9788879524889A_172-195_capitolo 09.qxd 19-12-2008 16:27 Pagina 172 13 3 l’arte romana Lo stile della repubblica linee guida 9 L’ARTE ROMANA DALLE ORIGINI AL I SECOLO A.C. i concetti chiave le parole del capitolo Q Caratteristica dell’arte romana è la compresenza di stili e modelli iconografici differenti, derivati sia dalla tradizione italica sia dall’influsso esercitato dall’arte greca, la cui rielaborazione autonoma porta a un linguaggio formale originale e multiforme, adattato alle differenti finalità espressive di ogni singola opera d’arte. Q Domus: la casa romana di tipo tradizionale si articola in ambienti chiusi e spazi aperti, con funzioni anche di carattere pubblico e ufficiale. Q Stili pompeiani: la pittura romana si sviluppa secondo una serie di “sistemi figurativi” codificati, in cui temi ornamentali tradizionali – elementi naturali e architettonici, episodi del mito, soggetti religiosi – appaiono combinati fra loro secondo modalità compositive fisse e ricorrenti, fondate su precisi criteri di composizione. Q Il ritratto realistico, attento alla resa dei tratti personali dell’individuo rappresentato, e il rilievo storico, raffigurante scene relative alla vita Q Conglomerato cementizio: l’invenzione pubblica dello stato ed episodi della storia di questa solida miscela di malta e materiale della città, sono le creazioni più originali lapideo o laterizio segna un’autentica di tutta l’arte romana. rivoluzione nell’edilizia romana, Q L’urbanistica e l’architettura consentendo la realizzazione delle ampie coperture a volta o a cupola che rappresentano i due campi in cui ha modo di esprimersi meglio la mentalità caratterizzano tutti i maggiori edifici monumentali della città antica. pragmatica e razionale tipica dei romani e il loro particolare approccio alla realtà, volto principalmente alla creazione di impianti ed edifici caratterizzati da una ben precisa utilità pratica. Sette colli per una repubblica 1 Capanna dell’età del Ferro sul Palatino (Roma), ricostruzione, Roma, Museo della civiltà romana. 172 L’antica tradizione letteraria fissa la data di fondazione della città di Roma al 21 aprile dell’anno 753 a.C., per opera di Romolo,discendente dell’eroico G Enea. Recenti scavi sul colle Palatino, luogo del primo insediamento urbano, sembrano confermare la sostanziale veridicità del nucleo essenziale del racconto, poiché sono state trovate tracce dell’insediamento dell’VIII secolo. Il primitivo villaggio di capanne, situato sulla sommità del colle, si ampliò rapidamente e altri nuclei abitativi sorsero sulle alture vicine, i celebri “sette colli” della futura città, per poi estendersi progressivamente nelle aree confinanti 1. le opere esemplari Q Ritratto di anziano aristocratico, da Otricoli (Terni), metà del I secolo a.C. circa, Roma, una testimonianza molto intensa della forza espressiva e della complessità dei valori e dei significati propri della ritrattistica romana. Q L’ara di Domizio Enobarbo, 110 a.C. circa, Monaco di Baviera e Parigi, uno degli esempi più significativi della molteplicità di stili e di modelli iconografici presenti nella produzione artistica romana. Q Ciclo di affreschi nella villa dei Misteri a Pompei, metà del I secolo a.C., ovvero lo splendore e la raffinatezza della pittura romana espressi nella singolare “megalografia”. Nei suoi primi due secoli di vita Roma fu governata dai leggendari sette re, gli ultimi dei quali etruschi; fu proprio la dominazione etrusca,nel corso del VI secolo a.C., a portare prosperità alla città e ad avviarne la fioritura artistica e culturale. Con la cacciata dell’ultimo re Tarquinio il Superbo, avvenuta, secondo la cronologia tradizionale, nel 509 a.C., venne instaurata una nuova forma di governo, la repubblica. I poteri prima accentrati nelle sole mani del re vennero distribuiti fra i magistrati, provenienti dalle classi elevate di una società divisa in “patrizi”, aristocratici, e “plebei”, appartenenti alle classi popolari, ai quali fu per secoli preclusa qualsiasi possibilità di partecipazione alla vita politica della città. 9788879524889A_172-195_capitolo 09.qxd 19-12-2008 16:27 Pagina 173 9 l’arte romana dalle origini al i secolo a.c. Durante i lunghi secoli della repubblica, che si concluse con l’avvento dell’impero nel 27 a.C., Roma cominciò a estendere il proprio dominio attraverso un’interminabile serie di vittorie militari. In una prima fase l’espansione riguardò l’intera penisola italica, della quale Roma sottomise progressivamente le popolazioni indigene, poi molte regioni dell’Africa settentrionale e dell’Oriente mediterraneo (Grecia, Asia Minore), oltre che vasti e fino ad allora ignoti territori dell’Europa centrale (Gallia, Germania).Tutti questi paesi divennero province, amministrate, per conto del governo centrale, da governatori inviati direttamente dalla capitale 2. Tuttavia gli straordinari successi politici e militari della repubblica ne determinarono anche il declino: negli ultimi due secoli della sua lunga vita, infatti, le smisurate ricchezze affluite dalle terre conquistate, l’ambizione smodata di alcune personalità e la comparsa sulla scena politica di nuove classi sociali generarono una tensione crescente. In particolare la classe dei “cavalieri”, costituita da commercianti e artigiani ricchi, ma non appartenenti alla classe aristocratica, era intenzionata ad assumere nella vita politica un peso proporzionato al proprio potere economico; le sanguinose lotte che conseguirono a questo esplosivo insieme di fattori portarono a un lungo periodo di guerra civile. Dal conflitto uscì vincitore Ottaviano, nipote di Giulio Cesare: a lui, che per primo assunse il titolo onorifico di augusto, si deve la fondazione dell’impero nel 27 a.C. Influssi greci, tra resistenza e fascino Glossario Il rapporto degli antichi romani con l’arte fu complesso e contraddittorio, soprattutto con le arti plastiche, come la scultura, e le arti G suntuarie, nelle quali più direttamente si espresse il gusto per gli oggetti di lusso, spesso realizzati in materiali preziosi. La mentalità pragmatica e concreta, l’indole guerriera, l’attaccamento alla tradizione e al modo di vivere degli antenati – il mos maiorum, come viene definito dalle fonti latine – costituirono un elemento di forte resistenza nei confronti di qualsiasi attività ed espressione artistica che non presentasse un’immediata utilità pratica o un legame con la dimensione religiosa o con il culto degli avi. Per questa ragione l’architettura, l’edilizia, l’ingegneria civile e militare, la ritrattistica furono gli ambiti nei quali l’ingegno dei romani si rivelò più compiutamente. G Suntuario Relativo alle spese voluttuarie, cioè non necessarie; dal latino sumptuarium. Iconografie e personaggi G Enea Eroe troiano, figlio del mortale Anchise e della dea Afrodite, protagonista dell’Eneide di Virgilio e assimilato dalla mitologia romana come antenato di Romolo, fondatore dell’Urbe. Virgilio riprese dalle leggende greche le vicende che narrò nel poema: fuggito da Troia in fiamme con il vecchio padre e il figlioletto Ascanio, Enea girovagò a lungo alla maniera di Ulisse, prima di approdare sulle rive del Tevere e trovare l’ospitalità del re Latino, di cui sposò la figlia Lavinia. L’Eneide si chiude con la vittoria di Enea su Turno, re dei rutuli, che aveva mosso guerra ai troiani. Gallia Bosforo Marsiglia Gallia Narbonese Corsica Spagna Spagna Citeriore Roma Ulteriore Sardegna Danubio Tracia mar Nero Ponto e Bitinia Cappadocia Macedonia Asia Mauritania Cartagine Sicilia regno dei parti Cilicia Atene Africa mar Mediterraneo Creta Cipro Palestina Eufrate Egitto mar Rosso Nilo 2 Il mondo romano nel I secolo a.C. tavola cronologica Q 753 a.C. Fondazione di Roma Q 264-241 a.C. Prima guerra punica Q VII secolo a.C. Monarchia dei re sabini Q 218-201 a.C. Seconda guerra punica Q VI a.C. Monarchia dei re etruschi Q 149-146 a.C. Terza guerra punica Q 509 a.C. Cacciata di Tarquinio il Superbo. Inizio della repubblica Q 60 a.C. Primo triumvirato di Cesare, Pompeo e Crasso Q 451-450 a.C. Leggi delle XII tavole Q 48 a.C. Dittatura di Cesare Q 390 a.C. I galli invadono Roma Q 44 a.C. Idi di marzo: uccisione di Cesare Q 295 a.C. Vittoria dei romani sui galli Q 27 a.C. Fine della repubblica. Fondazione dell’impero 173 9788879524889A_172-195_capitolo 09.qxd 19-12-2008 16:27 Pagina 174 3 4 Ritratto di anziano aristocratico, da Otricoli (Terni), metà del I secolo a.C. circa, marmo, h 31 cm, Roma, collezione Torlonia di Villa Albani. Vecchio di Osimo, da Osimo (Ancona), 50 a.C. circa, marmo, h 35 cm, Osimo (Ancona), Museo civico. Glossario G Ius imaginum Il “diritto alle immagini” concedeva esclusivamente al patriziato la facoltà di conservare in casa i ritratti degli antenati. G Coerenza organica Armonia e concordanza delle singole parti che compongono un’unità. 1 Come si spiega la fortuna del genere ritrattistico a Roma? 2 Quali sono le sue caratteristiche, considerato anche nel confronto con il ritratto ellenistico? 174 Diffidenti nei confronti di qualunque influsso culturale di provenienza esterna, i romani consideravano gli usi e i costumi stranieri, in modo particolare greci, un autentico pericolo per la morale della società e la saldezza dello stato. È vero anche che quest’attitudine si modificò con il progressivo allargamento della sfera di dominio di Roma nella penisola italica e, in seguito, nel più vasto mondo mediterraneo. Tuttavia, quando le grandi campagne di conquista condotte in Grecia e in Oriente a partire dal II secolo a.C. fecero affluire nella capitale,come bottino di guerra,ingenti ricchezze, beni di lusso e opere d’arte, la reazione della società romana fu contraddittoria. Mentre da un lato la pubblica opinione tuonava contro il lusso e lo sfarzo orientali, dall’altro molti esponenti delle classi aristocratiche facevano a gara nell’accaparrarsi le opere più belle. Dunque, non di rado, per non incorrere nelle reprimende moralistiche dei benpensanti e “salvare le apparenze”, pubblicamente veniva espresso disprezzo o almeno disinteresse nei confronti dell’arte greca, ma in privato se ne ammirava la raffinatezza. Nonostante tutto, a partire dalla tarda età repubblicana l’arte greca esercitò sul gusto e sulla produzione artistica di Roma un’influenza determinante. I modelli stilistici e iconografici della Grecia classica ed ellenistica si combinarono con la tradizione indigena, nella quale erano confluite, nei lunghi secoli dell’età del Ferro, la civiltà etrusca e italica, dando origine a un linguaggio artistico non omogeneo, definito “eclettico” dagli studiosi. Con questo termine si intende indicare proprio la compresenza di apporti differenti e di varia provenienza, spesso difficili da identificare con chiarezza, al punto che ancora oggi si discute sulla definizione di “arte romana”. Infatti nel XVIII secolo il tedesco Johann Winckelmann, il primo studioso moderno a elaborare una coerente teoria storica dell’arte classica, parlava di “arte greca del periodo romano” e non di un’arte autenticamente “romana”. Seppure superata dagli studi successivi, un’impostazione tanto radicale mette in luce la caratteristica essenziale dell’arte dell’antica Roma: la coesistenza variabile di stili, modelli iconografici e linguaggi formali diversi, derivati dall’arte greca oppure ripresi dalla tradizione artistica etrusco-italica, di volta in volta scelti e adottati dall’artista e dal committente in funzione delle mutazioni del gusto e delle specifiche esigenze espressive a cui l’opera doveva rispondere. Arte in posa Fra le espressioni artistiche più originali e autenticamente “romane” bisogna annoverare il ritratto, una tipologia scultorea che rispondeva ai requisiti richiesti da una società pragmatica e centrata sul potere individuale quale era quella dell’antica Roma. Abbiamo visto come la Grecia di epoca classica quasi non conoscesse questo tipo di rappresentazione, mentre nell’età ellenistica essa veniva riservata esclusivamente a personaggi importanti – sovrani, condottieri, poeti o filosofi, spesso appartenenti a epoche passate – i cui tratti somatici risultavano tuttavia attentamente rielaborati, in maniera tale da creare l’immagine di un “tipo umano” prima ancora che quella di uno specifico individuo. Del tutto differente era invece la concezione del ritratto nel mondo romano;essa ci appare efficacemente esemplificata, nell’originalità artistica e nella comples- 9788879524889A_172-195_capitolo 09.qxd 19-12-2008 16:27 Pagina 175 l’arte romana dalle origini al i secolo a.c. sità di valori e significati che portava con sé, dalla testa di un anziano aristocratico 3, proveniente dal piccolo centro di Otricoli (Terni), databile verso la metà del I secolo a.C. In questo ritratto non viene omesso alcun dettaglio che evidenzi l’età del personaggio,la durezza del carattere, la gravità solenne dello sguardo severo: le rughe, fitte e profonde, solcano il volto e l’ampia fronte; il naso prominente e gli occhi infossati nelle palpebre pesanti ne suggeriscono l’inflessibilità del temperamento e, insieme alla bocca serrata, contribuiscono a conferirgli un tono di pensosa e patrizia autorità. Si ricava l’impressione di trovarsi davvero faccia a faccia con un individuo in carne e ossa, con il carico di vita vissuta che ne ha definitivamente segnato l’aspetto. Tali particolari caratteristiche si spiegano risalendo alle origini di questo genere artistico. A Roma, infatti, sin dalla prima età repubblicana, si diffuse – esclusivamente presso le famiglie patrizie,che lo consideravano un diritto unico e irrinunciabile, codificato dalla norma giuridica dello G ius imaginum – l’uso di conservare, all’interno di apposite teche nell’atrio della propria residenza, i ritratti in cera degli antenati,modellati direttamente sul volto del defunto e tramandati di generazione in generazione come segno tangibile dell’antichità della stirpe e della gloria degli avi. Come racconta Polibio nelle sue Storie, in occasione del funerale di un membro della famiglia, le maschere venivano fatte indossare a individui che sfilavano poi nel corteo funebre al seguito del feretro, a testimonianza della simbolica partecipazione degli antenati al lutto che aveva colpito la casa. Si ipotizza che da questa singolare pratica aristocratica si sia progressivamente sviluppato il ritratto come forma autonoma di produzione scultorea, anche se i tempi e i modi di questa evoluzione non sono stati ancora pienamente chiariti dagli studiosi. È con la probabile derivazione dalle maschere funerarie che si comprende l’origine della spiccata fedeltà fisionomica del ritratto romano, una ricerca di puntualità della rappresentazione che arriva a essere minuziosa e spietata, come appare evidente nel caso dei soggetti di età avanzata 4. Oltre a esprimere il carattere del personaggio e il suo temperamento, l’accurato realismo fisionomico assumeva un importante valore simbolico quando nei tratti marcati del volto si trovavano incar- nate le qualità considerate distintive del patriziato romano: la severità, il rigore morale, la caparbietà, la forza di spirito. È da notare che nella tradizione artistica greca l’essere umano – essendo un organismo unitario e coerente – doveva essere raffigurato sempre nella sua interezza; i romani invece attribuivano al volto la capacità di rappresentare il personaggio, accettando una perdita di G coerenza organica che sarebbe stata impensabile per i greci. Arte come racconto Oltre al ritratto, l’altra creazione figurativa più caratteristica dell’arte romana è il rilievo storico. Il genere aveva significativi precedenti in raffigurazioni strettamente “storiche” sia nell’arte greca – soprattutto in età ellenistica quando le imprese di Alessandro Magno furono scelte frequentemente come soggetto – sia nell’arte etrusca. Nonostante ciò il rilievo storico può essere considerato una creazione originale dell’arte romana per il legame diretto che esso mostra costantemente con la dimensione pubblica – politica, militare, religiosa – dello stato, che è una novità assoluta. L’intento centrale del rilievo era infatti quello di fissare il ricordo di momenti importanti nella storia della città e nella vita dello stato: campagne di conquista, cerimonie religiose, scene attinenti alla pubblica amministrazione. 9 Il funerale dei patrizi e le immagini dei defunti «Quando qualche illustre personaggio muore, celebrandosi le esequie, è portato con ogni pompa nel Foro presso i cosiddetti rostri e ivi posto quasi sempre diritto e ben visibile, raramente supino. Mentre tutto il popolo circonda il feretro, il figlio, se ne ha uno maggiorenne e se si trova presente, o in mancanza qualcuno della famiglia, sale sulla tribuna, rammenta le virtù del morto e le imprese felicemente compiute in vita. [...] Dopo il discorso funebre, il morto si seppellisce con gli usuali riti funerari e la sua immagine, chiusa in un reliquiario di legno, viene portata nel luogo più visibile della casa. L’immagine è una maschera di cera che raffigura con notevole fedeltà la fisionomia e il colorito del defunto. In occasione di pubblici sacrifici espongono queste immagini e le onorano con ogni cura; e quando muore qualche illustre parente le portano in processione nei funerali, applicandole a persone che sembrano maggiormente somiglianti agli originali per statura e aspetto esteriore. [...] Quando ha finito di parlare del morto, l’oratore incaricato dell’elogio funebre ricorda i successi e le imprese dei suoi antenati, dei quali sono presenti le immagini, cominciando dal più antico. Così, rinnovandosi continuamente la fama di virtù degli uomini valorosi, si immortala la gloria di coloro che hanno compiuto qualche nobile impresa e il nome di coloro che hanno servito bene la patria è conosciuto da tutti e si trasmette ai posteri». (Polibio, Storie, VI, 53) GUIDA ALL’ANALISI 5 Ritratto di Giulio Cesare, metà del I secolo a.C., marmo, Napoli, Museo archeologico nazionale. In questo ritratto di Cesare, risalente all’epoca del triumvirato, trapelano i tratti essenziali del carattere del grande generale e uomo politico, che ne segneranno l’inarrestabile ascesa: intelligenza, determinazione, forza morale, piena coscienza di sé e delle proprie eccezionali capacità. 1In quali dettagli è soprattutto evidente il gusto per una resa realistica dei tratti fisionomici del personaggio? 2 Quale poteva essere la destinazione originaria di un simile ritratto? 9788879524889A_172-195_capitolo 09.qxd 19-12-2008 3 16:27 Pagina 176 l’arte romana 6 (in alto) Corteo nuziale di Nettuno e Anfitrite, rilievo dall’ara di Domizio Enobarbo a Roma, 110 a.C. circa, marmo, h 78 cm, Monaco di Baviera, Glyptothek. 7 Scena di censimento e di sacrificio, rilievo dall’ara di Domizio Enobarbo a Roma, 110 a.C. circa, marmo, h 82 cm, Parigi, Musée du Louvre. Glossario G Resa naturalistica Modalità di raffigurazio- ne che riproduce fedelmente i caratteri del soggetto così come si presentano in natura, come li si vedono. Iconografie e personaggi Nettuno Nel pantheon romano era il dio del mare, equivalente al greco Poseidone. G Marte Dio della guerra, equivalente al greco Ares. G 176 Ara di Domizio Enobarbo, 110 a.C. 6-7 Uno degli esempi più antichi di rilievo storico romano è l’ara di Domizio Enobarbo, una grande base marmorea, databile verso la fine del II secolo a.C., ornata sui lati maggiori da due lunghi fregi a rilievo, che mostra la convivenza di due modalità espressive molto diverse, nel puro segno dell’eclettismo. Nel primo fregio compare un soggetto ispirato alla tradizione mitologica greca – le nozze tra il dio del mare G Nettuno e la ninfa Anfitrite 6, accompagnati da un corteo di divinità marine –, reso nel linguaggio attento all’anatomia e all’armonia delle forme nello spazio proprio del classicismo ellenistico. Nel secondo si svolge invece una scena tipicamente romana, una doppia cerimonia pubblica 7: l’iscrizione dei cittadini, distinti per censo, nelle varie classi della leva militare e un rito di carattere religioso,il sacrificio di un toro, un maiale e una pecora – il cosiddetto suovetaurilia – in onore del dio G Marte, la cui statua è posta davanti all’altare.Il rito è compiuto da un magistrato togato, chiamato “censore”, e vi assistono alcuni soldati in armi. Qui la composizione del rilievo è ordinata, la successione lineare e ben scandita delle scene e dei vari personaggi raggiunge lo scopo di illustrare con chiarezza ogni dettaglio necessario alla comprensione dell’avvenimento raffigurato, senza preoccupazioni di eleganza formale o di G resa naturalistica delle proporzioni. Intento fondamentale del rilievo storico era infatti quello di fissare il ricordo di momenti fondanti della storia e dell’identità della città; poteva trattarsi di episodi di vita militare – campagne di conquista, vittorie finali, trionfi – o, come appare sull’ara di Domizio Enobarbo, di manifestazioni riguardanti la vita pubblica dello stato romano, come sacrifici e cerimonie religiose a carattere ufficiale, scene relative all’amministrazione civile e all’organizzazione burocratica. 9788879524889A_172-195_capitolo 09.qxd 19-12-2008 16:27 Pagina 177 l’arte romana dalle origini al i secolo a.c. Nei rilievi storici la rappresentazione aveva, in genere, un carattere prettamente narrativo:la vicenda era mostrata nell’intero corso del suo svolgimento, attraverso un’ininterrotta sequenza di scene, quasi una cronaca per immagini dell’avvenimento del quale si intendeva perpetuare la memoria 8. Il carattere propagandistico, oltre che decorativo, dei rilievi storici rendeva i monumenti pubblici – archi, templi, altari monumentali, edifici in cui avevano sede i vari organi politici e amministrativi dello stato – i loro ideali (anche se non esclusivi) luoghi di collocazione, poiché ne risultava rinforzata la finalità autocelebrativa del potere. 9 3 Qual è il ruolo del rilievo storico nella Roma repubblicana? 8 Scena di fondazione di città, dal fregio della Basilica Emilia nel Foro romano, I secolo a.C., marmo, h 74 cm, Roma, Antiquarium forense. 177 9788879524889A_172-195_capitolo 09.qxd 19-12-2008 3 4 In che cosa consiste nella statuaria l’adattamento di modelli greci alla cultura romana? 5 L’impianto urbanistico ortogonale non è un’invenzione dei romani. In quali altri contesti l’abbiamo incontrato? 6 Che cosa si intende per “centuriazione” e come ha segnato il territorio nel tempo? 16:27 Pagina 178 l’arte romana Volto d’uomo e nudo d’eroe Notevole fu, in epoca repubblicana, anche la produzione statuaria, più vicina dei due generi precedenti ai modelli formali e alle soluzioni stilistiche della scultura greca, sia pure adattati di volta in volta alle tematiche e ai gusti romani. Emblematica di questo processo di adozione e rielaborazione è la famosa statua del Generale di Tivoli 9,databile all’inizio del I secolo a.C., rinvenuta nel santuario di Ercole vincitore a Tivoli, dove era stata probabilmente offerta come dono alla divinità. Si tratta della statua onoraria, ossia celebrativa, di un militare di alto grado, dall’identità rimasta sconosciuta agli studiosi, la cui figura è presentata nuda, a parte un ampio mantello che le cinge i fianchi ed è sorretto dal braccio sinistro, sotto al quale,appoggiata a terra,si trova la corazza, rivelatrice del suo rango militare. Il corpo, muscoloso e idealizzato, rinvia immediatamente alla statuaria greca, nella quale dei ed eroi erano sempre mostrati nudi – si parla infatti di “nudità eroica” – e ci appare in singolare contrasto con il volto, rispondente ai canoni realistici propri della ritrattistica romana: esso è solcato dai segni dell’età matura e lascia trapelare dall’espressione decisa il carattere energico del personaggio. Quest’opera ci si presenta dunque come una sorta di G ibrido, nel quale si ritrovano affiancate due diverse tendenze artistiche apparentemente inconciliabili: il linguaggio G aulico della scultura greca e il realismo fisionomico romano. Gli scultori romani adattarono alle proprie esigenze le caratteristiche di un’arte nata in tutt’altro contesto culturale, dando vita così a un punto di incontro e di equilibrio tra i due modelli di rappresentazione, che diviene a sua volta qualcosa di nuovo e originale. Pure in questa capacità di assimilazione e rigenerazione va dunque individuata una delle componenti fondamentali della tradizione artistica dell’antica Roma. Angoli e rette, ordine in città La mentalità pragmatica e utilitaristica tipica dei romani e il loro particolare approccio alla realtà, concreto e razionale, si possono verificare nelle modalità con cui essi organizzarono i vasti territori conquistati e fondarono le nuove città, le colonie, che in tali territori furono impiantate, principalmente al fine di sancire il dominio delle regioni sottomesse, esercitarvi un pieno controllo e favorire l’integrazione nello stato romano delle popolazioni locali. La pianta di una nuova città prendeva generalmente a modello il caratteristico impianto ortogonale dell’accampamen9 Generale di Tivoli, dal santuario di Ercole vincitore a Tivoli (Roma), inizi del I secolo a.C., marmo, h 188 cm, Roma, Museo nazionale romano, palazzo Massimo alle Terme. 178 9788879524889A_172-195_capitolo 09.qxd 19-12-2008 16:27 Pagina 179 9 l’arte romana dalle origini al i secolo a.c. to militare (castrum), tradizionalmente vincolato a rigorosi canoni di ordine e di simmetria spaziale 10. Il castrum si presentava infatti con una pianta quadrangolare, delimitata da una cinta difensiva, articolata al proprio interno in base a un reticolo ortogonale, nel quale le strade si intersecavano fra loro ad angolo retto, a partire da due assi viari principali (la via principalis e la via decumana o praetoria) che dividevano l’accampamento in quattro settori. L’assetto interno delle colonie di nuova fondazione veniva quindi impostato su un analogo schema ortogonale, già utilizzato, come abbiamo visto, dall’urbanistica etrusca; al suo interno le direttrici viarie fondamentali erano rappresentate dal cardo (di andamento nord-sud) e dal decumano (di andamento est-ovest), il cui punto d’incontro segnava il centro dell’impianto urbano 11. Qui, in genere, si situavano i principali edifici pubblici della città: il foro – cioè lo spazio in cui si svolgevano la vita politica e le attività più importanti della comunità come quella economica, giudiziaria, amministrativa – e gli edifici templari. L’ordine razionale che caratterizzava gli impianti urbani si estendeva anche ai territori circostanti, spesso suddivisi in modo da creare una regolare “maglia”, la centuriazione, di lotti di terreno dalle dimensioni costanti (centurie), il cui truppe alleate cavalieri romani pretori (o console) fanti scelti cavalieri scelti altare truppe alleate tribuni porta principale cardo maximus porta decumana decumanus maximus cavalieri fanti orientamento ricalcava quello degli assi viari che partivano dalla città. Il tracciato geometrico facilitava l’assegnazione della terra ai contadini nonché l’organizzazione amministrativa e la gestione delle attività agricole ed economiche che si svolgevano nel territorio. Quelle suddivisioni sono state mantenute a lungo anche dopo la fine dell’epoca romana;ancora oggi in molte regioni italiane, per lo più del Centro-nord, sono facilmente individuabili sul terreno e talvolta costituiscono la base di riferimento per le attuali ripartizioni agrarie 12. 10 Accampamento militare romano (castrum), ricostruzione schematica. Glossario G Ibrido Derivante dall’incrocio di elementi diversi di varia provenienza. G Aulico Solenne, elevato. Dante definì “aulica” la lingua parlata nelle corti. 11 12 Impianto urbano della città di Pavia, veduta aerea. Territorio intorno alla città di Pavia, veduta aerea. 179 9788879524889A_172-195_capitolo 09.qxd 19-12-2008 3 16:27 Pagina 180 l’arte romana Costruttori d’ingegno: dal tempio all’acquedotto Forse a causa della loro concretezza, i romani non sono passati alla storia come artisti particolarmente innovativi e originali, eppure ci sono ambiti nei quali hanno mostrato uno straordinario talento. Nell’architettura e nell’ingegneria, arti più legate alla realtà pratica rispetto alla pittura e alla scultura, ebbero infatti modo di esprimersi pienamente con estro e razionalità, di inventare nuove soluzioni, di dimostrare una speciale capacità di pianificazione organizzativa e di gestione anche delle imprese più ambiziose. Gli ingegneri romani sono stati i più grandi costruttori dell’antichità: oltre che nell’architettura religiosa, funeraria e residenziale – templi, monumenti sepolcrali, case, ville e palazzi di vario genere – fu soprattutto nel settore degli impianti di servizio, destinati alla pubblica utilità, che gli ingegneri di Roma realizzarono opere destinate a sfidare i secoli: strade, ponti, acquedotti, impianti fognari, terme, 13 Capitolium di Roma, 509 a.C., pianta e ipotesi ricostruttiva della fronte. 14-15 Tempio detto “della Fortuna virile”, fine del II secolo a.C., Roma, Foro Boario, pianta ed esterno. 180 edifici di spettacolo che costituiscono le vere e proprie conquiste dell’umanità. Partendo dalle esperienze acquisite in campo architettonico dai popoli che li avevano preceduti – greci ed etruschi in particolare – i romani arrivarono a perfezionarne le tipologie edilizie e a elaborarne di assolutamente nuove e innovative, affinando nel contempo le tecniche costruttive più adatte alla loro realizzazione. L’architettura religiosa dell’epoca repubblicana non si discosta sostanzialmente dalla tradizione etrusco-italica, attenendosi al modello di edificio templare che era stato elaborato nei secoli precedenti in ambito centro-italico e apportandovi solo limitate modifiche formali derivate dall’ellenismo, come nel caso dell’adozione degli ordini architettonici greci. In effetti il più antico tempio costruito a Roma e ricordato dalle fonti latine, il celebre Capitolium 13, dedicato a G Giove, Giunone e Minerva, la cosiddetta “triade capitolina”, fu innalzato sulla sommità del colle del 9788879524889A_172-195_capitolo 09.qxd 19-12-2008 16:27 Pagina 181 9 l’arte romana dalle origini al i secolo a.c. 17 Tempio di Vesta, pianta. 16 Tempio di Vesta, fine del II secolo a.C., Roma, Foro Boario, esterno e pianta. Campidoglio nel 509 a.C., anno di fondazione della repubblica, da maestranze etrusche, fra cui Vulca, che ne curò la decorazione architettonica e scultorea, interamente realizzata in terracotta. Eretto, secondo l’uso, su un alto podio che ne accentuava la monumentalità – una parte del quale, sia pur frutto di rifacimenti successivi, è ancora oggi visibile –, il tempio esastilo, dotato cioè di sei colonne in facciata, era suddiviso all’interno in tre celle affiancate,ognuna destinata a ospitare la statua di una divinità. Un influsso più deciso della tradizione architettonica greca si può invece individuare in due templi più tardi (fine del II secolo a.C.) giunti fino a noi in un eccezionale stato di conservazione, che ne consente un’analisi puntuale. Entrambi furono eretti nell’area del Foro Boario, l’antico mercato del bestiame, spazio destinato alle principali attività commerciali della città. Il primo tempio era dedicato all’antico dio G Portunno, nonostante sia noto come tempio della Fortuna virile 14-15. Si tratta di un tempietto che sovrappone al canone etrusco-italico – individuabile nell’alto podio con scalinata d’accesso sul solo lato anteriore, nel pronao molto profondo nonché nel largo uso del tufo associato al travertino all’interno – la grazia dell’architettura ellenistica, rappresentata dall’elegante ordine ionico, dalla particolare soluzione costruttiva che porta ad addossare le colonne della peristasi ai muri laterali della cella rendendo il tempio pseudoperiptero, dalle forme slanciate dell’edificio. Ancora più originale è il tempio di G Vesta 16-17,dedicato in realtà a Ercole vincitore. L’edificio presenta una pianta circolare – derivata direttamente dalle thòloi greche di età ellenistica – con una cella centrale di forma cilindrica,circondata da venti alte colonne di ordine corinzio. La natura greca del tempio è ulteriormente testimoniata dal fatto di essere interamente costruito in marmo pentelico, proveniente dalle cave del monte Pentelico, nei pressi di Atene. Peraltro le fonti antiche ne attribuiscono il progetto a un architetto greco, Ermodoro di Salamina, a riprova di come, nella tarda epoca repubblicana, fosse diffusa a Roma, e apprezzata dalle classi dominanti,l’attività di artisti di origine ellenica. Iconografie e personaggi Giove, Giunone, Minerva Equivalenti romani dei greci Zeus, Hera e Atena. G Portunno Antichissima divinità romana dei porti. Il porto fluviale di Roma anticamente si trovava in prossimità del Foro Boario, dove appunto sorgeva il tempio di Portunno. G Vesta Nella mitologia romana era la dea del focolare. Le sue sacerdotesse, addette al mantenimento del fuoco sacro nei templi, erano le “vestali”. G 7 Quali sono i caratteri del tempio romano e in quale rapporto sono con i modelli greci ed etruschi? 181 9788879524889A_172-195_capitolo 09.qxd 19-12-2008 3 16:27 Pagina 182 l’arte romana b a 18 19 Sezione di strada romana lastricata. Isola Tiberina con il ponte Fabricio e il ponte Cestio, metà del I secolo a.C. circa, Roma. a. Fondo a strati di ciottoli, ghiaia, malta. b. Pavimentazione di pietre posate a secco. Tra i numerosi impianti di carattere prettamente funzionale,destinati a servizi di pubblica utilità,oltre alla estesa e articolata rete stradale 18 – frutto di una pianificazione iniziata già alla fine del IV secolo a.C. con l’apertura, tra Roma e Capua, della celebre via Appia – l’ingegneria romana produsse opere monumentali come ponti e acquedotti. A Roma i più antichi ponti sul Tevere furono costruiti addirittura nella prima età regia: la tradizione letteraria attribuiva il ponte Sublicio, interamente in legno, all’opera del re Anco Marcio.Ancora oggi si conservano in perfette condizioni il ponte Fabricio e il ponte Cestio (dai nomi dei due magistrati che ne curarono la costruzione, verso la metà del I secolo carreggiata parapetto archivolto contrafforte arcata spalla rostro 20 Ponte romano, schema ricostruttivo. palo di fondazione 182 spalla a.C.), che collegano le sponde del Tevere all’Isola Tiberina 19. Realizzati in solida muratura G litica o G laterizia, a una o più arcate impostate su possenti piloni di sostegno, fondati direttamente nell’alveo fluviale e rinforzati da G contrafforti per meglio resistere alla pressione della corrente 20, i ponti rappresentano una delle grandi conquiste dell’ingegneria romana, al punto che numerosi sono quelli ancora oggi comunemente utilizzati, anche fuori dall’Urbe. Assai precoce fu, a Roma, pure la realizzazione dei primi acquedotti, indispensabili ai bisogni di una città in costante crescita. Il più antico fu detto Aqua Appia e la sua costruzione iniziò nel 312 a.C., contemporaneamente a quella della celebre strada, che prese parimenti il nome dal suo artefice, il console Appio Claudio Cieco. Nella piena età imperiale,Roma era rifornita da ben undici acquedotti, alcuni dei quali sono ancora oggi in piena attività. In genere gli acquedotti attingevano direttamente presso le sorgenti e l’acqua era convogliata all’interno di condotti sotterranei scavati nella roccia o realizzati in muratura che, per garantire il continuo e regolare deflusso, dovevano presentare una leggera e costante pendenza. Spesso era necessario realizzare condotti sopraelevati, posti alla sommità di lunghe sequenze di arcate, impostate su solidi piloni in muratura, al fine di superare ostacoli naturali come profonde valli o larghi alvei fluviali 21. Talora, per oltrepassare rilevanti dislivelli, si utilizzavano, con insuperata perizia ingegneristica, complessi sistemi di sifoni idraulici che sfruttavano la spinta data 9788879524889A_172-195_capitolo 09.qxd 19-12-2008 16:28 Pagina 183 21 22 Acquedotto di Tarragona (Spagna), II secolo d.C. Percorso di un acquedotto romano, schema. diga conduttore ponte ad archi serbatoio a valle serbatoio a monte ponte a due arcate pozzetto di rottura arcata finale sfiatatoio dalla pressione dell’acqua e si avvalevano del principio dei G vasi comunicanti per superare i pendii più accentuati. Nel tratto terminale del loro percorso, gli acquedotti erano dotati, in genere, di vasche di decantazione (piscinae limariae), funzionali al deposito delle scorie portate in sospensione dall’acqua e quindi alla sua purificazione prima della definitiva immissione entro le condutture cittadine 22. Abitare in città e in campagna Nel corso dell’epoca repubblicana ebbe un significativo sviluppo anche l’architettura domestica,che giunse a una compiuta definizione tipologica e strutturale degli edifici residenziali privati sia urbani, le domus, sia extraurbani, le villae. Le nostre conoscenze sulla domus romana si basano soprattutto sullo straordina- rio stato di conservazione delle abitazioni di Pompei, sepolte dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. e quindi mantenutesi pressoché intatte nel loro aspetto originario (pp. 184-185). I ricchi aristocratici possedevano,oltre alla casa in città, anche una o più residenze in campagna, di frequente situate in zone di particolare pregio ambientale; celebri erano, per esempio, le villae signorili della regione vesuviana.Si trattava per lo più di costruzioni vaste e sontuose, fornite di tutte le possibili comodità, abbellite da preziose opere d’arte greca. Alla vocazione residenziale molti di questi edifici affiancavano quella produttiva, con magazzini, impianti per la spremitura delle olive o dell’uva, stalle per il bestiame, voliere per gli uccelli e – nel caso di ville poste in aree costiere – peschiere per l’allevamento dei pesci. serbatoio di distribuzione Glossario G Litico In pietra. G Laterizio Di mattoni in terracotta. G Contrafforte Elemento architettonico posto a bilanciare dall’esterno la spinta di un arco. Vasi comunicanti Principio fisico secondo cui un liquido versato in contenitori fra loro comunicanti raggiunge lo stesso livello. G 183 9788879524889A_172-195_capitolo 09.qxd 13-01-2009 3 15:14 Pagina 184 l’arte romana Triclinio Sala da pranzo, fornita dei caratteristici letti disposti lungo le pareti, dove gli ospiti si accomodavano durante i banchetti. Peristilio Spazio aperto interno, circondato lungo i lati da un porticato, in genere sistemato a giardino con vasche e fontane ornamentali. Cucina Ambiente di servizio riservato alla preparazione dei cibi, dotato di uno o più forni; spesso vi era direttamente annessa anche la latrina. Ala Zona aperta sull’atrio. Cubicula Stanze da letto e da soggiorno, presenti in numero variabile all’interno dell’abitazione e in genere disposte intorno all’atrio. 184 9788879524889A_172-195_capitolo 09.qxd 13-01-2009 15:14 Pagina 185 l’arte romana dalle origini al i secolo a.c. 9 LA DOMUS ROMANA La casa romana di tipo tradizionale era la cosiddetta “casa ad atrio”, che prende il nome dalla vasta sala quadrata posta vicino all’ingresso, al cui centro era collocata una grande vasca detta impluvium, in cui veniva convogliata l’acqua piovana che scendeva dalle falde del tetto (compluvium), inclinate verso l’interno. Aperto sull’atrio e in asse con l’entrata si trovava il tablino (tablinum), ambiente di ricevimento e di rappresentanza del padrone di casa, affiancato da due vani di servizio (alae), mentre tutt’intorno all’atrio si disponevano le camere da letto, chiamate cubicula. La parte posteriore della casa ospitava di solito un orto recintato oppure un peristilio, uno spazio aperto generalmente sistemato a giardino, spesso ornato da statue e fontane e circondato sui quattro lati da portici, su cui si affacciavano gli ambienti destinati allo svago, al riposo e al ricevimento degli ospiti, come il triclinio (triclinium), la caratteristica sala da pranzo dove i commensali mangiavano distesi su comodi letti. Tablino Sala “di rappresentanza” dell’abitazione, collocata esattamente di fronte all’ingresso, dove erano tradizionalmente custoditi, entro appositi armadi, i ritratti degli antenati della famiglia. Atrio Grande ambiente di forma quadrangolare, parzialmente coperto da un tetto a falde inclinate verso l’interno (compluvium), sostenute da colonne angolari e dotato di un’apertura centrale che serviva a convogliare l’acqua piovana in una vasca sottostante (impluvium). Fauces Piccolo ambiente d’ingresso, affacciato direttamente sulla strada. Bottega Ambiente direttamente affacciato sulla strada e non comunicante con l’interno dell’abitazione, riservato alle attività commerciali e artigianali. 185 9788879524889A_172-195_capitolo 09.qxd 19-12-2008 16:28 Pagina 186 13 le tecniche dell’arte arco e la volta sono da an- L’ noverare fra gli elementi ar- chitettonici più ricorrenti dell’arte romana. L’arco era largamente impiegato, per esempio, in strutture funzionali di particolare impegno costruttivo, come ponti e acquedotti, i quali trovavano uno dei punti di forza nella notevole efficacia statica delle arcate di sostegno. L’arco e la volta La volta, invece, che ne costituisce il naturale sviluppo “tridimensionale”, era largamente utilizzata nella copertura degli ambienti, anche di quelli di più ampie dimensioni, presentando il considerevole vantaggio di essere una struttura autoportante, capace cioè di reggersi autonomamente senza bisogno di alcun sostegno da terra. L’arco b f c a e d e g d a. intradosso (o sottarco o imbotte), parte interna dell’arco; b. estradosso, curva esterna; c. spessore, distanza tra intradosso ed estradosso; d. piedritti o spalle, sostegni su cui poggiano le estremità dell’arco; e. piano d’imposta, superficie di appoggio dell’arco sui piedritti; f. chiave, sommo dell’intradosso; g. luce o corda o portata, distanza tra i piedritti all’altezza dell’imposta. L’arco etrusco Attestato già nell’architettura mesopotamica, l’arco fu impiegato con una certa frequenza in strutture monumentali di epoca ellenistica ma fu soprattutto con gli etruschi – dai quali i romani lo ripresero – che il suo utilizzo nell’edilizia divenne comune. Fu invece sostanzialmente ignorato dalla grande architettura greca di epoca classica che preferiva strutture lineari architravate, formate cioè da due elementi verticali di supporto, sui quali era posto un elemento orizzontale di copertura. Si trattava però di strutture più rigide, meno resistenti alle sollecitazioni statiche e che consentivano una minore flessibilità d’uso rispetto agli archi. Costruire l’arco L’arco è il risultato della giustapposizione di una serie di laterizi o di elementi in pietra conformati a cuneo, i conci, posti in opera secondo una regolare disposizione curvilinea e poggianti all’esterno su due elementi verticali di sostegno, i piedritti. La superficie di appoggio dell’arco La volta sui piedritti è detta piano d’imposta. La linea interna dell’arco è definita intradosso ed è in base alla sua forma e ampiezza che gli archi si classificano secondo tipologie differenti; i romani tuttavia utilizzarono esclusivamente l’arco a tutto sesto, vale a dire di forma perfettamente semicircolare. In fase di costruzione, i conci venivano posti in opera grazie all’impiego di un’armatura di sostegno in legno, la cèntina, smontata una volta collocato il concio di chiave, cioè l’elemento sommitale dell’arco che, grazie alla forza di compressione esercitata reciprocamente da tutte le componenti, teneva insieme l’intera struttura – talora anche senza l’impiego di leganti – scaricando il peso della costruzione soprastante sui piedritti laterali. Dalla volta alla cupola Sugli stessi princìpi statici si basa anche la volta, nata dallo sviluppo spaziale dell’arco. A seconda della conformazione si distinguono vari tipi di volta: in epoca romana le più diffuse erano la volta a botte – formata dalla semplice sequenza lineare di più archi giustapposti – e quella a crociera, originata invece dall’intersezione ortogonale di due volte a botte. Anche la cupola, copertura tipica degli spazi a pianta circolare o quadrata, ha un’origine simile, poiché nasce dalla rotazione completa di un arco intorno al proprio asse mediano. La volta a botte è usata soprattutto per la copertura di ambienti a pianta rettangolare. 1 La volta a crociera risulta dall’intersezione di due volte a botte e serviva per la copertura di ambienti a pianta rettangolare o quadrata. 2 186 La cupola è utilizzata per la copertura di spazi circolari o quadrati. 3 9788879524889A_172-195_capitolo 09.qxd 19-12-2008 16:28 Pagina 187 Costruire con il calcestruzzo e capacità costruttive dei ro- L mani si manifestarono, ol- tre che in ambito strettamente architettonico, anche a livello tecnologico, attraverso l’elaborazione di tecniche e pratiche edilizie davvero innovative ed efficaci, in virtù delle quali fu possibile costruire i grandiosi monumenti conosciuti in tutto il mondo. La tradizione Durante l’epoca monarchica e fino ai primi secoli della repubblica, i romani mantennero in uso modalità costruttive tradizionali, già largamente impiegate dai greci e dagli etruschi; in esse si faceva uso prevalentemente di materiali poveri quali il legno e il mattone crudo o, per le costruzioni di maggiore impegno monumentale come cinte murarie e templi, di massi di pietra di grandi dimensioni, più o meno squadrati, che venivano posti in opera in filari sovrapposti con maggiore o minore regolarità, in genere senza l’impiego di leganti. L’innovazione Un’autentica rivoluzione nella tecnica edilizia romana fu l’introduzione, verso la fine del III secolo a.C., di un materiale di nuova invenzione, il calcestruzzo – detto anche “conglomerato cementizio” –, composto da una miscela di malta, ossia un amalgama di calce e sabbia ampiamente utilizzato come legante, cui veniva mescolato, in varia misura, materiale lapideo o laterizio come ghiaia, pietrame di piccola pezzatura, scaglie di mattoni. Le sue caratteristiche e modalità d’impiego possono essere avvicinate a quelle del cemento moderno: esso veniva gettato in stato semiliquido entro casseforme lignee e, una volta consolidatosi in seguito all’evapora- zione naturale dell’acqua, raggiungeva una straordinaria compattezza e resistenza statica alle sollecitazioni. Grazie a queste caratteristiche, il calcestruzzo venne impiegato nella realizzazione delle ampie coperture a volta o a cupola dei più grandi edifici monumentali di Roma, secondo una tecnica comunemente definita opus caementicium (opera cementizia), dal termine caementa con cui si indicavano i materiali inerti mescolati alla malta per ottenere il calcestruzzo. Ma il debutto di questo nuovo materiale fu alla base di un profondo cambiamento anche nella costruzione delle più comuni strutture murarie. Per queste venne infatti adottata la cosiddetta tecnica a sacco, che prevedeva la realizzazione di un solido nucleo interno ottenuto con una gettata di calcestruzzo – quindi compatto e autoportante dal punto di vista statico – rivestito esternamente da una doppia cortina muraria a vista (paramento) in pietre o laterizi, che aveva una funzione protettiva ed estetica. Sono stati identificati diversi stili – definiti dagli studiosi, con termine latino, opus – sulla base del tipo di materiale impiegato per i rivestimenti e delle modalità della messa in opera. Bisogna tuttavia ricordare che spesso, in antico, tali paramenti non erano visibili perché rivestiti, soprattutto negli edifici più importanti, da materiali pregiati – per esempio da lastre di marmo –, oppure intonacati e dipinti a colori vivaci. Purtroppo la sistematica spoliazione e i danneggiamenti – quando non la distruzione – subiti da gran parte dei monumenti dell’antica Roma, dal Medioevo in poi, ne hanno compromesso irrimediabilmente il volto. Gli stili dei paramenti Nell’opus poligonale i blocchi presentano una forma e una disposizione irregolari. Nell’opus quadratum i massi, ben squadrati, si dispongono su ordinati filari orizzontali. L’opus incertum è in pietre di piccole L’opus reticulatum è in blocchetti di dimensioni, disposte in modo irrego- tufo di forma piramidale, posti in lare e senza un disegno definito. opera con il vertice infilato nel muro, in modo tale che solo le basi rimangano a vista, ordinati secondo un’inclinazione costante di 45°. L’opus testaceum (o latericium) è com- L’opus mixtum utilizza contemporaposto da filari di mattoni, collocati neamente, all’interno di una stessa di piatto su regolari piani di posa. struttura muraria, tipi differenti di rivestimento, sia in pietra sia in laterizio, alternandoli in sequenze più o meno costanti e regolari. 187 9788879524889A_172-195_capitolo 09.qxd 19-12-2008 3 23 Decorazione in I stile, II-I secolo a.C., Pompei (Napoli), casa della Nave Europa, cubiculum 4. 24 (a destra) Affreschi in II stile, I secolo a.C., Roma, casa dei Grifi. 188 16:28 Pagina 188 l’arte romana Lo spazio oltre la parete. Illusione e architettura È stata la terribile eruzione del Vesuvio del 79 d.C. sulla città campana di Pompei a garantirci una conoscenza della pittura di epoca romana che non ha confronti con nessun’altra civiltà del mondo antico. Sepolte dalla lava e dai lapilli eruttati dal vulcano, le abitazioni pompeiane – e, in misura minore, quelle di altre cittadine come Ercolano, Stabia e Oplontis (l’attuale Torre Annunziata) – hanno conservato integri gli affreschi che rivestivano le pareti di case ed edifici pubblici dal pavimento fino al soffitto, offrendo così agli studiosi un eccezionale repertorio di temi ornamentali. La pittura pompeiana prediligeva motivi naturalistici, elementi architettonici, episodi mitologici o tratti dalla tradizione religiosa, variamente combinati fra loro secondo modalità compositive fisse e ricorrenti che davano luogo sulle pareti a una serie di partizioni ordinate. Ripetendosi in maniera costante, esse generavano veri e propri sistemi figurativi, definiti in modo non del tutto appropriato “stili”, i quali rispondevano a precisi criteri di composizione. Dall’analisi degli affreschi pompeiani gli studiosi sono giunti a individuare quat- tro stili,ognuno dei quali si presenta come una diretta evoluzione del precedente, consentendo quindi di affiancare alla classificazione stilistica un ordinamento cronologico. Questa ricostruzione storico-artistica, originariamente legata alla sola pittura di Pompei, è stata in seguito applicata dagli studiosi all’intero panorama della pittura romana, dal momento che essa – con il continuo accrescersi delle scoperte, anche fuori dal ristretto ambito vesuviano – ha rivelato una sostanziale omogeneità e ripetitività dei soggetti iconografici, delle forme espressive e degli stili figurativi, che ne hanno suggerito l’appartenenza a una tradizione artistica unitaria. Il I stile, in uso tra il II e gli inizi del I secolo a.C., è il più semplice dal punto di vista compositivo, privo com’è di qualsiasi carattere figurativo. L’affresco di gusto geometrico che si trova in uno dei cubicula della casa della Nave Europa 23 a Pompei è tra quelli meglio conservati e fra i più esplicativi: definito anche stile “a incrostazione”, questo tipo di decorazione simula – oltre che ad affresco, anche impiegando stucco dipinto – le venature dei pregiati rivestimenti parietali in lastre marmoree colorate (crustae), caratteristici delle più ricche residenze signorili del- 9788879524889A_172-195_capitolo 09.qxd 19-12-2008 16:28 Pagina 189 l’arte romana dalle origini al i secolo a.c. l’epoca ellenistica. I rivestimenti marmorei venivano ricreati sulle pareti attraverso lunghe e regolari sequenze di riquadri dipinti, distribuiti su più fasce sovrapposte: una soluzione ornamentale pratica e assai più economica del marmo. Nel II stile, sviluppatosi nel corso del I secolo a.C., il carattere decorativo è più spiccato; la componente architettonica e strutturale acquista rilievo. Splendidi esempi di questo stile si trovano, oltre che a Pompei, nella fastosa villa di Poppea a Oplontis e in alcune dimore signorili di Roma,quali la casa dei Grifi 24 e la celebre residenza di Livia, moglie dell’imperatore Augusto, entrambe sul colle Palatino. Nelle pitture del II stile le pareti vengono ornate da prospetti architettonici composti da colonne, pilastri, lesene ed edicole, innalzati su finte zoccolature marmoree che talvolta inquadrano elementi scultorei – come per esempio statue poste su podi rialzati – o scene figurate, che sembrano quadri appesi. Come si vede, la prospettiva resta in rapporto allo spazio reale dell’ambiente domestico, che l’artista intende ampliare sovrapponendo alla parete una struttura dipinta, immaginaria ma credibile, fatta di fastose sequenze architettoniche. Alcuni affreschi parietali della casa di Marco Lucrezio Frontone 25 a Pompei illustrano le soluzioni illusionistiche del III stile, comparso a partire dalla fine del I secolo a.C., le quali, evidentemente,non fingono più uno spazio strutturato in modo realistico. In questi casi la decorazione parietale è costituita da esili e fantasiose partizioni architettoniche, al cui interno si trovano elementi decorativi esotici – soprattutto di origine egizia come sfingi e uccelli del Nilo – e naturalistici, come viticci, ghirlande, fiori, chiamati a svolgere la funzione di colonne o di capitelli, dunque a sostenere architravi o a inquadrare edicole, dando luogo a immagini di pura invenzione e notevole effetto ornamentale. La tendenza verso uno scenografico illusionismo troverà la sua massima espressione nel IV stile – non a caso definito anche stile fantastico – diffuso nella seconda metà del I secolo d.C. Gli esemplari affreschi della pompeiana casa dei Vettii 26 sviluppano gli elementi irrealistici già comparsi nello stile precedente, con una spiccata tendenza verso il virtuosismo nelle prospettive, via via più complesse e improbabili, nonché una compiaciuta sovrabbondanza delle ornamentazioni, sempre più cariche d’infiniti preziosismi. 9 25 (a sinistra) Affreschi in III stile, fine del I secolo a.C., Pompei (Napoli), casa di Marco Lucrezio Frontone. 26 Affreschi in IV stile, seconda metà del I secolo d.C., Pompei (Napoli), casa dei Vettii, triclinium. 8 Che cosa sono i cosiddetti quattro stili pompeiani? 9 Delinea i caratteri specifici di ognuno di essi. 189 9788879524889A_172-195_capitolo 09.qxd 19-12-2008 27 16:28 Pagina 190 La villa dei Misteri Fregio dionisiaco, metà del I secolo a.C., Pompei (Napoli), villa dei Misteri. Unico ed eccezionale per stato di conservazione, complessità compositiva e qualità artistica è il grande ciclo di affreschi della famosa villa dei Misteri di Pompei 27. Sorta nella prima metà del I secolo a.C. e interamente ristrutturata verso il 60 a.C., questa ricca residenza, posta subito fuori le mura della città campana, deve il nome con cui è universalmente conosciuta appunto alla straordinaria “megalografia” – letteralmente “pittura di grandi dimensioni”, nella quale le figure sono presentate con dimensioni pari o superiori al naturale – che decora interamente tre pareti di un triclinio affacciato su un giardino interno. Inquadrati in una semplice struttura architettonica,composta da un ripiano inferiore e da una serie di lesene che scandiscono la prospettiva spaziale, in questo affresco compaiono numerosi personaggi, perlopiù femminili, resi con un raffinato gusto per la ricerca del movimento e per la resa della policromia, valoriz- 28 Fregio dionisiaco, particolare. 190 9788879524889A_172-195_capitolo 09.qxd 19-12-2008 16:28 Pagina 191 9 29 Affreschi nella villa romana sotto la basilica di San Sebastiano, prima metà del III secolo d.C., Roma. zata dal rosso intenso dello sfondo. La scena è stata variamente interpretata dagli studiosi e il suo effettivo significato è ancora oggetto di discussione.Le più recenti ipotesi interpretative propendono per riconoscervi i preparativi per le nozze di una fanciulla, raffigurata seduta di spalle al centro della parete principale 28, intenta a dare gli ultimi ritocchi alla propria toeletta assistita da alcune inservienti. A questa scena si accompagnerebbe poi, come simbolico pendant, l’episodio delle nozze mitiche di G Dioniso e Arianna raffigurato sulla parete contigua. La presenza di numerosi personaggi legati al mondo dionisiaco (satiri, sileni, un demone femminile alato) accanto a personaggi reali ha tuttavia fatto in genere supporre che quella qui raffigurata possa in realtà essere una scena allegorica di iniziazione ai misteri dionisiaci, una particolare forma di culto molto diffusa nel mondo romano, che l’aveva ripresa dalla cultura greca. Quale che sia l’interpretazione più corretta è comunque certo che quella del- la villa dei Misteri non è una composizione originale bensì la copia di un’opera di epoca ellenistica (IV-III secolo a.C.) eseguita da un pittore locale su diretta commissione dei proprietari della residenza. Benché privi, per i secoli seguenti, di una fonte di informazioni dello stesso rilievo di quella pompeiana, gli studiosi ipotizzano un’ulteriore accentuazione illusionistica della pittura parietale dopo la fine del I secolo d.C. Gli esiti del processo di stilizzazione si possono infatti individuare in alcuni affreschi di epoca più tarda, quali quelli presenti nella villa romana conservata sotto la basilica di San Sebastiano a Roma 29, databile alla prima metà del III secolo d.C. Le pareti appaiono qui interamente occupate da semplici fasce e partizioni geometriche, delimitate da sottili cornici dipinte, ormai prive di qualunque valore architettonico, al cui interno sono collocate piccole figure ornamentali, isolate e come sospese nello spazio. Iconografie e personaggi G Dioniso e Arianna Arianna, figlia di Minosse e Pasifae, fu abbandonata a Nasso dall’eroe Teseo, di cui si era innamorata e che aveva aiutato ad uscire dal Labirinto. Il dio Dioniso la trovò addormentata e, affascinato dalla sua bellezza, la sposò e la condusse con sé. 191 9788879524889A_172-195_capitolo 09.qxd 19-12-2008 stili a confronto 16:28 Pagina 192 30 Pseudoatleta, dalla casa del Diadùmeno a Delo (Grecia), metà del I secolo a.C., marmo, h 225 cm, Atene, Museo nazionale. Queste due celeberrime statue, pressoché contemporanee tra loro (pieno I secolo a.C.), rispondono all’esigenza di autocelebrazione della società del tempo. Sono entrambi personaggi illustri, la cui identità rimane tuttavia sconosciuta. Il primo è lo Pseudoatleta, che proviene dall’isola di Delo, nel mar Egeo, dove fu rinvenuto all’interno di una ricca residenza privata – definita “casa del Diadùmeno” perché vi si trovò una copia del noto atleta di Policleto – ed è probabilmente il ritratto del proprietario. IL RITRATTO Con la perfezione classica del corpo, di solida, elegante muscolatura, contrasta il realismo del ritratto, nel quale – affinché il messaggio autocelebrativo dell’opera risultasse efficace – dovevano essere mostrati i tratti autentici della persona raffigurata: ecco quindi la struttura solida e squadrata del cranio, la calvizie avanzata, le orecchie sporgenti, le rughe che solcano la fronte. L’ABBIGLIAMENTO La figura è interamente nuda: solo un lembo del mantello poggia, quasi con noncuranza, sulla spalla sinistra, mentre l’altra estremità si avvolge sulla mano destra. Nella scultura greca classica la nudità, che mette in evidenza la forza muscolare del corpo distinguendo così l’individuo raffigurato dall’anonima schiera degli uomini comuni, è caratteristica tipica ed esclusiva degli eroi e degli atleti; proprio a un simile modello eroico si ispira lo scultore con lo scopo di esaltare l’immagine del suo committente. LA POSTURA La figura è stante, il peso del corpo grava interamente sulla gamba destra, le braccia sono stese e la mano destra è poggiata sul fianco. La posa del corpo e la leggera rotazione della testa, appena sollevata, esprimono la piena sicurezza di sé, al limite della spavalderia, e sottolineano con enfasi l’importanza del personaggio raffigurato. 192 9788879524889A_172-195_capitolo 09.qxd 19-12-2008 16:28 Pagina 193 31 Togato Barberini, da Roma (?), fine del I secolo a.C., marmo, h 165 cm, Roma, Musei capitolini. Il secondo è il Togato Barberini, del quale si ignora invece sia l’originaria collocazione sia il luogo di ritrovamento – probabilmente la città di Roma, dove l’opera fu a lungo conservata nella collezione privata della potente famiglia dei Barberini –, che rappresenta un ari- stocratico personaggio in compagnia di due busti-ritratto di suoi antenati. Le notevoli differenze stilistiche e formali tra queste due opere – pur nella comune ideologia di fondo – rivelano la molteplicità degli influssi culturali di cui si nutriva l’arte romana dell’epoca. IL RITRATTO Il volto che oggi corona la figura non è, in realtà, ad essa pertinente: dall’analisi stilistica gli studiosi hanno desunto una datazione precedente della testa rispetto alla statua. Il ritratto appare comunque in linea con il senso complessivo dell’opera, quindi con la rappresentazione perfetta del patrizio romano, autorevole e severo. Notevole è la somiglianza fisionomica tra i due busti-ritratto; una somiglianza che quasi certamente si sarebbe potuta riscontrare anche nella testa originale del togato. La sostanziale affinità dei tratti somatici intendeva esprimere il legame di parentela e quindi, a livello simbolico, la continuità della stirpe e dei suoi valori. L’ABBIGLIAMENTO La figura è interamente avvolta in una toga, l’abbigliamento tipico del patrizio romano; la veste scende fino ai piedi, con lunghe e profonde pieghe, attraverso le quali il corpo riesce a emergere nella sua realtà fisica. L’abbigliamento diventa dunque uno strumento attraverso cui enfatizzare lo status dell’effigiato, rivelandone la nobiltà di stirpe e la severità dei costumi; rimarcandone, soprattutto, la condizione di cittadino romano. LA POSTURA Il personaggio è mostrato stante, in attitudine seria e composta, intento a presentare i busti di due individui in età matura, certo identificabili con antenati illustri della famiglia: il busto di destra è saldamente sostenuto dalla mano del togato, quello di sinistra è collocato su un basso tronco, al quale la figura in piedi si accosta appoggiando l’altra mano sulla base della testa. L’insolito atto vuole significare l’orgogliosa consapevolezza di appartenere a una famiglia aristocratica, rivelando il senso profondo della continuità fra le diverse generazioni: “certificare” e giustificare agli occhi di tutti l’eminente posizione sociale del protagonista. 193 9788879524889A_172-195_capitolo 09.qxd 19-12-2008 16:28 Pagina 194 l’arte alla prova DAL PARTICOLARE I particolari qui riprodotti appartengono a opere studiate nel capitolo. Sai identificarli? 1 1.1 1.3 2 A COLPO D’OCCHIO Navarca di Aquileia, metà del I secolo a.C., marmo, h 177 cm, Aquileia (Udine), Museo archeologico nazionale. Questa scultura è direttamente ricollegabile a una celebre statua della Roma repubblicana. Di quale statua si tratta? Quali sono le caratteristiche che accomunano le due opere? 2 AL LAVORO ARCHITETTO! In visita a un sito archeologico ti accorgi che sul disegno ricostruttivo dell’edificio non sono state collocate le didascalie. Posiziona con precisione, all’interno del disegno ricostruttivo, gli elementi strutturali elencati. 1.2 3 3 1. Atrio 2. Impluvium 3. Tablino 4. Alae 5. Cubicula 6. Peristilio 7. Triclinio 8. Fauces 194 9788879524889A_172-195_capitolo 09.qxd 19-12-2008 16:28 Pagina 195 l’arte romana dalle origini al i secolo a.c. 9 QUESTIONE DI… STILE Nell’archivio del museo sono state smarrite le schede di due opere. Le immagini mostrano ritratti con caratteristiche molto diverse fra loro, rivelatrici delle differenti tendenze stilistiche presenti all’interno di questo importante genere artistico. Analizza le due opere ed elabora una possibile scheda descrittiva tenendo conto di affinità e differenze. 4 IL DETTAGLIO MANCANTE 4.1 4.2 Ritratto di anziano sacerdote del culto di Iside, I secolo d.C., Roma, Museo nazionale romano, palazzo Massimo alle Terme. Ritratto di Pompeo Magno, copia romana del I secolo d.C., da un originale del 60-50 a.C., Copenaghen, Ny Carlsberg Glyptothek. 5 Al Generale di Tivoli è stato qui tolto un dettaglio importante. Di quale dettaglio si tratta? Qual era il suo significato nel complessivo valore simbolico dell’opera? 5 195