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A
p.
CAPITOLO SECONDO
S.
RICHIAMI DI MICROECONOMIA
br
i
SOMMARIO: 2.1 La domanda. - 2.2 Costi, economie di scala ed economie di varietà. - 2.2.1 I costi.
- 2.2.2 Le economie di scala. - 2.2.3 Le economie di varietà. - 2.3 La massimizzazione del profitto. Esercizi e problemi.
Es
se
li
In questo Capitolo passeremo brevemente in rassegna i principali elementi di microeconomia la cui conoscenza costituisce un presupposto necessario per lo studio dell’economia industriale.
In particolare, dopo aver definito il concetto di elasticità della domanda rispetto al
prezzo, ci soffermeremo sulle differenti tipologie di costi sostenuti dalle imprese ed
introdurremo il concetto di economie di scala e di economie di varietà.
Vedremo, infine, quali sono i criteri che le imprese utilizzano per capire se è effettivamente conveniente produrre un determinato bene e, in caso affermativo, qual è il livello di
produzione che permette loro di massimizzare i profitti.
2.1 LA DOMANDA
C
op
yr
ig
ht
P
©
La curva di domanda di un bene indica la quantità massima di quel bene che i consumatori
sono disposti ad acquistare in corrispondenza dei diversi possibili livelli di prezzo.
Solitamente, essa è rappresentata da una retta (o da una curva) negativamente inclinata,
in quanto la relazione tra prezzo e quantità domandata è una relazione inversa: la domanda,
infatti, aumenta al ridursi del prezzo e diminuisce al suo aumentare.
0
a
Fig. 2.1 - La curva di domanda
Q
.
A
10
Capitolo Secondo
(2.1)
S.
p.
Se indichiamo con a la domanda relativa ad un livello di prezzo pari a 0 (rappresentata
graficamente dal punto di intersezione della curva di domanda con l’asse delle ascisse) e con
–b = ∆Q ∆P l’inclinazione della curva, allora possiamo facilmente costruire la funzione di
domanda corrispondente alla curva che abbiamo disegnato in fig. 2.1:
Q = a − bP
funzione di domanda
e=
∆Q Q ∆Q P
=
∆P P ∆P Q
elasticità della domanda rispetto al prezzo
Es
(2.2)
se
li
br
i
L’inclinazione della retta è, dunque, rappresentativa del grado di reattività della domanda
alle variazioni di prezzo: quanto maggiori saranno le variazioni della quantità domandata
derivanti da una variazione unitaria del prezzo, tanto più inclinata sarà la curva di domanda.
Il dato relativo all’inclinazione, tuttavia, non è significativo in quanto direttamente
influenzato dall’unità di misura utilizzata. Ad esempio, se vogliamo calcolare la reattività
della domanda di oro alle variazioni di prezzo, tale valore sarà differente a seconda che il
prezzo venga espresso in dollari o in euro.
Per neutralizzare l’effetto dell’unità di misura utilizzata è preferibile calcolare il
rapporto fra la variazione percentuale della domanda e la variazione percentuale del
prezzo. Tale rapporto è detto «elasticità della domanda rispetto al prezzo» e indica di
quanti punti percentuali varia la quantità domandata di un bene al variare di un punto
percentuale del prezzo.
ht
©
Parleremo, allora, di:
1) domanda elastica, quando il valore assoluto di e è maggiore di 1. Ciò significa, ad
esempio, che se il prezzo dell’oro aumenta dell’1% la domanda si ridurrà in misura
superiore all’1%;
2) domanda anelastica, quando il valore assoluto di e è minore di 1. Quindi, se il prezzo
dell’oro aumenta dell’1% la domanda si ridurrà in misura inferiore all’1%;
3) domanda con elasticità unitaria, quando il valore assoluto di e è uguale ad 1. In questo
caso, un aumento dell’1% del prezzo dell’oro provocherà una riduzione della domanda
percentualmente identica.
ig
2.2 COSTI, ECONOMIE DI SCALA ED ECONOMIE DI VARIETÀ
2.2.1 I costi
C
op
yr
Per produrre un bene o erogare un servizio ogni impresa deve sostenere tutta una serie
di costi legati agli input utilizzati.
Alcuni di questi costi sono fissi (FC), nel senso che devono essere sostenuti indipendentemente dalla quantità di output prodotta, altri sono variabili (VC), in quanto direttamente
proporzionali al livello della produzione Q.
Ad esempio, per un’impresa che produce bulloni di ferro il canone annuo di locazione
di un immobile è un costo fisso, poiché la sua entità non varia al variare del numero di bulloni
prodotto, mentre i costi sostenuti per acquistare le materie prime sono costi variabili, in
quanto legati alla quantità di output.
.
A
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Richiami di Microeconomia
TC ( Q ) = FC + VC ( Q )
costo totale
S.
(2.3)
p.
I costi totali (TC) sostenuti da un’impresa per produrre una quantità di output pari a Q
sono, quindi, pari alla somma dei costi fissi e dei costi variabili:
Pertanto, anche i costi totali, essendo formati da una componente fissa e da una variabile,
sono funzione del livello di produzione Q.
br
i
Dividendo queste tre componenti per la quantità di output prodotto Q, otteniamo,
rispettivamente:
1) il costo medio (AC) di una singola unità di output: TC ( Q ) Q;
2) il costo fisso medio (AFC) di una singola unità di output: FC Q;
3) il costo variabile medio (AVC) di una singola unità di output: VC ( Q ) Q .
Cioè:
li
TC ( Q ) FC VC ( Q )
=
+
Q
Q
Q
costo medio
se
(2.4)
Es
Il costo medio di un’unità di output è, quindi, pari alla somma del costo fisso medio e
del costo variabile medio.
Com’è facilmente intuibile, il costo fisso medio decresce all’aumentare del livello di
produzione e si avvicina tendenzialmente a 0. Il costo variabile medio, invece, dopo una
prima fase decrescente, tende ad aumentare in corrispondenza di alti livelli di produzione
(perché, ad esempio, occorre pagare gli straordinari agli operai).
Il costo medio, in quanto somma delle due precedenti componenti, tenderà anch’esso ad
assumere un andamento prima decrescente e poi crescente.
©
Le rispettive curve di costo avranno, di conseguenza, le seguenti forme:
AVC
AC
ig
ht
AFC
0
yr
Costo fisso medio
Q
0
Q
Costo variabile medio
Q
0
Costo medio
Fig. 2.2 - Curve di costo
C
op
Dal punto di vista matematico, è molto semplice calcolare la quantità di output (Qmin)
corrispondente al punto di minimo della curva del costo medio. Tale punto, infatti, è l’unico in
cui la retta tangente alla curva ha un’inclinazione pari a 0, essendo perfettamente piatta. Sarà,
allora, sufficiente calcolare la derivata della funzione del costo medio e porla uguale a 0.
.
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Capitolo Secondo
p.
Ad esempio, se la funzione dei costi totali è:
TC = 1.800 + 4Q + 2Q 2
AC =
S.
la funzione del costo medio sarà:
1.800
+ 4 + 2Q
Q
ora possiamo calcolare la sua derivata e porla eguale a 0:
i
1.800
+2=0
Q2
br
dAC = −
da cui ricaviamo che Qmin è pari a 30.
MC ( Q ) =
∆TC ( Q )
∆ (Q )
Il costo marginale come funzione dei costi totali
se
(2.5)
li
Il costo marginale (MC) indica, invece, il costo che l’impresa deve sostenere per
produrre un’unità aggiuntiva di output:
(2.6)
MC ( Q ) =
∆VC ( Q )
∆ (Q )
Es
Poiché all’aumentare della produzione i costi fissi restano invariati, ne consegue che il
costo marginale equivale all’incremento dei costi variabili derivante dall’aumento del
livello di produzione:
Il costo marginale come funzione dei costi variabili
ht
©
Esiste, inoltre, un’importante relazione tra costo marginale e costo medio. Supponiamo,
ad esempio, che la nostra fabbrica di bulloni non abbia costi fissi e che abbia prodotto, sino
a questo momento della giornata, 99 bulloni, sostenendo un costo totale pari a 74,25€. Il costo
medio è, dunque, pari a 74, 25 99 = 0, 757 . Se il costo marginale del 100° bullone è:
yr
ig
1) superiore al costo medio dei 99 bulloni precedenti, ad esempio pari a 0,90€, allora il
costo medio dei 100 bulloni sarà superiore al costo medio dei primi 99 bulloni. Nel caso
specifico sarà, infatti, pari a ( 74, 25 + 0, 90 ) 100 = 0, 75157 ;
2) uguale al costo medio dei 99 bulloni precedenti, allora il costo medio rimarrà invariato;
3) inferiore al costo medio dei 99 bulloni precedenti, ad esempio pari a 0,60€, allora il
costo medio dei 100 bulloni sarà inferiore al costo medio dei 99 bulloni precedenti. Nel
nostro esempio sarà pari a ( 74, 25 + 0, 60 ) 100 = 0, 74857 .
C
op
Da quest’esempio concreto possiamo dedurre la seguente regola generale: fin quando
il costo marginale si mantiene inferiore al costo medio, il valore di quest’ultimo tende
a ridursi e la sua curva assumerà, dunque, un andamento decrescente. Quando,
invece, il costo marginale supera il costo medio, il valore di quest’ultimo tende ad
aumentare e la sua curva assumerà un andamento crescente.
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Richiami di Microeconomia
AC
MC
p.
Geometricamente questa relazione può essere rappresentata nel modo seguente:
AC
i
P1
S.
MC
li
br
P0
Q1
0
Q
se
Fig. 2.3 - Costo medio e costo marginale
C
op
yr
ig
ht
©
Es
La curva del costo marginale, pertanto, interseca la curva del costo medio proprio in
corrispondenza del suo punto di minimo.
I concetti di costo medio e costo marginale sono importanti in quanto permettono
all’impresa di dare una risposta a due domande fondamentali: è conveniente produrre quel
bene? In caso positivo, qual è la quantità massima di quel bene che è possibile produrre
senza subire perdite?
Per rispondere alla prima domanda è sufficiente confrontare il costo medio di produzione con il prezzo di vendita; è, infatti, chiaro che la nostra fabbrica di bulloni avrà
convenienza a produrre soltanto se il prezzo di vendita di un bullone è superiore al suo costo
medio. In caso contrario le converrà non produrre affatto. Nel grafico riportato in fig. 2.3
abbiamo indicato con P0 il prezzo corrispondente al punto di minimo della curva del costo
medio. È conveniente produrre solo se il prezzo di vendita è superiore a P0.
Supponiamo, ad esempio, che la nostra fabbrica produca 100 bulloni nel corso delle 8
ore di lavoro giornaliere e che il costo medio di un bullone sia pari a 0,75€. Se il prezzo di
vendita è pari a 1€, essa ottiene un profitto di 0,25€ per ogni bullone prodotto.
Supponiamo, ora, che la direzione dell’impresa stia valutando di aumentare il numero
di bulloni prodotto quotidianamente, pagando un’ora di straordinario agli operai. Per
valutare la convenienza di questa operazione occorre confrontare il prezzo di vendita non
con il costo medio ma con il costo marginale del 101° bullone (e di quelli successivi). Se
questo costo è superiore al prezzo di vendita (a causa del maggior costo del lavoro dovuto
agli straordinari), per l’impresa non sarà conveniente aumentare la produzione, poiché
produrrebbe in perdita le unità aggiuntive ed andrebbe ad erodere il profitto complessivo.
Pertanto, ne possiamo dedurre che per un’impresa è conveniente aumentare il livello
di produzione sino al momento in cui il costo marginale di un’unità aggiuntiva
eguaglia il prezzo di vendita. Come vedremo successivamente, l’eguaglianza tra prezzo
e costo marginale come condizione di massimizzazione del profitto è valida solo per le
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Capitolo Secondo
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imprese che operano in regime di concorrenza perfetta e che, quindi, devono assumere il
prezzo come una componente data e non modificabile.
S.
Pertanto, la funzione di offerta di un’impresa che opera in regime di concorrenza perfetta corrisponde alla
funzione del costo marginale per valori di prezzo superiori al minimo del costo medio. Graficamente, la curva
di offerta coincide con quella parte della curva del costo marginale che è situata al di sopra della curva del costo
medio.
i
In definitiva, l’impresa deve valutare il rapporto tra prezzo e costo medio per decidere
se produrre, tra prezzo e costo marginale per decidere quanto produrre.
Se, ad esempio, il prezzo è pari a P1 (fig. 2.3) le converrà produrre la quantità Q1.
br
2.2.2 Le economie di scala
Es
se
li
Abbiamo appena visto che la curva del costo medio assume, generalmente, una
caratteristica forma ad U, con costi medi unitari prima decrescenti e poi crescenti.
Quando i costi medi di produzione diminuiscono all’aumentare del numero di unità
prodotte (quando, cioè, ci troviamo nella zona decrescente della curva) si parla di economie
di scala o di rendimenti di scala crescenti.
Quando, invece, i costi medi aumentano al crescere del livello di produzione (e, dunque,
ci troviamo nella seconda parte della curva, a destra del suo punto di minimo) si parla di
diseconomie di scala o di rendimenti di scala decrescenti.
La forma ad U della curva del costo medio ci suggerisce, quindi, l’esistenza di economie
di scala per bassi livelli di produzione e di diseconomie di scala per alti livelli di produzione.
AC
Diseconomie
di scala
yr
ig
ht
©
Economie
di scala
0
QSME
Q
Fig. 2.4 - Rendimenti di scala
C
op
La quantità di output in corrispondenza della quale la curva del costo medio raggiunge
il suo punto di minimo (indicata con QSME in fig. 2.4) è detta scala minima efficiente (SME).
Il valore della SME, se rapportato alla dimensione del mercato, cioè alla domanda
complessiva (Q), può fornirci utili indicazioni sul grado di concentrazione di un settore
industriale, intendendo per grado di concentrazione il numero di imprese esistenti nel settore.
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Richiami di Microeconomia
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Ad esempio, se nell’industria dei bulloni il valore della SME è pari a 100 bulloni e il
numero complessivo di bulloni richiesti dal mercato è pari a 10.000, allora ciò significa che
tale domanda sarà soddisfatta da un numero elevato di piccole imprese. Il settore, cioè, sarà
poco concentrato ed assumerà una struttura tendenzialmente concorrenziale (fig. 2.5a).
Se, invece, il valore della SME è pari a 1.000 e la domanda complessiva è pari a 3.000,
la domanda sarà soddisfatta da poche grandi imprese (fig. 2.5b), per cui ci troveremo in un
settore molto concentrato, con poche imprese (oligopolio) o, in casi limite, con una sola
impresa (monopolio).
P
AC
br
i
P
AC
Domanda
Costo
medio
0
QSME
Q
se
li
Domanda
0
Costo
medio
QSME
Q
Es
Fig. 2.5 - Scala minima efficiente
©
Da questo ragionamento possiamo trarre la seguente conclusione: poiché il valore della
SME dipende dalla forma della curva del costo medio e quest’ultima dipende, a sua volta,
dal tipo di tecnologia adottata, ne consegue che il grado di concentrazione di un settore
industriale, cioè il fatto che esso assuma una struttura di tipo concorrenziale o di tipo
monopolistico, dipende in larga misura dalla tecnologia adottata.
2.2.3 Le economie di varietà
ht
Supponiamo che i dirigenti della nostra fabbrica di bulloni stiano valutando l’ipotesi di
produrre anche viti e che debbano decidere se produrle nello stesso impianto in cui si
producono i bulloni o costruire un impianto apposito.
C
op
yr
ig
Per trovare la giusta risposta essi dovranno semplicemente confrontare i costi totali
derivanti dalla produzione congiunta dei due beni, C(bulloni; viti), con la somma dei costi
totali sostenuti in caso di produzione separata, C(bulloni) + C(viti):
1) se C(bulloni; viti) < C(bulloni) + C(viti), diremo che la funzione di costo è subadditiva
e parleremo di economie di varietà (scope economies), in quanto la produzione
congiunta dei due beni è più conveniente della produzione separata;
2) se C(bulloni; viti) = C(bulloni) + C(viti), diremo che la funzione di costo è additiva, nel
senso che la produzione congiunta non comporta alcuna differenza, in termini di costo,
rispetto alla produzione separata;
3) se C(bulloni; viti) > C(bulloni) + C(viti), diremo che la funzione di costo è superadditiva, in quanto la produzione congiunta è meno conveniente della produzione separata.
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Capitolo Secondo
2.3 LA MASSIMIZZAZIONE DEL PROFITTO
br
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I motivi per i quali, in certi casi, si verificano economie di varietà sono riconducibili
all’utilizzo di input comuni parzialmente inutilizzati, non solo di tipo tecnologico (nel
nostro caso, bulloni e viti richiedono le stesse materie prime e, inoltre, una loro produzione
congiunta consente una maggiore utilizzazione dell’impianto) ma anche di tipo informativo
(la conoscenza approfondita sviluppata dalla rete commerciale per vendere bulloni può
essere utilizzata anche per vendere viti).
In ogni caso, la presenza di economie di varietà costituisce per l’impresa un importante
incentivo a diversificare la propria produzione.
se
li
Abbiamo visto in precedenza che per un’impresa è conveniente produrre un’unità
aggiuntiva di output se il ricavo che deriva dalla vendita di tale unità è superiore al costo
sostenuto per produrla. Produrre tale unità significa, pertanto, ottenere un profitto marginale e accrescere, di conseguenza, il profitto complessivo.
L’impresa, dunque, continuerà ad aumentare il numero di unità prodotte e ad accrescere
i propri profitti sino a quando sarà verificata tale condizione e si fermerà solo quando il costo
di un’unità aggiuntiva sarà identico al ricavo derivante dalla sua vendita.
Es
La condizione di massimizzazione del profitto può, dunque, essere espressa nel seguente
modo: l’impresa massimizza il profitto se produce quella quantità di output in corrispondenza della quale il ricavo marginale (MR) è uguale al costo marginale (MC):
(2.7) MR = MC
condizione di massimizzazione del profitto
©
Possiamo facilmente comprendere che se un’impresa opera in regime di concorrenza
perfetta, con prezzi dati e non modificabili, tale uguaglianza si risolve nell’uguaglianza tra
prezzo e costo marginale, in quanto ogni unità aggiuntiva venduta produce un ricavo
marginale pari al prezzo di vendita. Infatti:
ht
∆R = P∆Q ⇒
∆R
= MR = P
∆Q
C
op
yr
ig
Nel caso in cui l’impresa operi in regimi diversi dalla concorrenza perfetta, il calcolo del
ricavo marginale è un po’ più complesso, in quanto i prezzi non sono dati ma variano al
variare del livello di produzione.
Poiché, come sappiamo, la relazione tra prezzi e quantità di output domandata è una
relazione inversa, dobbiamo aspettarci che un aumento della produzione determini una
riduzione del prezzo.
Ad esempio, se la nostra fabbrica di bulloni decide di produrre il 101° bullone, essa
otterrà certamente un ricavo aggiuntivo derivante dalla vendita di tale bullone ma, nello
stesso tempo, sarà costretta a vendere quel bullone (e i 100 precedentemente prodotti) a
un prezzo leggermente inferiore. Di conseguenza, il ricavo marginale derivante dalla
vendita del 101° bullone sarà certamente inferiore al prezzo P praticato fino a quel
momento.
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Richiami di Microeconomia
br
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Per capire di quanto l’impresa dovrà ridurre il prezzo in seguito ad un incremento della
produzione, sarà sufficiente riprendere in considerazione il concetto di elasticità della
domanda rispetto al prezzo. Nella parte iniziale di questo capitolo abbiamo visto che, se la
domanda è elastica, una riduzione di prezzo determina un incremento più che proporzionale
della quantità domandata. Il che, letto in altro modo, equivale a dire che un incremento della
quantità prodotta determina una riduzione meno che proporzionale del prezzo di vendita.
Pertanto, quanto maggiore è l’elasticità della domanda, tanto minore sarà la
riduzione di prezzo che l’impresa dovrà praticare per vendere una quantità aggiuntiva di output.
Quindi, il ricavo marginale del 101° bullone sarà di poco inferiore al prezzo P praticato
in precedenza, se la domanda è molto elastica, nettamente inferiore se la domanda è
anelastica.
li
Possiamo individuare una relazione matematica fra ricavo totale, ricavo marginale ed elasticità della
domanda.
Abbiamo appena visto che produrre e vendere un’unità aggiuntiva significa ottenere:
se
1) un effetto positivo perché l’impresa vende un’unità aggiuntiva al prezzo P, ottenendo un ricavo aggiuntivo
pari a P∆Q ;
2) un effetto negativo poiché per vendere l’unità aggiuntiva l’impresa deve ridurre il prezzo di tutte le unità di
output, ottenendo un minor ricavo pari a Q∆P ;
Il ricavo totale è, dunque, funzione di due diverse componenti, la variazione dell’output e la variazione del
prezzo, che, come sappiamo, si muovono in direzione opposta.
Es
Esso è, cioè, pari a:
R = P∆Q + Q∆P
dividendo per dQ otteniamo il valore del ricavo marginale:
MR =
∆R
∆P
= P+Q
∆Q
∆Q
∆R
 Q∆P 
= P 1+
 P∆Q 
∆Q
ht
MR =
©
Tale espressione può essere scritta anche nel seguente modo:
Se andiamo a rivedere la (2.2) notiamo che il secondo membro tra parentesi equivale all’inverso dell’elasticità.
Per cui:
 1
MR = P  1 − 
 e
ig
(2.8)
C
op
yr
Questa espressione conferma che quanto più elevato è il valore dell’elasticità, tanto minore sarà la riduzione
di prezzo determinata da un incremento della produzione.
Nel caso limite della concorrenza perfetta, in cui l’elasticità della domanda è infinita, il valore tra parentesi
diventa pari ad 1 e, quindi, come abbiamo visto in precedenza, il ricavo marginale è esattamente pari al prezzo P.
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Capitolo Secondo
Spiegare, anche graficamente, la relazione esistente tra costo marginale e costo medio.
3.
Conviene produrre un bene se il suo prezzo di
mercato è superiore al minimo della curva del
costo medio?
Spiegare se in presenza di una funzione di costo
additiva è possibile ottenere economie di varietà.
5.* Sia TC = 100 + 2Q + Q la funzione di costo totale di un’impresa. Si calcoli la quantità di output
corrispondente al punto di minimo della curva del
costo medio e si stabilisca se, in corrispondenza di
un livello di output pari a 15, l’impresa stia ottenendo rendimenti di scala crescenti o decrescenti.
2
C
op
yr
ig
ht
©
Es
se
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br
2.
4.
S.
Supponiamo che la domanda del bene Q sia anelastica rispetto al prezzo. Se il prezzo del bene
aumenta del 2,5% la domanda diminuirà in misura
inferiore o superiore al 2,5%?
i
1.
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Esercizi e problemi
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