rilevato l’elevato bisogno nelle prime fasi della vita e successivamente nelle fasi di accrescimento. L’esposizione alla luce solare solitamente stimola una sintesi endogena adeguata; tuttavia, in particolari condizioni, quando questa esposizione viene a mancare per periodi piuttosto lunghi, è necessario ricorrere a una supplementazione farmacologica, dal momento che la presenza di questa vitamina negli alimenti abitualmente consumati è molto scarsa. Da sottolineare infine gli aumentati livelli raccomandati di calcio e ferro nell’età adolescenziale per far fronte alla crescita scheletrica e, nelle femmine, per ovviare alle perdite dovute alla comparsa dei flussi mestruali. Acqua Nel bambino si raccomanda un apporto di acqua di 1,5 ml/kcal di energia spesa; tale quota è superiore al fabbisogno dell’adulto, in quanto il bambino ha un maggior contenuto in acqua per unità di peso, un più rapido turnover dell’acqua corporea e una ridotta capacità dell’emuntorio renale a eliminare il carico di soluti. Problemi connessi con l’alimentazione in età infanto-giovanile Per i bambini e i ragazzi è difficile coprire i propri fabbisogni con i soli tre pasti principali. È quindi opportuno fornire loro, a complemento di questi ultimi, anche due merende che concorrano a soddisfare le particolari esigenze nutrizionali tipiche di queste età, ma che comunque siano di entità moderata, tale da non compromettere l’appetito nel pasto successivo. Le abitudini alimentari acquisite da giovani spesso persistono nel tempo: è perciò importante insegnare ai ragazzi fin dalla più tenera età come seguire un’alimentazione salutare, incoraggiandoli a consumare quantità sufficienti di un’ampia varietà di cibi ricchi di energia e di nutrienti, senza mai trascurare la frutta e gli ortaggi. Una dieta variata e distribuita in più occasioni nella giornata garan- 411 P02Cap27-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 412 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione tisce la copertura dei bisogni di proteine, vitamine (soprattutto la C, la D e il complesso B) e sali minerali (soprattutto calcio, ferro e iodio, quest’ultimo anche mediante l’uso di sale iodato). Purtroppo anche in Italia sono in continuo incremento le percentuali di soggetti in sovrappeso o francamente obesi anche in età infantile e adolescenziale, per scelte alimentari scorrette ed eccessiva sedentarietà. Tutto ciò è motivo di allarme per la salute futura delle prossime generazioni di adulti, che saranno più predisposte all’obesità e a malattie cronico-degenerative. L’impegno educativo dev’essere rivolto a correggere gli errori alimentari più comuni dei ragazzi, che secondo le “Linee Guida per una Sana Alimentazione” sono quelli di seguito riportati: • • • • • evitare o ridurre al minimo la colazione del mattino; evitare gli spuntini intermedi della mattina e del pomeriggio, oppure limitarli a prodotti attraenti ma dal ridotto valore nutritivo; evitare o ridurre al minimo, nel corso dei due pasti principali, il consumo di verdura e di frutta; eccedere nel consumo di alimenti come salumi, cioccolata e barrette, patatine fritte, caramelle e altri dolci confezionati (con i relativi problemi connessi al diffondersi della carie dentale) e bevande gassate (ricche di zucchero e spesso di caffeina); dare spazio eccessivo al fast-food all’americana, ricco di alimenti a elevato contenuto in calorie, grassi saturi, sale e zuccheri semplici e poveri di fibra e vitamine. I ragazzi devono essere fisicamente più attivi tutti i giorni, camminando, giocando all’aperto, correndo o altro, anche in aggiunta all’eventuale attività sportiva organizzata. Non devono limitarsi a consumare solo ciò che piace, ma abituarsi a mangiare di tutto, evitando la monotonia delle scelte alimentari; non abolire la prima colazione, distribuire in più pasti la propria dieta, aumentare la frequenza di consumo di latte e derivati, verdura e frutta, e non eccedere invece nel consumo di carne e di alimenti ricchi di grassi saturi, o di zuccheri, dolciumi e bibite gassate zuccherine. Nell’età adolescenziale si possono presentare altre problematiche nutrizionali più specifiche. In questa età, la ricerca di autonomia personale può dar luogo ad alterazioni del comportamento alimentare e/o al manifestarsi di carenze nutrizionali. Senza entrare nello specifico di patologie quali l’anoressia e la bulimia nervosa che, pur avendo quasi sempre un esordio nell’adolescenza, hanno cause psicologiche complesse, si deve tuttavia sottolineare che alcuni atteggiamenti alimentari patologici possono comunque di frequente presentarsi negli adolescenti. Nelle ragazze, per esempio, il desiderio di dimagrire in maniera eccessiva o di uniformarsi a “modelli” alimentari o estetici non adeguati, può far sì che vengano adottati regimi alimentari troppo restrittivi o disordinati e squilibrati, tali da comportare la carenza di nutrienti indispensabili. In Italia, sono proprio le adolescenti ad avere, fra tutti i gruppi di età, i più bassi livelli di consumo di calcio e ferro. Aumenta così il rischio di sviluppare l’anemia da carenza di ferro (è la malattia da carenza nutrizionale di più frequente osservazione nell’età infanto-giovanile) e/o di compromettere la mineralizzazione ossea, con maggior rischio di comparsa di una precoce e grave osteoporosi nell’età matura. Da segnalare inoltre l’abitudine negli adolescenti al consumo di bevande alcoliche (vino, birra e anche liquori), nettamente in incremento rispetto al pas- 412 P02Cap27-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 413 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl L’alimentazione nelle diverse età e condizioni fisiologiche • CAPITOLO 27 sato. Il consumo precoce e abituale di alcol non solo è dannoso per gli effetti che questa sostanza produce in un soggetto in età evolutiva, ma anche perché è ormai accertato che alcol e fumo sono spesso propedeutici all’uso di droghe. L’ALIMENTAZIONE NELL’ETÀ AVANZATA In Italia, come nel resto del mondo occidentale, la popolazione di anziani è in progressivo aumento. Di conseguenza è aumentata l’attenzione all’alimentazione dell’anziano quale mezzo per prevenire le malattie che possono condurre a una più precoce senescenza e rallentare i processi biologici dell’invecchiamento, assicurando all’anziano il massimo possibile dell’efficienza psicofisica. I problemi generali dell’alimentazione dell’anziano possono essere riuniti in un’unica raccomandazione: “adeguare la dieta alla persona anziana, rimuovendo o correggendo tutte quelle cause che possono impedire od ostacolare un’adeguata alimentazione”. Infatti nell’età avanzata numerose variabili influiscono sull’alimentazione e, quindi, sullo stato di nutrizione. Per semplicità, possiamo suddividere tali variabili in due categorie: intrinseche al processo di invecchiamento e accessorie. Variabili intrinseche Sono caratterizzate dall’involuzione delle masse muscolari e viscerali che si verifica dapprima lentamente a partire dalla quarta decade di vita e prosegue poi più velocemente con la senescenza (oltre i 75 anni). A questa variabile “obbligata” si deve la diminuzione del metabolismo di base (MB) dell’anziano alla quale si associa una ancor più marcata diminuzione del dispendio energetico dovuta a riduzione dell’attività fisica. Caratteristica biologica dell’invecchiamento è quindi la riduzione del dispendio energetico giornaliero (e pertanto del fabbisogno energetico). Variabili accessorie Sono variabili legate alla presenza, non costante, di particolari problemi fisici, psicologici e sociali che interferiscono con approvvigionamento, preparazione, degustazione e utilizzazione dei cibi da parte dell’anziano. I più importanti di questi problemi sono in relazione a: • • • • • • • • vivere soli e isolati; impedimenti fisici che condizionano la capacità di approvvigionarsi e preparare i cibi; fattori economici limitanti le scelte alimentari; problemi di masticazione (perdita dei denti) e di digestione (riduzione della secrezione gastrica e pancreatica, deficienza di lattasi ecc.); peggiorata percezione dei segnali della sete che può provocare disidratazione; frequente insorgenza di depressione; uso di farmaci che possono causare nausea/dispepsia/inappetenza; scarsa educazione alimentare. Raccomandazioni nutrizionali Nell’età avanzata si verifica una diminuzione del dispendio energetico a causa della diminuzione del metabolismo basale e, in modo ancora più marcato, dell’attività fisica. Poiché quest’ultima presenta ampie variazioni interindividuali, 413 P02Cap27-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 414 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione TABELLA 27.1 INDICAZIONI DI UNA GAMMA DI VALORI (ARROTONDATI) DI FABBISOGNO ENERGETICO (kcal/die) PER LA POPOLAZIONE ANZIANA ITALIANA Uomini Età (anni) 60-74 > 75 Donne Attività fisica (+) Attività fisica (-) Attività fisica (+) Attività fisica (-) 2000-2400 1900-2200 1900-2250 1700-2200 1700-2050 1700-2000 1600-1900 1500-1750 molto opportunamente i LARN danno indicazioni del bisogno energetico dell’età avanzata suddivisa in due classi (60-74 anni e oltre 75 anni), in relazione anche alla presenza (+) o assenza (-) di una certa quota di attività fisica (Tab. 27.1). Per quanto riguarda le proteine e gli altri nutrienti va sottolineato che il rispettivo apporto va mantenuto ai medesimi livelli di quelli degli adulti, anzi, rispetto a questi ultimi, l’apporto di calcio va sensibilmente aumentato per contrastare il catabolismo osseo dovuto all’osteoporosi, di particolare rilevanza nel sesso femminile dopo la menopausa. Anche l’apporto di vitamina D, la cui “attivazione” nell’anziano è ridotta, dev’essere aumentato. Particolare attenzione dev’essere rivolta al soddisfacimento del fabbisogno di acqua, specie quando lo stimolo della sete è attenuato e/o quando non può essere soddisfatto autonomamente. Per questi motivi, nella formulazione di piani dietetici per i soggetti in età avanzata devono essere principalmente inclusi alimenti di elevata densità nutrizionale, nei quali sia più “concentrato” il contenuto in nutrienti rispetto a quello in energia. La tendenza a mantenere le proprie abitudini alimentari, non riducendo proporzionalmente la quantità di cibi più ricchi in energia, unita al declino dell’attività fisica, sono all’origine del riscontro, proprio nella terza età, di un tasso di sovrappeso e di obesità particolarmente elevato. Peraltro, salvo specifiche controindicazioni (diabete, dislipidemie, iperuricemia, obesità ecc.), le caratteristiche qualitative dell’alimentazione indicata nella terza età non differiscono in modo sostanziale da quelle dell’adulto. Tra gli alimenti proteici sono da previlegiare latte e yogurt, formaggi freschi e/o meno grassi, legumi, uova, pesce (fonte di acidi grassi polinsaturi omega-3) e anche carne magra e pollame; questi alimenti sono inoltre importanti fonti di calcio e ferro e di vitamine del gruppo B, di cui spesso l’anziano è carente. È opportuno ridurre le quantità di grassi da condimento, preferendo quelli vegetali in quanto più ricchi in acidi grassi mono- e polinsaturi (olio di oliva, alcuni oli di semi). L’apporto di carboidrati complessi, presenti nei cereali e derivati (pasta, pane ecc.), legumi e alcuni tipi di verdura e di frutta, non deve essere ridotto a favore di quello di zuccheri raffinati e dolciumi; in genere, gli anziani, specialmente se vivono da soli, tendono a preferire alimenti pronti e di facile consumo, come appunto i dolci, ma anche alcuni salumi, formaggi stagionati o altri alimenti, ricchi di grassi saturi e di sale, il cui eccesso favorisce l’insorgere o l’aggravamento dell’ipertensione arteriosa. Il consumo di alcol va tenuto sotto controllo, anche per non danneggiare il fegato. 414 P02Cap27-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 415 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl L’alimentazione nelle diverse età e condizioni fisiologiche • CAPITOLO 27 In conclusione, è bene che l’anziano, ancor più che il giovane, controlli il proprio peso, vari le scelte alimentari, frazioni in più pasti la dose giornaliera di alimenti (anche al fine di facilitare la digestione) e beva abbondantemente e frequentemente acqua. Nella tabella 27.2 è presentato un esempio di dieta per l’età avanzata nella quale si propone un’ampia scelta di cibi di buon valore nutritivo. TABELLA 27.2 ESEMPIO DI DIETA DA 2000 KCAL GIORNALIERE PER ULTRASETTANTENNI Composizione media in nutrienti: confronto con i LARN (valori medi per maschi e femmine di età corrispondente) Nutrienti Dieta LARN Proteine Lipidi Glucidi Calcio Ferro Tiamina Riboflavina Niacina Retinolo 65 g 64,5 g 265,3 g 1030 mg 12,3 mg 0,85 mg 1,5 mg 25 mg 980 mg 62-53 g – – 1000-1200 mg 10 mg 0,8 mg 1,6-1,3 mg 18-14 mg 700-600 µg Schema dietetico per ultrasettantenni Prima colazione • Una tazza di latte (parzialmente scremato): 200-250 ml + caffè q.b. • 1 cucchiaino di zucchero: 10 g • 2-3 fette biscottate oppure mezzo panino (25 g) Pranzo • Un piatto di riso o pasta al pomodoro, al sugo o ragù di carne, all’olio (riso o pasta 60 g + olio 1 cucchiaio [10 g], pomodoro e carne per ragù q.b.), oppure un piatto di gnocchi di patate. In alternativa un piatto di minestrone con verdura passata (riso o pasta: 30 g, verdure q.b., olio 1 cucchiaino) + parmigiano 10 g • 100 g di carne di manzo, vitello, pollame, coniglio ecc. (oppure 130 g di pesce confezionati) come crocchette di pollo, hamburger, polpette di carne, involtini, bistecca, arrosto ecc; pesce bollito, ai ferri o al forno (condimento: 1 cucchiaio di olio). In alternativa: piatto unico composto da lasagne o ravioli al forno con ragù di carne • 150 g di qualsiasi verdura cotta o cruda, condita con 1 cucchiaio di olio (aceto o limone a piacere) oppure purea di patate • 40 g di pane (1 bocconcino) • frutta fresca di stagione cruda o cotta: 150 g; oppure frutta sciroppata o spremuta al naturale Merenda • Una tazza di tè + latte, 1 cucchiaino di zucchero oppure un bicchiere di latte o un vasetto di yogurt, 2 fette biscottate Cena • 30 g di pastina o riso o semolino in brodo di verdura o minestrone o passato di verdura con crostini • 50 g di formaggio (certosino, mozzarella, delizia, crescenza, ricotta ecc.) oppure 50 g di prosciutto cotto o crudo o bresaola, oppure 1-2 uova confezionate a piacere (alla coque, in frittata con o senza verdure, sode) oppure piselli al prosciutto (120 g di piselli freschi o surgelati + 30 g di prosciutto cotto + 1 cucchiaio di olio come condimento) oppure sformato di verdure • verdure, pane, frutta come a pranzo. La frutta può essere sostituita da una fetta di dolce (crostata) o budino Inoltre: • un bicchiere di vino ai pasti principali (1/2 per le donne). • prima di coricarsi: un bicchiere di latte tiepido (150-200 ml) con miele (1-2 cucchiaini) • bere frequentemente acqua, anche prima di avvertire lo stimolo della sete: almeno 1,5 l ai pasti e/o frazionata durante la giornata • non eccedere nell’aggiunta di sale alle pietanze N.B. Il latte può essere sostituito da latte HD (povero di lattosio) in caso di intolleranza al latte normale. 415 P02Cap27-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 416 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione L’ALIMENTAZIONE NELLA GRAVIDANZA E NELL’ALLATTAMENTO Gravidanza Tradizionalmente le raccomandazioni nutrizionali per la donna in gravidanza sono state formulate in base ai calcoli delle necessità di energia, proteine e altri nutrienti per la sintesi dei tessuti del nuovo essere vivente e per le diverse modificazioni alle quali va incontro l’organismo materno: aumento della massa circolante, ipertrofia-iperplasia utero-mammaria, deposizione di grasso nel tessuto adiposo (volta a fornire, se necessario, energia per l’allattamento). I totali dei vari costi nutrizionali così ottenuti, sottoposti alle necessarie correzioni e divisi per i giorni della gravidanza, sono riportati come LARN per lo stato gravidico e per l’allattamento nella tabella 27.3. Va sottolineato tuttavia che i suddetti valori di riferimento sono soggetti a variazioni sia in relazione al periodo della gravidanza, che alle condizioni dello stato nutrizionale dell’organismo materno all’inizio della gravidanza. In particolare, nel primo trimestre della gestazione i fabbisogni di energia e della maggior parte dei nutrienti sono del tutto sovrapponibili a quelli della donna non gravida, per aumentare poi progressivamente (specie le richieste energetiche) nei successivi due trimestri, a valori superiori a quanto riportato come “medie” nella tabella LARN (> 300 kcal/die nel secondo trimestre e > 400 kcal/die nel terzo trimestre). Inoltre, le più recenti indicazioni sottolineano che il fabbisono aggiuntivo di energia dev’essere determinato individualmente in funzione del peso pregravidico e dell’incremento ottimale di peso da ottenere nel corso del periodo gestazionale (v. “Focus clinici” a fine capitolo). Richieste speciali di specifici nutrienti L’aumento della massa sanguigna, il trasferimento placentare di ferro al feto, le perdite di sangue al momento del parto fanno aumentare le richieste di ferro per l’espletamento di una gravidanza complessivamente a circa 1000 mg. È difficile TABELLA 27.3 LARN PER DONNA ADULTA DI 56 kg E VARIAZIONI RACCOMANDATE PER LA GRAVIDANZA E L’ALLATTAMENTO Energia Proteine Calcio Ferro Iodio Zinco Selenio Vitamina B1 Vitamina B2 Vitamina PP Acido folico Vitamina B12 Vitamina C Vitamina A Vitamina D 416 Età 30-49 anni Gravidanza Allattamento 2000 kcal 53 g 800 mg 18 mg 150 mg 7 mg 55 µg 0,9 mg 1,3 mg 14 mg 200 µg 2 µg 60 mg 600 µg 0-10 µg + 100/200 kcal 59 (+ 6) g 1200 mg 30 mg 175 mg 7 mg 55 µg 1,0 mg 1,6 mg 14 mg 400 µg 2,2 µg 70 mg 700 µg 10 µg + 400/500 kcal 70 (+17) g 1200 mg 18 mg 200 mg 12 mg 70 µg 1,1 mg 1,7 mg 16 mg 350 µg 2,6 µg 90 mg 950 µg 10 µg P02Cap27-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 417 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl L’alimentazione nelle diverse età e condizioni fisiologiche • CAPITOLO 27 che tale quantità possa essere supplita solo dall’alimentazione, anche in assenza delle perdite mestruali, tanto più che non raramente le scorte di ferro dell’organismo materno sono compromesse da pregresse perdite mestruali eccessive o da precedenti gravidanze ravvicinate. Da qui la necessità di ricorrere a una supplementazione farmacologica di ferro per prevenire lo stato anemico materno con le possibili ripercussioni sullo sviluppo fetale. Un’altra necessità nutrizionale particolare in gravidanza riguarda l’acido folico, il cui apporto giornaliero dev’essere raddoppiato rispetto alla quota raccomandata per la donna non gravida. Si ricorda che l’acido folico è coinvolto nella sintesi degli acidi nucleici e quindi nella moltiplicazione cellulare; l’anemia macrocitica, dovuta a carenza di acido folico, non è un evento eccezionale in gravidanza. Inoltre la supplementazione con acido folico effettuata nel periodo immediatamente pregravidico e nelle prime 4 settimane di gestazione previene i difetti di chiusura del tubo neurale (spina bifida, anencefalia). Durante la gravidanza, soprattutto nel terzo trimestre, il fabbisogno di calcio aumenta, per la necessità di trasferirne al feto 200-250 mg/die. Nonostante l’innesco di meccanismi di adattamento, caratterizzati da aumentato assorbimento intestinale e diminuzione dell’escrezione urinaria, è comunque raccomandato un consistente aumento dell’assunzione di calcio per prevenire il depauperamento del patrimonio minerale della madre. La gravidanza è infine caratterizzata da un aumento delle necessità di acqua per soddisfare il fabbisogno del feto e per il liquido amniotico. A fine gravidanza, l’acqua corporea totale è in genere aumentata di oltre 8 litri. È quindi opportuno che la normale razione di 1,5-2 l sia leggermente aumentata. Prevenzione dell’infezione da toxoplasma In gravidanza, come regola generale, è consigliabile astenersi dal consumare insaccati, ma soprattutto è necessario escludere i cibi di origine animale crudi o poco cotti e lavare accuratamente le verdure e la frutta consumate crude o con la buccia. Alcol in gravidanza È consigliabile l’astensione dal consumo di bevande alcoliche di qualsiasi genere. *** In conclusione, nella donna in gravidanza, la richiesta supplementare di energia, relativamente contenuta, è tale da non comportare cambiamenti rilevanti della dieta. Per evitare che il peso aumenti oltre i limiti desiderabili, le porzioni dei cibi non dovrebbero subire tanto modifiche quantitative, quanto qualitative: l’aumentata richiesta di proteine può essere facilmente soddisfatta ricorrendo al pesce, alle carni magre, alle uova, al latte, ai formaggi e ai latticini, che contribuiscono a soddisfare le aumentate esigenze di calcio; peraltro, non bisogna rinunciare al pane, alla pasta, al riso e agli altri cereali i quali, se non troppo raffinati, contribuiscono anche a prevenire la stipsi, disturbo frequente durante la gravidanza. I legumi secchi, se da un lato apportano proteine, ferro e calcio, dall’altro possono favorire, specie nella gravida, la comparsa di meteorismo e di coliche addominali. Allattamento Per l’allattamento le raccomandazioni nutrizionali (v. Tab. 27.3) sono state formulate in modo analogo a quello utilizzato per la gravidanza, calcolando il costo energetico, proteico e in altri nutrienti della produzione giornaliera di latte. 417 P02Cap27-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 418 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione Nello stabilire la quota giornaliera di calorie, si è tenuto conto che una parte del costo energetico della produzione lattea deve essere fornita dai grassi depositati nell’organismo materno durante la gravidanza (perdita media di peso di 0,5 kg/mese nei sei mesi successivi al parto). Oltre all’incremento dell’apporto energetico e proteico, la produzione del latte comporta soprattutto un aumento dei bisogni di calcio e acqua: • • acqua: le perdite da compensare per una portata lattea giornaliera di 750800 ml (all’87% di acqua) si possono calcolare in circa 650-700 ml/die da aggiungere alle necessità normali; calcio: il contenuto di calcio del latte materno è di 320 mg/l. Allo scopo di prevenire l’impoverimento del patrimonio minerale dell’organismo materno si consiglia un aumento quotidiano dell’assunzione di calcio fino a 400 mg. Per la nutrice, il miglior modo per far fronte a queste necessità consiste in un’alimentazione ricca e variata, che comprenda notevoli quantità di liquidi (acqua, succhi di frutta, latte ecc.), olio d’oliva come grasso da condimento (l’acido oleico è fondamentale per la maturazione del sistema nervoso del lattante), un frequente consumo di pesce (per arricchire il latte materno di acidi grassi omega-3, utili per le strutture nervose del lattante), di frutta fresca e vegetali colorati in arancio e con foglie color verde scuro, di latte e latticini e di legumi. Durante l’allattamento sono infine da limitare o escludere alcuni cibi o bevande che: • trasmettono al latte odori o sapori che possono risultare sgraditi al lattante, tanto da allontanarlo dal seno materno: – – – • asparagi, aglio, cipolle, cavoli; mandorle amare; alcune spezie; contengono sostanze farmacologicamente vasoattive o capaci di indurne il rilascio, quindi potenzialmente responsabili dello scatenamento di manifestazioni cliniche similallergiche: – – – – formaggi fermentati; crostacei, molluschi, mitili; eventualmente anche cacao o cioccolato; fragole, ciliege, pesche, albicocche ecc. Come per la gravidanza, anche durante l’allattamento si raccomanda la massima moderazione nell’assunzione di alcol (escludere superalcolici, consentite solo modeste quantità di vino o birra) e di bevande nervine (tè, caffè), di evitare il fumo e qualsiasi medicinale se non prescritto dal medico. Secondo le “Linee Guida”, l’uso di bevande alcoliche e di prodotti contenenti sostanze nervine durante l’allattamento è soggetto alle seguenti indicazioni: • • 418 evitare tassativamente i superalcolici (l’alcol etilico passa nel latte, può inibire la montata lattea e provocare nel lattante sedazione, ipoglicemia, vomito e diarrea); il vino, anche quello a bassa gradazione alcolica, non andrebbe bevuto; nel caso limitarsi a quantità non superiori a un bicchiere, una o al massimo due volte a settimana, esclusivamente ai pasti; P02Cap27-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 419 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl L’alimentazione nelle diverse età e condizioni fisiologiche • CAPITOLO 27 TABELLA 27.4 DIETA DI 2500 KCAL GIORNALIERE PER L’ALLATTAMENTO (COMPOSIZIONE MEDIA IN NUTRIENTI) Nutrienti Proteine Lipidi Glucidi 103,5 g = 16,7% delle kcal totali 94,3 g = 34,2% delle kcal totali 342,6 g = 49,1% delle kcal totali Tiamina Riboflavina Niacina Acido ascorbico Retinolo Calcio Ferro 1,4 mg 2,2 mg 34,2 mg 136 mg 2884 µg 1215 mg 20 mg Quantità giornaliera degli alimenti Latte Pane Pasta-riso Carne o pesce Grassi di condimento Zucchero Frutta Verdura 500 ml 200 g 80 + 30 g 150/200 g 50 g 15 g 400 g 400 g Formaggio Prosciutto Bresaola Uova 80 g 80 g 80 g n. 2 in alternativa tra loro Menu settimanale suggerito Prima colazione • 300 ml di latte zuccherato + caffe q.b. • 50 g di pane Pranzo • 80 g di riso o pasta al pomodoro, al sugo o ragù di carne, all’olio o al burro, o risotto condito con una parte dei grassi di condimento della giornata, 1 cucchiaino di parmigiano • 150 g di carne o pollame o coniglio, oppure 200 g di pesce confezionato a piacere usando una parte dei grassi di condimento • 200 g di verdura cruda o cotta confezionata a piacere condita con una parte dei grassi di condimento; aceto o limone a piacere • 50 g di pane (1 panino); • 200 g di frutta fresca di stagione o cotta Merenda • 200 ml di latte oppure 1 vasetto di yogurt oppure 30 g di formaggio o prosciutto • 50 g di pane (1 panino) Cena • 30 g di pastina o riso o semolino in brodo di verdura oppure minestrone o zuppa di verdura • 80 g di formaggio o bresaola o prosciutto oppure 2 uova cotte a piacere oppure una razione di carne come a pranzo • verdura, pane e frutta come per il pranzo N.B. Il peso degli alimenti è riferito al crudo, al netto degli scarti di preparazione. 419 P02Cap27-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 420 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione • • bere birra non dà vantaggi alla nutrice: non è vero che favorisca la secrezione lattea e, oltre all’alcol, può cedere al latte materno sostanze amaricanti, conferendogli un sapore sgradevole per il lattante; caffè, tè, cacao, bevande a base di cola e tutti i nervini in genere vanno limitati: gli alcaloidi in essi contenuti sono escreti con il latte materno in quantità non trascurabile. Preferire, eventualmente, i prodotti decaffeinati o deteinati. Nella tabella 27.4 è presentata una dieta per l’allattamento formulata in modo da assicurare gli introiti raccomandati di nutrienti (LARN). FOCUS CLINICI VARIAZIONI FISIOLOGICHE DEL PESO CORPOREO CON L’ETÀ E NELLA GRAVIDANZA 420 P02Cap28-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 421 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl 28 COMPOSIZIONE CORPOREA E VALUTAZIONE DELLO STATO NUTRIZIONALE COMPOSIZIONE CORPOREA: INTRODUZIONE La composizione corporea di un organismo riflette quanto nel corso della vita è stato assunto sotto forma di energia e nutrienti, nel rispetto dei fabbisogni. Potrà essere ottimale se gli introiti sono stati adeguati, senza eccessi né carenze (specie di sostanze essenziali), oppure più o meno alterata se si sono verificati o sono presenti squilibri nutrizionali. L’esempio più rilevante delle conseguenze di un’alimentazione sbilanciata per apporti in eccesso e dei suoi riflessi negativi sulla composizione corporea, è l’obesità. L’eccesso di grasso corporeo, che ne è la condizione caratterizzante, non è altro che il risultato di uno squilibrio del bilancio energetico: l’apporto di cibo è, o è stato, superiore a quanto necessario. La valutazione della composizione corporea è quindi importante nella ricerca e nella clinica per le informazioni che può fornire: • • • in condizioni fisiologiche sulle modificazioni delle componenti corporee nel corso della vita (infanzia/adolescenza, età senile) o per monitorare l’efficienza fisica negli atleti; in condizioni patologiche, principalmente nello studio dell’obesità o per valutare le alterazioni indotte dalla denutrizione; è inoltre utile per stabilire in modo più preciso i fabbisogni nutrizionali dei pazienti e per valutare gli effetti delle terapie nutrizionali effettuate. STUDIO DELLA COMPOSIZIONE CORPOREA Le prime conoscenze sulla composizione corporea derivano dall’analisi dei cadaveri, e ancora oggi i dati così ottenuti rappresentano il riferimento per la valutazione dell’attendibilità delle altre metodiche. Ovviamente nel vivente non si possono applicare le stesse tecniche che permettono di separare i diversi costituenti dei tessuti non più in vita. Si fa pertanto riferimento a dei “modelli teorici” che suddividono il corpo umano in compartimenti: il più semplice (e il più utilizzato) è il cosiddetto “Modello bicompartimentale”, che considera il corpo umano come se fosse diviso in due soli settori o compartimenti: • massa grassa (o fat mass, FM), costituita sia dal grasso depositato nel tessuto adiposo, sia da quello presente, frammisto ad altre componenti, nei di- 421 P02Cap28-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 422 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione • versi tessuti e strutture corporee (per esempio, il grasso fra le cellule dei muscoli, intorno agli organi viscerali, interno nell’addome ecc.); massa corporea alipidica o massa magra (o fat free mass, FFM), costituita da “tutto ciò che non è grasso”, incluse le componenti non grasse del tessuto adiposo. Della FFM fanno parte oltre ai muscoli, l’acqua corporea, l’osso e le strutture articolari, i polmoni, il fegato, i reni e tutti gli altri organi interni (privi della componente grassa). Altri modelli utilizzati nella descrizione della composizione corporea fanno riferimento a: • • composizione atomica: l’uomo di riferimento di 70 kg contiene il 61% di ossigeno, il 23% di carbonio, il 10% di idrogeno, il 2,6% di azoto, l’1,4% di calcio e meno dell’1% di altri elementi (fosforo, zolfo, potassio, sodio, cloro, magnesio e diversi altri in traccia); composizione molecolare: è il modello più utilizzato e generalmente identifica le seguenti maggiori componenti: – – – – • • l’acqua, che rappresenta il 60% o più nell’uomo di riferimento (un terzo extracellulare e due terzi intracellulare); i grassi, in proporzioni diverse negli individui di riferimento: 15-20% nei maschi e 20-25% nelle femmine; le proteine, presenti per circa il 15-17%; i minerali, presenti per circa il 5% in condizioni normali; composizione cellulare/componenti tissutali: questi modelli distinguono la massa cellulare (le cellule dei tessuti connettivo, epiteliale, neurale e muscolare), i fluidi e i solidi extracellulari; corpo intero: sul corpo in toto possono essere effettuate diverse misurazioni: statura, peso, lunghezza di segmenti corporei, circonferenze corporee, spessore di pliche cutanee, superficie corporea, densità corporea, volume corporeo. METODI PER VALUTARE LA COMPOSIZIONE CORPOREA Le metodiche disponibili per valutare la composizione corporea sono numerose e differiscono fra loro per semplicità d’uso, accuratezza, sicurezza, costi, disponibilità. Di seguito riportiamo una descrizione sintetica delle principali. Misure antropometriche Peso e statura Le misurazioni di peso (kg) e statura (m) sono le rilevazioni più comuni, semplici e accurate dalle quali si ottiene una prima valutazione della massa corporea. Per stabilire la “normalità” del peso corporeo di un soggetto si può far riferimento al peso di soggetti di pari sesso, età e statura riportato nelle tabelle peso/altezza ricavate dalle misurazioni di un gran numero di individui. Dal loro confronto si calcola la percentuale di sovra- o sottopeso secondo la formula: % sovrappeso = (peso misurato – peso di riferimento)/peso di riferimento ¥ 100 ricordando che si considera comunque normale una variazione di ± 10%. Per esempio se il peso di riferimento è 60 kg, la variazione di ± il 10% (± 6 kg) fa sì che siano comunque considerati normali tutti i pesi compresi tra 54 e 66 kg. 422 P02Cap28-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 423 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl Composizione corporea e valutazione dello stato nutrizionale • CAPITOLO 28 TABELLA 28.1 CLASSIFICAZIONE DELLA POPOLAZIONE ADULTA SECONDO I VALORI DELL’INDICE DI MASSA CORPOREA (IMC) IMC Classificazione < 18,5 ≥ 18,5 < 25,0 ≥ 25,0 < 30,0 ≥ 30,0 < 35,0 ≥ 35,0 < 40,0 ≥ 40,0 Sottopeso Intervallo di normalità Sovrappeso Obesità di I livello Obesità di II livello Obesità di III livello Un altro metodo di agevole attuazione, ormai universalmente in uso e che consente di evitare l’impiego di tabelle, è dato dal calcolo dell’Indice di Massa Corporea (IMC), o Body Mass Index (BMI), secondo la formula: IMC = peso corporeo (kg)/statura al quadrato (m2) L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) utilizza l’IMC per classificare la popolazione adulta (Tab. 28.1). L’IMC è comunque un indicatore generico, utilissimo a fini statistici e utilizzato anche per valutare situazioni individuali, ma non è in grado di distinguere le componenti corporee massa magra e massa grassa. Un atleta particolarmente muscoloso potrebbe avere per esempio un indice di massa corporea superiore a 25 e non per questo avere un eccesso di grasso corporeo, mentre lo potrebbe avere un individuo sedentario con IMC normale. Circonferenze e pliche cutanee Tali parametri antropometrici, singolarmente o combinati tra loro, permettono la costruzione di indici di valutazione utilizzati come indicatori della massa grassa/massa magra, della taglia scheletrica e della distribuzione del grasso corporeo. Tra le circonferenze corporee (misurate con metro a nastro) quella della vita (W) è considerata il miglior indicatore della distribuzione addominale del grasso e un importante indice di rischio cardiovascolare (Tab. 28.2). La predittività per il rischio cardiovascolare migliora combinando insieme i valori di IMC e quelli della circonferenza W. TABELLA 28.2 CIRCONFERENZA DELLA VITA (W) E LIVELLO DI RISCHIO CARDIOVASCOLARE Normalità Rischio moderato Rischio elevato Uomini (cm) Donne (cm) ≤ 94 95-102 > 102 ≤ 80 81-88 > 88 423 P02Cap28-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 424 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione Le pliche cutanee, rilevate con un apposito strumento (plicometro) in specifici siti corporei, misurano lo spessore dello strato adiposo sottocutaneo, che si presuppone sia proporzionale alla quota totale di grasso corporeo. Le più note sono le pliche del braccio (bicipitale e tricipitale), la sottoscapolare, la sovrailiaca, l’addominale. Dai loro valori, inseriti in specifiche equazioni, si può ottenere la stima della percentuale (%) di grasso. Inoltre, le misure della plica tricipitale e della circonferenza del braccio consentono di calcolare la circonferenza e l’area muscolare del braccio, indicatori di massa magra e utilizzati per valutare la compromissione delle masse muscolari nei casi di denutrizione. Densità corporea La densitometria, ancora oggi considerata tra le metodiche di riferimento per la stima della composizione corporea, si basa sul presupposto che le differenti componenti corporee hanno densità diversa. Da studi su animali, cadaveri e su singoli componenti della FFM si è stabilito che la densità (peso/volume) del grasso (FM) è pari a 0,9 kg/l e quella della FFM a 1,1 kg/l. Conoscendo la densità corporea, dall’equazione di Siri si ottiene la stima in percentuale del grasso corporeo, con un margine di errore molto basso: massa adiposa % = (4,950/densità – 4,5) ¥ 100 Per valutare la densità è però necessario conoscere, oltre al peso, il volume del corpo e ciò può essere ottenuto solo con procedure particolarmente complesse: • • pesata idrostatica: consente il calcolo del volume del corpo utilizzando il principio di Archimede e richiede quindi l’immersione completa del soggetto in apposite vasche; pletismografia: richiede la disponibilità di apparecchiature molto costose; il volume corporeo viene calcolato a partire dalle variazioni di pressione (spostamento dell’aria) in un ambiente ristretto a tenuta ermetica quando viene occupato dalla persona in esame. Tali metodiche, utilizzate soprattutto a scopo di ricerca, non sono applicabili in clinica e per valutare ampi gruppi di popolazioni. Bioimpedenziometria La bioimpedenziometria (BIA) è la metodica più diffusa, semplice e non invasiva. Si basa su specifiche caratteristiche elettriche dei tessuti corporei che, al passaggio di una corrente alternata, oppongono una resistenza, denominata impedenza (Z) costituita da due componenti: resistenza (R) e reattanza (Xc). La resistenza è diversa a seconda delle caratteristiche dei tessuti e delle strutture biologiche: l’acqua e i tessuti privi di grasso sono buoni conduttori e quindi oppongono una bassa resistenza, mentre i tessuti adiposo e osseo sono cattivi conduttori e hanno alta resistenza. La reattanza (resistenza capacitiva) è la forza che un condensatore oppone al passaggio di una corrente elettrica. Le cellule, in particolare le membrane cellulari, si comportano come condensatori e quindi la reattanza può considerarsi come una misura indiretta della massa cellulare corporea. I rilievi bioimpedenziometrici (R e Xc) ottenuti al passaggio attraverso l’or- 424 P02Cap28-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 425 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl Composizione corporea e valutazione dello stato nutrizionale • CAPITOLO 28 ganismo di una corrente elettrica di debole intensità (a frequenza fissa o variabile) permettono di ottenere una stima del contenuto di acqua corporea totale (TBW, total body water). Partendo dal presupposto che l’acqua costituisce il 73% della massa magra (FFM), dalla TBW si calcola la FFM e quindi, per differenza con il peso, la FM (massa grassa). Alcune apparecchiature disponibili attualmente in commercio dispongono di software in grado di elaborare stime approssimative anche della distribuzione dei fluidi intra- ed extracellulari. La BIA consente una stima veloce e sicura dei distretti idrici, della FFM e della FM, ed è anche sufficientemente accurata purché per il calcolo si utilizzino equazioni “popolazione-specifiche”. In soggetti con caratteristiche corporee alle fasce estreme della popolazione (per esempio, gravi obesi), in caso di rapide variazioni di peso (per esempio, rapido dimagramento) o di anomala distribuzione dell’acqua e degli elettroliti (per esempio, presenza di edemi, versamento ascitico ecc.) la tecnica è poco affidabile e ha un elevato margine di errore. I suoi vantaggi sono la non invasività, la facilità e la rapidità di esecuzione, i bassi costi e un buon livello di riproducibilità. Attenuazione fotonica La DEXA (dual energy X-ray absorptiometry) è oggi la metodica più avanzata e accurata in grado di effettuare la simultanea misurazione di tre diversi compartimenti corporei: • • • massa ossea-minerale; massa grassa; massa magra senza componente osseo-minerale. Si avvale di una fonte di raggi x che emette fotoni a due diversi livelli di energia. Il doppio raggio fotonico attraversando i tessuti subisce una riduzione di intensità che dipende dallo spessore dei tessuti attraversati e dal loro specifico coefficiente di attenuazione. Dal rapporto fra i due valori di attenuazione (R) è possibile, utilizzando opportune formule, separare i tre compartimenti suddetti. La DEXA permette anche di valutare la FFM, la FM e lo stato di mineralizzazione ossea in modo selettivo nei differenti distretti corporei e quindi, per esempio, può identificare aree di accumulo di grasso. È altamente precisa e riproducibile, ha un basso rischio in quanto l’esposizione alle radiazioni è poco più di quella ambientale, ma richiede la disponibilità di strumentazioni molto costose e tempi di esecuzione abbastanza lunghi (20-30 minuti). Tecniche per immagine La tomografia computerizzata (TC) è il metodo più completo per lo studio diretto del tessuto adiposo e della sua distribuzione. Il costo, la scarsa disponibilità e il rischio radiante la rendono di impiego limitato, se non per ricerca clinica. La risonanza magnetica (RM) consente di valutare la composizione corporea non esponendo il soggetto a radiazioni ma a un campo magnetico. Costo, durata dell’esame e scarsa disponibilità ne limitano l’impiego. L’ecografia può essere utilizzata nella valutazione della distribuzione del grasso corporeo in quanto consente una misurazione precisa e riproducibile dello spessore del tessuto adiposo sottocutaneo. 425 P02Cap28-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 426 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione *** Tutti i metodi di misurazione della composizione corporea sono in pratica più o meno indiretti e si basano su assunzioni che non si possono applicare con rigore a tutti gli individui. Infatti esiste una variabilità fisiologica correlata all’età, al sesso, al bilancio energetico, al grado di forma fisica e allo stato di salute. VALUTAZIONE DELLO STATO NUTRIZIONALE Lo stato di nutrizione di un essere vivente viene definito come “quella condizione biologica che può considerarsi come la risultante dell’equilibrio dinamico che si realizza tra richieste nutrizionali e il loro soddisfacimento e dipende dall’apporto di energia e di nutrienti, dalla loro biodisponibilità ed efficienza di utilizzazione”. La sua valutazione ha lo scopo di rilevare la presenza di stati di nutrizione inadeguati (malnutrizione) per difetto o per eccesso. Può essere attuata: • • nell’individuo sano o in apparente stato di buona salute, per la sorveglianza nutrizionale di particolari soggetti (per esempio, nell’età evolutiva) e/o per prevenire patologie da ipernutrizione o malnutrizione subcliniche in soggetti a rischio; nei soggetti affetti da patologie croniche, per identificare e quantificare la malnutrizione che può complicare la patologia primitiva e per stabilire opportunità, tempi e modalità di conduzione dell’intervento nutrizionale. La valutazione dello stato di nutrizione deriva da una serie di rilievi anamnestico/clinici (consistenza del tessuto adiposo, trofismo delle masse muscolari, edemi, perdite di peso, rallentamenti della crescita, eventuale presenza di vomito, diarrea, dolori addominali ecc.) e da esami fisici e di laboratorio, atti a stabilirne l’adeguatezza o la compromissione. A questo scopo si impiegano metodi antropometrici, biochimici, immunologici e funzionali, alcuni dei quali sono da applicare periodicamente per seguire nel tempo l’evoluzione del processo morboso e gli effetti dei provvedimenti intrapresi per correggere la malnutrizione. Metodi antropometrici La misurazione del peso e della statura corporei e il successivo calcolo del valore dell’IMC (kg/m2) sono certamente le prime rilevazioni da effettuare per identificare condizioni che si discostano dalla norma. Tuttavia, più che il confronto tra il peso misurato (o riferito dal paziente o dai familiari se ne è impossibile la rilevazione) con i valori di riferimento (per esempio, valori riportati nelle comuni tabelle peso/altezza), rivestono maggior importanza le sue variazioni rispetto al peso abituale, dato anamnestico fondamentale per una corretta valutazione dello stato nutrizionale. Ogni diminuzione di peso, quantificata in percentuale, dev’essere inoltre considerata in relazione al tempo occorso per verificarsi: in genere, le diminuzioni graduali e lente, rispetto a quelle rapide, compromettono meno lo stato di nutrizione. È accertato comunque che una diminuzione di peso del 10% in un soggetto di peso “normale” nei 3-4 mesi precedenti è da ritenere un indice “probabile” di malnutrizione, mentre una diminuzione più marcata (15-20%) costituisce un segno “sicuro” di malnutrizione. 426 P02Cap28-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:41 Pagina 427 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl Composizione corporea e valutazione dello stato nutrizionale • CAPITOLO 28 Dalle rilevazioni di pliche e circonferenze corporee (descritte in precedenza) si possono quantificare e seguire nel tempo le variazioni dei compartimenti corporei FFM e FM. Normalmente nella pratica clinica ci si limita a valutare la distribuzione addominale del grasso con la misura della circonferenza della vita, oppure le variazioni della massa muscolare del braccio misurando la sua circonferenza e lo spessore della plica tricipitale. L’impiego della plicometria per quantificare la massa adiposa è generalmente di pertinenza specialistica. Metodi biochimici La compromissione del patrimonio proteico dell’organismo può essere valutata con diversi esami di laboratorio: • • il dosaggio della creatinina delle 24 ore rapportato alla statura del soggetto, il cosiddetto “indice creatinina/altezza”, dà indicazioni sull’impegno nel catabolismo proteico delle proteine dei muscoli; a tale scopo si può utilizzare anche il dosaggio della 3-metilistidina nelle urine delle 24 ore; indicatori ritenuti ancora più sensibili dello stato nutrizionale sono le determinazioni delle concentrazioni plasmatiche di alcune proteine circolanti: albumina, prealbumina, transferrina, ceruloplasmina, fibronectina e la proteina legante il retinolo. Le loro variazioni documentano una compromissione del compartimento proteico viscerale. Metodi immunologici Tra i metodi immunologici, i più usati sono gli indici di valutazione dell’immunità cellulo-mediata: la conta linfocitaria totale e la risposta di ipersensibilità ritardata ai test cutanei. Metodi funzionali Uno dei metodi più utilizzati è la valutazione della forza muscolare, le cui variazioni possono essere saggiate mediante un dinamometro. *** La valutazione dello stato nutrizionale è un processo complesso, risultante dall’integrazione dei diversi rilievi sopra descritti. È utile per l’infermiere conoscerne i principi fondamentali, in particolare saper riconoscere in soggetti affetti da patologie potenzialmente in grado di comprometterlo i principali segni di “malnutrizione” (v. Cap. 29 “Malnutrizione”). FOCUS CLINICI BODY MASS INDEX (BMI) 427 P02Cap29-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:40 Pagina 429 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl 29 MALNUTRIZIONE INTRODUZIONE Nei Paesi industrializzati le problematiche nutrizionali più diffuse sono quelle dovute a forme diverse di ipernutrizione o al mancato rispetto di corrette linee guida alimentari; sono comunque presenti anche le problematiche nutrizionali da carenza o iponutrizione, comunemente definita malnutrizione, che può essere considerata quello stato di nutrizione inadeguata che si contrappone sul piano clinico e fisiopatologico alla nutrizione ottimale. La formazione professionale dell’infermiere richiede conoscenze specifiche su questo argomento, proprio in considerazione della frequenza con la quale la malnutrizione anche oggi può essere osservata nelle corsie ospedaliere e dell’impegno richiesto a tutto il personale sanitario per neutralizzarne le conseguenze. DEFINIZIONE In senso lato, per malnutrizione si identifica uno stato di cattiva o comunque non adeguata nutrizione, che più precisamente può essere definita come “quella situazione in cui un deficit, eccesso o squilibrio di energia, proteine e altri nutrienti porta a effetti misurabili indesiderati sulla composizione corporea, funzionalità di organi o tessuti e sulla prognosi a breve/lungo termine; tale situazione, se non corretta, determina un’aumentata incidenza di svariate complicanze, un incremento della mortalità, un peggioramento della qualità di vita”. Generalmente si è soliti fare una distinzione tra le forme per eccesso di nutrienti e le forme per difetto o carenza di nutrienti. Le forme per eccesso, quasi sempre identificabili in patologie specifiche (per esempio, obesità), non saranno qui considerate, mentre verranno trattati gli aspetti relativi alle forme “per difetto”. In tal senso ricordiamo che la malnutrizione è quello stato morboso che si instaura quando non sono soddisfatte le esigenze nutrizionali qualitative e quantitative dell’individuo e che, secondo quanto appreso in precedenza, il soddisfacimento delle esigenze nutrizionali presuppone che i vari principi nutritivi siano presenti nelle razioni alimentari in quantità adeguata e in opportuna proporzione tra di loro e inoltre che siano adeguatamente assorbiti dall’intestino e utilizzati. 429 P02Cap29-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:40 Pagina 430 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione CLASSIFICAZIONE ED EZIOLOGIA Una prima distinzione va fatta tra malnutrizione primaria, diretta conseguenza di carenza di nutrienti (cibo) in assenza di altre patologie, ma che può favorire la comparsa di patologie (malnutrizione come causa di malattia) e quella secondaria, cioè quella che consegue a una o più condizioni patologiche (malattia come causa di malnutrizione). Il deficit nutrizionale può essere globale (proteico-energetico) o selettivo per specifici nutrienti: proteine, vitamine, sali minerali, oligoelementi ecc. Le forme di più frequente osservazione sono: • • • la malnutrizione energetica per difetto dell’apporto calorico; la malnutrizione proteica per difetto dell’apporto proteico; la malnutrizione proteico-energetica ovvero l’associazione tra le due precedenti (PEM, protein-energy malnutrition, secondo la terminologia anglosassone). Generalmente quando la condizione di malnutrizione proteico-energetica è già avanzata, essa è sempre associata a deficit di altri nutrienti (vitamine e minerali). Malnutrizioni primarie Le malnutrizioni primarie, dovute a insufficiente apporto di nutrienti con l’alimentazione e storicamente associate a carestie, guerre o calamità naturali, sono di frequente osservate nelle popolazioni economicamente sottosviluppate, specialmente a carico dei bambini nei quali il corrispondente quadro clinico è stato denominato marasma (malnutrizione calorica) e kwashiorkor (malnutrizione proteica). Nelle società affluenti, invece, le malnutrizioni primarie sono sporadicamente segnalate in soggetti che, per motivi psicologici, riducono la propria alimentazione (anoressia nervosa), in alcuni anziani in cattive condizioni economiche, negli etilisti cronici e nei tossicodipendenti. Malnutrizioni secondarie Le malnutrizioni secondarie sono le forme che conseguono a diverse patologie e sono prodotte da meccanismi che: • • • • aumentano il bisogno di nutrienti, oppure ne diminuiscono l’assorbimento intestinale, o ne compromettono l’utilizzazione, o ne aumentano le perdite per una più intensa eliminazione. A questi meccanismi, presenti singolarmente o variamente associati in numerosi processi morbosi, si accompagna quasi sempre una riduzione degli apporti nutrizionali che contribuisce ad aggravare ulteriormente il quadro clinico di questi pazienti. Il problema della malnutrizione secondaria è di particolare rilevanza nei pazienti ospedalizzati. Ancor oggi la prevalenza della PEM negli ospedali è preoccupante: dati ufficiali indicano valori attorno al 30%, con un incremento significativo nei reparti chirurgici (40-50%) e ancor più nel caso di pazienti anziani o nei soggetti affetti da insufficienza renale cronica sottoposti a dialisi (50-60%). Alcuni studi rilevano inoltre un peggioramento dello stato nutrizionale nel 60% circa dei degenti entro 2 settimane dal ricovero. 430 P02Cap29-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:40 Pagina 431 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl Malnutrizione • CAPITOLO 29 PATOGENESI DELLA MALNUTRIZIONE NELLE MALATTIE L’insorgenza della malnutrizione nelle malattie è sostanzialmente riconducibile a due meccanismi responsabili della negativizzazione del bilancio nutrizionale: riduzione degli apporti e aumento dei fabbisogni. Riduzione degli apporti La situazione cosiddetta di starvation (termine anglosassone più estensivo del nostro “digiuno”) indica situazioni derivanti non solo dalla mancata introduzione di alimenti, ma anche da qualsiasi condizione che realizzi comunque una riduzione degli apporti, come la ridotta assimilazione e l’aumento delle perdite. La riduzione degli introiti alimentari può verificarsi come conseguenza di anoressia (mancanza di appetito), nausea, vomito, disfagia (disturbi della deglutizione o della canalizzazione esofagea), masticazione difficoltosa per cause dentali. L’ospedalizzazione è di per sé un’altra causa di ridotta introduzione di alimenti, per gli orari inadeguati e la scarsa appetibilità dei pasti, per i digiuni necessari alle indagini diagnostiche nonché per le alterazioni dell’umore di tipo depressivo o per la presenza di dolori intensi e costanti. Altre importanti cause di riduzione degli apporti possono essere le prescrizioni dietetiche incongrue o quelle di farmacoterapie che interferiscono con l’apporto alimentare, diminuendo l’appetito o alterando il gusto o che sono tossiche per il sistema digestivo (per esempio, la chemioterapia). La ridotta assimilazione associata ad aumento delle perdite realizza la condizione di starvation attraverso il mancato assorbimento dei principi nutritivi. Questa condizione si riscontra in diverse patologie gastrointestinali che si accompagnano a diarrea o sono caratterizzate da una drastica diminuzione delle secrezioni digestive (bile e succo pancreatico) o è conseguente a interventi chirurgici che hanno determinato un’estesa riduzione della superficie intestinale d’assorbimento. Principali condizioni in cui si verificano una maldigestione o un malassorbimento sono la sindrome dell’intestino corto, la celiachia, la fibrosi cistica, le pancreatiti, l’insufficienza biliare e altre epatopatie. L’aumento delle perdite è la causa prevalente di malnutrizione nelle malattie infiammatorie croniche intestinali, nelle infezioni e nelle infestazioni intestinali, così come nelle diarree intrattabili. Nello stesso senso agiscono le fistole intestinali che versano il contenuto intestinale all’esterno o che fanno comunicare una parte alta del tratto gastrointestinale con una bassa (per esempio, la fistola gastrocolica o duodenocolica). Le patologie nefrourologiche, per esempio, l’insufficienza renale cronica in stadio avanzato e/o la dialisi renale, sono caratterizzate da alterazioni biochimiche responsabili di una importante perdita dell’appetito. La conseguente riduzione degli apporti, l’ipercatabolismo e l’aumento delle perdite di proteine con le urine, che spesso accompagnano tali patologie, possono determinare una grave compromissione dello stato nutrizionale. Nel corso delle neoplasie la malnutrizione è piuttosto frequente ed è principalmente dovuta a diminuzione degli apporti alimentari per anoressia, alla quale si sovrappone anche l’interferenza delle terapie oncologiche. Le cause di malnutrizione nella sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS) possono variare in relazione alla stadiazione della malattia e alla localizzazione delle complicanze. Di particolare importanza, oltre alla riduzione degli apporti, è la presenza di diarrea che, protraendosi nel tempo, diviene causa di malassorbimento. Tra le altre patologie responsabili di malnutrizione caratterizzate da notevoli 431 P02Cap29-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:40 Pagina 432 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione difficoltà di alimentazione con apporti inadeguati per i fabbisogni, ricordiamo: cardiopatie congenite o acquisite, alcune patologie neuromuscolari (per esempio, paralisi cerebrale, ritardo mentale, alcune miopatie, coma), patologie respiratorie croniche e patologie psichiatriche (per esempio, anoressia nervosa). Infine la malnutrizione può svilupparsi e complicare tutte le forme morbose in cui sia necessario sospendere l’alimentazione per oltre quattro giorni o vi sia una riduzione degli apporti inferiore al 50% del fabbisogno per 7-10 giorni. Aumento dei fabbisogni Il secondo meccanismo in grado di determinare una negativizzazione del bilancio nutrizionale è l’aumento dei bisogni nutrizionali dovuto a ipercatabolismo. Esso è presente in diverse condizioni patologiche che comportano febbre (la febbre, di per sé, determina un aumento del MB del 13% per ogni grado centigrado superiore a 37 °C), infezioni ricorrenti o per uso di particolari farmaci, o comunque in tutti i processi morbosi definiti “aggressivi”. La sindrome postaggressiva o, più semplicemente, malattia traumatica od operatoria, è la risposta aspecifica dell’organismo alle “aggressioni”: traumatismi, fratture ossee, interventi chirurgici, ustioni estese, sepsi ecc. È scatenata dall’intervento del sistema nervoso autonomo (simpatico) e si svolge sotto l’influenza di una iperattività endocrina che interessa l’ipofisi, il surrene e la tiroide, e alla quale si associa una sensibile diminuzione dell’effetto insulinico. Ne consegue una situazione endocrino-metabolica caratterizzata da un aumento dei bisogni energetici e proteici di entità variabile in relazione alla natura e alla gravità dell’insulto lesivo (il massimo aumento è determinato dalle ustioni estese), all’età e allo stato di nutrizione del soggetto. Si deve ricordare che questa risposta, sia pure in grado lieve, è sollecitata anche dagli interventi chirurgici di minore importanza, come l’appendicectomia, la plastica erniaria ecc. Tutte le patologie chirurgiche in generale sono quindi caratterizzate da un ipercatabolismo e da un aumento dei fabbisogni. Negli interventi più estesi sul tratto digestivo spesso è anche necessario il “riposo intestinale” parziale o totale con conseguente sospensione o riduzione degli apporti. Anche nella chirurgia toracica e in neurochirurgia, come a volte nei traumi e nelle ustioni, si hanno gravi difficoltà a una adeguata introduzione di alimenti. Tutte queste condizioni, ancora oggi troppo spesso sottovalutate, costituiscono in realtà una indicazione precisa a un supporto nutrizionale il più completo possibile in quanto presentano rischi nutrizionali più che concreti. L’importanza di conoscere e correttamente valutare la malnutrizione secondaria, che a buon titolo viene definita come una malattia nella malattia, risiede nella consapevolezza di quanto essa incida nel peggiorare la prognosi quoad valetudinem e quoad vitam di qualsiasi patologia e di quanto invece un corretto intervento nutrizionale possa migliorare l’efficacia della terapia, ridurre l’incidenza delle complicanze e quindi migliorare la prognosi definitiva della patologia di base. QUADRO CLINICO DELLA MALNUTRIZIONE Ancor prima che il quadro clinico della malnutrizione sia conclamato, di frequente si devono valutare quadri di malnutrizione subclinica o marginale, iniziale o parziale, o anche condizioni di puro rischio nutrizionale. Infatti, le manifestazioni cliniche possono inizialmente non essere evidenti, ma mano a mano che la malnutrizione progredisce, dopo l’esaurimento delle riserve di nutrienti 432 P02Cap29-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:40 Pagina 433 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl Malnutrizione • CAPITOLO 29 dell’organismo, si assiste dapprima alla compromissione di certe funzioni fisiologiche evidenziabili solo con test biochimici o funzionali appropriati; in seguito compaiono i segni clinici che spesso, sovrapponendosi a quelli della malattia responsabile della malnutrizione, finiscono per confondersi con essi. In effetti la malnutrizione è spesso misconosciuta. Secondo alcuni studi in ambito ospedaliero non è identificata addirittura nel 60-70% dei casi e, di conseguenza, non è neppure corretta. Per questo l’infermiere, così come le altre figure sanitarie coinvolte nell’assistenza del malato, dovrebbe possedere alcune conoscenze di base dei mezzi atti a identificare la presenza di malnutrizione e il “rischio nutrizionale” dei pazienti. A tale proposito vanno utilizzati gli strumenti e le metodiche descritti in precedenza nel capitolo 28, paragrafo “Valutazione dello stato nutrizionale”. A completamento di quanto già esposto, in merito ai criteri utilizzati si precisa quanto segue: • • • rilievi anamnestico/clinici: richiedono un’approfondita anamnesi fisiologica e patologica con particolare attenzione alle variazioni del peso e degli introiti alimentari. Se gli introiti risultano inferiori al 50% dei fabbisogni, sicuramente il rischio di malnutrizione sarà elevato. Da un accurato esame obiettivo possono essere registrati segni indicativi di compromissione dello stato nutrizionale e/o di deficit vitaminico/minerale: per esempio, perdita di massa muscolare scheletrica e di grasso sottocutaneo, edemi, stomatite, segni di anemizzazione, segni cutanei e/o mucosi, lesioni a gengive, lingua, denti, unghie, capelli ecc.; rilievi antropometrici: la diminuzione del peso corporeo costituisce un segno cardinale e interessa oltre alla massa grassa (FM) anche la massa magra (FFM). Particolarmente importante è quindi la registrazione delle variazioni di peso rispetto a quello abituale. Fortemente indicativo di malnutrizione è un calo ponderale > del 10% nei 6 mesi o > del 5% nei 30 giorni (1 mese) antecedenti. Va sottolineato che valori di IMC <17 kg/m2 o un peso corporeo <20% rispetto al peso di riferimento sono già correlati a uno stato di malnutrizione. Altri indicatori sono valori delle pliche cutanee tricipitale e sottoscapolare e della circonferenza e/o area muscolare del braccio inferiori al 15° percentile; parametri biochimici/immunologici: alla perdita di FFM partecipano non solo le proteine muscolari ma anche quelle viscerali. L’interessamento viscerale può essere messo in evidenza mediante il dosaggio di determinate proteine plasmatiche. Le principali, di sintesi epatica, sono: – – – albumina: ha l’emivita più lunga, di 20 giorni; la riduzione dei suoi livelli plasmatici si associa a un peggioramento della prognosi; transferrina: ha un’emivita più breve di 8 giorni; riflette le perdite e il recupero del patrimonio proteico; prealbumina: ha un’emivita brevissima di 2-3 giorni; può essere utilizzata come indicatore della risposta al trattamento nutrizionale. In linea generale le proteine di sintesi epatica correlano inversamente con morbilità e mortalità: più sono basse le loro concentrazioni, più alta è la probabilità di evoluzione sfavorevole dell’evento morboso. La carenza di proteine (e di certi micronutrienti come zinco e vitamina C) può determinare un ritardo di cicatrizzazione delle ferite, comprese quelle chirurgiche. La malnutrizione compromette anche i processi immunitari sia di tipo umorale che cellulo-mediati. Ne consegue una maggiore suscettibilità alle infezioni, le quali, a loro volta, 433 P02Cap29-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:40 Pagina 434 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl PARTE II • Scienza dell’alimentazione • possono essere causa ulteriore di malnutrizione: si instaura così un circolo vizioso che può portare a morte l’individuo. La tabella 29.1 riporta la classificazione del grado di malnutrizione in funzione dei livelli ematici di alcune proteine e di parametri biochimici e immunologici (numero di linfociti); parametri funzionali:come conseguenza della compromissione della FFM si ha diminuzione della forza di contrazione dei muscoli scheletrici, rilevabile con prove funzionali (per esempio, dinamometria). Talora anche la funzione del muscolo cardiaco e dei muscoli respiratori può essere alterata. Indici nutrizionali Sono indicatori del “rischio di malnutrizione” e costituiscono un primo approccio per identificare soggetti malnutriti o “a rischio” da indirizzare a una valutazione nutrizionale più approfondita e quindi a trattamento. Ne sono stati proposti diversi, combinando tra loro parametri nutrizionali e variabili non nutrizionali in senso stretto ma associate a malnutrizione (per esempio, età elevata, stati ipercatabolici ecc.). Dalla somma dei punteggi attribuiti a ogni variabile si ottiene lo score finale che identifica il rischio e/o il livello di malnutrizione. Gli indici nutrizionali principali e di più diffuso impiego sono: – – – – – Subjective Global Assessment (SGA); Nutrition Risk Screening 2002 (NRS-2002); Malnutrition Universal Screening Tool (MUST); Nutrition Risk Index (NRI); Mini Nutritional Assessment (MNA) (il più noto per l’età geriatrica). A tutt’oggi non c’è accordo unanime su quale tra i diversi indici sia il migliore in termini di sensibilità e specificità nello screening della PEM. Per esempio, l’ASPEN (la Società scientifica americana di nutrizione artificiale) raccomanda l’SGA che, sebbene preciso, richiede un osservatore esperto, mentre l’ESPEN (la Società europea) raccomanda l’NRS-2002 che fa riferimento specificamente ai pazienti ospedalizzati. Nella tabella 29.2 sono riportate le modalità di valutazione dell’NRS-2002; lo screening avviene in due fasi sequenziali, e prevede l’utilizzo di parametri di semplice reperibilità. L’elevata incidenza di malnutrizione, in particolare negli ospedali, preoccupa le autorità sanitarie anche in considerazione della scarsa sensibilizzazione deTABELLA 29.1 PARAMETRI BIOCHIMICI/IMMUNOLOGICI E GRADO DI MALNUTRIZIONE* Parametro Albumina g/dl Transferrina mg/dl Prealbumina mg/dl Retinol binding protein mg/dl Linfociti /mm3 Indice creatinina/altezza Malnutrizione Lieve Moderata Grave 3,5-3,0 200-150 18-22 2,9-2,5 1500-1200 99-80 2,9-2,5 149-100 10-17 2,4-2,1 1199-800 79-60 < 2,5 < 100 < 10 < 2,1 < 800 < 60 * Fonte: Linee Guida SINPE (Società Italiana di Nutrizione Parenterale ed Enterale), 2002. 434 P02Cap29-Battaglia-Noè 10-03-2008 9:40 Pagina 435 Copyright© 2013 McGraw-Hill Education (Italy), srl Malnutrizione • CAPITOLO 29 TABELLA 29.2 NUTRITIONAL RISK SCREENING (NRS-2002) Screening iniziale 1. 2. 3. 4. IMC è < 20? Il paziente ha perso peso negli ultimi 3 mesi? Il paziente ha ridotto gli introiti negli ultimi 7 giorni? Il paziente è “critico”? Sì Sì Sì Sì No No No No Se la risposta è “Sì’” ad almeno una domanda passare allo screening successivo Screening finale Punti Punteggio A Alterazione dello stato nutrizionale Punti Punteggio B Condizione medica e trattamento 0 • Normale stato di nutrizione 0 • Normali necessità metaboliche 1 • Perdita di peso > 5% in 3 mesi, o • Assunzione alimentare pari al 50-75% dei fabbisogni nella settimana precedente 1 • Frattura dell’anca • Presenza di patologie croniche in particolare con complicanze acute: cirrosi, BPCO, emodialisi, diabete 2 • Perdita di peso > 5% in 2 mesi, o • IMC 18,5-20,5 e condizioni generali scadute, o • Assunzione alimentare pari al 25-50% dei fabbisogni nella settimana precedente 2 • • • • Chirurgia addominale maggiore Ictus Infezioni polmonari gravi Neoplasie di interesse ematologico 3 3 • Perdita di peso > 5% in 1 mese, o • IMC <18,5 e condizioni generali scadute, o • Assunzione alimentare pari a 0-25% dei fabbisogni nella settimana precedente • Traumi cranici • Trapianto di midollo osseo • Pazienti in terapia intensiva Somma: totale punteggio A + totale punteggio B (+ 1 per un’età > 70 anni ) < 3 Rischio assente o lieve: rivalutare ogni settimana > 3 Rischio moderato/elevato: iniziare intervento nutrizionale gli operatori sanitari alla sua rilevazione e trattamento. Negli ultimi 30 anni non è stato documento alcun miglioramento della sua prevalenza. Nel 2002 il Consiglio d’Europa ha elaborato un documento di consenso sulla prevenzione della malnutrizione negli ospedali nel quale viene ribadita la necessità di valutazione del rischio di malnutrizione in tutti i pazienti ospedalizzati già nelle prime ore dal ricovero, con un inquadramento più ampio da parte di un team nutrizionale nei pazienti “a rischio” e, se necessario, con impostazione di una terapia adeguata; vengono anche segnalate le principali barriere a una assistenza nutrizionale appropriata e le possibili raccomandazioni operative. FOCUS CLINICI RUOLO DELL’INFERMIERE NELLO SCREENING DELLA MALNUTRIZIONE E NELL’ASSISTENZA NUTRIZIONALE DI PAZIENTI MALNUTRITI 435